Maybe in another life
È una Nata Babbana. Una sporca, disgustosa Mezzosangue.
Io non ho bisogno di lei.
Come se continuare a ripetere quelle parole nella mia mente potesse essere una garanzia, un modo per allontanare il più possibile la tentazione di correre da lei e dirle... Che cosa? Avevo già messo in chiaro tutto quello che c'era da chiarire, e mi sembrava di essermela cavata piuttosto bene: nessun giro di parole, nessuna esitazione, il tono di voce e l'espressione del viso perfettamente combinati fra di loro. Tutto era andato secondo i piani, una volta tanto, e questo avrebbe dovuto rassicurarmi. Finalmente potevo riprendere in mano le redini del gioco, recuperare il tempo che avevo perso inutilmente dietro alla Granger e concentrarmi al massimo sul mio obbiettivo. Mancava sempre meno al termine che mi era stato concesso da Voldemort, e ormai la mia vita ad Hogwarts si svolgeva quasi esclusivamente nella Stanza delle Necessità: saltavo sempre più lezioni, non mi presentavo ai pasti e dormivo poche ore per notte nel tentativo di riparare quel maledetto Armadio, che stava finalmente iniziando a collaborare.
Avevo fatto numerose ricerche in Biblioteca e, dopo tanti sforzi, ero riuscito a spedire con successo alcuni oggetti nell'Armadio gemello da Magie Sinister. Era necessario ancora un po' di tempo perché potessi essere sicuro che avrebbe funzionato a dovere quando fosse servito, ma per la prima volta da quando il Signore Oscuro mi aveva affidato quel compito mi sentivo fiducioso. Se non altro non sarei morto, e neppure i miei genitori. Allora perché non riuscivo ad essere felice come avrei dovuto?
Forse era per la stanchezza.
Non è la stanchezza, e lo sai bene.
Probabilmente ero preoccupato che da un momento all'altro l'Armadio Svanitore potesse rompersi o danneggiarsi, o semplicemente smettere di funzionare.
Bugiardo.
Avrei potuto trovare mille scuse, negare fino alla fine, ma sapevo dentro di me che la verità era una sola: mi mancava la Granger. Non l'avevo più vista dopo quell'incontro fuori dalla Biblioteca, i miei tentativi di evitarla il più possibile erano andati a buon fine, ed ero quasi certo che lei avesse fatto lo stesso con me. Forse era stato un bene, la sua lontananza mi aveva evitato distrazioni e aveva fatto sì che fossi disposto a tagliarla fuori dai miei pensieri per adempiere al mio dovere. Ero stato uno stupido a pensare di riuscire ad ottenere il suo aiuto in una missione del genere, ed ero stato ingenuo.
Ingenuo perché non avevo previsto una complicazione terribile come quella, avrei dovuto essere io a circuirla e sedurla per poi lasciarla sola e con il cuore spezzato, invece era avvenuto il contrario. Era più abile di quanto pensassi, la Mezzosangue, non solo negli incantesimi. Ed io ero fregato.
Mi mancava respirare il suo profumo alla violetta, giocare con i suoi ricci ribelli, baciare le sue labbra morbide... che probabilmente stavano baciando Weasley proprio in quel momento. Nel formulare un pensiero simile mi si rivoltò lo stomaco: come poteva la Granger provare qualcosa per lui? Chiunque si sarebbe reso conto che non era assolutamente alla sua altezza, che non la meritava, eppure lei aveva sofferto quando si era messo con la Brown, al punto da cercare conforto presso il nemico. Per un attimo mi ero illuso di aver trovato una possibilità di salvarmi, di evitare di commettere un atto tanto terribile come l'omicidio per poi macchiarmi di ben altro peccato...
Ero attratto da lei. Dalla Granger.
Inutile negarlo.
