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Capitolo venti.

In estate mi accade sempre la stessa cosa, come fosse una specie di maledizione: perdo il conto dei giorni.

Mi sembra sempre domenica e ogni domenica potrebbe benissimo essere un qualsiasi lunedì. Non me ne accorgerei a prescindere.

Soprattutto durante il mese di Luglio, perché è tutto uguale.

Ogni mattina il cielo è della stessa tonalità di azzurro, tanto chiara che quasi non si vede.

Le sere durano poco più di due ore e di notte non dormo. O comunque, se lo faccio, solo dalle quattro in poi.

Però oggi so benissimo che è il 27 Luglio, perché è il giorno prima della partenza di Calum.

"Cavolo" dice lui, giocando distrattamente con le dita della mia mano sinistra. Siamo seduti sotto una palma nel retro del condominio da un paio d'ore ormai.

Non guardo l'orologio da quando ci siamo svegliati, entrambi sul divano, con le gambe attorcigliate e le magliette appiccicate ai fianchi a causa del sudore. Ma devono essere almeno le nove.

"Menomale che non dovevamo addormentarci" avevo commentato io, stiracchiandomi la schiena.

Calum non si era nemmeno spostato il cuscino dal viso e invece, ignorando i miei persistenti tentativi di svegliarlo, aveva allungato le braccia per stendersi e occupare tutta la superficie di sofà disponibile.

"Andiamo" gli ero saltata addosso, assicurandomi di premergli le rotule in mezzo alle scapole e ridacchiando ai suoi continui borbottii.

"Dove?" Si era lamentato, mettendosi a sedere per strofinarsi gli occhi con entrambe le mani.

"A vedere l'alba in cortile" e poi avevo puntato il dito verso la vetrata, proiettata già verso l'orizzonte che si andava schiarendo.

L'oceano era una retta bianca sottilissima e scintillava sotto i primi bagliori del sole, come se fosse una catena infinita di punti luce.

Non avevo intenzione di perdermi uno spettacolo simile.

Quindi avevo trascinato fuori Calum, che aveva ancora gli occhi chiusi, seguita da un Duke sovreccitato all'idea di uscire.

Il meticcio, infatti, non aveva perso tempo e scesi in giardino, aveva preso a saltellare tra le aiuole come un capriolo di montagna.

Instancabile, mordeva le corolle dei fiori e inseguiva le lucertole pigre tra i cespugli da quando era sorto il sole.

Sorrido ripensando al modo in cui Calum, molto barbaramente, aveva paragonato l'enorme palla di fuoco che si stava levando dall'acqua, all'onda energetica di un Goku Super-Sayan.

E poi si era addormentato, con il torso nudo all'aria e le braccia piegate sotto la nuca.

Ho dovuto ascoltare il suo russare, alquanto insistente aggiungerei, fino a pochi momenti fa. Il romanticismo gli scorre proprio nelle vene.

"Per la miseria" sospira di nuovo.

"Che c'è? Finito il pisolino?" Gli chiedo, sfilandomi gli occhiali da sole per guardarlo meglio.

Me li aveva prestati dopo essersi sorbito le mie lamentele riguardo alla fastidiosa intensità della luce per tutta la discesa in ascensore.

Nonostante il suo fosse stato un modo per zittirmi, io li avevo accettati con un "Grazie" esageratamente mellifluo e una serie di finger-hearts infinita.

Calum aveva alzato gli occhi al cielo, però mi aveva complimentata comunque, dicendomi che l'accessorio mi stava molto bene e che il fatto che fossero molto più grandi della mia faccia, mi facesse apparire come un'attrice Hollywoodiana.

Io di riflesso, avevo sorriso a trentadue denti, alzato il mento e voltato il capo a destra e sinistra, per sfoggiare gli occhiali da sole al cielo senza nuvole che ci osservava dall'alto.

Almeno fin quando aveva aggiunto "O meglio, una pessima imitazione di Paris Hilton" beccandosi uno scappellotto dietro la nuca dalla sottoscritta, più imbronciata che mai.

