Capitolo cinque
Quando vado a lavoro, il giorno dopo, Calum non è in casa. I miei sentimenti al riguardo sono parecchio combattuti, quindi piuttosto che rimuginarci sopra afferro Duke e lo trascino sul divano.
"Dov'è andato?" Gli chiedo, lanciando un'occhiata alla porta d'ingresso. Dopo la passeggiata di ieri mi aspettavo almeno che mi salutasse prima di andarsene. Probabilmente pretendo troppo.
Il cagnolino arrotola la coda e ci si siede sopra, guardandomi con gli occhi marroni spalancati. "Non mi dici niente?" insisto, muovendogli le dita davanti al naso umido. Lui cerca di afferrarmele con i denti e quando gli colpisco giocosamente un orecchio, sbuffa e scende a terra con un saltello svogliato. "Proprio non mi sopporti questa settimana, vero?" mormoro, sfilandomi il telefono dalla tasca.
Clicco sul contatto di Merion e mi sdraio, tuffandomi all'indietro con la schiena. Ascolto il ritmo monocorde della linea mentre squilla e scalcio via le scarpe, poggiando i piedi sopra un cuscino.
"Lo sai che sto cenando, vero? Impara a tenere conto del fuso orario!" Sono le prime parole che mi rivolge. Tra una frase e l'altra lo sento masticare aggressivamente. Mi scuso a mezza voce e mi lancio subito in una trafila di sbuffi intenzionalmente profondi.
"Dimmi tutto. Veloce! Prima che riattacchi" ordina, interrompendosi per sorseggiare dal bicchiere. "Come sai che c'è qualcosa di cui devo parlarti?" temporeggio, non sapendo come impostare la conversazione.
Merion è una persona molto diretta, oltre che impaziente, quindi confidarsi con lui a volte è più stressante più che utile.
"Forse perché mi hai chiamato? Avanti, Vanilla. Devo uscire con mia zia tra tipo mezzo minuto, mi urla dietro da mezz'ora".
Sospiro e fisso lo sguardo su Duke, che lecca il fondo della ciotola d'acqua con una certa insistenza. Dovrei alzarmi e riempirla, ma decido che riuscirà a sopravvivere altri cinque minuti senza dissetarsi.
"La farò breve allora. Uh ... si tratta di Calum".
"Guarda, sarò sincero con te. Non l'avrei mai detto!" esclama, ed ogni singola parola è sarcasmo puro. Grugnisco rumorosamente, rendendogli chiara la mia irritazione. Lui ride di gusto e le labbra mi si piegano in una smorfia infastidita. Certe volte mi viene voglia di prenderlo a pugni, è un peccato che viva a New York.
"Che vorresti dire, scusa? Vabbè che i miei problemi ultimamente vengono tutti da lui, però!".
"Lui non c'entra nulla. Il novantanove virgola nove per cento delle volte te li crei da sola i problemi" afferma. Non perdo tempo e protestato concitatamente, ma lui mi ignora con un paio di mugugni disinteressati.
"Sarò brutalmente onesto, quindi ascoltami bene: allontanati da quel cane prima che ti torni una mega-cotta per Calum Hood".
Scatto a sedere, presa alla sprovvista dalle sue parole. "Calum non è un cane!" sbotto.
Merion sbuffa e sbatte la forchetta sul tavolo. Il clangore metallico riverbera attraverso la linea, spaventandomi. "Ma quanto puoi essere stupida? Non parlavo di lui, ma del suo vero cane! Era un'espressione per dirti di mollare il lavoro".
"Sii più specifico la prossima volta" mormoro.
Restiamo in silenzio per un paio di secondi, poi scoppiamo a ridere entrambi, tanto che devo allontanare il cellulare dall'orecchio destro per prendere fiato.
"E comunque, la cotta per lui ce l'avevo in terza media! E solo perché era il mio preferito dei 5 Seconds Of Summer. Comunque, il mio passato da fan non c'entra nulla con i miei problemi attuali".
"E allora cosa? Cos'è che ti causa problemi, se non la tua passata ossessione per Calum? Me lo hai detto tu ieri sera, che durante la passeggiata lo hai visto in una luce diversa, che ti ha colto di sorpresa e tutto il resto".
Apro la bocca per ribattere e punto un indice al vuoto, con fare minaccioso. "Non manipolare le mie parole! Sembra davvero che abbia una cotta per lui se lo dici in questo modo. Ho solo detto che non mi aspettavo che stare in sua compagnia fosse così piacevole. E basta".
Duke si volta a guardarmi, probabilmente perché ho iniziato ad urlare senza che me ne accorgessi. Mi osserva curiosamente, con le orecchie rizzate, mentre rimprovero la televisione a schermo piatto con i miei gesti teatrali.
