Capitolo tredici
Dopo essere usciti dall'ascensore, ovviamente immersi nel silenzio più imbarazzante con cui abbia mai avuto a che fare, gli strappo il guinzaglio dalle mani e marcio verso il portone di vetro.
"Voglio portarlo io" gli spiego, una volta usciti dal palazzo e circondati dal caratteristico bollore pomeridiano dell'estate Californiana.
Calum annuisce una sola volta e poi non si volta neanche più a guardarmi, cosa che mi scopro ad apprezzare moltissimo.
La passeggiata diventa quindi un momento di riflessione per entrambi. Perlomeno, dall'espressione corrucciata che ha, mi sembra che sia profondamente immerso nei suoi ragionamenti. O forse, è la luce diretta del sole che gli da fastidio alla vista.
Comunque sia, fingiamo di non essere disturbati dalla presenza altrui per un'abbondante e straziante quarto d'ora.
In quel tempo, mi impegno per prestare la mia totale attenzione al piccolo Duke, che cerca di scorrazzare liberamente per il parco senza essere ostacolato dalla fasciatura alla zampa ferita.
E fingere di essere assorbita nel mio, ormai passato, ruolo di dog-sitter, sembra funzionare moderatamente bene.
È durante il viaggio di ritorno, che Calum riduce la distanza che ci separa, prendendo a camminarmi accanto. La sua scusa, palesemente per nulla premeditata, è "Ti stai prendendo tutta l'ombra".
Nonostante vorrei rispondergli a tono o scansarlo direttamente con una spallata -tanto neanche lavoro più per lui- mi limito a grugnire infastidita e a fargli più spazio. Rimedio inutile, dato che neanche due secondi dopo, il suo fianco è di nuovo appiccicato al mio.
Quando mi accorgo che il mio ennesimo sbuffo contrariato, gli provoca un sorriso soddisfatto non indifferente, mi volto per rifilargli un'occhiataccia.
"Davvero molto maturo" ironizzo, schioccando le dita in direzione del cagnolino per attirare la sua attenzione. Il meticcio però abbaia in direzione di un gruppetto di ragazzini, che sbattono i piedi a terra per farlo agitare, finché non lo tiro via a forza.
"Li vedi quei tipi là? Avranno non più di tredici anni" illustro, indicandoli con un cenno del capo. Calum squadra la compagnia con un certo disinteresse e poi fa segno di "Sì" con la testa. "Ecco, condividete lo stesso livello di giudizio" lo insulto, aspettandomi una risposta altrettanto piccata.
"Rilassati, stavo solo giocando" ribatte invece, restaurando la distanza che aveva mantenuto per tutto il percorso dell'andata.
Lo osservo con la coda dell'occhio mentre si infila le mani nelle tasche dei pantaloni di jeans e calcia un mucchio di sassolini lungo la strada.
"Comunque" comincio a mezza voce, tentando di combattere l'indecisione. "Volevo chiederti ... da quand'è che ti piaccio?".
Calum mi guarda con la coda dell'occhio e abbozza un sorriso sornione. In quel momento, mi pento di avergli posto la domanda.
"Rispondimi seriamente" lo anticipo, puntandogli un indice contro in segno di avvertenza.
Lui mi squadra velocemente e poi si concentra a guardare la striscia di oceano scintillante all'orizzonte.
"Da quando ti ho sorpresa stravaccata sul mio divano" annuncia, guardandomi arrossire tremendamente sotto il sole cocente. Io annuisco lentamente e trascino via Duke da un palo della luce, che trova leggermente troppo interessante per i miei gusti.
"Non da molto, quindi" ribatto, tentando di dissipare l'imbarazzo con un colpetto di tosse forzato.
"Che vuol dire non da molto? Per non averti mai detto nulla fino a ieri sera, è molto!".
"Perché se ti piace una persona tu glielo dici subito?" ribatto, con gli occhi spalancati e le labbra leggermente aperte.
Non ci credo che esistono persone del genere al mondo.
"Certo" conferma in piena tranquillità, voltandosi per controllare la mia espressione sconcertata. Mi copro il viso con la mano libera e scuoto la testa "Tu non sei umano!".
"Ma perché? Che c'è di male nel confessare i propri sentimenti? E poi mica è detto che bisogna per forza iniziare a frequentarsi subito dopo! Guarda la nostra situazione, per esempio. Non c'è nessun imbarazzo e siamo ancora amici" spiega, facendo spallucce con una nonchalance a dir poco invidiabile.