"Invece di continuare a lamentarti, che ne dici di dirmi cosa non va?" aggiungo, mettendomi a sedere con le gambe incrociate.

Calum sistema il telo arancione sotto le sue gambe e mi tira un braccio.

Quando capisco le sue intenzioni, mi metto a sedere sulle sue gambe con le guance arrossate.

Sospiro e poso una tempia sulla sua.

"Stavo pensando che domani iniziano le prove per il Tour. Sinceramente, non pensavo che stare con te mi sarebbe piaciuto così tanto. Quasi mi dispiace dover partire" spiega, ignorando il pugno che gli assesto su un bicipite.

"Non so se lo fai per darmi fastidio o se davvero non te ne rendi conto, ma dovresti lavorare sui tuoi complimenti. Sono abbastanza ambigui e per niente simili a dei veri complimenti".

Calum mi guarda con una strana intensità nello sguardo e si avvicina per stamparmi un bacio sulle labbra. Così, dal nulla.

Poi "Paris Hilton è una gran figa" ribatte.

"Ma che?" Borbotto, interdetta a causa delle sue azioni apparentemente immotivate.

"Vorrei poter stare con te un po' più a lungo" prosegue a mezza voce, riprendendo il discorso precedente.

Siamo talmente vicini, che lo sentirei anche se sussurrasse con un filo di voce.

"Anche io" confesso, imbronciandomi leggermente.

"Manca un giorno solo. Non è giusto che non possiamo stare insieme!".

Calum non risponde e invece mi solleva, per rimettersi in piedi.

Oggi, con il modo in cui si sta comportando, sembra solo volermi confondere.

Non dice più del minimo indispensabile e le sue espressioni sono paragonabili a quelle di alcune statue di marmo.

"Dove vai?" Gli chiedo, infilandomi la canotta che avevo tolto per prendere il sole. Mi era costato molto spogliarmi e non perché mi vergognassi. Cioè anche per quello, ma fino ad un certo punto.

Piuttosto perché Calum mi aveva fissata per cinque minuti pieni senza dire assolutamente nulla.

L'unica compagnia per il suo sguardo era stato un mezzo sorrisetto sornione.

"A fare una passeggiata, ho voglia di camminare" dice finalmente, tendendomi una mano mentre mi infilo le infradito di gomma.


Camminiamo in silenzio accanto all'oceano e ci bagniamo i piedi sulla battigia fin quando non mi stanco e sono sul punto di chiedergli di tornare indietro.

Poi però lo guardo, con gli occhi semi-chiusi sotto il sole e una certa stanchezza nei movimenti, e sbuffo.

"Sarebbe perfetto se fosse l'ora del tramonto" mormoro, infilando le dita tra le sue.

Calum non commenta e si limita a seguire Duke con lo sguardo, che scava la sabbia con le zampe e poi inizia a correre come un forsennato.

"Perché sei così silenzioso?" chiedo, sbilanciandomi in avanti per sbirciare la sua espressione, corrucciata sotto la visiera del berretto blu.

"Nulla" mormora per poi fermarsi.

"Non è che ti andrebbe di venire con me? In tour?" Chiede poi, guardandomi dritto negli occhi spalancati.

Io balbetto risposte intellegibili per qualche secondo, poi strizzo gli occhi chiusi e scuoto lentamente la testa.

"Penso che dovrei andare all'Università" ammetto, sentendomi il petto improvvisamente pesante. È una verità che fa male quasi fisicamente.

Lo osservo attentamente, per cogliere ogni sua più piccola reazione, però sembra non averne una.

"Sai, ci ho pensato dopo che ne abbiamo parlato ieri e mamma ha ragione. Non posso fare la sog-sitter a Duke per sempre".

Lui annuisce e mormora qualcosa che sembra un "Purtroppo", per poi ricominciare a camminare senza riservarmi di un secondo sguardo.

"Comunque non dicevi sul serio, vero? Cioè, riguardo al Tour e a me".

Calum abbozza un sorriso, anche se è chiaramente forzato.

