Capitolo diciassette
Il sole del primo pomeriggio mi brucia le spalle e parte del viso.
Fa così tanto caldo che sento la superficie della pelle sfrigolare sotto i raggi bollenti e il primo strato d'epidermide incendiarmisi.
Dire che sto sudando intensamente è poco, dato che percepisco chiaramente la stoffa leggera del mio top a fiori incollarmisi ai fianchi.
Però è il giorno del mio finto compleanno, quindi ho il sorriso incollato alle labbra dalle prime luci dell'alba.
Stranamente, non appena sveglia, ho ricevuto la stessa sensazione di euforia mista a nervosismo che sento ad ogni compleanno.
Parlo di quell'aspettativa che hai quando è il tuo giorno speciale e ti aspetti di sentire il tuo nome sulla bocca di tutti, anche di chi a malapena si ricorda del tuo aspetto, seguito da un augurio e un sorriso sincero.
Il problema è che, tanto per cominciare, non compio gli anni fino al mese prossimo e che neanche mia madre ha la minima idea di che giorno sia oggi.
Non solo all'alba sono dovuta sgattaiolare come un'intrusa nella mia stessa stanza, onde evitare che mi beccassero fuori di casa molto dopo il coprifuoco, ma ho dovuto sorbirmi anche l'atteggiamento gelido che mamma ha nei miei confronti.
So benissimo che il suo è solo un modo molto antipatico di dimostrarmi che non ha intenzione di lasciar andare il litigio di ieri, quindi cerco di pensare positivo.
Almeno non mi ha urlato contro appena sono scesa in cucina.
La mia voglia di condividere la gioia che provo, al solo pensiero di passare questa giornata con Calum, viene spazzata dai suoi rapidi colpi di ventaglio.
"Che giorno è oggi? Non è giovedì?" risponde con tono interrogativo, ignorando la mia espressione delusa.
Chiude lo strumento con un movimento secco del polso e si alza dal tavolo senza neanche guardarmi.
Invece, come ogni mattina, si alza dallo sgabello e inizia a riordinare la pila di giornali che papà ha lasciato sparsi sul bancone della cucina.
Io alzo un sopracciglio e piego le labbra in una smorfia.
"No, è venerdì" mi limito a correggerla, versando i cereali nella mia tazza preferita e soffocandoli con una marea di latte freddo al cioccolato.
In pratica, l'unico che sembra condividere la mia contentezza sembra essere Duke. Che però è un cucciolo e quindi naturalmente iperattivo.
Dal primo momento in cui mi ha vista entrare dalla porta d'ingresso, non ha perso tempo nel corrermi incontro e farmi le feste.
Parte della ragione risiede nel fatto che gli stessi sventolando il suo collare da passeggio sotto il muso e che quindi avesse capito benissimo le mie intenzioni.
Però, anche se era super felice solo perché sarebbe stato in grado di giocare all'aria aperta, mi ha ugualmente fatto tornare il buon umore.
Mentre lo guardo correre come un ossesso verso una macchia d'ombra, trascinandomi dietro di lui praticamente priva di energie, io e Duke siamo felici.
Abbiamo le nostre ragioni, ma condividiamo la stessa emozione con la stessa intensità, quindi me lo faccio bastare. Forse è per questo che il cane è stato denominato "il migliore amico dell'uomo".
Quando rientriamo a casa, entrambi a passo lento e con la lingua a penzoloni, Calum è serenamente seduto su uno sgabello in cucina.
Sorseggia una birra fredda da una bottiglia di vetro verde scuro ed è a petto nudo.
Lascio che il mio sguardo ponderi per qualche istante di troppo sui muscoli del suo petto e la pancia piatta, solo poi mi chino per liberare Duke dall'incastro del guinzaglio.
"Siete già tornati" dice lui, tra un sorso e l'altro.
Ha il telefono nero stretto in un palmo e lo sguardo puntato sullo schermo. Non penso mi abbia neanche vista.
Non riesco ad evitare di sospirare pesantemente e squadrarlo con un'occhiataccia, che a quanto pare è talmente intensa da riuscire a catturare la sua attenzione.
"Almeno abbi la decenza di infilarti una canotta" mi lamento, osservando un'ultima volta la rifinitura lucida della sua pelle ambrata, prima di schioccare la lingua sul palato e dirigermi verso il frigo.
Lui scuote la testa e scende dallo sgabello, affiancandomisi a destra "Tu sei matta, si crepa di caldo".
"Lo so, molto bene. Ma vederti nudo mi disturba" mento, ingollando la metà di una bottiglietta d'acqua frizzante. Diciamo che è una mezza verità, dato che è un tipo di disturbo piacevole.