"Questo lo dici tu" borbotto tra me, ma non abbastanza a bassa voce, dato che intercetta facilmente il mio flusso di parole.
"Che vuoi dire?".
"Che io sto morendo di vergogna! E questa è una situazione insostenibile per me!" sbotto, tanto forte che anche Duke si volta a guardarmi.
La sua espressione e quella del suo padrone sono pressapoco identiche. Calum alza le sopracciglia, evidentemente sorpreso, e resta a fissarmi per una manciata di secondi.
"Non pensavo" mormora lui, guardando a terra mentre ci avviciniamo sempre più al famigliare condominio.
"Già, è una cosa che i maschi non fanno molto spesso" borbotto, tanto cattiva che quasi mi sibilano le "s".
Calum ignora il mio commento e invece si scusa brevemente, per poi aggiungere "Ora capisco perché cercavi di nascondere in tutti i modi di essere una fan della band e di conoscermi già molto bene".
Ed è a meno di venti metri dal viale d'ingresso, che mi congelo sul posto. È come se fossi stata travolta da una bufera di neve proveniente dall'Antartide.
Prendo un respiro profondo e resto a fissare insistentemente l'asfalto del marciapiede, come se l'intensità del mio sguardo possa scavare un buco abbastanza profondo da riuscire a nascondermi dalla testa ai piedi.
"C-che?" balbetto, insicura di aver sentito bene. Spero davvero che non abbia davvero tirato fuori questo argomento.
Ma, per mia solita fortuna, continua "Era chiaro che il tuo intento fosse quello di non farmelo capire, anche se non sei stata molto brava" e ancora "Cioè, ci sono stati diversi momenti in cui ti sei fatta scoprire. Puoi ammettere che non sei un asso nel mentire, no?".
Io annuisco lentamente con il capo, solo perché al momento è l'unica cosa che riesco a muovere senza che mi vengano, che so, le convulsioni.
Il mio corpo è un blocco di cemento, pronto a fondersi con il suolo circostante.
"Ad esempio? Che momenti?" Gli chiedo poi, tentando di guardarlo in faccia senza però mostrargli il rosso intenso che mi colora tutta la faccia.
Sicuramente assomiglio più a Po dei Teletubbies, che ad un essere umano.
"Ad esempio al supermercato" dice e io sono già pronta a mollargli il guinzaglio di Duke e sfrecciare a tutta birra verso casa mia.
Dimenticate l'autobus, sono sul punto di scattare come un corridore olimpico per la medaglia d'oro ai 100 metri.
Calum si volta verso di me e si fa pericolosamente vicino. Così, senza alcun preavviso.
"Non so perché ti comporti così" inizia, "Sapevi che ero nelle vicinanze, perché mi avevi già visto tra una corsia e l'altra, però parlando con il tuo amico di New York hai comunque urlato ai quattro venti che leggi storie erotiche su di me".
Non appena quelle due parole gli scivolano giù dalle labbra, "storie erotiche", mi lancio con tutto il corpo in sua direzione, per zittirlo.
Gli premo il palmo della mano sulla bocca e resto a fissarlo con gli occhi ridotti a due fessure. "Non urlare!" Lo ammonisco, guardandomi freneticamente intorno.
Lui ridacchia e mi afferra il polso, trascinando la mia mano sul suo petto. "Cavolo" mugugno, trattenendomi a fatica dal tastargli i muscoli.
"Quindi è vero" dice lui, sorridendo a trentadue denti.
"Cosa?".
"Che leggi fanfiction sconce su di me" ripete, facendomi di nuovo scattare in avanti. "Zitto!" Urlo, provando a tappargli di nuovo la bocca con le dita.
Lui però è più veloce di me nel reagire e mi intrappola la mano con la sua.
Mi si incastra il respiro in gola per quella che sembra la centesima volta e quando lui riduce ancor di più la distanza, io gli spingo i palmi delle mani all'altezza delle clavicole. Applico quanta più pressione posso, ma non è comunque abbastanza da spostarlo.
"Che c'è? Non vuoi che mi avvicini?"
"No".
"E perché?" Sogghigna lui, evidentemente divertito dalla situazione.
"Non ci capisco più niente sennò" mormoro, strofinandomi una guancia bollente sulla manica della maglia.