"Lo avrai pensato per i primi dieci secondi, poi sono sicuro che la tua mente sia andata a farsi benedire. Guarda che ti conosco, hai avuto una notte intera per costruirti una fan fiction in testa! Non te ne sei accorta ma hai una cotta per lui, e se non è ancora iniziata allora manca poco. Per questo, ti ripeto, allontanati prima di rimanerci fottuta. Purtroppo non viviamo su Wattpad, altrimenti a quest'ora sarei il ragazzo di Kim Namjoon da un bel pezzo. E adesso, ti saluto".
Merion non si fa sentire per il resto della serata, se non per il solito messaggio della buonanotte, che ricevo nel momento in cui mi richiudo la porta di casa alle spalle. Come dovevo prevedere, un "Allontanati!" è scritto a caratteri cubitali alla fine del testo, accompagnato da una marea di punti esclamativi che hanno il solo scopo di infastidirmi ulteriormente.
Piego le labbra in una smorfia e rispondo con un paio di parolacce. Scelgo anche un mix di faccine arrabbiate e gli invio il tutto con uno sbuffo. Sa sempre come farmi innervosire con il minimo degli sforzi.
Non appena faccio per buttarmi sul divano, dopo aver abbandonato la borsa di pelle in una zona a caso del soggiorno, la voce di mia madre rimbomba nella stanza. Sussulto e resto in ascolto, aspettando che faccia tremare le pareti con uno dei suoi richiami. Però non accade, e sono costretta ad andare in cucina per chiederle di persona di cosa ha bisogno.
Mi fermo sulla porta e mi lascio andare contro lo stipite di legno, incrociando le braccia. "Prepari il tavolo?" chiede senza guardarmi, continuando ad impastare la farina in una ciotola color verde acido. Io mi lamento sottovoce, però mi trascino comunque al suo fianco per recuperare il necessario.
Svolgiamo i nostri compiti in silenzio, ascoltando distrattamente il rumore di sottofondo provvisto dall'edizione serale del telegiornale. "Lo sai che domani è l'ultimo giorno di scuola?" Esordisco dopo qualche minuto, piegando l'ultimo tovagliolo. Lei annuisce e mi guarda con gli occhi azzurri socchiusi "E quindi?" .
Sbuffo e mi avvicino, picchiettandole due dita sui fianchi finché non si scansa, infastidita. "Finiscila!" Mi rimprovera, colpendomi il dorso delle mani con il mestolo di legno.
"Quindi posso restare a casa?" Le chiedo, poggiandole il mento su una spalla. Non impiega nemmeno mezzo secondo per rispondermi, limitandosi a scuotere risolutamente il capo. "Ma perché? Non facciamo mai nulla l'ultimo giorno! È uno spreco di tempo" insisto.
"No, è uno spreco fare assenza" dice e "Sei già mancata troppe volte. Non vorrei che si ripetesse la situazione dell'anno scorso".
Sbuffo rumorosamente e le riservo un'occhiataccia glaciale, voltandole le spalle subito dopo per tornare in soggiorno.
"Non fare così, lo sapevi benissimo che avrei detto di no".
"Lo sapevo, certo! Però non c'era bisogno di menzionare l'anno scorso". Mi sdraio sul sofà e mi copro il viso con un cuscino, soffocandovi un urlo.
Lei esce dalla cucina qualche minuto dopo, asciugandosi le mani con uno strofinaccio che gli penzola dalla spalla. Mi scopre la faccia e se ne sta in piedi a guardarmi con le mani sui fianchi.
"Neanche a me fa piacere ripensarci, però è l'unica arma che ho per motivarti." spiega, allungando una mano per spostarmi un paio di ciocche scompigliate via dalla fronte.
"L'estate scorsa eri convinta che saresti andata a studiare in un college Europeo, e invece ti hanno bocciata a causa di tutte quelle ore di assenza".
"Guarda che me lo ricordo" sputo fra i denti, scacciando via la sua mano con un gesto brusco della mia. "E lo dici pure come se avessi scelto io di ripetere l'anno".
"Comunque la scuola è finita adesso e le mie assenze sono pochissime. Non mi serve a nulla essere motivata, quindi puoi smetterla di parlarne! E all'università non ci penso nemmeno, quindi è inutile" sbuffo.
Lei, come previsto, si lascia scappare un verso di dissenso dalle labbra sottili, però non commenta ulteriormente.
"E poi ho già un lavoro che mi piace" aggiungo, mettendomi a sedere.
"È un lavoretto estivo, Vanilla. Quel musicista non avrà bisogno che tu gli tenga il cane per sempre".
