Capitolo tre
Durante il tragitto verso casa di Calum cambio idea circa una dozzina di volte e per poco scendo dall'autobus neanche due minuti dopo esserci salita. Però stringo le dita attorno alla maniglia di sicurezza e mi schiaccio contro un sedile per lasciar scendere una signora sovrappeso, carica di buste della spesa.
L'aria è rovente e ad ogni respiro mi sento ribollire l'ossigeno nei polmoni. Un uomo con dei grandi occhiali da sole incastrati tra i capelli, urla al conducente di aprire la botola sul tettuccio e tutti noi ci lasciamo andare ad un sospiro di sollievo, quando una folata d'aria tiepida entra nell'abitacolo.
Fortunatamente le strade non sono molto trafficate e arrivo a destinazione dopo solo cinque fermate. Non appena i miei piedi toccano l'asfalto del marciapiede mi affretto ad estrarre la bottiglietta d'acqua dallo zaino e ad ingollarne metà tutta d'un fiato.
"I quindici minuti peggiori della mia vita" borbotto, afferrando la scollatura della canotta e sventolandola vigorosamente, nella speranza di creare un flusso d'aria.
Quando, finalmente, intravedo il vialetto di cemento del condominio, la mia bottiglietta d'acqua è completamente vuota e il davanti del mio top sfoggia una grossa chiazza trasparente. Inutile dire che camminare velocemente e bere senza sbrodolarmi non è una mia abilità.
Apro il cancello zincato con un calcio svogliato, sapendo bene che il chiavistello è rotto da qualche settimana ormai, e mi dirigo verso l'ingresso.
Man mano che mi avvicino, il mio riflesso si fa gradualmente più nitido sulla grande vetrata a specchio del portone. Mi dò un'occhiata, ma sono velocissima a distogliere lo sguardo dalla mia faccia arrossata e praticamente sconvolta dal caldo.
Ignoro il rosa acceso che mi colora le gote e scaccio con le mani i ciuffi più corti della frangia che mi si sono appiccicati alle tempie. Premo un tasto a caso sul citofono e attendo.
Da quando mi prendo cura di Duke quasi tutti gli inquilini del palazzo, ad un certo punto della loro giornata, mi hanno incrociata con il cagnolino al guinzaglio, al ritorno di una passeggiata o sulla soglia della porta, pronta ad avviarmi.
Quindi, quando chiedo permesso al vecchietto del primo piano, lui si limita a grugnire un "Sì" poco convinto e ad aprire.
Entrare in casa di Calum è anche più semplice. Con il fiato corto, mi piego sulle ginocchia e alzo il tappetino davanti la porta. Tasto il pavimento alla cieca per una manciata di secondi e poi afferro la chiave con un mezzo sorriso. Il nascondiglio manca sicuramente di immaginazione, ma di certo non me ne lamento.
Appena afferro la maniglia, iniziando a far girare la serratura, sento un leggero zampettare dall'altra parte della stanza. Le labbra mi si piegano in un sorriso involontario quando, dopo aver spalancato la porta, Duke non perde tempo e mi corre incontro.
Con gli occhi spalancati e la coda arricciata, impegnata in un frenetico scodinzolare, si alza sulle zampe posteriori per saltarmi sulle gambe.
"Ciao, cucciolone" lo saluto, chiudendomi la porta alle spalle ed acquattandomi a terra per accarezzarlo come si deve. "Anche tu mi sei mancato" aggiungo con una vocina leggermente più stridula del normale. Infilo le dita nella sua pelliccia folta e gli gratto energicamente la testa, sapendo perfettamente quanto lo apprezzi.
"Vanilla? Sei venuta ... ma non lavori oggi" dice Calum, fermandosi a qualche passo da me ed incrociando le braccia al petto. Ha il tono sorpreso, ma non irritato.
Non appena Duke sente la voce del suo padrone, inizia a dimenarsi come un forsennato, correndo subito nella sua direzione. Io, ancora inginocchiata sul pavimento, mi alzo in piedi con studiata lentezza e deglutisco il nodo di vergogna che mi serra la gola.