Quella maledetta Mezzosangue lo sapeva e aveva spudoratamente giocato con me, portandomi poco a poco verso la follia, forse per divertirsi, o magari aveva avuto la mia stessa idea: servirsi del nemico per raggiungere i propri scopi. Dopotutto quel che voleva sin dall'inizio era la piena adorazione da parte di Weasley nei suoi confronti, ed ora che lui si trovava in quelle condizioni di certo non avrebbe faticato ad ottenerla. Sicuramente all'inizio si era chiesta il perché del mio nuovo, strano atteggiamento nei suoi confronti, quella sua testolina si era sforzata di trovare una spiegazione razionale, ma poi aveva semplicemente deciso di approfittare della situazione per poterne trarre dei vantaggi.
Doveva essere andata così.
E se invece avessi tratto le conclusioni sbagliate, proprio come era successo alla festa di Lumacorno? Se avessi dubitato ingiustamente di lei e della sua sincerità? In quel caso, sarei stato un coglione.
Ma no, io ero un Malfoy, non potevo aver frainteso.
L'avevo sentita con le mie orecchie.
«Mi dispiace, Ron. Davvero. Non avrei dovuto comportarmi in questo modo. In fondo tu non hai fatto niente di sbagliato, non potevo certo obbligarti ad amarmi... Era una tua scelta, ed io non l'ho capito subito. Ma ora non mi importa, voglio che torniamo ad essere amici come prima, anche se io... penso di essere ancora innamorata di te.»
Ripensare a quelle parole era dura. Soprattutto, mi risultava quasi impossibile associarle alla stessa persona che solo pochi giorni prima mi aveva accolto fra le sue braccia, come nessuno era mai stato in grado di fare. Ero arrivato a credere che forse la Granger sarebbe riuscita a lenire le mie ferite, a darmi finalmente quell'affetto che mi era sempre mancato, e invece mi aveva solamente fornito un'ulteriore conferma alla mia massima di vita.
Non fidarti mai di nessuno.
E di tante persone che c'erano a Hogwarts, avevo scelto proprio la peggiore per trasgredire quella regola: il nemico.
Chiunque avrebbe desiderato un nemico del genere...
Basta. Dovevo smetterla con quei pensieri proibiti e aprire gli occhi una volta per tutte: quella "relazione" stava diventando una pericolosa ossessione, e tenere a bada i miei istinti da quel momento in poi sarebbe diventata una priorità assoluta.
Certo, se io non fossi stato un Mangiamorte e la Granger una Mezzosangue allora avrei potuto lottare perché fosse mia, certamente mi avrebbe preferito al pezzente...
Ma io ero un Mangiamorte, al quale era stata affidata una missione della massima importanza.
E lei era una Nata Babbana, nonché migliore amica del Prescelto.
Non c'era spazio per i "se", né per i congiuntivi.
Magari in un'altra vita.
Ormai non avevo più tempo da perdere con la Granger.
C'era un omicidio da portare a compimento e non potevo permettermi ulteriori errori: avevo già rischiato di fare fuori Weasley e la Bell e, per quanto mi allettasse la prospettiva di un mondo senza Lenticchia, non era quello che il Signore Oscuro voleva da me.
Tornare il Draco Malfoy di una volta. Questo avrei dovuto fare.
Uscii dalla Stanza delle Necessità guardandomi intorno con circospezione: fortunatamente il corridoio del settimo piano era ancora deserto, così mi diressi a passo svelto verso la Sala Grande per la colazione. Non avevo molta fame, ma era necessario che mantenessi una parvenza di normalità di fronte ai miei compagni e ai professori, che probabilmente mi davano per disperso. Quella voglia improvvisa di tornare per un po' fra i vivi non c'entrava assolutamente con il desiderio di rivedere una certa Grifondoro.
Prima di varcare l'ingresso della Sala mi bloccai per un attimo, giusto il tempo di indossare la migliore delle maschere che custodivo nel mio repertorio.
Freddo e distaccato.
Semplicemente Malfoy.
Semplicemente me.
«Non guardare.» continuai a ripetermi mentre mi dirigevo verso il tavolo della mia casa, sforzandomi di ignorare quello all'altro capo della Sala Grande, il più animato.
«Oh, Draco, sei tornato...»
«Si può sapere dove cazzo eri finito?»
