EPILOGO
Daniel mi sfila di mano il bicchiere di birra mezzo vuoto e mi sventola una mano inanellata davanti al viso.
Batto le palpebre nel tentativo di metterlo a fuoco e allungo un braccio per colpirlo sul petto.
"Sei già ubriaca! Dai, ti accompagno a casa" asserisce, alzandosi in piedi.
Io però resto seduta a guardare la porta d'ingresso del ristorante, ignorando le sue dita pallide che mi strattonano un polso.
"Posso portarmi a casa da sola! Tu non hai neanche la patente" esclamo, alzando il mento per rifilargli un'occhiataccia.
"E poi non sono ubriaca, ma brilla. Te l'ho detto anche prima" mi lamento, afferrando la mia borsetta di pelle e lasciando il tavolo.
Gli sfilo davanti tentando di non barcollare eccessivamente, ma nonostante i miei sforzi, sono sicura che se si sia accorto della mia instabilità.
"Se non reggi l'alcool, per prima cosa, perché inizi a bere?" borbotta lui, affiancandomisi mentre sono in fila per la cassa.
Io sbuffo piuttosto rumorosamente e apro la zip del portafogli, scavando gli interni color prugna con le dita per afferrare i pochi centesimi rimasti.
"Mi hai lasciata in un bar ad aspettarti per un'ora intera, cos'altro avrei dovuto fare?" borbotto, gettandogli un'altro sguardo glaciale.
"Forse sarei dovuta andare via. Già, sarebbe stato meglio. Non credi?" Aggiungo, zittendomi solo quando lui blocca i movimenti frenetici delle mie mani con un palmo delle sue.
"Pago io" mormora, guardandomi dritta negli occhi prima di scansarmi e chiedere il conto alla commessa.
Non ci rivolgiamo la parola fin quando non stiamo per uscire dal parcheggio del locale.
Io sono troppo impegnata a guardare la strada ed evitare che il tacco sottile della scarpa mi si infili in una crepa, lui invece si inumidisce le labbra in continuazione, come se stesse cercando di farsi scivolare le parole giù dalla lingua.
"Non mi sono mai ubriacata in vita mia" confesso dopo qualche altro minuto di silenzioso camminare.
Daniel volta il capo per guardarmi. Ne colgo il movimento con la coda dell'occhio, ma io continuo ad osservare l'infinita passerella di Venice Beach che si stende davanti a noi.
"Scommetto che il mio ritardo è stato solo una scusa. Avresti bevuto a prescindere" mormora e "Imperdonabile ritardo" si corregge, subito dopo aver ricevuto un pizzicotto sull'avambraccio da parte mia.
"Una scusa dici?".
Lui annuisce e arriccia le labbra pensieroso, incrociando le braccia magre al petto.
Non ha neanche un filo di muscolo, sospiro.
"Adesso conosco tutta la storia" mi ricorda, sorridendomi con un angolo delle labbra sottili. "Un anno fa, a quest'ora, stavate insieme. Tu e il musicista" aggiunge.
Adesso sono io ad annuire. Lo faccio lentamente, mentre mi fermo per togliermi le scarpe.
"Un'altra cosa che non ho mai fatto, è indossare i tacchi per andare al bar" mugugno, gettandoli a terra con ferocia.
Daniel ride sofficemente mentre mi massaggio le piante dei piedi e poi mi fa cenno di raggiungerlo.
"Siete stati insieme solo per tre giorni, però sembra che tu non riesca ancora ad andare oltre" dice a bassa voce, tanto che mi sembra più una riflessione personale.
"Tre giorni e mezzo" rettifico, facendo vagare lo sguardo all'altro lato della strada. Il marciapiede è trafficato come ogni altra sera d'estate.
"Io e te ci frequentiamo da quasi un mese" dice poi, non ricevendo però alcuna risposta da parte mia.
Daniel mi schiocca le dita davanti al viso un paio di volte e mi chiede cosa sto guardando.
"Entriamo in quel bar" propongo, indicandone l'insegna illuminata con un dito.
Lui si rifiuta testardamente, ricordandomi che sono già abbastanza fuori di me e che dovrei decisamente tornare a casa, però io getto via ogni rimasuglio di dignità e batto i piedi a terra.
"Come hai detto anche tu un anno fa, oggi, era il mio finto compleanno. A quest'ora stavo festeggiando con Calum" deglutisco, fissandolo con i miei occhi lucidi e stralunati.
Daniel piega il capo all'indietro e fissa il cielo privo di stelle per qualche istante, ascoltandomi di malavoglia.