Sollevo lo sguardo su di lui e annuisco, graffiandomi i palmi delle mani con le unghie. "Sì lo so, mi andava".
"Non dovresti essere qui" vorrei dirgli e "Ero sicurissima che non ci saresti stato, ecco perché sono venuta. Non sono mica scema". Però serro le labbra e cerco di tenderle in un sorriso quantomeno convincente.
"Ero sicura che Duke avrebbe apprezzato una passeggiata fuori programma" mento, sistemandomi nervosamente lo zaino sulle spalle. Calum ridacchia ad alta voce e annuisce, indicando il divano in soggiorno con un gesto del braccio.
"Senza dubbio. Puoi portarlo fuori tra un po', intanto accomodati. Fai pure come se fossi a casa tua" dice e nonostante cerchi di ignorare il suo tono, sento chiaramente una forte nota di ironia in ognuna delle sue parole. Stringo i pugni e "Certo" rispondo prima di sedermi.
"Vuoi un tè freddo?" Mi chiede e dopo aver recepito la mia risposta, ovviamente affermativa, si dirige in cucina.
Impiega molto meno di quanto sperassi e nel giro di due minuti siamo entrambi seduti, più o meno alle rispettive estremità del sofà, con due bicchieri da birra colmi di ghiaccio.
Il silenzio, interrotto dagli occasionali interventi di Duke che saltella in giro per l'appartamento, mi consuma lentamente. All'inizio tento in tutti i modi possibili per trovare una distrazione, ma dopo aver fallito nel trovare un oggetto su cui concentrarmi, inizio a scervellarmi per tirar fuori un qualsiasi argomento di conversazione.
Peccato che le uniche cose che mi vengano in mente siano tutte relazionate alla sua carriera. In particolare agli anni in cui io facevo parte della massa di ragazzine urlanti che avrebbero volentieri aspettato ore, fuori da un'arena, per vederlo in concerto.
Sento un'ondata di calore investirmi il petto e mi riempio la bocca con una sorsata di tè, timorosa di lasciarmi scappare un singulto.
Calum, al contrario, sembra essere rilassato.
Dopo aver posato il suo bicchiere sul tavolino da caffè, si tuffa all'indietro e incrocia le braccia dietro la testa. Nel momento in cui Duke smette di sbatacchiare uno dei suoi giocattoli di stoffa davanti ai suoi piedi, voglioso di giocare, il suo sguardo si posa su di me.
Aggrotta le sopracciglia folte e "Quanti anni è che hai?" Mi chiede, tamburellando la punta di un piede sul pavimento. Io deglutisco e mi chino in avanti con la schiena, posando il bicchiere vuoto accanto al suo.
"Quasi venti, li compio ad Agosto".
La mia risposta lo fa annuire, poi lo sento mugugnare qualcosa, ma non riesco a capire nulla.
"Io ventidue, fatti a Gennaio" mi informa e quasi a metà della frase mi devo mordere la lingua per evitare di dire "Lo so".
Nonostante mi sia fermata giusto in tempo, dal modo incuriosito in cui mi scruta, capisco che abbia intuito qualcosa. Però fa finta di nulla.
"Quindi ancora non puoi bere alcolici. È un peccato" continua, scuotendo una ciabatta davanti il muso di Duke, che cerca di afferrarla con i denti.
Io annuisco, sentendomi leggermente meno intirizzita e gli dico che in realtà non è che mi dispiaccia più di tanto, perché non mi piace bere.
"Sul serio? Io e i miei amici non vedevamo l'ora di essere maggiorenni solo per quello" ride, scuotendo la testa.
E di nuovo, mi viene praticamente naturale annuire e ripetere "Lo so". Perché nonostante lui non ne sia a conoscenza, io di curiosità come quelle ne conosco a bizzeffe. Non solo su di lui, ma anche sui suoi tre migliori amici.
"Lo sai?" e nonostante le parole gli escano dalle labbra con tono leggero, accompagnata da un sorriso rilassato e genuinamente divertito, io non posso che sentirmi male.
