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Capitolo quattro

Quando Calum torna in soggiorno sono ancora sdraiata sul divano, con gli occhi chiusi e l'espressione di chi ha perso anche l'ultima goccia di speranza. Percepisco i suoi movimenti dai leggeri flussi di corrente che si trascina dietro e scatto a sedere non appena mi passa accanto.

"Non stavo dormendo" gli dico, guardandolo con gli occhi spalancati. "E non mi sono addormentata nemmeno l'altro giorno" aggiungo.

"Bè, anche se ti fossi appisolata sul divano per una mezz'ora non ti avrei comunque detto nulla".

"Quindi non ti ha infastidito?" Gli chiedo, con il petto più leggero.

"Certo che no! Per chi mi hai preso, un tiranno?" Quando sorride gli compaiono una miriade di piccole fossette sulle guance e intorno alle labbra carnose. Lo fisso per un paio di secondi e poi distolgo immediatamente lo sguardo, realizzando che quell'espressione in particolare mi ricorda il lockscreen del mio vecchio telefono.

Dicono tutti che quando diventi una fangirl, non hai più la possibilità di tornare indietro. Crescendo, per me era stato naturale interessarmi di nuovi generi musicali, abbandonando quello pop-rock che aveva dominato i primi anni della mia adolescenza. Ora però, capisco che dimenticare certe cose è praticamente impossibile.

"Adesso mi sento meglio. Sono stata in pena tutto il weekend perché temevo di averti lasciato una pessima impressione! Ci siamo incontrati così poche volte che ero preoccupata che vedessi solo il lato negativo. E poi hai detto che questa settimana non hai bisogno di me" gli spiego, pentendomi un istante dopo della quantità di informazioni non necessarie inserite nel discorso.

Calum si apre in un sorrisino divertito e scuote la testa, recuperando il guinzaglio rosso da uno scaffale, accanto al televisore al plasma.

"Non c'è bisogno che tu lavori, solo perché sono libero e posso stare io con Duke" spiega, inginocchiandosi per agganciargli il collare.

Io mi alzo in piedi e mi sistemo di nuovo lo zaino sulle spalle. "Ah, certo. Sei in ferie" mormoro.

"Non esattamente. Io e i membri della mia band abbiamo dei ritmi di lavoro molto particolari. Direi che non siamo mai in ferie".

"Come no, infatti non vi siete mica presi una pausa di tre lunghissimi anni" penso, nascondendo a malapena un grugnito di dissenso.

"Immagino. Però deve essere figo fare il musicista" dico invece.

Quando Calum si alza in piedi, con il guinzaglio in mano e i capelli ricci schiacciati da un cappellino blu notte con la visiera, io sto fissando insistentemente una chitarra acustica poggiata in un angolo del soggiorno. Con le guance in fiamme.

Non so dire quante volte, nel corso della mia adolescenza, ho immaginato di sentirlo suonare quella chitarra e dedicarmi una canzone.

Un'immagine più che fantasiosa, soprattutto perché in quegli anni la sua band era al picco della popolarità e anche solo avvicinarli per strada era impossibile. Però ricordo che quella fantasia mi dava uno strano senso di conforto e che prima di andare a dormire ascoltavo le loro cover acustiche a ripetizione.

Mi riprendo un po' solo quando Calum mi passa accanto, dirigendosi verso la porta. "In effetti è il lavoro più figo del mondo" annuisce, fermandosi in corrispondenza del piccolo mobile d'ingresso.

"Però ha anche i suoi lati negativi. Come tutto alla fine" confessa, leggermente soprappensiero. Resta in silenzio per qualche istante, poi lo vedo che scuote appena la testa e si infila le infradito ai piedi.

"Andiamo?" Dice, facendomi segno di seguirlo.

Camminiamo affiancati, sui marciapiedi larghi del suo quartiere, per la maggior parte del tragitto e quando il sole inizia a farsi fastidiosamente insistente, in tacito accordo, facciamo a gara per arrivare alla pozza d'ombra più vicina.

Svoltiamo un paio di volte verso destra e ci immettiamo in una zona meno frequentata, dove fioriscono numerose le aiuole e le fontanelle dell'acqua.

"Odio i lavori estivi" mormoro, trascinandomi lentamente verso una delle sorgenti, dove Calum si sta già bagnando la nuca.

Grugnisco, invidiando la sensazione rinfrescante che deve star provando, mentre l'acqua gli scorre tra i capelli corti. Strattono Duke in sua direzione, ma sbuffa e rifiuta di muoversi dalla zona d'ombra in cui si è seduto.