Calum mi colpisce una tempia con una nocca e mi spinge a guardare a terra. "Ma se ho anche i calzini" dice, muovendo le dita dei piedi all'interno della stoffa bianca.
Io sbuffo e nascondo un sorriso. "Se devo patire l'afa con una maglietta addosso, allora anche tu" annuncio, tornando a sorseggiare la bibita fredda con forzata nonchalance.
"Toglitela pure" concede Calum, ridendo rumorosamente quando io emetto uno strano singulto dalle labbra e quasi mi strozzo con l'acqua minerale.
Gli lancio un'occhiataccia mentre mi batte ritmicamente una mano sulla schiena e lo spintono via, schiacciando la plastica nel palmo di una mano.
"Sei uno stronzo" sputo a denti stretti, guardandolo con la coda dell'occhio mentre getto via ciò che rimane della bottiglia.
Lui non fa assolutamente nulla per camuffare la sua espressione compiaciuta e quando torno a guardarlo, ha ancora lo stesso sorriso sornione.
"Non ho fatto nulla" ribatte, osservandomi attentamente mentre mi avvicino a lui e gli sfilo la birra di mano.
Me la porto alle labbra e faccio una smorfia. "Ew, l'hai sbavata tutta" mi lamento, ficcandogliela di nuovo nel palmo, con un cipiglio profondo in viso.
In realtà neanche mi piace la birra. È che volevo fare qualcosa per coglierlo di sorpresa o confonderlo in qualche modo. Non penso abbia funzionato, però.
"Ti ricordo che ci siamo baciati" ribatte, muovendo le sopracciglia con uno strano ritmo. È volutamente malizioso.
Non so se sia colpa mia, della sua semi-nudità o del caldo che mi da alla testa, ma lo trovo tra l'irritante e l'attraente qualsiasi cosa faccia. Mi piace e lo odio.
"Più di una volta" aggiunge in seguito, facendosi più vicino.
Istintivamente gli premo il palmo di una mano su un fianco, per bloccarlo.
Peccato che per qualche istante mi dimentico che non indossa nulla e che questo è il primo contatto intimo che abbiamo mai avuto. Tipo, in assoluto.
E se vogliamo dirla tutta, è anche la prima volta che un semplice contatto diretto mi fa sentire cose discutibilmente adatte ad un pubblico minorenne.
Qui le cose sono due, o sono tanto frustrata sessualmente o lui è il dio greco Eros e non me l'ha mai detto. Direi che la prima è, tristemente, quella più probabile.
Sposto lo sguardo dal suo torso e noto solo ora che ha una striscia bianca attorno al naso, mere tracce di una qualche polverina.
Sicuramente è farina, però io mi schiarisco la gola e "Ma ti sei fatto di eroina?" Gli chiedo, cercando di risollevare l'atmosfera generale.
Lui ride e mi guarda con quei suoi occhi neri. Profondissimi.
Si infila le mani nelle tasche dei pantaloncini della tuta e si piega con la schiena per rubarmi un bacio a stampo. Rimango senza fiato a causa dell'inaspettata successione degli eventi e neanche mi accorgo che, strofinando la sua guancia sul mio viso, mi ha sporcato.
"Primo, l'eroina non si sniffa e secondo, stavo preparando la tua torta" spiega, passandomi un pollice sul mento per strofinare via la macchia di farina.
"Ah" mugugno e lo guardando come incantata, mentre apre lo sportello del forno e tira fuori una torta al cioccolato mezza sciolta.
A primo impatto, posso dire che sembra avesse avuto l'intenzione di farla quadrata. Ma alcuni angoli sono smussati e con la glassa tutta grumosa a coprirla sembra più una cupola irregolare coperta di fango.
Senza rendermene davvero conto, piego le labbra in una smorfia poco convinta e "Bella" commento.
Calum alza gli occhi al cielo e mi guarda mentre infilo un dito nella copertura, per assaggiarla. "Più bella che buona" commento.
"Mi hai detto di farla con le mie mani e io l'ho fatto! Apprezza il gesto almeno" si imbroncia lui, tendendo il vassoio di alluminio verso di me.
Glielo prendo dalle mani e con un mezzo sorriso lo accantono sull'isola della cucina alle mie spalle, accanto ad un tagliere di legno chiaro mai utilizzato e una ciotola che contiene della frutta di stagione.
"Grazie mille" sussurro, circumnavigandolo in modo da potergli allacciare le braccia attorno alla vita.
"Ho davvero un ragazzo fantastico" aggiungo con la voce praticamente bloccata in gola.
Poi mi alzo sulle punte dei piedi e gli imprimo le labbra su una guancia sbarbata, anche se sto sudando dal nervosismo e non sono per niente convinta che i miei gesti gli piacciano.