"Non per sempre, ma sicuramente per un'altro anno. Mentre sarà in tour" controbatto, non essendo però affatto sicura di ciò che dico. Secondo quello che mi aveva detto Merion qualche settimana fa, si trattava solo di rumors. A mia madre però non serviva saperlo.
"E dopo, cosa pensi di fare? Vuoi vivere di lavori part-time? Ne abbiamo parlato centinaia di volte, Vanilla. Devi tornare a studiare".
"Appunto perché ne abbiamo discusso così tanto, dovresti sapere che non ci penso nemmeno" affermo, incrociando le braccia al petto.
"Okay, sai cosa? Non spreco fiato, devo andare a controllare la passata di pomodoro" mugugna, tornando in cucina.
Io annuisco e tiro fuori il telefono, aprendo l'applicazione di Twitter. Faccio in tempo a salvare in galleria solo due delle nuove foto pubblicate dai BTS, che mamma torna a sovrastare il volume della televisione accesa con un altro dei suoi urli.
"Che c'è?" Le grido di rimando, sistemandomi su un fianco.
"Vai al supermercato! Ho finito l'olio".
"Non puoi usare il burro?" rispondo. So benissimo che è una partita persa in partenza, così blocco il telefono e inizio ad infilarmi le scarpe.
I suoi rimproveri giungono leggermente ovattati dalla cucina, a causa del frullatore ora acceso. "Non essere sciocca" la sento borbottare, scavandosi le tasche posteriori dei jeans in cerca di qualche banconota.
Io mi accosto al piano cucina e le prendo il mestolo di mano, assaggiando la mistura di basilico e parmigiano. "Buono, ma perché stai facendo tutti questi condimenti?" commento, indicando la pentola dove ribolle lento il sugo di pomodoro.
Lei mi consegna una breve lista della spesa e un paio di dollari, facendo un cenno con il mento verso dei barattoli di vetro, in fila accanto al lavabo. "Conserve" si limita a dire, azionando di nuovo il frullatore.
Il supermercato più vicino si trova a cinque minuti da casa, tre se mantieni una falcata ampia e il ritmo alto. Però io mi prendo più tempo del necessario per passeggiare sui marciapiedi deserti del quartiere, beandomi della leggera brezza serale che mi asciuga il sudore sulla fronte. Los Angeles si mantiene calda durante tutto l'anno, ma i mesi estivi sanno essere infernali.
Giungo al negozio di alimentari con le mani infilate nelle tasche dei pantaloncini e le dita attorcigliate attorno al foglietto degli prodotti da comprare. L'insegna al neon davanti al parcheggio vuoto è accecante e per qualche secondo sono costretta a strizzare forte gli occhi per liberarmi del bruciore. L'aria fredda emessa dai condizionatori mi investe non appena metto piede nel locale e subito emetto un respiro di sollievo.
Mi dirigo verso una delle prime corsie ed è lì che lo vedo.
Calum è fermo davanti lo scaffale dei condimenti, con le braccia incrociate e le spalle scoperte dalla canotta bianca, che gli fascia il petto. Non appena gli poso gli occhi addosso mi immobilizzo, stringendo la mano libera in un pugno e infilandomi le unghie corte nel palmo della mano.
La prima cosa che mi viene in mente di fare è tornare silenziosamente indietro ed uscire dal supermercato. Poi ci rifletto un po' sopra e decido semplicemente di far finta di non averlo visto, continuando con la mia spesa.
Quando gli passo accanto lui non si gira nemmeno, concentrato com'è sull'ispezionare due diversi tipi di salse barbecue.
Non c'è alcuna ragione razionale per la quale dovrei sentirmi imbarazzata, così prendo un respiro profondo e mi dirigo alla corsia successiva.
Mi ripeto di star tranquilla almeno un centinaio di volte e tento di non pensare a nient'altro, se non ai prezzi del pan grattato e dell'olio d'oliva. Peccato che la mia mente si rifiuti di collaborare.
Sembra impossibile evitare di incrociarlo all'interno del supermercato, tante sono le volte in cui ci imbattiamo l'una nell'altro. Calum però pare ignaro della mia presenza, così mi affretto a terminare gli acquisti per poter andare via il prima possibile. La situazione quasi mi infastidisce, perché ogni volta che vedo i suoi ricci castani muoversi tra un ripiano e l'altro, sento che il respiro mi si incastra in gola. E le parole di Merion mi tornano in mente con una rapidità irritante.
Mi viene una gran voglia di dirgli che non sono cotta di Calum e che la mia è solo vergogna, così faccio l'unica cosa che ritengo plausibile: lo chiamo.