"Ti prego, amico. Collabora" borbotto, schioccando più volte le dita, come se servisse ad attirare la sua l'attenzione.

"Duke!". La voce di Calum è tutto ciò che il cucciolo ha bisogno di sentire per correre subito tra le sue gambe. Io gli rifilo un'occhiataccia e allungo un braccio, per permettergli di avanzare senza strozzarsi con la corda.

Strascico i piedi a terra e sbuffo animatamente, un po' a causa della sete e un po' per il modo in cui Duke mi ignora quando Calum è nei dintorni.

"Pensavo di piacergli" borbotto, chinandomi per bere dal beccuccio di metallo. Calum sghignazza e si inchina velocemente per grattargli il retro delle orecchie. "Certo che gli piaci. Ma io sono suo padre, è ovvio che preferisca me" risponde, continuando ad accarezzarlo.

"No comment" mugugno, guadagnandomi una sua occhiata divertita. "E io che ho sempre giocato con lui, che mi sono sempre lasciata intenerire dai suoi occhioni quando faceva la pipì sul pavimento!" continuo, ottenendo una risata da parte del moro.

"Sei simpatica" dice improvvisamente, facendomi quasi strozzare con la mia stessa saliva. Non mi aspettavo che sputasse fuori un complimento in questo momento.

"Come no" rispondo subito, non sapendo che altro dirgli. "Però anche io. Cioè, anche io penso tu sia simpatico" aggiungo poco dopo.

In realtà stavo pensando a quando, a sedici anni, avevo provato a comporre una canzone sulle sue mani. O quando, a diciassette, lo avevo rincorso per mezza Los Angeles per dargli una lettera che gli avevo scritto a mano.

Tossicchio via l'imbarazzo e ingollo un altra sorsata d'acqua, pulendomi le labbra con il dorso di una mano.

Quando alzo lo sguardo, Calum ha le dita tra i capelli e gli occhi chiusi. Butta la testa all'indietro e un fiotto di rivoli d'acqua gli scende lungo i lati del collo, disegnando vene trasparenti sulla sua pelle ambrata.

"Fatto?" Mi chiede, riempiendosi il palmo con altra acqua. Annuisco e aumento la lunghezza della corda di Duke, regalandogli qualche metro in più per esplorare e fare i suoi bisogni.

"Puoi darlo a me il guinzaglio" dice e mi offre la sua mano, ampia e calda. Io fisso gli occhi sulle vene spesse che gli si arrampicano lungo gli avambracci abbronzati e mi mordo l'interno guancia. C'è stato un periodo della mia vita in cui ero ossessionata dalle sue braccia. Deglutisco e scuoto la testa.

"Mi sono presentata a casa tua di punto in bianco con l'intenzione di prendere in prestito il tuo cane per qualche ora. Il minimo che posso fare è tenerlo io" gli dico, facendo spallucce. Lui sorride sotto i baffi e tace, infilando le mani nelle tasche dei pantaloncini.

Passano una manciata di minuti prima che parli di nuovo e quando lo fa, si volta momentaneamente a guardarmi. "In realtà ti avevo invitata a tornare" sogghigna leggermente.

Non riesco a trattenermi dallo sbuffare e gli rifilo un'occhiataccia. "Guarda che lo so benissimo che mi stavi solo prendendo in giro". Alzo gli occhi al cielo e aggiungo "Però il tuo appartamento è così bello che sono disposta ad ignorare la tua spiccata vena ironica per tornarci".

"Non è niente di speciale, però è un bel posticino. Hai ragione" annuisce.

"Quando vivi con i tuoi genitori da tutta la vita, qualunque posto privo di adulti si trasforma in Disneyland".

La mia battuta lo fa ridacchiare sofficemente. Duke zampetta allegramente nel prato curassimo di un aiuola e abbaia ad una farfalla che gli svolazza accanto. Entrambi lo osserviamo con un'espressione intenerita sul viso e continuiamo a camminare, immettendoci su una delle vie principali dell'isolato.

"Però non è facile abituarsi a stare da soli. Uno pensa di non stufarsi mai e invece passano poche settimane e già ti mancano tutti" confessa, con voce bassa.

Il tono con cui l'ha detto mi lascia intuire che sia una di quelle riflessioni che non necessitano di risposte. Così faccio un breve cenno d'assenso col capo e resto in silenzio.

"Sei una persona estroversa?" Gli chiedo poi, tentando di dissolvere la tensione. Assesto un calcio scoordinato ad un sasso e lo guardo sfrecciare lungo l'asfalto.

Quello rotola per qualche metro e finisce in un tombino, piombando nelle fognature con un tonfo sordo.