"Adesso lui non c'è, ma io ho comunque voglia di divertirmi con te" lo strattono per la maglietta di cotone fin quando non lo vedo annuire pigramente.
"Non ho intenzione di portarti in spalla fino a casa tua, quindi ti conviene bere con moderazione".
Io sorrido ampiamente e respingo i suoi avvertimenti con un gesto della mano.
Impieghiamo circa venti minuti per raggiungere l'affollatissimo bancone, ma me ne bastano a malapena cinque per finire il mio drink e bere metà del Mojito di Daniel, che mi tiene costantemente sott'occhio.
La musica è a malapena udibile, ma riesco a sentire singhiozzi di una canzone pop-rock che mi è molto famigliare.
Non appena ne riconosco le note, mi volto di scatto verso il mio accompagnatore.
"Questa è la sua canzone!" Urlo, per sovrastare il continuo chiacchiericcio di sottofondo.
"Questa canzone l'ha composta lui" continuo, ignara del sorriso che mi distende le labbra.
Percepisco una strana sensazione invadermi il petto e riscaldarmi le guance, ma non riesco ad identificarne l'origine.
I miei sentimenti sono annebbiati dall'alcool e annacquati dalle ondate di calore e confusione che investono il locale.
Daniel mi strappa il bicchiere di plastica dalle mani e mi trascina verso l'ingresso, in un punto abbastanza lontano dalla marmaglia di persone che si fanno strada a spintoni verso il bar.
"Non so neanche perché ho accettato di accompagnarti qui" mugugna a mezza voce, afferrandomi le spalle per stabilizzarmi.
Sento il peso di una sua mano su un lato del collo, mentre un suo pollice mi carezza una guancia.
"Che fai?" Urlo, corrucciandomi.
Con le mani lo spingo via da me, ma non c'è ne alcun bisogno, dato che è lui a spostarsi per primo.
"Stavi piangendo" mi informa, allungandosi verso un distributore per racimolare un paio di fazzoletti.
Me li porge mentre la coppia di ragazze in bikini sedute al tavolo ci lancia un'occhiata stranita, per poi tornare a sorseggiare i loro cocktail e sparlare l'una nell'orecchio dell'altra.
"Ah, grazie. Non me ne sono nemmeno accorta" borbotto, passandomi il dorso di una mano sotto gli occhi. È umido.
"Andiamo, tanto avevo finito di bere. Voglio tornare a casa" lo sprono, spingendolo verso la porta.
Daniel sospira e mi guarda con comprensione, infilando le dita magre tra le mie.
Sorrido flebilmente e lo seguo, accettando di sederci su una panchina per "Smaltire la sbornia, almeno un po'".
Il silenzio che dal quale ci lasciamo circondare è confortevole e teso al tempo stesso.
È come se fossimo entrambi sul punto di confessare qualcosa, ma stessimo aspettando che l'altro inizi per primo.
Alla fine, inaspettatamente, è qualcun altro a parlare.
"Vanilla?" Calum ci si avvicina a passo lento, passando in rassegna prima me e poi Daniel, seduto alla mia destra.
Duke gli zampetta affianco, un po' più pienotto di quanto mi ricordassi, forse con più ciuffetti grigi sul petto.
La sua zampa è totalmente guarita, ma il suo temperamento vivace ancora no.
"Calum, non ti vedo da un'infinità di tempo" mormoro, alzandomi lentamente.
Ha i capelli ancora di quel biondo chiazzato d'arancione alla radice, ma sono più lunghi e ricci.
Non è cambiato molto dall'ultima volta che l'ho visto, nei dietro le quinte del concerto a Los Angeles.
In quell'occasione ci eravamo a malapena salutati e poi, in meno di cinque minuti, ero stata scortata fuori dalla green room.
Però erano passati solo due mesi da quando era partito, quindi rivederlo non mi aveva mozzato il fiato. Non come sta accadendo ora.
"Quasi sette mesi" corregge lui, sorridendo ampiamente e allargando le braccia per invitarmi ad abbracciarlo.
E io lo faccio, senza esitare e così velocemente da poter risultare senz'altro disperata. Però, volendo essere sinceri, lo sono per davvero.
Lui mi stringe le braccia attorno alle spalle e sospira, infilando il naso tra i miei capelli.
Io premo una tempia su una delle sue clavicole tatuate e mi mordo un labbro per evitare di strillare dalla felicità.
"Ti trovo bene" commenta, lasciandomi andare per abbozzare un passo indietro e squadrarmi dalla testa ai piedi.