"No, volevo solo vedere che reazione avresti avuto" risponde. "E poi non sarebbe giusto nei confronti della band e di tutti gli altri".

"Già, quando sei a lavoro dovresti concentrarti solo su quello" annuisco, anche se mi viene quasi da piangere.

È meglio se non perdo tempo ad immaginare come sarebbe seguirlo davvero in giro per il mondo, potendo stare con lui, vedendolo suonare.

Sono solo fantasie, come tutte quelle che mi sono creata nel corso degli anni. Sogni di una ragazzina inconsapevole, innamorata tanto per dire di qualcuno che nemmeno conosceva.

Però era l'amore non corrisposto meno infelice al mondo.

Con la mia risposta dolorosamente realista penso di confortarlo, ma le sue labbra si tendono in una linea retta e inespressiva.

Per qualche istante penso che anche lui desideri poter trasformare quell'illusione in realtà, però scuoto il capo e smetto di pensarci.

Come direbbe Merion, non siamo in una fan fiction.

Quindi prendo un respiro profondo e stringo la presa sulla sua mano, chiedendogli di tornare a casa.

Quando rientriamo, Duke si precipita sul divano. Si infila tra due cuscini e chiude gli occhi, addormentandosi subito dopo.

Sono tentata di imitarlo, però non voglio sprecare neanche un secondo del tempo che ci rimane.

Calum si sfila le ciabatte e prende a strimpellare sulla sua chitarra acustica.

È ancora di cattivo umore, lo stesso più o meno da quando si è svegliato, quindi preferisco lasciarlo stare per un po'.

Canticchio sottovoce le note di Beside You, mentre fingo di sistemare i giocattoli di Duke.

"Mi hanno scritto i ragazzi prima" erompe dopo un po', poggiando lo strumento a terra.

Io mi spolvero le mani sulle cosce e mi drizzo bene in piedi, stiracchiandomi brevemente.

"Cosa?" Gli chiedo, accoccolandomi al suo fianco come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Lui mi circonda i fianchi con il suo braccio sinistro e lascia che gli copra di baci la mascella e parte del collo.

Se gli faccio solletico, non lo da a vedere.

"Ci sono stati dei problemi con lo studio in cui avremmo dovuto fare le prove domani. A quanto pare la prenotazione non è stata confermata" spiega, incastrando due dita tra le ciocche disordinate dei miei capelli.

Sono ricoperta di salsedine e ho disperatamente bisogno di una doccia, però non importa e lui non commenta.

"E?" domando, alzando lo sguardo per incrociare il suo. Ha gli occhi scurissimi e il labbro inferiore incastrato tra i denti. Sembra triste.

"Hanno anticipato tutto a sta sera" mi informa, prendendomi il viso tra i palmi delle mani non appena vede i miei occhi spalancarsi.

Forse ha paura che inizi a piangere. Cosa che mi sento di fare, ma che non permetterò accada.

Non è mica la fine del mondo e comunque, doveva succedere a prescindere.

"Va bene. Fa schifo che sia successo con tredici ore di anticipo, però" mi lamento, accennando un sorriso plastificato.

"Mi dispiace. Anche per come mi sono comportato oggi, sono stato un pezzo di ghiaccio. Non è vero?" Si scusa, prendendomi in braccio.

Mi sistemo in modo da poterlo guardare in faccia e mi siedo sulle sue cosce, puntellando le ginocchia accanto ai suoi fianchi stretti.

Annuisco lentamente e gli permetto di stringermi il mento tra due dita.

"Però il fatto che abbiamo meno tempo, non implica che dobbiamo passarle col muso lungo" dice, poco prima di posare le labbra sulle mie.

"Sei salato".

Calum accenna una risata e fa spallucce "Anche tu."

Restiamo a studiarci per una manciata di secondi, poi lui si alza in piedi e mi stringe le natiche nei palmi delle sue mani.

Sussulto e lo guardo con gli occhi ridotti a due fessure, mentre lui ghigna soddisfatto.