Nel tentativo di prepararmi a sostenere gli sguardi e l'arroganza dei Grifondoro avevo evidentemente sottovalutato l'insistenza e la sospettosità tipica dei Serpeverde, impersonate da Pansy Parkinson e da Zabini, l'una con le sue attenzioni melense, l'altro con un esordio decisamente tipico di lui.
«Buongiorno anche a te, Zabini.» replicai, ignorando Pansy e sedendomi con studiata calma fra Tiger e Goyle, in modo da avere Blaise di fronte e soprattutto i Grifondoro alle spalle.
Ghignai appena, trionfante: ce l'avevo fatta, avevo resistito.
Niente dose di Granger per me.
Per il momento.
«Che cos'hai fatto in questi giorni? Dove sei stato? Non eri a lezione, né a pranzo, né agli allenamenti di Quidditch, e non è da te.»
Allungai una mano e versai un po' di succo di zucca nel calice dal bordo dorato che mi stava di fronte, senza curarmi di rispondergli: non gli dovevo nessuna spiegazione.
Non era un mio amico, bensì quanto di più simile potessi avere al concetto di amico, e non era la stessa cosa. Inoltre, da quando avevo tentato di dargli fuoco durante la lezione di Incantesimi i nostri rapporti si erano ulteriormente incrinati.
«Rispondimi, avanti.» mi ordinò perentorio.
«Quello che faccio non ti riguarda, d'accordo? Perciò ti suggerisco di smetterla con le domande, perché non ho la minima intenzione di rispondere. In quanto a te, Parkinson...» continuai, afferrandoil polso di Pansy e spostandolo con malagrazia dai miei capelli, chequell'odiosa si ostinava a voler pettinare con le dita.
«Prova di nuovo a toccarmi senza il mio permesso e ti ritroverai appesa per i piedi dalla Torre di Astronomia.»
La Parkinson emise un versetto acuto, probabilmente di paura e indignazione, mentre Zabini mi lanciò uno sguardo truce. Proprio quello che volevo. Ostentare un po' la mia superiorità.
Per qualche minuto ebbi la possibilità di consumare la colazione nel completo silenzio, ma proprio quando iniziavo a pensare di possedere una capacità di controllo decisamente ammirevole, qualcosa attirò la mia attenzione. Qualcosa di bianco e soffice.
«Ma questa è...»
«Neve!» gridòHannah Abbott alzandosi dal tavolo dei Tassorosso. Non era una miaallucinazione, allora: stava davvero nevicando in Sala Grande.Com'era possibile?
«Accidenti, questi maledetti cosi continuano a cadere sui miei capelli! Qualcuno faccia qualcosa!» silamentò Pansy, scrollando la testa e facendo sì che "i cosi",comunemente chiamati fiocchi di neve, finissero sulla tavolaimbandita.
«È quell'idiota di Weasley.» commentòcon voce strascicata Blaise.
Serrai involontariamente i pugni al suono di quel nome: possibile che si fosse ripreso così in fretta dal mio tentato avvelenamento? In ogni caso io non avrei dovuto voltarmi per nulla al mondo. Neppure per controllare con chi...
«Ron, stai facendo nevicare!»
La sua voce si distinse fra tutte, o forse ero talmente condizionato da arrivare a captare anche il minimo segnale da parte della Granger; vinto dalla curiosità morbosa e sì, dal desiderio di vederla anche solo per un istante, mi voltai.
Un attimo dopo avrei voluto auto-obliviarmi pur di cancellare dalla mia memoria l'immagine di lei che afferrava il polso di Weasley e lo guidava verso il basso insieme alla bacchetta, facendo cessare immediatamente l'incantesimo. Dopodiché il rosso disse qualcosa che non riuscii ad afferrare e spazzò via con la mano un po' di neve dalla spalla della Granger, che gli sorrise appena.
Lo uccido.
«Quindi hanno fatto pace?»
Il tono annoiato di Blaise mi riportò alla realtà, ricordandomi che sarei sicuramente parso sospetto se avessi continuato a fissare il tavolo dei Grifondoro troppo a lungo. Tornai al mio posto, preso da un bisogno irrefrenabile di distruggere qualcosa.