"Prima che conoscessi i miei migliori amici per niente, adesso diciamo di sì" risponde lui, senza alcuna esitazione.

Annuisco e "Io tendo sempre ad isolarmi, all'inizio" ammetto con leggerezza. "Però non mi dispiace. Cioè io ci sto bene".

Calum non sa cosa rispondere ed entrambi prendiamo a guardarci intorno come se fosse la prima volta sul pianeta Terra, tentando di distrarci da quel poco imbarazzo che ancora aleggia tra noi.

In lontananza, vedo due sagome indicarci. Strizzo gli occhi per pulirmi gli occhi dai raggi del sole e gli rifilo una gomitata al fianco destro.

"Cavolo! Hai le ossa affilate".

"Non so se prenderlo come un complimento, ma adesso non è importante. Ho visto qualcosa".

"Cosa?".

Allungo un dito e gli indico un negozietto di cover per telefoni. "A ore dodici. Dietro quelle sagome di cartone. Ecco! Le vedi?".

Due ragazzine, a una decina di metri, confabulano fitte fitte e piuttosto indiscretamente, dietro i loro cellulari. Una delle due ha il flash acceso, puntato dritto verso di noi. O meglio, verso di Calum.

"Mi hai fatto prendere un colpo! Vanilla, mi avranno semplicemente riconosciuto. Saranno delle fan, mica dei terroristi" si lamenta, strofinandosi il punto in cui l'ho colpito.

"Ho capito, ma io sono sicurissima che posteranno una marea di quelle foto su internet".

"E quindi? Non è un reato, alla fine sono un personaggio pubblico".

Sbuffo e tiro via Duke da un palo della luce che sembra trovare fin troppo interessante. Lui si rifiuta di starmi vicino e si gira per abbaiarmi contro. Chissà perché, ma ha deciso che oggi non mi sopporta.

"Quindi, non avrei nulla di cui lamentarmi se non fosse che nell'inquadratura ci sono sicuramente anche io" gli spiego, voltandomi in modo da dare le spalle alle due ragazze.

"Capisco" mormora lui, afferrando il guinzaglio di Duke dalle mie mani. "Dammi il telefono" mi ordina dopo, infilandosi gli occhiali da sole che aveva agganciati al collo della canotta.

"Perché?" Lo osservo con gli occhi stralunati.

Lui scuote la testa e mi zittisce, ripetendomi l'istruzione con insistenza fin quando non cedo e con un sospiro, volutamente esagerato, gli consegno il mio vecchio iPhone.

"Adesso ci facciamo un selfie e puoi andare a casa in tutta tranquillità".

Prima che possa protestare, Calum mi si avvicina e piazza la fotocamera intera del telefono davanti alle nostre facce sudate, inclinandola in modo da prendere anche Duke, che finalmente riposa ai nostri piedi.

"Ecco fatto, adesso penseranno che tu sia una fan come loro e i pettegolezzi nella tua testa evaporeranno con la calura di quest'estate" mi sorride, dandomi una pacca amichevole su una spalla.

Rimango senza parole per qualche secondo, poi, quando riprende a camminare, lo raggiungo con due ampie falcate. Mi schiarisco la gola e butto fuori le prime parole che mi vengono in mente.

"Ma, per caso, pensavi che mi stessi preoccupando perché quelle foto potrebbero scatenare un Dating Rumor tra noi due?".

"Sì, perché? Capisco il problema, ma non ti dovresti preoccupare di cose del genere. Succede in continuazione che scambino delle mie amiche per possibili fidanzate".

"Come ti è venuto in mente? È ovvio che non stessi pensando a quello!" rispondo, forzando una risata.

Lui scuote semplicemente la testa e prima di parlare arriccia le labbra. Sembra leggermente imbarazzato, però fa il disinvolto.

"Ah no? Boh, sembrava che stessi pensando a qualcosa del genere. Quindi ho cercato di risolvere nel modo più semplice e veloce possibile. Vabbè, meglio così. Abbiamo guadagnato una foto insieme!".

Piego le labbra in una smorfia, tentando inutilmente di reprimere un sorriso.

"Sicura che non fosse per quello?" Insiste.

Io mi limito a fare spallucce. "No, ma ti pare! Ero solo preoccupata perché vengo malissimo nelle foto a distanza".


MY SPACE: 

Ho dovuto riscrivere questo capitolo almeno quattro volte perché, per dirlo in modo semplice, mi faceva cagare. Penso che meglio di così non possa correggerlo meglio, quindi mi sono rassegnata. 

Spero che la lettura non vi abbia fatto troppo schifo e speriamo di rivederci anche al prossimo capitolo.

-Sara




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