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In my veins

Merlino, che hanno tutti da guardare?

Avevo appena messo piede oltre la soglia della Sala Grande e già mi sentivo soffocare da tutti quegli sguardi incuriositi e fastidiosi dei miei compagni, quasi stessero assistendo alla visione di un fantasma. Inutile poi ignorare i commenti, pronunciati a voce bassa ma non abbastanza perché potessi evitare di ascoltarli.

«Eccolo, guardate. È uscito proprio adesso dall'Infermeria.»

«Ho sentito Madama Chips riferire a Silente che ha perso litri di sangue...»

«Ma chi sarà stato?»

«Non so, ma chiunque sia si merita una bella stretta di mano.»

Alzai gli occhi al cielo e mi strinsi nelle spalle, tentando di rendermi invisibile e di raggiungere il tavolo della mia Casa il più in fretta possibile. Che diavolo avevano tutti da cospirare? D'accordo, ero quasi morto dissanguato nel bagno di Mirtilla Malcontenta solo due settimane prima e questo poteva essere considerato senza dubbio un evento degno di nota all'interno di Hogwarts, ma ero fermamente convinto che ben poche delle centinaia di persone riunite in quella stanza fossero a conoscenza di come si erano davvero svolti i fatti.

Anzi, potevo contarle sulla punta delle dita.

Me stesso in primis, io che avevo vissuto quell'esperienza dall'inizio alla fine: il Draco di un tempo sarebbe stato furioso, animato dal desiderio di vendetta contro Potter e al contempo soddisfatto, perché per una volta sarei stato io ad aver rischiato di morire ingiustamente e ad essermi salvato per miracolo. Invece adesso... Essere al centro dell'attenzione non era affatto una buona idea, non quando il Signore Oscuro mi aveva assegnato un compito di simile importanza, non quando mi era stato ordinato di uccidere Silente e di far entrare i Mangiamorte nella sua scuola. Mantenere l'anonimato e coinvolgere meno persone possibile era necessario, perciò tutta quella pubblicità gratuita che lo Sfregiato mi aveva procurato era del tutto indesiderata.

Potter.

In un modo o nell'altro riusciva sempre a rovinare tutto, prima con la profezia, e adesso mettendomi i bastoni fra le ruote. Eppure ero deciso a non rivolgergli neppure la parola dopo quanto aveva fatto, non potevo permettermi di perdere altro tempo con lui. Quelle due settimane trascorse in Infermeria erano state tremende, una "vacanza" era l'ultima cosa di cui avevo bisogno per portare a termine il mio incarico. Ma d'altra parte, inaspettatamente, erano state due settimane che – in cuor mio ne ero certo – non avrei mai dimenticato.

«Sei tornata a trovarmi, Granger? Allora ti piaccio di sicuro.»

«Sono solo venuta ad assicurarmi che tu non muoia, Malfoy, non lascerei mai a Harry il piacere di ucciderti.»

Sorrisi involontariamente a quel ricordo, per poi tornare subito serio. Potevo concedere a me stesso una felicità del genere? Conoscevo già la risposta.

Anche Piton sapeva com'erano andate le cose. Per una volta il caso si era rivelato dalla mia parte, quando aveva fatto sì che l'unica persona competente a trovarsi nelle vicinanze del Bagno di Mirtilla in quel momento fosse proprio lui, il professore di Pozioni nonché mio protettore. Oh, con la fondamentale caratteristica di essere l'unica persona a conoscenza del mio compito, e dunque di ciò che ormai ero a tutti gli effetti.

Un Mangiamorte.

Ancora rabbrividivo al pensiero di quello che sarebbe successo se Hermione avesse pensato di togliermi la camicia per provare a guarire le ferite sul petto... Di sicuro lo scontro ravvicinato con il Marchio l'avrebbe fatta immediatamente desistere dal proposito di salvarmi la vita, questo era del tutto appurato.

E poi non mi avrebbe più permesso di avvicinarla.

Perché ti importa tanto di ciò che pensa quella Mezzosangue?

Perché mi serve per riparare l'Armadio, è ovvio.

Oh, al diavolo.

Era stato Piton a recitare il contro incantesimo e a fasciarmi in modo tale che nessuno, in seguito, potesse avere modo di vedere il simbolo del Signore Oscuro tatuato sul mio braccio, e aveva insistito con Madama Chips affinché fosse sempre lui a cambiare periodicamente le bende. Gli ero grato più per questo che per aver impedito alla morte di sottrarmi dal compito che mi attendeva. Forse l'aveva fatto solo per quel motivo, per permettere all'Oscuro di uccidermi lui in seguito, in un modo molto più lento e doloroso... Preferivo non pensarci.