«A quanto pare. Avete visto la Brown? Sembra che abbia degli Avvincini nelle mutande...» sussurròla Parkinson ridendo.
In effetti Lavanda Brown doveva essere piuttosto sconvolta, a giudicare dal suo agitarsi continuamente sulla panca di legno e dallo sguardo truce con cui teneva d'occhio ogni movimento del suo – forse ex – fidanzato. Non avrei mai immaginato di arrivare a tanto, ma forse io e Lecca Lecca avevamo qualcosa in comune, quel giorno.
«Stai cercando di strangolare la forchetta, Malfoy?»
L'ombra di un ghigno comparve sul volto di Zabini, che spostò lo sguardo eloquente sulla mia mano e sulla forchetta ormai irrimediabilmente rovinata.
Che avesse capito?
Ma no.
«La prossima volta sarà il tuo collo.»
Mi alzai di scatto, pensando che per quella mattina ne avevo abbastanza della stupidità delle persone con cui ero costretto a convivere, e tornai sui miei passi, verso la Stanza delle Necessità. In quel momento, però, qualcosa, o per meglio dire qualcuno, attirò la mia attenzione, costringendomi a fermarmi proprio nel bel mezzo della Sala: proprio di fronte a me c'era Katie Bell, che conversava sottovoce con Potter. Katie, la stessa ragazza che avevo quasi ucciso per errore. Provai un inspiegabile sollievo nel rendermi conto che se i medimaghi l'avevano dimessa dal San Mungo voleva dire che la maledizione della collana non aveva avuto ripercussioni troppo gravi sulla sua salute, e questo mi liberava da ogni tipo di senso di colpa. Non che ne avessi, ovviamente. I Malfoy non ne avevano.
Nonostante ciò, oltre al sollievo mi sentii improvvisamente sopraffatto: come potevo anche solo sperare di uccidere Silente se non ero nemmeno in grado di spedirgli una collana o una bottiglia di Idromele avvelenato? Come sarei riuscito ad aggiustare l'Armadio se continuavo a pensare alla Granger?
Mi riscossi dai miei pensieri e mi voltai di scatto non appena mi accorsi che la Bell era scomparsa e che Potter mi stava fissando sospettoso. Presi a camminare rapidamente, senza una vera e propria meta. Sentivo che gli occhi di tutti erano puntati su di me, quelli dei miei compagni, di mio padre, di Piton e... di Voldemort. Non era né piacevole né gratificante come avevo previsto, e volevo solo allontanarmi il più in fretta possibile.
L'aria era diventata irrespirabile, mi sembrava di soffocare: allentai il nodo della cravatta, cercando di capire quale sarebbe potuto essere il posto più adatto per dare finalmente sfogo alle mie preoccupazioni senza il rischio di essere giudicato.
Avvertivo dei passi alle mie spalle ma non mi importava, riuscivo solo a pensare non adesso, non qui.
Senza sapere come, mi ritrovai di fronte al bagno di Mirtilla Malcontenta, che ero certo essere vuoto poiché a quell'ora gli studenti si trovavano tutti a fare colazione nella Sala Grande. Nessuno mi avrebbe disturbato, ed era proprio quello di cui avevo bisogno.
Mi sfilai il maglione e presi a sciacquarmi ripetutamente il viso, come se con quel gesto avessi potuto ripulirmi di tutta la merda che mi portavo dentro. Alzai lo sguardo, ma non riuscii a riconoscermi nella figura intrappolata nello specchio.
Tremavo, mi veniva da rimettere e... Salazar, stavo piangendo.
Quello non potevo essere io, quello era il volto di un vile.
Le parole della Cooman sembrarono riecheggiare nella mia mente...
«L'appeso. Se rovesciata, la carte indica un'inversione degli schemi, un sacrificio o un mutamento, la scelta per una vita alternativa, il confronto con un momento pieno di dubbi e di paure.»
Possibile che fosse tutto vero? Il mio destino mi stava forse conducendo in quel cupo scenario di morte che la mia insegnante di Divinazione mi aveva prospettato?
