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PROLOGO

Afferro la cannuccia e mescolo aggressivamente i cubetti di ghiaccio mezzi sciolti all'interno del bicchiere.

Una pozzanghera d'acqua giallognola e rimasugli di limone è tutto ciò che resta del mio Tè freddo, ordinato più di mezz'ora fa.

Stizzita, lancio un'occhiata occhiata allo schermo del telefono e di nuovo all'ingresso del ristorante.

"Non ci credo che è di nuovo in ritardo" sbuffo, intercettando la cameriera con lo sguardo e segnalandole di avvicinarsi con un cenno del polso.

Quella, una donna sulla trentina con i fianchi larghi e le caviglie sottilissime, mi sorride con forzata cortesia e risponde "Arriva subito", quando le chiedo di portarmi un Aperol Spritz.

Sono a malapena le sette di sera, ma senza un po' di alcool in circolo si prospetta un gran bello schifo di serata.

Finisco per ordinarne altri due, accompagnati ogni volta dall'espressione via via più preoccupata della cameriera, che mi studia con la coda dell'occhio ogni volta che sfila accanto al mio tavolo.

Sono tentata di rassicurarla, spiegandole che non ho alcun tipo di problema con gli alcolici e che ho compiuto i ventuno anni da un po'.

Però non dico nulla, troppo impegnata a scrutare l'atrio del locale con gli occhi ridotti a due fessure.

"Stai aspettando qualcuno?" Mi domanda, finalmente.

Sembrava stesse per implodere dalla voglia di ficcare il naso nei miei affari.

La osservo di sbieco mentre mi serve un bicchiere d'acqua ghiacciata e un piattino ricco di stuzzichini, che poggia accanto al mio cellulare.

"Non ne sono più così sicura" borbotto, ricevendo uno sguardo impietosito e un sorriso tirato.

Sblocco lo schermo per distrarmi dalle sue continue occhiate. Sono passati altri dieci minuti e non mi ha neanche messaggiato.

Mi sorbisco quella sua espressione fintamente commossa per una manciata di secondi, poi mi schiarisco la gola e ordino un altro drink.

"Sei sicura che ne vuoi un altro?" Chiede subito, chinandosi con il busto per arrivare a guardarmi negli occhi.

I suoi sono molto scuri, quasi neri. Pieni e grandi, le si inseriscono perfettamente sul viso tondo in accordo con l'incarnato olivastro.

"Sì, lo finisco e vado via" annuncio con tono fermo e fin troppo tagliente. Lei piega la bocca in una smorfia e si infila il vassoio nero sotto un braccio, marciando per infilarsi dietro il bancone.

Noto il modo in cui alcuni dei suoi riccioli neri sono sfuggiti dalla cipolla improvvisata in cui ha raccolto i capelli e sospiro pesantemente, tentando di ricacciare indietro certi ricordi.

In quanto a fisionomia, assomiglia a qualcuno che non vedo da tanto tempo: pelle abbronzata, guance paffute, occhi e riccioli neri.

Quando vado in cassa a pagare, cerco di non incrociare il suo sguardo.

Lei conta i soldi che le porgo almeno tre volte in più del necessario e quasi mi tira addosso lo scontrino.

Io sbuffo e mormoro un "Arrivederci" molto poco sincero.

Mi imbatto in Daniel non appena giro l'angolo.

Quando faccio per attraversare la strada, pronta a sedermi sotto la pensilina della fermata, lo vedo che corre sull'altro marciapiede.

Sono io a vedere lui per prima e per qualche istante contemplo di abbassare il capo e passargli accanto fingendo indifferenza.

Poi però mi fermo sul ciglio della strada ad aspettare che il semaforo pedonale diventi verde e decido di salutarlo.

Sopprimendo la rabbia, gli vado incontro con una determinazione estranea al mio tipico temperamento, divorando le strisce pedonali con ampie falcate, una dopo l'altra.

La mia spalla urta la sua e i nostri sguardi si incrociano per un istante. Lui sgrana gli occhi azzurri e deglutisce.

Il suo timore è dolorosamente evidente. Traspare dal modo in cui incassa il capo nelle spalle e fa rimbalzare le pupille da una parte all'altra del mio sorriso plastificato.

Per qualche strana ragione, forse per tutti i drink che mi sono scolata nei quaranta minuti in cui sono rimasta seduta ad aspettarlo, trovo piacere nell'osservare quel suo blando stato di panico.

"Vanilla!" Esclama, asciugandosi il sudore dalla fronte con un polso coperto di braccialetti scoloriti.

Io mi passo la lingua sui denti e continuo a sorridergli in modo forzato.

"Ciao Daniel. È un piacere vederti, finalmente" dico, sottolineando intenzionalmente l'ultima parola con il tono di voce.

Lui si morde un labbro e infila le mani nelle tasche del costume verde evidenziatore.

"Ero in spiaggia a fare surf e ho perso completamente la concezione del tempo. Devi perdonarmi" mi spiega, con il tono di voce affaticato.

Io annuisco lentamente e proseguo riprendo a camminare, spostandomi dalla strada nuovamente trafficata. Lui mi segue senza dire nulla.