Stranamente non mi aveva rivolto troppe domande durante la convalescenza, e a me stava bene così. Speravo non si fosse servito dell'Occlumanzia, perché altrimenti non sarebbe stato certo felice di scoprire che anziché preoccuparmi come avrei dovuto, nella mia mente c'era tutt'altro.

Lei.

La Mezzosangue Granger.

Che in quel momento sedeva al tavolo dei Grifondoro, apparentemente impegnata in una conversazione con la Weasley, ma che era stata percorsa da un fremito alla mia apparizione in Sala Grande. Ormai avevo imparato ad osservare tutto, anche i minimi movimenti, a spiare in continuazione quella strana, fiera creatura che chissà per quale ragione pareva ferma sul proposito di farmi impazzire.

«Che direbbero i tuoi amichetti se ti trovassero qui, ad assistere il nemico?»

«Loro non ne sapranno mai nulla.»

«Perché lo fai, Granger?»

«Non lo so.»

Quando mi ero auto definito suo nemico non mi aveva corretto, ma in fondo me l'aspettavo. Non sarebbe mai bastato un bacio o qualche frase rubata per renderci alla pari agli occhi del mondo, io e lei saremmo sempre stati agli antipodi.

Troppe domande avrei voluto porle, e altrettante domande avrei voluto porre a me stesso, ma temevo che certe verità potessero definitivamente schiacciarmi.

Io, un Malfoy, schiacciato. Che disonore.

«Ehi Draco, perché la Mezzosangue continua a lanciare occhiate verso il nostro tavolo?»

Preso dai miei pensieri non mi ero reso conto della presenza di Blaise, che ormai stava diventando più scomoda del solito. Cercava palesemente e sempre più spesso di estorcermi informazioni, sia su quanto fosse realmente successo con Potter, sia riguardo le mie escursioni notturne per il castello. Non mi sarei sorpreso se prima o poi l'avessi trovato appostato dietro una statua del settimo piano, perciò mi ripromisi di fare più attenzione. Non potevo permettermi anche quello.

Un momento. La Mezzosangue guardava verso di noi?

Sollevai appena il viso, quel tanto che bastava da concedermi una rapida visione dei suoi occhi castani, di una sfumatura interessante, affatto comune, e mi sentii subito meglio.

Quel contatto visivo seppur breve era stato la miglior medicina degli ultimi giorni, senza dubbio: nessuno dei due era andato oltre una semplice occhiata apparentemente casuale, consapevoli del fatto che intorno a noi c'erano fin troppe persone che avrebbero potuto fraintendere. Draco Malfoy e Hermione Granger non si guardavano se non per insultarsi a vicenda, e se così non fosse stato allora avrebbe potuto significare solo che fra loro c'era qualcosa.

Ma avrebbero davvero frainteso, in fondo? Di nuovo, meglio non pensarci.

Mi alzai di scatto, consapevole di non poter resistere ulteriormente a quella tortura, e ignorando i richiami di Blaise e Pansy uscii dalla Sala Grande senza una meta precisa.

Volevo solo prendermi un momento per riflettere e recuperare il sangue freddo, e continuare a sforzarmi di non fissare la Granger non era certo il miglior modo per riuscirci.

Mi sembrava di poter sentire la sua mente lavorare frenetica, aveva senz'altro un milione di domande da farmi e sapevo che ora che ero completamente fuori pericolo non avrebbe più rimandato il momento delle spiegazioni.

Cosa stessi facendo nel bagno di Mirtilla Malcontenta quando Potter aveva deciso di ficcarci il naso, ad esempio. O perché negli ultimi tempi trovassi ogni scusa possibile per saltare le lezioni. O per quale misterioso motivo mi sentissi così irrimediabilmente attratto da lei.

Avrei tanto voluto trovare delle risposte, ma non ne avevo e non mi sentivo pronto ad affrontarla. Codardo, come sempre.

Quel giorno trascorse in una lentezza allarmante, tanto che mi convinsi che probabilmente qualcuno avesse fatto un qualche tipo di incantesimo per congelare il tempo: assistetti a tutte le lezioni, per non destare ulteriori sospetti appena uscito dall'Infermeria, mi costrinsi ad andare anche a pranzo in Sala Grande, dove le occhiate e i sussurri non erano certo diminuiti, e sopportai mio malgrado le smancerie di Pansy, che sembrava voler recuperare ogni secondo perduto. Persino girare per i corridoi era stata una tortura, avevo avuto la netta sensazione che tutti mi osservassero, studenti e insegnanti, che controllassero ogni mia mossa. Ben diversi erano gli sguardi che seguivano Potter, a lui toccava il ruolo di eroe, che attaccato da un presunto Mangiamorte era stato costretto a difendersi, e per poco non era riuscito ad ammazzarlo una volta per tutte. E io? Io ero il solito Malfoy, quello che mezza scuola avrebbe voluto vedere morto.

