Passi nel Buio
La porta dell'ufficio di Black Ring si spalancò di colpo.
«Capo» esclamò la voce affannata di un uomo in camice e mascherina da laboratorio, «ha mica visto sua nipote?»
Io trattenni il respiro, cercando di farmi più piccola che potevo.
«Io non ho nipoti...» sussurrò distrattamente Black Ring, senza neanche alzare lo sguardo dal foglio che stava leggendo.
La sua scrivania era pulita, niente cenere di sigaretta o chiazze di vino versato a sporcarne il ripiano. Solo qualche foglio e una ricetrasmittente appoggiati nell'angolo.
«La... la nipote di Strauss...» si corresse l'uomo alla porta, riprendendo fiato.
«Ah, intendi Lily...» finì con tutta calma di leggere. «No, direi che non l'ho vista.» Ma neanche a metà frase, l'uomo in camice era già scomparso, di nuovo a correre per il corridoio.
Black Ring alzò lo sguardo, fissando la porta finché non sentì il rumore dei passi svanire in lontananza.
«Ok» si piegò di scatto sotto la scrivania, «se n'è andato, ora fuori!» ordinò.
Due secondi e da dietro la scrivania sbucai io. Avevo nove anni, capelli lunghi fino alle spalle e un ciuffo che mi ricadeva fastidiosamente davanti agli occhi. Non avevo ancora sviluppato la freddezza assassina di un membro dei Ring e il mio cinismo era allo stadio di un sottile sarcasmo.
Mi fiondai verso la porta ridacchiando vittoriosamente, pronta a trovare un altro nascondiglio.
«E vedi di non farti beccare da tuo zio!» mi urlò dietro Black.
«Sarò silenziosa come un gatto!» sibilai attraverso i buchi dei denti da latte.
Ed eccomi di nuovo a correre per i corridoi della Base, facendo lo slalom tra scienziati in camice e spacciatori con la bandana. Girai un angolo rischiando di travolgere un ragazzo con in mano una cassa di vetreria.
«Hei! Attenta Lily!» mi gridò, ma io ero già sparita tra le gambe di un gruppo di spacciatori che si allenavano nei passaggi.
Poi giù per il corridoio e in mezzo a un trio di prostitute. Mi salutarono cordialmente mentre per poco non le travolgevo. Continuando a correre, destra, sinistra, sotto un tavolo della caffetteria e poi... BAM! Andai a sbattere senza neanche accorgermene, ritrovandomi schiena a terra in un attimo.
Mi misi faticosamente a sedere, in preda a un capogiro. Non appena i miei occhi misero a fuoco, vidi un uomo che era il triplo di me sovrastarmi. La pelle del volto, attaccata alle ossa al punto che a ogni espressione che faceva gli comparivano delle piccole rughe attorno a occhi e bocca, era contratta in uno sguardo severo. Le sue iridi erano di diverso colore: quella destra era azzurro ghiaccio, quasi bianco, mentre l'altra era dello stesso castano delle mie. In quel momento entrambe mi stavano fissando, contrariate.
Mi dipinsi sul volto il sorriso più innocente che potessi fingere, mentre lui si toglieva la mascherina e si tirava indietro i capelli biondo platino.
«Ciao, zio!»
«Fammi indovinare...» sussurrò, sfilandosi la sigaretta dalle labbra. «Hai di nuovo rubato qualcosa a Rami del laboratorio tre.»
Io rivolsi lo sguardo al pavimento, assumendo un'espressione colpevole. Mio zio s'inginocchiò, strisciando a terra il camice chiazzato di toni sintetici.
«Quante volte ti ho detto che è pericoloso rubare materiali dal laboratorio?» mi guardò dritta in faccia.
«Ma non ho rubato dal laboratorio!» obbiettai. Lui inarcò un sopracciglio. «Gli... gli ho rubato il portafoglio...» sussurrai, tirando fuori dalla tasca un borsellino di pelle nera. Glielo porsi.
Mio zio mi fissò un secondo, poi scoppiò a ridere.
«Il portafoglio?» iniziò a rigirarselo fra le dita.
«Black ha detto che andava bene se-» mi bloccai di colpo, impallidendo. «Questo non avrei dovuto dirtelo...»