Lo studio con la coda dell'occhio mentre si pettina il ciuffo biondo con le dita inanellate, esaminando il suo operato nel riflesso delle vetrine davanti a cui passiamo.

Abbozzo una risatina priva di umorismo ed evito di commentare sui suoi modi, vanitosi quanto teneri.

"Hai fame?" Domando invece, voltandomi per controllare la sua espressione.

Deve pensare di averla scampata, perché sulla guancia sinistra gli compare l'accenno di una fossetta e le sopracciglia chiare gli si rilassano sulla fronte, prima corrucciata.

"Allora mi offri la cena" continuo, accelerando il passo.

Daniel è abbastanza svelto da capire che la mia cordialità non è che una maschera, indossata solo per travestire il mio cattivo umore.

Però non dice nulla al proposito, molto probabilmente perché è consapevole di doversi scusare, e invece ordina la pizza Hawaiana più grande che abbia mai mangiato.

Non commento la sua scelta e mi limito a involarne due fette, masticando quasi con ferocia.

"Adoro questo gusto di pizza! Anche se è particolarmente impopolare" dice, sorseggiando la sua Corona direttamente dal beccuccio della bottiglia di vetro.

Getto uno sguardo al suo piatto ancora pieno e faccio un cenno verso i cornicioni mangiucchiati che ha abbandonato.

"Non ti piace la crosta?" chiedo, succhiando un residuo di salsa dolce dall'indice.

Daniel scuote il capo e dopo aver intercettato la direzione del mio sguardo, mi riempie il bicchiere con un po' della sua birra.

Poi sorride dolcemente e mi porge un fazzoletto con cui pulirmi le labbra.

"A te invece piace proprio tutto di questa pizza" indica il mio piatto, pieno solo di briciole, e ridacchia nervosamente.

Io faccio spallucce e chiamo il cameriere. Ordino una birra doppio malto, solo per me.

Daniel spalanca gli occhi e preme le labbra in una linea sottile, trattenendosi dal commentare.

Vedo chiaramente, dal modo in cui gli si contraggono gli angoli della bocca, che desidera dire qualcosa. Apprezzo il fatto che si astenga dal farlo.

"Questa è la mia pizza preferita in assoluto" confermo, mordicchiando un pezzo di cornicione dal suo piatto. "Non la mangio da un anno".

"Perché?".

Sorrido con una certa malinconia e sospiro, poggiando il mento sul palmo di una mano. Lui mi osserva silenziosamente mentre ingollo un grosso sorso di birra.

"Perché solo oggi è il mio compleanno".

Daniel schiude le labbra dalla sorpresa e si agita sulla sua sedia, strofinandosi un paio di volte i palmi delle mani sulle cosce.

Solo quando inizio a sogghignare tra me, lui smette di dimenarsi come se si trovasse ad un bivio nel mezzo del nulla e non sapesse da che parte andare.

"Sul serio? Cazzo" borbotta tra sé, facendo vagare lo sguardo per il locale. Le sue pupille sembrano essere diventate un paio di biglie da flipper.

"No, sta tranquillo" rido io, rilassandomi contro lo schienale della sedia e incrociando le braccia al petto.

Sono sul punto di buttare il capo all'indietro e chiudere gli occhi, però ricordo a me stessa di essere in un luogo pubblico e mi comporto di conseguenza.

"Non ci sto capendo nulla. Non lo sapevo!" si lamenta, finendo la sua bevanda in pochi sorsi.

Il mio sorriso si spegne gradualmente e resto immobile, persa tra i pensieri indotti dall'alcool fino ad ora consumato e la calura estiva, che si infiltra all'interno della stanza ogni volta che un cliente apre la porta del ristorante. 

"Certo che non lo sapevi, non te l'ho mai detto" lo informo, guardandolo dritto negli occhi chiari.

Sono totalmente diversi da quelli della cameriera del bar e dai suoi.

"Allora dimmelo ora?" chiede, quasi speranzoso.

Sospiro e poggio entrambi i gomiti sul tavolo, chinandomi leggermente in avanti per guardarlo più da vicino.

Anche le sue labbra sono di tutt'altra forma.

"Di solito cambierei discorso, però sono brilla" confido, aprendomi in un sorriso un po' sbilenco.

"Quindi, mettiti comodo".

Daniel annuisce e trasforma la sua espressione di confusione in una di accondiscendenza "Ma che storia è?".

"In realtà, non saprei dirlo neanche io con certezza. Molti lo chiamerebbero il primo amore".


MY SPACE: 

In questo profilo mi piace fare le cose un po' come vengono, ecco perché ho postato il prologo una volta finita la storia!  No, in realtà è perché ci ho avuto l'idea solo ieri sera.

Probabilmente siete molto confusi (o forse sono stata brava abbastanza da essere chiara nella stesura e non avete troppo domande), quindi vi fornisco una breve quanto coincisa spiegazione:

potete considerare il prologo e l'epilogo (che posterò tra questa sera e domani) come una sorta di cornice per i venti capitoli già completi. 

Spero che la lettura non vi abbia fatto troppo schifo e di vederci per tutti i capitoli a venire.

-Sara

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