All'ora di cena ero distrutto, avevo impiegato tutte le mie (poche) energie per pensare a come riparare l'Armadio, perché ormai non mi restava molto tempo, e soprattutto per evitare di incontrare continuamente la Mezzosangue, che dirottava la mia attenzione altrove ogni qual volta i nostri sguardi si incrociavano. Uno sforzo inutile: più mi impegnavo ad evitarla, più la vedevo comparire in ogni angolo del castello, e dopo un solo giorno mi sembrava già di impazzire. Almeno non ero più costretto a scontare con lei la punizione della McGranitt, altrimenti non ne sarei uscito vivo... Anche se era inutile prendermi in giro, avrei tanto voluto passare del tempo con lei. Decisi che per il momento ne avevo abbastanza e mi diressi verso i sotterranei, mentre tutti gli altri studenti correvano in Sala Grande per la cena, tranquilli e ignari. Avevo bisogno di riposare e di schiarirmi le idee, stavo diventando troppo fragile emotivamente e la cosa non mi piaceva per niente, e anche se per chiunque altro ero sempre io, sapevo di dover tornare a rivestire i panni del vecchio Malfoy immediatamente.

Mi ritrovai in pochi minuti di fronte all'ingresso della Sala Comune di Serpeverde, ma prima che avessi il tempo di pronunciare la parola d'ordine mi sentii afferrare il braccio da una mano invisibile. Sobbalzai, e stavo per estrarre la bacchetta quando percepii un profumo fin troppo familiare. Era lei.

Con un gesto deciso si sfilò un mantello, che identificai subito come il leggendario Mantello dell'Invisibilità di Potter, e tornò così ad essere visibile in tutto il suo splendore.

«Pensavi di venire a parlare con me, prima o poi?»

Il tono era lievemente accusatorio, ma con le labbra sorrideva appena ed aveva uno strano luccichio nello sguardo, furbo e attento, come a non volersi lasciar sfuggire nemmeno un dettaglio, i capelli le ricadevano disordinati sulle spalle e a me non era mai sembrata più bella.

Voleva proprio uccidermi.

«Veramente no. Tu mi distrai.» le risposi, costringendomi a mantenere il più possibile le distanze per non baciarla, com'era successo tutte le volte che era venuta a trovarmi in Infermeria.

Alzò gli occhi al cielo, ma il suo sorriso si allargò, anche se sapevo che non si sarebbe mai lasciata distogliere dal suo obiettivo, qualunque fosse.

«Sì, certo Malfoy. Non sono venuta fin quaggiù per niente.»

«Niente? Mezzosangue, così mi offendi. E non ti preoccupa che qualcuno possa vederti in territorio nemico a fraternizzare con il nemico?»

In verità anch'io avrei dovuto fare attenzione a quella possibilità, era stata una mossa rischiosa quella di cercarmi proprio nei sotterranei, nonostante a quell'ora tutti fossero a cena chiunque avrebbe potuto trovarci lì insieme.

Tuttavia conoscevo abbastanza la Granger da rendermi conto che un pensiero simile non l'avrebbe affatto fermata, e questo non mi dispiaceva, anzi. Io non avrei mai trovato il coraggio.

Lei si avvicinò e sollevò il mento con aria di sfida.

«No. Non me ne importa proprio.»

Mai stata così bella.

«La Granger che infrange le regole? Non mi sembra possibile.»

sussurrai accorciando ancora un po' le distanze e sentendo il suo profumo farsi più intenso.

«Non ci sono altre regole che io e te possiamo infrangere insieme, Malfoy. Credo che abbiamo già fatto del nostro meglio.»

«Non credo. Vieni con me.»

Le presi una mano e subito avvertii un lieve brivido corrermi lungo il polso: dovevo essere davvero rovinato se un contatto tanto banale e innocente mi provocava quella reazione, ma cos'avrei potuto fare? Resistervi? Inutile, ci avevo già provato e non era andata granché. Bastavano due minuti di conversazione con lei per sentirmi pervadere dal desiderio, e ormai non mi interessava affatto delle rischiose conseguenze. Non sapevo bene cos'avessi in mente, sapevo solo che dovevo stare con lei, in ogni modo umanamente possibile. La consapevolezza che molto presto sarei morto mi era piombata addosso all'improvviso, come se fino a quel momento non avessi mai voluto accettare la realtà. Quel giorno finalmente avevo capito, e in qualche modo mi sentii sollevato perché la morte non sembrava più un'opzione tanto spaventosa. Se Potter avesse eseguito in maniera decente quello strano incantesimo nel bagno non mi sarei ritrovato con tanti problemi, ma con Hermione lì di fronte a me non volevo sprecare quell'ultima possibilità di essere felice, volevo smettere di pensare a Voldemort, al piano, a Silente, per quella notte soltanto.