Mio zio prese a ridere ancora più forte, estraendo dalla tasca del camicie una piccola ricetrasmittente.
«Black» chiamò, parlando nel microfono, «sei un pessimo esempio per la bambina, lo sai?»
Sentii la risata del Capo arrivare dall'altra parte.
«Sei tu quello che fuma, Nate!» ribatté lui.
«Va bene, Lily» mio zio tornò a rivolgersi a me. «Io devo tornare al lavoro, ma... se riesci a tenerti questo portafoglio fino a sera, ce ne spartiamo il contenuto» mi rimise fra le dita il borsellino.
Un sorriso mi si aprì sul volto. Poi, dalle scale, si sentì la voce di Rami rimbombare per il corridoio.
«Lily Strauss!» gridò, «Rivoglio i miei soldi!»
«Corri, bambina!» Mio zio mi schioccò un bacio in fronte, ridacchiando. «Corri più veloce che puoi, perché se quello ti prende, sei morta!»
E io iniziai a correre.
La sera era giunta senza che io me ne accorgessi.
La mia ombra si era lentamente allungata per i pavimenti del Pandemonium, fino ad affiancarmi nella penombra notturna, proiettata sulle mura in mattone rosso dai barlumi delle braci sulle fiaccole.
Avevo trascorso la giornata a perdermi e a ritrovarmi procedendo via via alla cieca. Ero passata in un corridoio pieno di ritratti i quali sguardi avevano seguito il mio, un giardino incantato e quello che sembrava essere l'accesso alle stanze reali. Peccato che la porta fosse bloccata.
Stavo scendendo una ripida scalinata quando una coda felina fece capolino ai piedi dei gradini.
Guarda un po' chi si rivede...
Chiamai il gatto con un fischio, ma la sua sagoma scomparve dietro l'angolo. Seguii il suono di un miagolio fino in fondo al corridoio.
Un flebile suono di statica sembrò riecheggiare tra i corridoi.
Svoltai l'angolo e un tuffo al cuore mi mozzò il respiro. Il mio battito aveva accelerato di colpo e un'improvvisa nausea mi obbligò ad appoggiarmi alla fredda parete.
Mi misi una mano sul petto, schiarendomi la voce e forzandomi a respirare di nuovo normalmente. Sbattei le palpebre, cercando di rimettere a fuoco ciò che avevo davanti, ma i miei occhi sembravano non riuscire a focalizzarsi più.
Per un terrificante attimo ebbi la certezza di star finalmente morendo.
Il barlume lontano di una candela fece capolino da dietro l'angolo, proiettando un'ombra nera sulla parete affiancata dall'elegante figura del gatto.
Boccheggiai.
«Bastet» sussurrò un tono severo. Il sangue nelle mie vene si congelò. «Rechi nuove da parte del re?»
Quella voce non aveva lo stesso accento di Mefistofele, ma nel pronunciare il titolo il suo suono sembrò sdoppiarsi, ricoprendo le parole di disgusto.
Un miagolio rimbombò per il corridoio e l'ombra sembrò iniziare ad avvicinarsi.
«Un contratto?» l'ombra sussurrò tra il suono dei suoi passi. «Immortalità... a un'umana?!» la sua voce si alzò, duplicandosi di nuovo e rimbombando per il corridoio.
Chiusi gli occhi e considerai l'opzione di iniziare a pregare.
Le sagome ondeggiarono al muoversi della fiamma sulla candela, che parve venir scossa dal vento.
«Xephan, non essere ridicola» sentii, «questo è esattamente il tipo di cosa che mi aspetterei da lui.»
Belzebù...
Seguirono un altro miagolio e poi la fiamma sembrò saltellare sullo stoppino.
«Non vedo quali secondi fini ci possano essere in un patto con un mortale.» La sua voce si fece sempre più vicina e pungente. La fiamma sfrigolò sulla cera. « Mi sarei aspettato che mio figlio fosse più saggio.»
Belzebù voltò l'angolo e un'ondata di terrore m'inchiodò alla parete. Mi passò davanti senza neanche degnarmi di uno sguardo: la luce di Xephan si era bloccata sulla soglia del corridoio e per qualche istante io venni inghiottita dalla più totale oscurità.