"Adesso va meglio" borbotta lui, sorprendendomi. E come se la sua reazione, adorabile direi, non bastasse, mi copre le mani con le sue e si volta, in modo da potermi afferrare i fianchi e spingermi contro il bancone.
Le nostre fronti si sfiorano e l'aria mi si impiglia in gola. Oggi proprio non vuole lasciarmi respirare in pace.
Un moto di quella che mi sembra ansia, mixata con una certa dose di eccitazione, mi risale lo stomaco.
Poi lui si china, di nuovo, per unire le nostre fronti e io mi trovo costretta a trattenere il fiato perché sono preoccupata che gli aliti in faccia. Non ricordo se mi sono lavata bene i denti prima di uscire di casa.
Però poi Calum mi afferra il mento tra due dita e mi guarda fisso negli occhi, stampandomi un altro bacio nel punto in cui la sua pelle incontra la mia.
Allora accade una cosa stranissima e le labbra mi iniziano a formicolare da matti al contatto mancato.
È come se fossero invidiose di non aver ricevuto attenzione.
Mi devo persino sforzare di non arricciarle in qualche modo strano, onde evitare che lui pensi che il mio sia un modo per chiedergli di baciarmi.
Peccato che sia esattamente quello che voglio.
"Hai un occhio solo, sei un ciclope!" ridacchio invece, stupidamente, per scaricarmi la tensione di dosso.
Per fortuna la mia osservazione è seguita dal sorriso intenerito di lui. Il tipo adornato da un miliardo di fossette.
"Anche tu" mi sussurra sulle labbra. "Un bellissimo occhio, aggiungerei".
E senza perdere altro tempo ci baciamo, questa volta più a lungo.
È tutto uno scorrere di labbra e rincorrersi, tirare e mordicchiare finché non mi prende in braccio.
Ci stacchiamo solo momentaneamente, per quel secondo in cui penso di dire "Oh, ma sono pesante!".
Però sono abbastanza fortunata da essere fermata di nuovo dalle sue labbra carnose. Avrei detto la cavolata del secolo.
Quindi mi sto zitta e mi limito a far viaggiare la mente, mentre mi mette a sedere sul tavolo della cucina.
Ci tiriamo le braccia e i fianchi a vicenda, per avvicinarci sempre di più l'uno all'altra, e poi finiamo per urtare la torta.
O meglio, il mio culo colpisce la teglia e subito dopo il pavimento è un disastro di cioccolato e panna montata ormai squagliata.
"Cavolo, volevo proprio mangiarla" ironizzo, guadagnandomi dei pizzicotti sui fianchi da un Calum giocosamente infervorato.
"Non ridere! Ci ho messo due ore" piagnucola, chinandosi per raccogliere ciò che rimane del suo dolce.
Io salto giù dal bancone e mi drappeggio sulla sua schiena, abbandonandomi contro di lui.
Il ronzio del suo respiro e i battiti profondi del suo cuore risuonano attraverso entrambe le nostre casse toraciche. Chiudo gli occhi e per un momento credo per davvero che il suo corpo si sia fuso con il mio.
"Vuoi farle il funerale?" Gli chiedo, infilandogli le dita tra i ricci per massaggiargli la cute.
Lui non risponde e si imbroncia, picchiettandomi una coscia per segnalarmi di rimettermi in piedi.
"Torta orrenda ed estremamente dolce creata da Calum Hood, ci mancherai" proclamo con un tono buffo, unendo le mani dietro la schiena e inchinandomi di fronte al cumulo di pan di Spagna al cacao.
Calum mi guarda con gli occhi ridotti a due fessure e fa finta di detestarmi per un decimo di secondo.
"Ora però andiamo" lo ignoro, afferrandogli la mano e trascinandolo verso la porta d'ingresso.
Lui mi lancia un'altra occhiata torva, ma non protesta.
"Dove?" Chiede invece.
"A mangiarne una decente".
Per la mia finta festa di compleanno scegliamo un piccolo bar all'angolo della strada.
È abbastanza vicino all'appartamento da permetterci di camminare solo per un paio di minuti e disseminato di paraventi di legno in ogni dove.
Il nostro tavolo, su richiesta di Calum accantonato nell'angolo più profondo ed appartato del locale, è completamente coperto da fette di torta.
Lui ne mangia una alle carote, che io osserva schifata con la coda dell'occhio perché l'arancione è un colore che odio e perché riservo lo stesso sentimento per le verdure. Ma soprattutto per le carote.
Quindi degusto cucchiaiate della mia classica Red Velvet alternando i bocconi a sorsi di un cappuccino al cacao un po' troppo annacquato.
Ammetto che, data anche la calura pomeridiana, non è stata una scelta molto intelligente. Però ha un buon sapore.