La chiamavo per nome, ormai, ma solo nei miei pensieri.

Rafforzando la presa sulla sua mano la condussi fuori dai sotterranei, non era quello il luogo in cui avrei voluto passare del tempo con lei, non in mezzo ai colori di Serpeverde.

Non perché non mi piacessero, solo che non c'entravano nulla con quella ragazza così testarda e intelligente, non volevo vederla immersa in una realtà che non le apparteneva.

Mi venne in mente quello che di certo avrebbe detto Blaise se fosse venuto a conoscenza della situazione:

«Se fossi al tuo posto e avessi la possibilità di tenere quella stupida Mezzosangue in mio potere lo sfondo ideale sarebbe proprio il nostro dormitorio.»

Un tempo probabilmente sarei stato d'accordo con lui, ma ormai parecchie cose erano cambiate. Era cambiato tutto. Mentre camminavamo in silenzio per i corridoi deserti notai che la Granger non si era rimessa il mantello, eppure quel dettaglio anziché preoccuparmi mi faceva sentire meglio.

Lei non aveva paura di essere vista con me, nonostante in passato non le avessi certo dato alcuna prova di amicizia, e nonostante ultimamente avessi cercato di giocare con i suoi sentimenti per raggiungere i miei obiettivi.

Ma questo non poteva saperlo.

Non aveva opposto resistenza quando l'avevo presa per mano, si era lasciata condurre da me quasi con naturalezza, come se quella fosse una situazione abituale, fra noi. E mi sorpresi a decretare che un'eventualità del genere mi sarebbe piaciuta.

Il tragitto durò meno di quanto avrei desiderato, e ben presto ci ritrovammo di fronte a una soglia che sicuramente la Granger conosceva.

«Il Bagno dei Prefetti... Perché mi hai portata qui?» mormorò mentre entravamo, fissandomi dritto negli occhi con uno sguardo che avrebbe ipnotizzato qualsiasi serpente.

«Mi piace questo posto. È silenzioso e poco frequentato, come la torre di Astronomia. Qui riesco a riflettere in pace.»

Perché le stavo dicendo quelle cose? Erano solo piccoli dettagli insignificanti, ma riguardavano la mia vita, il mio modo di essere, e non stavo incontrando alcuna resistenza nel raccontarle proprio a lei. Alla Mezzosangue Granger che mi aveva dato un pugno al terzo anno, e che così spesso mi ero scoperto a detestare. La verità era che non potevo confessarle il reale motivo per cui, fra tanti luoghi, avessi scelto proprio il Bagno dei Prefetti. Certo, era un buon posto per parlare tranquillamente, ma quello a cui stavo pensando davvero non prevedeva che la Mezzosangue fosse vestita...

Se lo avessi ammesso lei mi avrebbe schiantato, poco ma sicuro. Tuttavia mi intrigava molto l'idea di vederla arrossire di fronte a quelle che erano effettivamente le mie intenzioni in quel momento, e non ci sarebbe stato nulla di male a giocare un po' con lei.

«È sicuramente una cosa che abbiamo in comune, cercare la solitudine.» la sentii dire mentre ad occhi chiusi inspirava forte il profumo che emanava dall'immensa vasca da bagno. Cercai a fatica di mantenere il controllo per evitare di spogliarla all'istante e concentrarmi su quello di cui stava parlando.

«L'ultima volta che sono stata qui è stato quando... quando mi hai baciata per la prima volta.» concluse d'un fiato, e le sue guance si colorarono immediatamente.

Troppo facile, Granger.

Mi parai di fronte a lei, godendo di ogni istante del suo delizioso imbarazzo.

«Oh, vuoi dire quando mi hai letteralmente implorato di baciarti?» replicai, lanciandole un'occhiata maliziosa e avvicinandomi rapidamente. Lei si ritrasse indignata, spalancando le iridi.

«Come hai detto, scusa? Io ti avrei implorato? Esattamente, quale tra le mie parole te l'ha lasciato credere?»

Continuai ad avvicinarmi con il preciso intento di intrappolarla contro la parete alle sue spalle, e la Mezzosangue non era certo così stupida da non averlo previsto.