Belzebù aveva le sembianze di un folletto: la sua testa era enormemente sproporzionata rispetto al corpo, sormontata da un paio di aguzze corna ricurve. Aveva la pelle rossa e le orecchie a punta, e i suoi occhi erano completamente neri, senza alcun riflesso della candela, solo vuoto.
I suoi passi scomparvero lentamente nell'oscurità, seguiti dai miagolii del gatto.
Sentii la paralisi allentarsi sulle mie gambe e per poco le mie ginocchia non cedettero. Ripresi lentamente a respirare. Deglutii saliva acida.
Mi sporsi per seguire con lo sguardo il bagliore della candela farsi più lontano, quando di scatto una mano mi afferrò per la gola e mi inchiodò bruscamente al muro.
L'impatto mi fece mancare il respiro. Un grido mi si bloccò in gola, strozzato. Le mie dita scattarono al coltello nella mia tasca, ma tempo di caricare il colpo che anche il mio polso venne bloccato da una stretta.
«Non ti avevo forse detto di non vagare al buio?»
Le iridi rosse di Mefistofele mi erano fisse addosso come due mirini, mentre le sue unghie premevano solchi nella pelle del mio collo.
Potevo sentire il battito del mio cuore premuto contro il suo palmo e il peso del suo sguardo farsi strada attraverso il mio cranio. Un accento di terrore mi aprì il petto in due, prendendo il sopravvento per un istante.
Un paio di respiri strozzati risuonarono per il corridoio, ansimanti, poi le mie labbra si aprirono in una risatina.
Falso.
«Andiamo» raddrizzai la testa nella sua presa, «Fallo.»
Il ghigno di Mefistofele scomparve dalle sue labbra.
Falso!
Portai il busto in avanti, premendo la mia gola contro il suo palmo: «uccidimi» sussurrai con voce strozzata.
Le dita di Mefistofele strinsero per un altro secondo, poi lui ritrasse bruscamente la sua mano, badando a lasciare rossi graffi ai lati della mia gola. Mi squadrò lentamente, alzando il mento in interesse mascherato da superiorità. I suoi occhi passarono sul mio corpo come ci stesse guardando attraverso e un brivido gelido si arrampicò su per la mia schiena.
«Chi te l'ha detto?»
«Ci sono arrivata da sola» mi distanziai dal muro con un passo.
«Lucifero?» considerò, iniziando a camminarmi attorno.
«Lei ha liberato gli schiavi.»
«Renove» sentii le sue dita schioccare alle mie spalle. «Ti avrà sicuramente detto che ero uno schiavo anche io prima di salire al trono» si fermò davanti a me, «null'altro che un gesto di gratitudine verso i miei compari di sventure sotto il regno di Belzebù.»
«Ha abbandonato i poteri amministrativi.»
«Il Concilio è più che capace di regolarsi senza di me.»
«La sua ombra mi ha salutata.»
Mefistofele si bloccò, squadrandomi di nuovo. Le sue iridi rosse passarono di nuovo lungo il mio corpo, per la prima volta senza cercare di intimorirmi. Soffiò una risatina.
«Questa» indicai il suo viso, «non è altro che una messinscena. Perché?»
«Perché non hai paura di me» mormorò, facendo un passo in avanti, chiudendomi di nuovo al muro. «Quel terrore che hai provato davanti a Belzebù? Quello è come ci si sente ad essere al cospetto di un re. La tua anima dovrebbe essere paralizzata dal solo avermi attorno.»
«La mia anima ha visto cose ben peggiori di lei.»
«La tua anima è umana» sibilò sorridendo. La sua lingua ricoprì l'ultima parola con un particolare ribrezzo.
«Lei è umano.» Le labbra di Mefistofele si assottigliarono improvvisamente. «Ho letto il suo libro.»
I suoi occhi si tinsero di una sfumatura più scura di cremisi.
«Voglio il mio contratto» feci un passo in avanti, vedendo le sue iridi risplendere alla luce delle braci, «ora.»
«Confido tu sia abbastanza intelligente da realizzare che non ho intenzione di fartelo mai firmare» tornò a sorridere.
«Perché?»
«Perché non ho nulla da guadagnarci.»
«Che cosa vuole? La mia anima? Il mio primogenito? Consumare il matrimonio?»
