capitolo 18
"You'll see my face in every place
But you can't catch me now"
Quella notte, Victoria non riuscì a chiudere occhio. Girandosi e rigirandosi tra le lenzuola di seta nel tentativo di arrestare qualsiasi attività fosse in moto nella sua testa, immagini sconnesse continuavano a presentarsi di fronte agli occhi chiusi. Tentava di manovrare i sogni, concentrandosi su ricordi, pecorelle perse ad alternarsi, ma la visione onirica tornava lì, spietata, incessabile.
Lì, a quel paio di occhi azzurri, al taglio sul labbro inferiore, ai ciuffi biondi, attaccati alla fronte causa alta temperatura, alla cicatrice sotto il sopracciglio. Quasi come se provasse piacere nel provocarle tormento, il volto del ragazzo non le era visibile con chiarezza. Erano i pressoché inavvertibili dettagli ad essere protagonisti, giocando a sussurrarle "lo hai notato, non è vero?"
Diventata ormai impossibile da ignorare la secchezza in gola, si alzò nervosa dal letto, asciugandosi le goccioline di sudore sulla fronte, prova schiacciante della persecuzione a cui la sottoponeva il pensiero innominabile. Scese le scale rischiando di inciampare e cadere rovinosamente al piano di sotto, riuscendo a salvare una probabile storta alla caviglia poggiando una mano contro il muro. Fermandosi un istante, si passò le mani tra i capelli ed imprecò contro sé stessa per il dramma che stava portando avanti riguardo una questione che non meritava tutto quel conto.
Facendo per chiudere il frigorifero, sussultò alla vista di una figura di fronte a sé. Atlas le sorrideva, con una tazza di tè freddo tra le mani. "Mio Dio, ho appena rischiato un infarto." mormorò lei, poggiando il bicchiere sull'isola davanti a sé per portarsi una mano al cuore. Lui ridacchiò. "Scusa, non volevo spaventarti. Che ci fai sveglia?" le domandò sedendosi sul divano, chiudendo un computer con il quale stava plausibilmente armeggiando in precedenza. "Non riesco a prendere sonno. Fa troppo caldo. Tu? Hai esagerato oggi pomeriggio?" rispose mettendosi al suo fianco con gambe incrociate. La guardò inarcando sarcasticamente le sopracciglia. "Ti ricordo che io non esagero mai- disse con un mezzo sorriso- No, non riuscivo a dormire quindi mi sono messo a lavorare. Cosa c'è che ti turba tanto?". Captò subito la menzogna legata alla temperatura. Lei buttò giù il resto dell'acqua, guardandolo poi rigirandosi un ciuffo di capelli tra le dita, incerta sul da farsi.
"Come fai sempre a capire quando c'è qualcosa che non va?" gli chiese tirandogli un pugno scherzoso sulla spalla, per poi poggiarvi la testa. Lui le carezzò i capelli. "Devo ricordarti chi ti ha cresciuta? Mi prendo il diritto di dire che non c'è molto tu possa nascondermi. C'entra l'astinenza?" La guardò, non compatendola, quasi prendendo il suo supplizio e facendolo proprio. "Oh no, sta' tranquillo, è qualcosa di molto meno serio. Oserei dire un evento canonico per un'adolescente- precisò, osservando divertita il cambio d'espressione di lui, da grave a confuso a sollevato- C'è questo ragazzo...
"Scusa, stiamo parlando di Rafe?- la interruppe, formando una piccola o con la bocca quando lei scosse il capo- Beh, sempre meglio giocare con gli uomini che con le droghe. Scusami, vai pure avanti." Lei pronunciò un piccolo eddai, prima di continuare. "Dicevo, c'è questo ragazzo che non mi piace affatto. Riconosco sia attraente esteriormente, ma non c'è niente oltre l'apparenza. Non abbiamo mai fatto altro che bisticciare, prendendoci pesantemente a parole, ma poi, senza alcun preavviso, ci siamo baciati. È stato improvviso e profondamente sbagliato e non si ripeterà mai più, ma non riesco a smettere di pensarci." sbuffò, lanciandosi contro un cuscino.