Draco, Draco... Come puoi vivere con te stesso?
«Lo sapevo.»
Sobbalzai. Contrariamente alle mie previsioni, in quel bagno c'era qualcuno, anzi, qualcuna.
«Sapevo che eri tu. Ti ho sentito piangere dal bagno del quinto piano.»
Conoscevo ormai fin troppo bene quella fastidiosa voce stridula. Mirtilla Malcontenta era apparsa dal nulla, lugubre e malinconica come al solito. Davvero fantastico.
«Vattene.» mormorai,sperando che quell'ordine secco bastasse per convincerla. Speranzavana.
«Draco Malfoy che piange, da solo, chiuso in bagno. Non mi era mai capitato di assistere a qualcosa di simile.»
«Ti ho detto di andartene, stupido fantasma.»
«No... dimmi che cosa c'è che non va... io posso aiutarti...» gemette.
Stronzate.
«Nessuno può aiutarmi.»
Stavo parlando più a me stesso, in realtà. Tremavo.
«Non posso farlo. Non posso... non funzionerà... E se non lo faccio presto... dice che mi ucciderà.»
Le lacrime scorrevano calde sul mio volto pallido e dentro il lavandino sudicio. Singhiozzai e deglutii; poi, con un gran brivido, guardai lo specchio incrinato e vidi Potter che mi fissava al di sopra della mia spalla.
Mi voltai di scatto ed estrassi la bacchetta, mentre lui faceva lo stesso. La mia maledizione lo mancò di pochi centimetri, mandando in pezzi la lampada sulla parete accanto a lui; si gettò di lato e agitai la bacchetta, ma riuscii a bloccare la fattura e mi preparai a scagliarne un'altra...
«No! No! Basta!» strillòMirtilla Malcontenta. La sua voce echeggiò forte nella stanzafoderata di piastrelle. «Basta!»
Si udì una sonora esplosione e il bidone alle spalle di Potter scoppiò; tentò un Incantesimo delle Pastoie che rimbalzò sulla parete dietro il mio orecchio e distrusse la cassetta sotto Mirtilla Malcontenta, che strillò ancora più forte. L'acqua si riversò dappertutto e Potter scivolò a terra, mentre scosso dalla rabbia urlavo: «Cruci...»
«Sectumsempra!» gridòlui dal pavimento, agitando furiosamente la bacchetta. Sentiiqualcosa lacerarsi all'interno del mio petto, un brucioreinsopportabile espandersi attraverso il corpo. Il sangue schizzò dalvolto e dal petto, come se fossi stato colpito da una spadainvisibile. Barcollai all'indietro, lasciai cadere la bacchetta dallamano afflosciata e piombai sul pavimento allagato sollevando unenorme spruzzo.
Che cosa mi aveva fatto?
«No...» sentiiansimare Potter, che corse verso di me, mentre tremavo in manieraincontrollabile e con le mani raspavo il mio petto zuppo di sangue.Non riuscivo neppure a provare odio per lui, tanto era il dolore.
Ero fatto di dolore, e il dolore era fatto di me.
«Assassinio! Assassinio nel bagno! Assassinio!» urlòMirtilla, da qualche parte nella mia testa.
In fondo non sarebbe stato così male. Morire.
Non avrei più avuto responsabilità, compiti da eseguire, standard elevati da mantenere. Non sarei stato obbligato a sposare una ragazza scelta da mio padre, o a comportarmi da Mangiamorte, né ad uccidere nessuno. Non sarei più dovuto essere il cattivo.
E la Granger...
Avrei potuto amarla.
In punto di morte tutto appariva più chiaro, senza dubbio.
Mi sembrava persino di vederla, la mia Mezzosangue, di sentire il suo tocco delicato sulla mia pelle ormai deturpata.
«Draco... Che cos'hai fatto?»
Finalmente muoio.
La sua voce... Forse era quella di un angelo. Non sarebbe mai stata mia, ne ero consapevole, lei era il nemico, il terreno proibito. Inutile avere rimpianti.
Non saremmo mai stati felici insieme.
Magari in un'altra vita, Hermione.
♥
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