A questo Mefistofele rise di gusto, poi si fermò di scatto.
«Non c'è nessun matrimonio» i suoi canini fecero capolino da dietro il suo ghigno, «quelli che voi avete inteso come i "sette sacramenti" non sono altro che contratti.»
Ressi il suo sguardo, facendo un passo indietro. Dal suo volto non trapelava alcuna emozione se non derisione.
«Un matrimonio è un contratto che viene stipulato tra alleati in guerra. Le anime vengono vincolate fra di loro: l'uno non può morire senza che anche l'altro non venga ucciso.» Alzò il mento con superiorità: «Non finché, ma "affinché" morte non ci separi».
«Quindi mi prenderei anche i suoi anni di vita.»
«Tu volevi l'immortalità.»
«E se lei morisse?»
«I re non muoiono mai.»
«Pensavo che anche gli dei sanguinassero.»
«Oh, sanguiniamo» sussurrò, «ma se pensi che i miei poteri siano sottomessi alla fragilità di un corpo umano, sei più stupida di quanto pensassi.»
Questa volta fui io a squadrare Mefistofele.
«Perché non vuole farmi firmare il contratto?»
«Te l'ho già detto.»
«Stronzate» sputai. «Mi guardi bene» feci un passo in avanti, arrivando a pochi centimetri da lui, «scruti dentro la mia anima o legga nella mia mente. Crede di essere l'unico con una corona in testa?» Mefistofele inarcò un sopracciglio. «Ho un impero a cui tornare e dopo due giorni di assenza qualcuno starà già cercando di distruggerlo prendendosi il mio titolo. Sono appena riuscita a ristabilire l'ordine dopo una guerra: non posso rischiare di morire e lasciare il mio posto vacante» sputai tutto d'un fiato, guardando Mefistofele dritto negli occhi. «Quindi o firma il mio contratto ora, oppure mi rispedisca indietro.»
Mefistofele sorrise: «Sono solo passati due giorni e già te ne vuoi andare?» mi prese in giro. «Il tempo di soggiorno non è negoziabile» disse, e con uno schiocco di dita un fiammella apparve fra le sue dita.
Mi afferrò per il polso con una tale delicatezza che stentai a credere che quelle dita mi stessero soffocando fino a poco prima e posò la fiammella sul mio palmo. Non mi bruciai.
Prese le mie mani nelle sue, tenendole di fronte al mio viso.
«Divertiti» ghignò, e con un soffio sulla fiamma il mio volto venne inondato da rosse scintille, costringendomi a chiudere le palpebre e sentendo le dita di Mefistofele scivolare via dalle mie.
Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai davanti una distesa di scale. Sembravano andare in tutte le direzioni: verso il basso, verso l'alto, che procedevano in orizzontale o che andavano in senso contrario; pareti che diventavano pavimenti, soffitti che evolvevano in muri.
Ma cosa...?
Non feci tempo a voltarmi per uscire che mi ritrovai a fissare il bordo di un precipizio che degenerava nel nulla, nulla dove purtroppo avevo già messo un piede.
Cacciai un urlo, riparandomi il volto con le braccia e aspettandomi di cadere per un lungo tratto, ma invece mi ritrovai un istante dopo sdraiata a terra. Mi guardai attorno senza capire come avessi fatto a non spiaccicarmi in fondo allo strapiombo, rendendomi poi conto che il pavimento su cui ero sdraiata era in realtà la parete del precipizio. La gravità era cambiata e io ero solo scivolata.
Mi rialzai e ai miei piedi trovai la fiammella di Xephan, scoppiettante.
«Mefistofele?» chiamai, ma solo l'eco mi rispose. Guardai Xephan: «Messinscena o no, tuo figlio rimane un grandissimo stronzo.»
Pestando i piedi mi diressi verso una scalinata poco distante.
A quella scala ne seguirono altre, in tutte le direzioni, che portavano in stanze di ogni colore e forma. Passai sopra ponti a testa in giù, in mezzo a una strada ovale. Mi ritrovai al centro di una biglia dove rimanere in piedi era praticamente impossibile! Passai in una stanza gigantesca, dove tutto era enorme, e poi in una minuscola, dove non si poteva respirare.