Lui ride e muove le dita di una mano dalla spalla sinistra, alla curva del mio collo. Ha i polpastrelli caldi e quando mi infila una mano dietro la nuca e poi tra i capelli, sussulto come se le due dita fossero cubetti di ghiaccio.
"Dopo che ti avrò baciata, cosa pensi che accadrà?" sussurra, appoggiandosi con la schiena al muretto di cemento accanto al cancello zincato.
Non dà segno di voler mollare la presa, quindi vengo praticamente strattonata nella stessa direzione. Per poco non collido con il suo corpo, ma con un palmo si assicura di stringermi un fianco ed incastrarmi tra le sue gambe.
"C-che?" Farfuglio, imprecando però coloritamente tra me.
Non so che intenzioni abbia, ma dovrebbe sapere che la mia forza di volontà si riduce a nulla quando c'è di mezzo lui e del contatto fisico.
Calum ripete la frase, questa volta con una leggerezza che quasi mi irrita, mentre mi strofina un pollice sulla guancia.
"Dopo che ti avrò baciata, me lo lascerai fare di nuovo?" Spiega "O sarebbe meglio che ti lasciassi perdere completamente?".
Deglutisco e mi mordo un labbro, attirando così la sua attenzione su quella specifica parte del mio viso. Colgo persino il movimento languido con cui le sue pupille d'inchiostro scivolano sulla mia bocca, per poi fermarvisi sopra.
Il suo pollice segue, e si ferma al centro del mio labbro inferiore, lasciandomi esterrefatta dall'intimità del contatto. Lo stomaco mi si contrae più volte, quasi dolorosamente, dall'eccitazione.
Essere un'essere umano è quasi faticoso alle volte, ragiono, perché controllare le pulsioni carnali non è facile come si potrebbe pensare.
"Non lo so" rispondo "Forse sarebbe meglio che ti allontanassi adesso".
"Sarebbe meglio, è vero" conferma lui, ma nonostante le sue parole concordino con ciò che la mia coscienza sta pensando, non si sposta comunque.
"Che stai facendo?" Gli chiedo quindi, mentre avvicina il suo naso al mio.
"Dopo ciò che ho detto di sopra, sarebbe poco coerente se ti baciassi adesso, vero? Però vorrei tanto farlo, una volta sola, per sentire che sapore hanno le tue labbra".
Io impallidisco e le serro in una linea strettissima "Ho mangiato una banana prima di uscire di casa" mormoro, completamente presa dal panico.
Lui resta in silenzio per qualche istante, poi le palpebre gli diventano due linee sottili e piegando la testa all'indietro, scoppia a ridere fragorosamente.
Quando torna a guardarmi, gli luccicano gli occhi. "Santo Dio" penso, "Mi vuole proprio mettere nei guai".
"Quindi?" Gli chiedo io, particolarmente impaziente. E in un decimo di secondo, decido che non mi importa di essere una ragazza a modo e coscienziosa.
"Se lo vuoi davvero, devi farlo finché sono qui. Potrei tagliare la corda da un momento all'altro" gli dico, stringendo il cotone della sua maglia tra le dita.
"Okay" dice ancora ridacchiando, "Però è la prima ed ultima volta, ricorda".
Io annuisco lentamente e quasi mi pento di ciò che ho detto. Quindi, "Dovrei essere io a dirtelo. Non accadrà mai più" aggiungo. Poi con lo sguardo sfioro le sue labbra carnose.
"Comunque sia, muoviti a baciarmi", lo incito e "Madonna, Vanilla", mi rimprovero mentre serro le palpebre e perdo il contatto con i suoi occhi scuri "Sembri proprio disperata così".
MY SPACE:
Finalmente sono riuscita a farli baciare! Ha senso inserirlo a questo punto della storia? Forse sì, probabilmente no, però non importa!
Prima di arrivare al quindicesimo capitolo mi ero ripromessa di far accadere qualcosa che non rendesse la storia una noia mortale. Prometto che nei prossimi capitoli spingerò un po' di più sull'acceleratore!
Comunque, spero che la lettura non vi abbia fatto schifo e speriamo di vederci anche al prossimo capitolo!
(Ah, sono in università tutto il giorno oggi, quindi se lasciate qualche commento mi intrattengo a leggerli. Salvate una vita).
-Sara
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