Lui tornò ad essere confuso. "Se lo hai baciato ci sarà pure un motivo, no? Quanto vi conoscete per poterlo disprezzare caratterialmente così tanto come dici?- rifletté, sembrando poi avere un momento di realizzazione, quando il tono diventò serio tutto d'un tratto- Aspetta, non staremo mica parlando di un pogue non è vero? Faccio già fatica a parlare con Sarah da quando frequenta quell'idiota di Routledge, non vorrei accadesse lo stesso anche con te."
Victoria trattenne a fatica un colpo di tosse, coprendolo con un risolino nervoso. "Io? Un pogue? Atlas, va bene che tutta quella coca mi avrà bruciato il cervello ma non ti sembra di star esagerando un po'?- lui sembrò tranquillizzato dalla rassicurazione- Comunque, non è che lo conosca proprio benissimo, ci avrò parlato quattro volte. Che per la maggior parte sono servite a lanciarci insulti. Ma non è questo il punto. Vorrei capire come togliermi dalla testa la stomachevole immagine delle sue labbra sulle mie per riuscire a chiudere occhio."
Atlas scosse la testa. "Mi sembrano parole un po' forti. Secondo me, e te lo dico partendo dalla mia esperienza, poi decidi tu se seguire il consiglio o meno, dovresti cercare di conoscere un po' meglio questa persona misteriosa della quale non vuoi rivelarmi il nome, soltanto allora ti metterai il cuore in pace. Se qualcosa ti da' il tormento c'è sempre un motivo. In generale, cerca di seguire un po' di più il cuore ed un po' meno la testa vivendoti almeno queste frivolezze alla leggera, che tutto il resto mi sembra già un po' troppo complicato di per sé."
Victoria gli sorrise con calore. "Come sempre, hai ragione. Chissà da dove ti arriva tutta questa saggezza...Spero tu non abbia dimenticato la carriera da capitano della squadra di football che ci faceva trovare ogni mattina a colazione una ragazza diversa." disse, prendendolo in giro mentre si alzava. In risposta, le arrivò una pacca sulla spalla. "Vedi! Io seguivo il cuore, e d'altra parte il trucco è abbracciare tutte le fasi della vita, non dimenticarle. Se intendevi lanciarmi una frecciata, sappi che mi diverto anche adesso, ho soltanto imparato il significato della parola discrezione, cosa che consiglio caldamente anche a te." lanciò la provocazione alzando i lati delle labbra verso l'alto. "Beh, signor vecchio saggio, la ringrazio per la lezione di vita ma sarebbe bene che i suoi affari personali rimanessero tali. Le auguro una buona notte." concluse inchinandosi e correndo in punta di piedi al piano di sopra, mordendosi il labbro inferiore al pensiero del consiglio ignaro dell'altro.
Al mattino, scese a colazione con qualche ora di sonno accumulata, sorridendo nel trovare i due fratelli seduti a tavola, intenti, non con sua sorpresa, a discutere. "Buongiorno." irruppe la più piccola stropicciandosi gli occhi, lasciando nel frattempo un bacio sulla guancia della sorella. Questa le sorrise, versandole caffè in una tazzina. "Vic, ricordati che martedì abbiamo psichiatra ed analisi del sangue. Segnatelo da qualche parte." le comunicò Atlas addentando una fetta di pane e burro.
"Posso accompagnarla io se vuoi..." si propose timidamente Naomi, consapevole di come il ragazzo considerasse la terapia ed i controlli della sorella quasi come una questione personale, su cui lui e soltanto lui potesse detenere il controllo. "No Naoms non preoccuparti. Conosco bene Kent e le infermiere, non avrebbe senso presentarti così dopo due mesi."commentò per l'appunto. Il tono fermo implicava l'inutilità di eventuali repliche, per cui la più grande si limitò ad annuire e tornare a scrollare un social, senza tuttavia neanche osservare i post che scorrevano. Nel frattempo, Victoria stava assemblandosi la colazione.
Dopo anni di restrizione sofferente, lentamente era riuscita ad iniziare un percorso di interlocuzione con la propria testa, acquietando i costanti sussurri crudeli. Oh, non che la ferita infetta si fosse cicatrizzata. Al mattino, posizionandosi di fronte lo specchio non più con quella sorta di venerazione verso il proprio aspetto che possedeva nel periodo della dipendenza dalla cocaina, tendeva verso il desiderio di voltarsi con repulsione. Indubbiamente, cercando di recuperare un rapporto sano con il cibo ed il proprio corpo, il viso le si era addolcito. Era qui il problema. Quasi venerava quel precedente vuoto dentro le guance, quasi marmoree al tocco, così come venerava la mascella definita, la clavicola sporgente ed altri tanti dettagli.