"Ma dove le hai lasciate le scarpe?" Ride poi, indicando le mie dita insabbiate.
"Non lo so e non mi interessa, erano scomodissime" ridacchio, forse con troppo trasporto.
Lui però sembra essere altrettanto gioioso, quindi non me ne preoccupo minimamente.
"Ma sul serio, mi hai già rimpiazzato? Non perdi tempo!" Scherza, arrotolandosi attorno al palmo della mano il guinzaglio di Duke, che saltella sulle zampe posteriori per salire sulla panchina dove è ancora seduto Daniel.
Per una frazione di secondo mi sento in colpa per averlo abbandonato così velocemente alla vista di Calum, però l'emozione svanisce in fretta.
"Siamo stati insieme solo per tre giorni" ridacchio nervosamente.
"Tre giorni e mezzo" precisa Calum, spostando lo sguardo per lanciare un'occhiata alle mie spalle.
Non dice nulla per qualche secondo, poi si avvicina di un passo e tende la mano libera a Daniel, che sta strofinando Duke dietro le orecchie.
"Anche tu hai un cane?" Gli chiede, mantenendo un'espressione quasi fredda.
Quello sgrana gli occhi alla domanda inaspettata e scuote lentamente il capo, indirizzandomi sguardi interrogativi e a tratti spauriti.
"No, ho un criceto" dice, mordendosi nervosamente un labbro.
Io mi schiaccio le guance tra i palmi delle mani, a dir poco imbarazzata, ma non pronuncio neanche mezza parola.
"Come si chiama?" Prosegue Calum, ignorando le occhiatacce che gli indirizzo. Ma a che gioco sta giocando?
"Thomas" risponde Daniel, avanzando per stringergli la mano con la stessa velocità con cui si affianca a me. Ricorda un bambino che si nasconde dietro le gambe della madre.
Calum accenna una risata e gli stringe la mano nel palmo della sua, tornando a guardare me solo dopo avergliela lasciata.
"Bello" fa spallucce e "Sai, è anche il mio secondo nome" sogghigna schiacciandomi un occhiolino.
"Che ci fai qui?" Gli chiedo, tentando di distrarre Daniel dall'atmosfera a dir poco soffocante che si è creata.
Il mio primo amore che conosce il ragazzo con cui mi sto frequentando: il più classico e crudele degli incubi.
"Qui? Ah, ci vivo finalmente" risponde Calum, sorridendo alla mia espressione scocciata.
Ecco, questa è esattamente la risposta che mi aspettavo di ottenere da lui. Però, per qualche motivo, non riesco comunque a trattenere una risata e lo spintono giocosamente con una mano.
"Il Tour è finito più tardi del previsto" commento.
Calum annuisce e "Dopo la collaborazione con i Chainsmokers abbiamo aggiunto altre date" spiega, osservando la reazione di Daniel, che si schiarisce la gola per attirare l'attenzione su di sé.
"Chainsmokers? Quindi sei tu il musicista" conferma, rivolgendomi un'occhiata eloquente.
"Sì" conferma Calum, alzando leggermente il mento in segno di orgoglio. "Presumo che ti abbia raccontato di me".
Daniel annuisce altrettanto solennemente e prende un respiro profondo quando gli viene chiesto "Tu che lavoro fai?".
Spero vivamente che non lo senta, quando Calum sogghigna a mezza voce e aggiunge "Allevi criceti?" tra sé.
Sono tentata di dargli un pugno e scappare verso la fermata dell'autobus, ma mi pizzico i dorsi delle mani e rimango immobile ad aspettare che l'altro risponda.
"Programmatore informatico. Studiamo alla stessa Università" annuncia, ignorando il suo commento e circondandomi le spalle con un braccio sottile.
Io mi intirizzisco come se mi avessero versato un secchio d'acqua gelida addosso e alterno lo sguardo tra i due.
Calum ha la mascella serrata e una flebile traccia di sorriso a tendergli le labbra.
Lo interpreto, insieme ai pugni serrati che tiene stretti ai fianchi, come un chiaro segno di gelosia.
Mi devo quasi tappare la bocca con le mani per non gongolare soddisfatta.
Mordendomi un labbro, mi sfilo dalla presa di Daniel con la scusa di salutare Duke. Mi chino sulle ginocchia e ignoro i due, che si osservano tra di loro con minuziosa attenzione.
Io stufino le guance del cagnolino e li squadro con la coda dell'occhio, accorgendomi adesso più che mai delle differenze tra i due.