"Andiamo, hai bisogno di una doccia" annuncia, per poi beccarsi un altro scappellotto sul capo quando muove suggestivamente le sopracciglia e aggiunge "E anche io".


La nostra ultima cena è a base di Take-Away Cinese, che abbiamo scoperto essere probabilmente l'unica preferenza che ci accomuna.

Ridiamo e scherziamo per ore seduti l'una sull'altro su uno sgabello della cucina, davanti ad un piatto di riso alla cantonese e pollo fritto.

E facciamo tutte quelle cose che fanno le coppie nella fase della cosiddetta luna-di-miele.

Ci imbocchiamo a vicenda cucchiaiate di riso affogato in una quantità decisamente spropositata di salsa di soia e puliamo i rimasugli di frittura dagli angoli delle nostre bocche baciandoci a vicenda.

E il tempo sembra letteralmente volare, perché nonostante controlli in continuazione le lancette dell'orologio appeso accanto al frigo, le ore passano come fossero minuti.

"Io ho finito" annuncio dopo aver risposto i piatti nel lavabo.

Calum annuisce mentre si infila un paio di guanti di gomma azzurri. Afferra poi una spugna gialla e ci inizia a strofinare i bicchieri.

Io invece mi avvicino cautamente alla cuccia di Duke, che ancora dorme profondamente.

Si è svegliato solo per abbaiare contro il fattorino del ristorante e sedersi ai nostri piedi durante la cena, chiedendo una porzione con gli occhioni scintillanti.

Mi piego sulle ginocchia con uno sbuffo e gli accarezzo il capo con nostalgia.

So bene che lo rivedrò tra un bel po' di tempo o forse mai più.

Lo saluto con qualche grattino sulla pancia e dietro le orecchie, mordendomi un labbro mentre gli dico di fare il bravo e non dare troppo disturbo a chiunque assuma il mio posto nel futuro.

Per tutto il tempo, sono ben consapevole che Calum mi sta osservando in silenzio, ma mi limito a sistemarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e a infilarmi l'orlo della maglietta nei pantaloncini a vita alta.

Calum ripone l'ultimo piatto sullo scaffale e mi raggiunge con uno sbadiglio, cercando di prendere tempo.

Io però ho già capito e inizio ad avvicinarmi alla porta.

"Dovresti iniziare a preparare la valigia. Io comunque devo far pace con mia madre e sicuramente impiegherò molto più tempo di te" inizio, improvvisando una risata priva di umorismo.

Calum sospira profondamente e si avvicina di un passo.

"Quindi ti saluto e vado a casa" stringo le mani in due pugni, perché non ho la minima idea di dove metterle.

Il posto ideale sarebbe sulle sue spalle, così da avere i polsi incrociati sulla sua nuca abbronzata e la punta delle dita incastrata tra i suoi riccioli biondo platino.

"Vieni qui" dice lui, piazzandomi una mano sul fianco destro, in modo da potermi attirare a sé.

È ridicolo il modo in cui i nostri corpi si fondono l'uno contro l'altro, come se fossimo due componenti della stessa sostanza che finalmente tornano insieme.

"Non è mica un addio" mi rassicura sorridendo.

"Non sto mica piangendo" sbuffo io. "E poi casa tua rimane sempre questa qui, anche se il tuo lavoro ti porta un po' dappertutto".

"Giusto" annuisce lui, chiudendomi entrambe le mani nei suoi palmi, caldi e patinati di sudore.

Non mi azzardo a dire nulla al riguardo e invece lo informo di aver lasciato la mia copia delle chiavi sul bancone della cucina.

"Anche se mi mancherà venire a riposarmi qui" scherzo, cercando di alleggerire l'atmosfera.

"Tienile" mi dice, mentre lo scruto confusa. "Lo so benissimo che ti piace passare del tempo qui e anche che usi il mio account Netflix".

Io aspiro e gonfio le guance, pensando ad un modo spiritoso per ribattere.

Lui mi punzecchia un indice su un lato del viso e sorride quando sputacchio con una risata l'aria che avevo risucchiato.