Era così ovvio: voleva lasciarmelo fare.

«Oh, non saprei, mi sembra di ricordare che le parole precise siano state "Baciami, adesso", direi che è una prova più che sufficiente.»

Arrossì violentemente sotto il mio sguardo, mentre disperatamente si arrovellava il cervello alla ricerca di qualcos'altro da dire. Non desisteva mai, la Granger.

Perché dovevamo essere tanto diversi?

«Ma alla fine dei conti sei stato tu a baciarmi, ricordi?»

La sua voce si spezzò sull'ultima sillaba non appena si ritrovò prigioniera fra me e il muro, e quando premetti appena il mio corpo contro il suo la sentii sussultare.

Sei mia, Mezzosangue. Arrenditi.

«Certo, ma poi tu mi hai trattenuto per i capelli.»

«E tu... tu mi hai passato una mano sul collo.»

«Intendi così?» le sussurrai in un orecchio, sfiorandole appena la pelle con le dita e rubandole un sospiro.

Percepii un rumore simile a quello di una serratura bloccata, e capii che la Granger negli ultimi istanti di lucidità aveva chiuso la porta a chiave con un Incantesimo Non Verbale.

La strega più potente della sua età.

L'avevo già deciso quando l'avevo trovata fuori dal mio dormitorio, ma in quel preciso momento mi parve il desiderio più naturale del mondo da esprimere.

Quella notte la Granger sarebbe stata mia.

Almeno per quella notte.

Come ne sarei mai potuto uscire, dopo? Come avrei anche solo potuto immaginare di rinunciarvi?

Era lei quella schiacciata contro la pietra fredda, ma fra i due ero certamente io quello con le spalle al muro.

Volevo che impazzisse, ma stavo impazzendo io.

«Che cosa mi stai facendo?» mormorò, prima di spingere con violenza le sue labbra sulle mie.

Forse non eravamo poi così diversi, e quello fu il mio ultimo pensiero razionale. La baciai come non avevo mai fatto, con un'urgenza tale da temere che presto sarebbe scivolata via da me, verso un sogno illusorio. Le afferrai i polsi, bloccandoglieli sopra la testa in modo da non permetterle di scappare mai più, e lasciai che i suoi capelli, così incredibilmente morbidi, mi solleticassero il viso. Percepivo il suo corpo irrigidirsi, lottare contro un piacere che forse riteneva più grande di lei, e nessuno meglio di me poteva comprenderlo.

Che cosa mi stai facendo?

Quando entrambi ci ritrovammo letteralmente senza fiato lasciai andare i suoi polsi e feci un piccolo passo indietro, ma appoggiai le mani sul muro, ai lati della sua testa, in modo da avere qualcosa che mi sostenesse mentre respiravo: respiravo lei. Quell'inebriante profumo che per tutto il giorno mi era mancato.

«Mezzosangue, tu mi trascinerai all'Inferno prima o poi.»

Le parole mi uscirono di bocca prima che potessi fermarle, prima che mi accorgessi di aver dato voce a quello che doveva essere solo un pensiero privato. Non volevo darle un potere simile, né a lei né a nessun altro, ma ormai l'avevo fatto: le avevo lasciato intendere ancora una volta quanto ormai fossi dipendente da quel legame incomprensibile e pericoloso.

Avrei dovuto essere io a renderla mia complice, io a distruggerla... La sentii sospirare piano, mentre registrava mentalmente quanto avvenuto in quegli ultimi istanti.

«È questo l'Inferno, Malfoy. Tu e io. Quello che facciamo è così... Lasciamo perdere.»

Si allontanò all'improvviso, voltandomi le spalle, e si diresse verso l'enorme vasca sempre piena di schiuma che troneggiava al centro della stanza. La seguii quasi senza averlo deciso.

Percepivo quanto la Granger fosse tesa, perché era arrivato il momento delle domande scomode, ed io non ero pronto, non lo sarei mai stato. Nonostante le avessi promesso la verità non potevo permettermi di raccontargliene neanche mezza, e non volevo nemmeno trascorrere quell'unica notte a parlare di Voldemort, o di Potter, o di quanto la mia vita si fosse rivelata un enorme ammasso di bugie.

Mi sedetti vicino a lei sul bordo, cercando di concentrarmi sul suono dell'acqua colorata che scorreva, tentando di trovare qualcosa di sensato da dire. Come potevo, quando niente in quella situazione aveva senso? Un moto di rabbia mi assalì dall'interno, perché non era giusto, era tutto sbagliato.