Calum è alto, con le spalle larghe e i bicipiti gonfi. Daniel ha la carnagione chiara quanto la mia e sebbene sia più alto, non ha neanche la metà della massa muscolare dell'altro.
A Calum si addice più il termine attraente, mentre a Daniel sembra più naturale affibbiare l'aggettivo carino. Sono belli entrambi, ma è evidente cosa preferiscano osservare i miei occhi.
E Calum nota immediatamente la direzione del mio sguardo.
Sorride compiaciuto e appoggia una mano sulla spalla di Daniel, offrendogli una birra.
"Ho appena finito di bere" rifiuta, lanciandomi occhiate continue, come per chiedermi di salvarlo da quella situazione.
Però Calum è a dir poco insistente e finiamo entrambi per tornare nello stesso bar dal quale eravamo usciti, solo qualche minuto prima.
I due si piazzano davanti al bancone e ricominciano a parlare tra di loro, ognuno con la sua rispettiva espressione.
Calum sembra essere completamente a suo agio, mentre il viso di Daniel è dominato da incertezza e malessere.
Tutto ciò che posso fare, però, è afferrare il guinzaglio di Duke dalle mani grandi e calde del suo padrone e sedermi su uno sgabello libero. Non c'è modo di salvarlo dalle grinfie di Calum.
Il cagnolino saltella sulle zampe posteriori finché non mi decido a prenderlo in braccio, poi si stende e incastra il muso tra le mie ginocchia.
"Il tuo padrone ha un tempismo unico, comunque" borbotto, girandomi un suo orecchio tra i polpastrelli. "Questa sera mi mancava più del solito".
La fila per i cocktail sembra infinita, quindi mi intrattengo leggendo l'offerta delle pizze dal menù abbandonato sul bancone, con un broncio sulle labbra e lo stomaco in subbuglio.
Sicuramente non dipende dalla fame, ma "Un'altra pizza Hawaiana non sarebbe male" commento a mezza voce.
Duke sbuffa e a me viene da ridere, perché anche Calum condividerebbe la stessa opinione al riguardo.
"Guarda che è colpa sua se non la mangio più" lo rimprovero, arruffandogli il pelo folto che ha sulla nuca.
"Andiamo?" Daniel mi compare davanti dopo un altro paio di minuti.
Ha le guance arrossate e gli occhi leggermente lucidi, ma più che brillo sembra sconvolto a causa di qualcos'altro.
Penso di sapere esattamente a cosa sia dovuto. O meglio, a chi.
"Sì, inizia ad uscire" annuisco, indicando il marciapiede visibile con un indice.
Quando Calum mi si affianca, si sta ancora infilando il portafoglio nella tasca dei jeans neri.
"Hai offerto tu?". Lui annuisce e mi porge la mano per aiutarmi a scendere dalla sedia alta.
"Sto per rubargli la ragazza, è il minimo" dice, alzando un angolo della bocca in un sorriso furbesco.
Io sbuffo ed evito di commentare, gettandogli invece un'occhiata eloquente con la coda dell'occhio.
"Cosa stavi leggendo?" chiede, spostando l'attenzione sul punto esatto del menù plastificando su cui ho poggiato un indice.
Mentre lo scruta sento le guance andarmi a fuoco, ma tento di ignorare il formicolio che sento alla bocca dello stomaco e il suo sguardo intenso, fissato su un lato del mio viso.
Il suo sorriso si fa sempre più ampio.
"Ah, quella maledetta pizza" sospira. Io alzo gli occhi al cielo e mi immobilizzo, quando si china e mi sfiora un lobo con le sue labbra.
"Non preoccuparti, portiamo il tuo amico a casa e ne ordiniamo una d'asporto" sussurra, per poi lasciarmi un bacio volante su una tempia e fare segno a Daniel di aspettarci.
MY SPACE:
Wow ... Erano tre anni che non concludevo una fan fiction e HEARTSTRINGS è completa dopo solo quattro mesi dal suo inizio. Devo ringraziare me stessa per non aver oziato, ma soprattutto voi!
Grazie se avete letto questa storia dal primo capitolo o se la state leggendo ora. Il solo fatto che siate arrivati fino alla fine mi rende felicissima!
Un ringraziamento speciale va a tutte le persone che hanno commentato e che mi hanno reso consapevole della loro opinione (fortunatamente sempre positiva) sulle mie abilità di scrittura.
AUTRICE DAL FUTURO (31/03/2020):
Ho appena finito di rileggere questa storia e mi manca da morire. Se siete arrivati qui da una rilettura, vi amo.
-Sara
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