"Bè, alla fine gli adolescenti sono tutti uguali. Arrivati ad una certa età desiderano tutti fare le stesse cose, insomma".
"Questo è vero. Però le tue reazioni ..." sospende la frase e inclina la testa da un lato, scrutandomi abbastanza intensamente.
"Cosa?" Balbetto, sforzandomi di rimanere calma.
Calum aspira una boccata d'aria, producendo un sibilo acuto, poi fa spallucce. "Niente. Non preoccuparti" sorride.
Io annuisco alle sue parole e sospiro di sollievo.
Durante i due mesi in cui ho lavorato per lui non ho mai avuto così tanti problemi nel nascondere questo dettaglio del mio passato, ma dall'incontro non pianificato di venerdì sembra andare tutto a rotoli.
Sarà perché tutte le altre volte in cui avevo dovuto parlarci, non più di quattro, mi ero preparata in modo da non fargli capire che in realtà conoscevo già gli aspetti più superficiali della sua vita.
Ad esempio perché fosse assente la maggior parte del tempo perché, in primo luogo, avesse bisogno di una dogsitter che si prendesse cura del suo cane.
"Di solito lo lascio con mia sorella, ma vive a Londra e io ho ricominciato a lavorare da poco" mi aveva spiegato e anche in quell'occasione, mi ero trattenuta a stento dal rispondergli qualcosa tipo "Lo so, tua sorella Mali-Koa lavora con un etichetta musicale britannica e i tuoi genitori vivono ancora in Australia".
Già, sarebbe stato a dir poco inquietante.
A volte mi chiedo se sarebbe così male se lui sapesse la verità e per qualche istante penso che Calum non sembra affatto il tipo di celebrità che ne farebbe un gran problema.
Però a questo punto ho costruito una torre di piccole bugie talmente alta che un solo movimento fuori posto potrebbe farla crollare. Immagino che lui si arrabbierebbe, licenziandomi in tronco. E sinceramente parlando, adoro questo lavoro e mi piace prendermi cura di Duke, quindi vorrei preservare il mio posto il più a lungo possibile. Senza menzionare che la paga non è affatto male.
"In più, casa tua è piena di foto e cose del genere" aggiungo, sentendomi cento volte più rilassata. Però, non appena vedo un suo sopracciglio alzarsi, con fare insospettito, mi irrigidisco di nuovo. "Non che vada in giro a ficcanasare tra le tue cose! Dico solo che ci sono parecchie foto in giro".
Calum ridacchia leggermente e "Lo so. Le case tendono ad essere così" si limita a rispondere, afferrando i bicchieri per riportarli in cucina.
Quando in soggiorno rimaniamo solo io e Duke, che in realtà mi ignora alla grande per leccarsi le zampe in santa pace, mi lascio cadere sullo schienale del divano con uno sbuffo. Vorrei tanto sapere perché alle volte devo complicarmi la vita senza alcuna ragione.
Estraggo il telefono dalla tasca dei pantaloncini di jeans e scrivo un messaggio velocissimo a Merion, che mi risponde quasi subito.
"Non ci credo che ci sei andata davvero. È come se Cappuccetto rosso accompagnasse la nonnina nella bocca del lupo tenendole la mano " e "Sei una deficiente".
Strizzo gli occhi e gli mando una trafila infinita di faccine che piangono, per fargli capire la gravità della situazione.
Poi chiudo l'applicazione e resto a fissare la faccia priva di imperfezioni del leader del gruppo di KPOP dei GOT7, Lim Jaebum, che mi guarda con cipiglio irritato dalla home del telefono. "Lo so che sono una cretina, ma non ti ci mettere anche tu" borbotto e "Quanto vorrei fare la sitter ai tuoi gatti".
MY SPACE:
Dalla mia prospettiva è un capitolo un po' noioso, ma ci sono dei paragrafi utilissimi per capire meglio la situazione di Vanilla. Prometto che i prossimi saranno migliori.
Spero che la lettura non vi abbia fatto troppo schifo e speriamo di rivederci anche al prossimo capitolo.
-Sara
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