Adesso, quando si passava una mano sotto gli occhi e le dita scivolavano verso il basso, riusciva a sentire sostanza. Difficile, guarire. La serenità valeva quel prezzo? Osservare un riflesso sconosciuto, che sembra disfarsi sotto lacrime scure all'oscurarsi delle costole, il cui posto veniva preso da pelle bianca. Vomitevole, si ripeteva. Ma, al contempo, nessuno sembrava accorgersi di tale monumentale cambiamento. Mentre lei sentiva l'universo caderle sulle spalle, la deformità rapire silenziosamente le sue esili forme, nessun commento esterno le era arrivato. A dirla tutta, invece, chiunque le si fosse allontanato in quei brutti mesi d'inverno, stava tendendo a riavvicinarsi, con la scusa di una pizza al molo, un gelato a Figure Eight, infornare dolci disgustosi. E chi prima si girava colpito dal viso grazioso guardandola passare, non aveva smesso di farlo.
Qualcuno comprenderà mai? E se dovessero comprendere, come distaccarsi da quel fantasma? Ignobile, vile fantasma di chi vorremmo non essere mai più. (Ma è questo che si desidera davvero? Non esserlo mai più? Smettere di chiedersi come fosse possibile andare avanti per giorni senza cadere? Smettere di odiarsi nel tentativo di far scendere il numero un po' più in giù?)
Serena, infilò il cucchiaio in bocca, ed i cereali slittarono sminuzzati all'interno di uno stomaco grato per la stramba nuova quotidianità. "Pensavo di tornare un po' in accademia, oggi." Gettò in tavola una bomba di tali dimensioni con voce tranquilla, causando quasi un balzo dagli altri due. Naomi sorrise, lasciandole poi un bacio sulla testa. "Sono felice che abbia deciso di ricominciare. Brava amore mio." disse contenta. Atlas annuì subito. "Ti accompagno se vuoi." La minore ridacchiò. "Smettetela- li ammonì, ma sempre con tono leggero- Ho bisogno di tornare a riprendere la quotidianità per conto mio. Vi voglio bene, però lasciatemi un altro po' di spazio per favore. Siate un po' più come papà!". Le ultime parole rabbuiarono la scena per un istante in cui sembrarono prendersi sul serio, per poi lanciarsi nel riso, tutti e tre.
L'assenza del padre non faceva loro più del male, ormai. E dire che lui continuava goffamente a provarci. Ma è davvero possibile riuscire ad amare chi ha portato tanto dolore?
Victoria, con sua sorpresa nel ripensarci più tardi quel pomeriggio, scese dall'auto con pura esaltazione disegnata sul volto, nessun risentimento, rimorso, sconforto nel pensare alle ultime volte in cui aveva frequentato quel posto. Quando stava in bilico sul bordo di un trampolino di lancio che l'avrebbe portata a compiere una traiettoria di migliaia di chilometri, per farla atterrare dritta dritta sopra un sogno ad occhi aperti. Adesso, non c'era più alcun futuro, idilliaco o miserabile che fosse. Tentava di non pensarci.
Sentire l'asfissiante caldo nella sala fu quasi come un abbraccio familiare. Vedersi nello specchio fu quasi come avere un secondo risveglio, successivo a quello di fine ricovero. Passò quasi tutta la giornata all'interno del luogo una volta fonte di costante trepidazione opprimente. Non percepire più ogni movimento come necessariamente da rifinire per poter giungere alla tanto anelata perfezione riuscì a toglierle qualcosa che sentiva di pesante a bloccarle il petto da mesi, ormai. Si muoveva leggiadra provando passi che sembravano tanto impossibili da realizzare allora, quanto ilarmente semplici quel pomeriggio. Uscì beata. Felice.
Ma la serenità durò poco, lasciando subito spazio ad una nuova, assurda sensazione. Vedendo JJ Maybank appoggiato alla sua moto, intento a fumare una sigaretta mentre si sistemava la canottiera bianca attillata giusto per far risaltare il corpo tonificato, le sembrò di sentire una serpe infinitamente lunga farsi strada tra le sue interiora, pronta a divorarle nell'istante in cui avesse soltanto provato a rilassare i muscoli. "Cosa ci fai qui?" domandò inviperita avvicinandosi al ragazzo. Questo sobbalzò, non avendola sentita arrivare. Si ricompose in un istante, prendendo un tiro e guardandola, con viva sorpresa di lei, quasi con sofferenza.