Capii che anche il tempo non funzionava, si contorceva. A un certo punto mi ritrovai dal lato opposto del precipizio dove ero scivolata e rividi la me stessa di poco prima voltarsi e cadere di nuovo.
Le prime cinque ore (o forse erano state dieci?) passarono così: di stanza in stanza, di scala in scala, cercando in ogni modo di capire come funzionasse quel posto.
Alla fine raggiunsi una camera vuota e bianca; dalla parete di destra si accedeva a un corridoio, claustrofobicamente buio e stretto, che rimasi a osservare per qualche istante.
Quel corridoio mi chiamava, sentivo l'oscurità sussurrare il mio nome con voce suadente. Le mie gambe si iniziarono a muovere da sole. In due secondi ero immersa nel buio, con solo la fiamma tremolante di Xephan a farmi luce.
Al termine del corridoio trovai un enorme portone nero. Era pieno di intagli e iscrizioni che facevano capolino illuminate da Xephan, minacciandomi con aspre punte e spigoli affilati. Alle due maniglie era stato incatenato un lucchetto senza serratura.
Sul ferro del lucchetto erano state incise delle scritte svolazzanti che ne percorrevano tutto il contorno. Avvicinai la mia mano, cercando di illuminarlo con la luce di Xephan, ma non appena lo sfiorai con la punta delle dita, il lucchetto esplose in mille pezzi, producendo una raffica di proiettili di metallo.
Mi ritrovai accucciata a terra, innaturalmente indenne.
Subito dopo, le porte si iniziarono ad aprire lentamente verso l'esterno producendo un acuto cigolio. La fioca luce della fiamma andò a illuminare ciò che il portone nascondeva: era un altro corridoio, molto più largo del precedente, ma altrettanto buio.
Il pavimento era fatto di mattoni grigi e polverosi, rigati in più punti da segni che sembravano essere stati fatti da artigli. Le pareti erano ricoperte da statue agghiaccianti, Demoni che combattevano fra di loro, con i muscoli tesi e le bocche contorte in ghigna e urla di rabbia. Erano così realistici che sembravano essere stati pietrificati in un istante, mentre si stavano ancora muovendo, scolpendo nella pietra le espressioni terrificanti raffigurate sui loro volti.
Deglutii rumorosamente, facendo qualche passo in avanti. Sentii l'ansia stritolarmi lo stomaco e il panico indebolire le mie ginocchia. Poi udii lo scattare delle porte che si richiudevano alle mie spalle e la luce di Xephan si spense in una scintilla tra le mie dita.
Non appena il suo bagliore scomparve, non feci tempo a sussultare che si sentì un enorme fracasso: un frullio d'ali, passi nel buio, fruscii provenienti dagli angoli che mi fecero raggelare il sangue. Feci d'istinto un passo indietro, andando a sbattere la schiena contro la porta.
Lei è qui. Lei è qui. Lei è qui.
«Xephan, riaccenditi, ti prego!» sussurrai, terrorizzata, spingendo e tirando la porta in un vano tentativo di aprirla.
Quella che avevo sentito non era stata la voce di Xephan. Non era stata neanche una sola voce. Erano mille voci che continuavano a sussurrare. Erano dovunque, attorno a me, ma io le avevo sentite come se fossero state nella mia testa.
Lei è qui. Lei è qui. Lei è qui.
Il mio respiro si fece più veloce. Sentii il cuore iniziare a battere così forte che sembrò mi si stessero rompendo le costole. Le mani mi iniziarono a tremare stringendosi in un riflesso attorno al manico del mio coltello. Deglutii di nuovo e chiusi gli occhi, cercando di calmarmi.
Lei è qui. Lei è qui. Lei è qui.
Li riaprii. Avevo provato a pensare a un modo per uscire, ma non ci riuscivo. Non potevo pensare. Era come se tutte quelle voci avessero preso controllo della mia mente, dei miei pensieri, impedendomi di formulare idee. Mi sentii prendere dal panico. Iniziai a guardarmi attorno, cercando uno spiraglio di luce nel buio di quel corridoio. Mi feci piccola piccola contro la porta.
Lei è qui. Lei è qui. Lei è qui.
«Zitti...» sussurrai, prendendomi la testa fra le mani. «Basta...»