«No, non lasciamo perdere. Siamo qui ormai, finisci di dire quello che volevi dire, dai un nome a tutto questo e per una volta assumiti le tue responsabilità.»

Eccolo, il vero Malfoy. Fermo ad aspettare che qualcun altro agisse, per evitare di mettersi subito allo scoperto, per poi fare la propria mossa di conseguenza.

Nessuno è perfetto, siamo tutti da biasimare.

Un lampo d'ira percorse lo sguardo della Granger, che incrociò le braccia al petto come a volersi proteggere e mi fissò con aria di sfida.

«Dai tu un nome a tutto questo.»

Per alcuni minuti il silenzio fu assordante, la tensione tra noi quasi palpabile; niente a che vedere con lo scambio di battute di poco prima. Entrambi eravamo lì per vincere quel gioco al massacro, e il premio consisteva nel veder crollare l'altro per primo. Cosa si aspettava che le dicessi? Che le dichiarassi amore eterno e le assicurassi un bel finale?

No.

Io non ero fatto per l'amore e l'amore non era fatto per me.

Volerla vicino a tutti i costi non c'entrava niente.

Poi fu lei a parlare, senza più guardarmi, in un sussurro talmente flebile che credetti di aver immaginato ogni cosa.

«Sei nelle mie vene e non riesco a lasciarti uscire.»

Nelle vene. Ecco dov'era lei continuamente. Mi era entrata nel sangue e non sarei mai più stato in grado di farne a meno.

Era entrata ovunque.

«Sei come una malattia, sono contagiata da te, e sei pericoloso. So che lo sei, me ne rendo conto, so che nascondi qualcosa e che comunque non me ne parlerai, ma non riesco. Non riesco a lasciarti uscire. Perciò ti prego, non giocare con me, non quando sono così vulnerabile e non posso difendermi. Colpiscimi se devi, ma fa' che stavolta sia definitivo, in modo che io possa...»

Le afferrai il mento con una mano in modo da bloccarla e costringerla a guardarmi. Ascoltarla mentre parlava e dava voce al medesimo tormento che era incastrato da qualche parte nella mia anima era devastante. Passai le dita fra i suoi capelli, più volte, pregando che quella tortura durasse il più a lungo possibile.

«Voglio che tu sia mia, Granger. Adesso, solo per un po'. Ti ho portata qui per questo, e anche se non posso darti le risposte che cerchi sono io a pregarti. Stanotte devi essere mia.»

La pioggia prese a picchiare forte contro i vetri delle finestre, ma la Granger non reagì, sembrava che non l'avesse neppure notato. Iniziò ad accarezzare la mano che le tenevo ancora fra i capelli e alzò lo sguardo, le labbra socchiuse e gli occhi fermi sulle mie.

«Malfoy?» sentii sussurrare qualche istante dopo.

«Sì?»

«A te andrebbe bene se... se almeno per questa notte ti chiamassi Draco?»

Sorrisi e la baciai su una guancia. «Mi andrebbe bene, Granger.»

Mi andrebbe benissimo, Hermione.

Almeno per questa notte.

Mi sporsi in avanti e lentamente le sfiorai le labbra con le mie: teneva gli occhi aperti, fissi nei miei, mentre senza altri pensieri rispondeva al bacio. Un attimo dopo era sopra di lei, tenendole il viso fra le mani mentre la baciavo in modo più aggressivo, lasciando scivolare la lingua nella sua bocca per poi essere ricambiato con pari entusiasmo. Con le dita stringevo l'orlo del suo maglione, di cui la liberai dopo un istante; poi mi prese le mani e le appoggiò sul proprio petto nudo. Voleva sentirmi. Voleva che io sentissi lei.

Fissai il suo corpo, stordito, sfiorandone i lineamenti attraverso la pelle chiara, senza fermarmi fin quando non raggiunsi il suo cuore. Le mie dita tremarono non appena ne percepii il battito: era così reale. Più reale di qualsiasi sensazione avessi mai provato prima.

Mi voltai verso di lei e deglutii, incapace di trattenere un brivido: le avvolsi le braccia intorno alla vita e la tirai verso di me, baciandola appassionatamente mentre cominciavo ad abbassarla sul pavimento.

«Io...» gemette, mentre mi muovevo con le labbra lungo il collo e verso la clavicola. Le sue mani si erano insinuate appena sotto il mio maglione, toccando ogni centimetro di pelle che potevano trovare. Sembrava così naturale, così puro...

Non sapevo da quanto tempo lo desiderassi, ma quelle sensazioni di certo non appartenevano solo a quel momento: erano sempre state lì.

Quella consapevolezza mi travolse a tal punto da fare male. L'avevo sempre voluta e non me n'ero mai reso conto.