"McClair io- farfugliò, prendendo sicurezza solo quando le si parò di fronte- Io non riesco a smettere di pensarti."
Lei rimase di stucco. Conoscendo lui, si sarebbe aspettata qualunque cosa, qualunque, eccetto la breve manciata di parole appena uscite dalla sua bocca. Rise dal nervoso. "Un bacino ti ha fatto questo effetto? Accidenti Maybank non credevo seguissi il celibato." lo prese in giro battendogli una mano sul petto. Non riuscì a rispondere con serietà né me che meno a guardarlo negli occhi a causa dell'analogia tra l'amara rivelazione ed i suoi martiri delle ultime ore. Lui non rise.
"Butta a terra questa maschera insensata per cinque minuti, per favore. Fammi capire perché non riesco a levarti dalla mia testa. Sei un cazzo di parassita che mi impedisce di dormire, lo capisci? Devo capire come levarti di lì." arrivò praticamente a ringhiare, con un brivido di disperazione nella voce. Lei mutò. Le sopracciglia si avvicinarono, gli occhi si assottigliarono, i lati della bocca si abbassarono. Entrò in uno stato di limbo, sospesa tra pena e desiderio. Non amava sostenere un confronto pervaso di irrazionalità da ambo le parti. Bastò qualcosa di simile ad un gemito di dolore dall'altra parte, che pregava per una risposta, e la maschera crollò.
Adesso un solo centimetro li separava. Esso si ridusse allo zero, quando le mani di lei incontrarono il corpo di lui, immobile sotto lo sfiorarsi, nel tentativo di trovare una ragione. "Io...io non lo so. E non comprendere mi tortura. Tu non sei niente, ma poi mi compari in sogno. Credo ci sia qualcosa che ci attrae di più sottile, cerchiamo di capire cosa sia e liberiamocene, non credo sia difficile." analizzò con serietà.
Tanta puntigliosa precisione riuscì ad allentare la tensione che pervadeva lui. Le sfiorò la guancia, gesto che le causò un tremolio. "Vuoi davvero liberarti di me eh?" le domandò provocatorio. Lei annuì con gravità. "Maybank io ho bisogno di tornare alla normalità, non di andare verso qualcos'altro di sbagliato, ho già sofferto abbastanza. E provocato abbastanza sofferenza aggiungerei- disse indietreggiando di un passo- Bene, dobbiamo concentrarci per trovare questa cosa misteriosa che ci tiene legati. Come fare?"
"L'unica soluzione che mi viene in mente è parlare, raccontarci e cercare nelle abitudini qualcosa che ci faccia scattare la lampadina." le rispose a braccia incrociate. Lei annuì. "Qualsiasi cosa sia, non possiamo farla qui, siamo troppo esposti." lo avvertì. Lui, quindi, le passò un casco, che lei si rifiutò di afferrare. "Oh andiamo McClair, dove vorresti andare? A casa tua? Immagino già la gaudente reazione di tuo fratello." borbottò annoiato. Con una smorfia, Victoria scosse la testa. "Non salirò mai su quell'affare."
"Vorresti davvero venire nel Cut con un'auto da centinaia di migliaia di dollari? Ma che idea geniale, sicuramente passeresti inosservata!" annuì divertito a sé stesso. Sbuffando sonoramente, lei si sciolse con movimenti bruschi lo chignon, mozzando per un istante il respiro di lui quando fece ricadere i ciuffi biondi sulle spalle. Infilandosi l'oggetto in testa, salì dietro di lui. "Ti consiglio di tenerti." le suggerì mentre metteva in moto il mezzo. "Nei tuoi sogni forse." brontolò sussurrando, non azzardandosi ad avvicinare le mani al suo corpo.
O almeno finché, nel tentativo di evitare una buca, la moto virò all'improvviso rischiando di sbalzarla su un lato della strada. In una reazione istintiva, Victoria strinse le braccia intorno la vita di JJ. Mentre lei si mordeva l'interno di una guancia, lui sorrideva.
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