"Non essere troppo triste, okay? A volte sembrano durare un'eternità, ma anche i Tour Mondiali finiscono" dice abbracciandomi di nuovo.

"Lo so" mormoro contro il suo petto, desiderando di potermi staccare solo per poter appiccicare le mie labbra alle sue. "Tu divertiti, mi raccomando".

"Oh, di sicuro! Ho il lavoro più figo del mondo!" sorride, con gli occhi che gli brillano al solo pensiero di tornare sul palco.

"Scommetto che è stato un incubo non potersi esibire per tre anni" mormoro, spolverandogli uno zigomo con il pollice.

Calum annuisce e mi ruba un bacio, sorridendo quando scoppio a ridere.

"Sono felicissimo di essere tornato" conferma, illuminandosi improvvisamente.

Lo osservo con espressione interrogativa, mentre lui stringe la presa sui miei fianchi. "Che c'è?".

"Me ne ero totalmente dimenticato, ma tu hai un biglietto per una delle prime date qui a Los Angeles!" esclama, mentre io sbianco.

"In realtà" comincio, con voce talmente acuta che quasi mi tappo le orecchie da sola.

"Cosa?" Domanda lui, mordendosi un labbro.

"Non ho la minima idea di che fine abbia fatto" confesso, osservandolo mentre lui scuote il capo ridendo.

Dalle sue labbra fuoriesce un "sei incredibile" che mi capovolge lo stomaco.

La sensazione che mi procura quel piccolo commento è sorprendente. Mi sento bella come un fuoco d'artificio.

"Non fa niente" dice, avvertendomi di chiamarlo qualche giorno prima del concerto in modo da procurarmene uno.

"Allora ci vediamo presto" esclamo, battendo le mani appena sotto il mento. "Non ti vedo in concerto da almeno quattro anni!".

Calum si inumidisce la bocca e si avvicina per stamparmi un altro bacio sulle labbra.

"Ma che schifo! Sei tutto insalivato" tento di evitarlo, ma lui mi schiaccia le guance con le dita e si forza su di me, spingendomi all'indietro. Ridiamo entrambi, ma continuano a baciarci in quella specie di casqué finché non sento la schiena far male.

E poi, chissà come, sono contro la porta e le sue labbra hanno perso il contatto con le mie.

Le sento ovunque sul collo e persino sulle clavicole, e la sensazione di essere amata è così forte che quasi mi sento soffocare.

"Io voglio stare con te" mormora, tra un bacio e l'altro.

Lo ripete in continuazione, finché la sua voce diventa mero rumore di sottofondo e neanche distinguo più le parole.

"Calum, dai! Hai ancora tanto da fare. Devi ancora docciarti" gli ricordo con un filo di voce, spostando lo sguardo su quel dannato orologio.

Resterei qui per sempre, ma sento il rumore delle lancette rintoccarmi nel cervello ad ogni secondo che passa. È a dir poco angosciante.

"Okay vado, ma tu vieni con me" dice, come se mi avesse appena chiesto di accompagnarlo al supermercato per comprare le banane.

"Ma io mi sono già lavata" ribatto con una risata e le guance in fiamme.

Calum sbuffa e scuote il capo un paio di volte, piegandosi sulle ginocchia per sollevarmi. Sussulto e gli aggancio le braccia attorno alle spalle.

"Non si è mai abbastanza puliti" dice, entrando in corridoio.


MY SPACE:

Siamo arrivati all'ultimo capitolo

 Sono felice di aver terminato questa fan fiction, tanto quanto sono dispiaciuta di dover lasciare Vanilla e questa versione di Calum.

Però era da quasi tre anni che non completavo una storia, quindi capite quanto sono emozionata?

Comunque, non posso ancora cantare vittoria perché manca l'epilogo. Che, ne sono sicura, sarà pronto per domani. Quindi chi voglia si tenga pronto!

Spero che la lettura non vi abbia fatto troppo schifo e di vederci anche all'epilogo!

-Sara

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