Le sue labbra si mossero di nuovo sulle mie e le nostre lingue si intrecciarono nuovamente: sollevò la mano sinistra e prese ad accarezzarmi i capelli.

«Io non...» mormorò di nuovo, non appena iniziai a tracciarle una scia umida lungo la mascella; girò la testa di lato per darmi un migliore accesso, aprendo gli occhi per un attimo e arrossendo appena.

«Ecco, prima d'ora non ho mai...»

«Non vorrei diversamente.» la interruppi subito, perché quella sensazione era così perfetta, così giusta, che non volevo rovinarla con altre parole. Sarei stato il primo per lei, e se fosse dipeso da me sarei stato anche l'unico.

«E poi tu... In un certo senso anche tu sei la prima, per me. La prima che scelgo.» confessai tra un bacio e l'altro.

Le dovevo una piccola verità, in fondo. L'estate precedente avevo ricevuto l'ultima parte dell'educazione speciale che si riservava ai più antichi maghi Purosangue, la parte più complessa ma anche più piacevole, ripeteva sempre mio padre. Ero stato affidato a delle streghe a suo dire esperte, che in poco tempo mi avevano iniziato all'arte amatoria e reso finalmente un Malfoy degno. Non avrei saputo come giudicare quell'esperienza, ma di certo non era stato neanche lontanamente simile a quello che provavo in quel momento con la Granger. La mia vera, prima volta.

«Che significa?» mi chiese, aggrottando le sopracciglia.

«Sempre troppo curiosa, Mezzosangue. Non ti accontenti mai.»

Prima che avesse la possibilità di fare altre domande le presi il viso fra le mani e mi chinai, premendo le labbra sulle sue, e la sensazione di pelle contro pelle mi fece gemere sulla sua bocca. Contro ogni logica, le sue mani tremanti si mossero fra i nostri corpi e iniziarono a sbottonarmi la camicia e a slacciarmi i pantaloni, mentre io facevo in modo di liberarmi della sua gonna.

Era bellissima.

«Devo avvertirti ora, Granger. Non farlo se credi che non sarai in grado di continuare.»

Mi sarei maledetto per quelle parole. Ce l'avevo, avevo Hermione tutta per me, e la incoraggiavo a tirarsi indietro?

Dovevo essere davvero uscito di senno.

La sentii prendere un respiro profondo sotto di me.

«Okay.» disse all'improvviso con voce rotta. «Non mi fermerò, Draco. Te l'ho detto, io voglio tutto questo.»

«Ma... se non sei pronta non dobbiamo...»

«Voglio farlo, Draco.» ripeté duramente. Allungò una mano e mi accarezzò la guancia con le dita. «Te lo giuro.»

Dovetti impiegare tutto il mio autocontrollo per rimanere calmo, nonostante ci fossero tante, troppe cose che avrei voluto fare con lei...

«Bene. Ma ho bisogno che tu tenga gli occhi aperti in ogni momento. Non distoglierli da me, neppure una volta. Hai capito?»

Annuì lentamente e mi spostò i capelli dal viso, sorridendo appena. Le afferrai una mano e intrecciai le sue dita con le mie, senza sentirmi un idiota neanche per un secondo. Spostai l'altra mano verso il basso prima di stabilirmi fra le sue gambe: continuava a guardarmi con gli occhi spalancati, rifiutandosi di rompere il contatto visivo mentre iniziavo lentamente ad entrare dentro di lei. Mi strinse forte la mano, con gli occhi fissi nei miei, e in quel gesto lessi un unico significato: fiducia.

Mi fido di te.

Serrai le labbra cercando di trattenere eventuali segni di piacere, ma nonostante ciò un lieve gemito sfuggì da esse. Dopo qualche istante, iniziai a muovermi più velocemente: con la mano libera le stringevo il fianco mentre continuavo ad aumentare il ritmo e la potenza delle spinte.

«Granger... dimmi che stai bene.» mormorò con voce roca.

«Sto bene. Sono all'Inferno.»

La baciai di nuovo, mordendo con forza il suo labbro inferiore mentre finalmente mi lasciavo sprofondare in lei.

Il suo corpo prese a contorcersi sotto il mio, e capii che stava diventando sempre più difficile per lei rimanere concentrata sui miei occhi. Tuttavia non distolse lo sguardo neppure una volta mentre si avvicinava, sempre di più.

«Draco... Draco, dì il mio nome.» sussurrò. «Io... ho bisogno di sentire il mio nome.»

Le strinsi la mano, respirando sulle sue labbra.

«Hermione.»