Le tempie mi pulsavano così forte da sembrare che qualcuno mi stesse schiacciando il cranio.
«Zitti... STATE ZITTI!»
Silenzio.
All'improvviso le mille voci smisero di sussurrare e ci fu silenzio. Io riuscii di nuovo a pensare, tornando a cercare un modo per uscire di lì. La porta alle mie spalle era chiusa, non si riusciva ad aprire, quindi non potevo tornare indietro...
Devi andare avanti, Lily.
Respirai a pieni polmoni. Il cuore rallentò e schiusi le palpebre, cercando di vedere qualcosa. Era troppo buio, così buio che pensai che avrei iniziato ad avere allucinazioni. Magari ero solo diventata cieca.
Misi le mani in avanti, tastai con un piede il pavimento e poi, sentendo che era sicuro, feci un passo. Il flebile rumore delle mie suole echeggiò per tutto il corridoio. Ripetei l'operazione e ne feci un altro, poi un altro e un altro ancora. Ne feci così tanti che mi sembrarono un'infinità, e poi commisi il terribile errore di prendere sicurezza, perché al buio l'equilibrio non funziona e se vai troppo veloce, inciampi.
Mi sentii cadere di scatto verso il basso, mettendomi di riflesso le braccia davanti al volto per proteggermi, ma, invece di finire sul pavimento polveroso sotto di me, rimasi in piedi.
Qualcosa mi aveva toccato. Qualcosa mi aveva preso per il polso e mi aveva rialzata. Quel contatto, anche se solo di pochi istanti, mi fece raggelare il sangue, paralizzandomi dalla paura. Gli occhi mi si erano spalancati in uno sguardo d'orrore, cercando qualsiasi movimento nel buio.
Sentendo la spina dorsale che si opponeva, mossi lentamente la testa verso destra, senza neanche sbattere le palpebre.
Lo sentii, come a poterlo percepire: era a fianco a me, in piedi, e mi stava fissando dritta negli occhi. Riuscivo a sentire il suo sguardo, il suo respiro quasi impercettibile, il corpo immobile come pietra. Riuscivo a sentire il terrore che provava come fosse la mia stessa paura.
Il mio intero corpo si immobilizzò. Diventai rigida come una delle statue attorno a me, mentre rimanevo a fissare la cosa che avevo davanti, senza respirare. Sentii il cuore che saltava un battito e le corde vocali che si tendevano, pronte a far partire un urlo così forte da spaccare i vetri.
Stavo per schiudere le labbra quando, all'improvviso, ci fu un lampo dritto davanti a me. Per un solo istante, l'intero corridoio si rischiarò, per poi far seguito a un vero e proprio incendio. In un secondo, tutto attorno a me prese fuoco.
Alla luce delle fiamme, mi ritrovai a fissare la faccia pietrificata di un orribile demone. Mi fissava con i suoi tre occhi, sovrastandomi con due ali da pipistrello che si dispiegavano verso l'alto.
Non appena lo vidi, trasalii, facendo un salto all'indietro dallo spavento e andando a sbattere contro una delle statue alle mie spalle. Quando mi voltai, mi resi conto che non stavano più combattendo: le statue si erano mosse nel buio di poco prima e stavano tutte in fila contro le pareti, piegate in un inchino che sfiorava il pavimento.
Tutto bruciava. Le mille voci avevano ripreso a parlare, urlavano di dolore, e nella mia testa si creò un rumore assordante. L'ossigeno iniziò a bruciare e i miei polmoni si ustionarono.
Io avevo preso fuoco.
Io ero diventata fuoco.
Ero diventata parte dell'aria, mi stavo per ridurre in cenere, e, solo per un secondo, sicura di morire, pensai che forse Xephan aveva ragione: diventare fuoco non era poi così male.
NdA
Ok, questo è stato uno dei capitoli più impegnativi che io abbia mai scritto, soprattutto l'ultima parte. Spero di essere riuscita a trasmettere le giuste emozioni nel finale, fatemi sapere cosa ne pensate attraverso un commento, ve ne sarei molto grata. I voti sono ovviamente ben accetti. Spero che vi siate goduti la lettura, al prossimo aggiornamento!
-Tempest
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