Calum, invece, sorseggia un Americano ghiacciato senza zucchero. Guardo anche quello con una smorfia sulle labbra.
"Certo che i nostri gusti sono totalmente diversi" ragiono ad alta voce, dopo averlo visto succhiare altro caffè gelido dalla cannuccia nera.
Calum deglutisce e alza lo sguardo dal suo dolce per guardarmi dritto negli occhi.
Ha le guance accaldate e le basette rasate inumidite da piccole gocciole di sudore, però sembra comunque uscito da uno shoot fotografico.
Io, al contrario, sembro più una maratoneta fallita al suo ultimo miglio.
"In effetti lo trovo molto curioso" ammette, approssimando un sorriso tutto labbra tirate e fossette, che mi fa arrossire ulteriormente.
"Anche io" confermo, posando il cucchiaio sul piattino ora vuoto e allungandomi verso di lui. Poggio i gomiti sul tavolino, tentando di evitare tutti gli altri dolci che dobbiamo ancora provare.
"Che altro ti piace, che io odio?" Mi chiede, leccandosi le labbra per rimuovere dei residui di panna montata.
Io mi pizzico un pollice per evitare di allungare una mano e pulirgli l'angolo destro della bocca, ancora coperto della sostanza zuccherata.
Nonostante mi decori il dorso di pizzicotti rosacei, non riesco a trattenermi e finisco per farlo comunque.
Lui si immobilizza per qualche secondo, poi afferra un tovagliolo di carta dal distributore e se lo strofina sul mento con una risatina imbarazzata.
Io abbasso lo sguardo su una fetta di Apple Pie e considero di ficcarmene un bel pezzo tutto in bocca, tanto per soffocarmi una volta per tutte. Ma perché faccio cose così imbarazzanti?
Lui incrocia le braccia al petto e si rilassa contro lo schienale di legno della sedia.
Lascia vagare lo sguardo attorno al locale, pieno di tavolini per du dalle gambe metalliche sottilissime e tendine di cotone bianco, attraverso le quali filtra la luce aranciata del sole.
"Non lo so. Ti piace l'ananas sulla pizza?" Chiedo, scoppiando a ridere non appena la sua espressione si corruccia in una di ribrezzo.
"Che schifo" commenta, spalancando gli occhi quando io annuncia che "A me piace da matti".
Calum si porta una mano al viso e spalanca gli occhi. "Basta, è finita qui la nostra relazione" scherza, soffocando una risatina con un altro sorso di Americano.
"Prometto che non la mangerò mai davanti a te! Adesso suggerisci tu qualcosa" lo sprono.
"A me piace la musica rock degli anni ottanta e novanta" mi informa, attendendo con una buona dose di aspettativa che io gli alzi un pollice ed esclami "Anche a me!" Con tutto il mio entusiasmo.
Purtroppo però mi limito a mordermi un labbro e a scuotere lentamente il capo. Lui si acciglia visibilmente.
"A me per niente. A dire il vero, la trovo vecchia e noiosa" confesso, alzando le mani come per proteggermi da un attacco.
Calum sbuffa e si accascia giocosamente sulla superficie del tavolino. Un ricciolo gli finisce nella glassa appiccicosa di un rotolo alla cannella.
"Ti piace l'ananas sulla pizza e odi la mia musica preferita. Ricordami perché stiamo facendo questa cosa?" borbotta, percorrendo ripetutamente con un indice la distanza che ci separa.
Gli afferro la mano e me la accosto ad una guancia, sorridendo teneramente quando lui si mette a sedere composto per guardarmi con gli occhi scuri spalancati.
A quanto pare questo è il modo giusto di prenderlo alla sprovvista.
"Perché ci piacciamo a vicenda e perché eravamo entrambi molto curiosi di vedere come sarebbe stato frequentarci" rispondo io, sorridendo ampiamente.
"Non so nemmeno perché mi piaci" mugugna lui, muovendo un pollice su e giù, per accarezzarmi lo zigomo.
"Farò finta di non essermi offesa, ma non penso che abbia molta importanza a questo punto".
"Questo lo credo anche io".
MY SPACE:
Questo capitolo è di quasi 3000 parole, quindi scusatemi se vi è sembrato infinito. Scriverlo però, questo penso traspare anche dalla sua lunghezza, mi è piaciuto da morire.
Vi ringrazio per tutti i bellissimi commenti che mi lasciate, per i complimenti e in generale per essere anche solo arrivati fino a questo punto. Non ci credo che Heartstrings sta per finire, spero che restiate anche per leggere l'epilogo.
Spero che la lettura non vi abbia fatto troppo schifo e di rivederci anche al prossimo capitolo!
-Sara
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