A quel suono venne subito annullata, inarcò la schiena, i suoi muscoli si tesero mentre mi stringeva e il suo corpo perse ogni controllo. Approfittai di quel momento per tirarla il più vicino possibile, e la luce nei suoi occhi fu tutto quello di cui avevo bisogno.

La gente dice addio, ognuno nel suo modo speciale.

Catturai il suo respiro mentre continuavo a baciare ogni centimetro di pelle che potevo trovare; le nostre mani erano rimaste intrecciate, e le guardai prima di spostarmi fuori da lei.

La pioggia ormai scrosciava con forza, quasi sovrastando l'acqua della vasca, forse per assolverci idealmente dal peccato che avevamo appena commesso insieme. Ma niente di ciò che era successo riusciva ad apparirmi come qualcosa di sbagliato, e mi ritrovai a pensare che se avessi potuto l'avrei tenuta con me per sempre.

Se avessi potuto.

«Mi piace sentirti respirare.» disse poi, distogliendomi da quei pensieri malinconici, e mi fece quasi sorridere.

«Oserei chiederti perché.»

«Non lo so. Mi fa sentire viva, credo.»

Distesi la schiena sul pavimento, le afferrai la vita e la tirai verso di me; appoggiò la testa sul mio petto mentre la stringevo intorno alle spalle. Lentamente spostò la mano sul mio stomaco, come per registrare attraverso il tatto il ritmo del mio respiro, poi mi guardò.

«Non avrei mai immaginato che un giorno noi...»

«Non è facile neanche per me. Volerti.» dissi contro il suo collo. «So che non ne verrà fuori niente di buono. Ma non posso fermarmi.»

«Perché mi vuoi, Draco?»

«Non c'è logica dietro. È così e basta.»

Era così fragile e innocente...

Le diedi un bacio sulla fronte prima di tornare ad osservarla. Merlino, non mi era mai sembrata così bella come in quel momento: i capelli morbidi sparsi a terra, gli occhi ambrati visibili sotto la luce della luna che filtrava attraverso le vetrate, e le labbra più carnose del solito.

È così e basta.

«Porti ancora la camicia.» aggiunse quasi in tono di scuse. «Nella fretta ho dimenticato di togliertela.»

Preso com'ero a cercare di imprimere ogni linea del suo corpo nella mia mente non mi resi conto di quel che di lì a pochi secondi sarebbe successo, e non fui in grado di evitare l'irreparabile.

Con pochi, rapidi movimenti mi fece scivolare via la camicia di lino dalle spalle e immediatamente si irrigidì. Non potei capirne il motivo finché non seguii il suo sguardo lungo il mio avambraccio sinistro, deturpato dal male.

Il Marchio Nero.

In quell'istante qualcosa si spezzò. Forse il suo cuore, forse il mio. Trattenere il fiato mi sembrò quasi una necessità, evitare anche il minimo movimento rimanendo in apnea, aspettando una sua reazione. Reazione che non arrivava.

La Granger era quasi più immobile di me.

Come avevo potuto essere così stupido, così superficiale da dimenticare di nascondere il Marchio? L'avevo dimenticato. Ero sempre stato abituato a pianificare ogni minimo dettaglio in qualsiasi cosa facessi eppure avevo dimenticato un particolare tanto rilevante. Che diavolo mi passava per la testa?
Qual era il mio problema?

Lei. Lei è il mio problema.

Non dissi nulla quando, dopo quelle che mi parvero ore, lei mi incatenò con gli occhi, con uno sguardo che sicuramente non avrei mai più potuto rimuovere dai miei ricordi.

Ero un Mangiamorte. Ero il nemico. E finalmente l'aveva capito. Faceva male, come non avrei mai immaginato.

Non pianse e non parlò: si rivestì in un istante, aiutandosi con la bacchetta recuperata da chissà dove, si voltò e in pochi secondi mi ritrovai solo, su quel pavimento improvvisamente gelido, senza di lei. In un attimo ero di nuovo nel bagno di Mirtilla Malcontenta, in mezzo a vecchie tubature e isolato dal resto del mondo, le lacrime che mi solcavano le guance. Ero lì con la mente e ci sarei rimasto per sempre, immobile, inerme, a fissare quel fugace barlume di felicità che per quella sola notte mi aveva illuminato.
Felicità, sotto il nome di Hermione Granger. Mi aveva salvato la vita più volte, per poi distruggerla. Io avevo distrutto lei. 

La consapevolezza fu l'unica cosa sensazione più forte del dolore.

Dovevo lasciarla andare.

Ti sei presa il mio cuore e la mia anima, eccoti il tuo bel finale.

Ora vattene, Hermione.

♥ 

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