Per mia sorpresa risponde al terzo squillo, con la voce roca e il tono infastidito a morte. "Lo so che stavi dormendo e che vuoi uccidermi, ma è un'emergenza" mi affretto a spiegargli, temendo che riattacchi prima che possa parlare.
"Tu non hai proprio idea di cosa sia il fuso orario vero?" Mugugna, buttandosi sul cuscino ed incastrandoci il telefono sotto. Si sente un rumore insopportabile di stoffa sfregata contro l'altoparlante, ma la ignoro e proseguo.
"Mi dispiace, ma sono al supermercato e mi sono imbattuta in Calum. Da una parte sono più che convinta di volerlo evitare, ma dall'altra penso che non salutarlo dopo averlo visto sia scortese".
Sento chiaramente che sospira e bisbiglia qualcosa che suona come "Ma avete un solo supermercato in tutta Los Angeles?".
"Che devo fare?" Mi lamento, osservando il mio datore di lavoro pesare un casco di banane nell'area dedicata alla frutta e alle verdure. "Lo vai a salutare?" Dice Merion, con il tono intriso di sarcasmo.
"Non posso" borbotto. "Sento già l'imbarazzo mescolarmisi nello stomaco con l'ansia".
"Ansia di cosa? È un essere umano come tanti! E lavori anche per lui" sbotta, chiaramente innervosito. "Giusto, quindi è facilissimo!" controbatto, ironica fino alla punta dei capelli.
"Come se non fosse il proprietario dell'appartamento in cui mi sono praticamente trasferita a sua insaputa, dove ti ricordo che ho persino dormito e fatto il bagno, e tra l'altro anche il cantante di cui ero completamente innamorata fino a tre anni fa".
"Ma era una semplice infatuazione! Da fan ad artista! Vanilla non essere melodrammatica e lasciami dormire" mi supplica, fingendo di singhiozzare.
Stringo la presa sul carrellino e seguo Calum con lo sguardo mentre si dirige verso la mia corsia. Sussulto e mi volto di scatto, rivolgendogli le spalle.
"Si sta avvicinando! Merion, lascia da parte la logica adesso e pensa alla mia situazione per favore. Sai benissimo che ci sono ricordi che non riesco proprio a cancellare! Come quella volta che l'ho sognato nudo. Non mi frega nulla di come non dovrei sentirmi, ti dico che ogni volta che lo guardo in faccia mi torna in mente una fan fiction sconcia che ho letto su di lui!" gli grido contro.
Merion si zittisce e si copre la faccia con le coperte, minacciando di riattaccare. Poi qualcuno mi picchietta le dita su una spalla e il mio stomaco sembra già essere a conoscenza di chi sia, perché si svuota completamente e inizia a formicolare.
Mi volto e trovo Calum che mi guarda con gli occhi spalancati, il trolley blu in una mano e la busta di banane nell'altra.
Abbasso lentamente il telefono e interrompo la chiamata con Merion, infilandomelo in tasca subito dopo. "Ciao" borbotto, più che accaldata.
Calum sembra confuso, però ricambia il saluto. "Ciao, tutto bene?" Io annuisco senza dire una parola e restiamo in silenzio per qualche istante. Poi indica la mia tasca con un dito e "Con chi parlavi?" chiede.
"Ah? No, nessuno. Solo il mio migliore amico" spiego brevemente e poi "Vive a New York" aggiungo, senza una reale motivazione. Non vedo perché dovrebbe interessargli, però a quanto pare non riesco a stare zitta.
"Non hai sentito nulla vero? Non perché stessimo parlando di te o qualcosa de genere! Ovvio che no, sono solo conversazioni private, sai?".
Calum si sistema il solito cappellino blu sulla fronte e annuisce, aprendosi in un sorriso divertito. "Ovvio che sì" risponde, ridacchiando leggermente. "Anche tu fai la spesa?".
"Per mia madre" gli mostro il carrellino ancora vuoto, arrossendomi sulle guance subito dopo. "È che sono arrivata da poco".
"Oh ... io invece me ne stavo andando, poi ti ho vista e mi sono avvicinato per salutarti".
"Ah, stai andando a casa" affermo, parlando più a me stessa che a lui. Calum annuisce "In realtà a casa di un amico, ha organizzato una festa tra intimi e sono venuto a comprare il necessario".
Osservo il suo trolley, pieno di bottiglie di vino e alcolici di altra natura e poi "Banane?" chiedo, osservando la busta in questione.
Lui ride e fa spallucce "Ne avevo voglia". Poi mi guarda in un modo leggermente malizioso e aggiunge "Non pensare male".
"Cosa? Ah! No, ti pare!" blatero, formando una "x" con le braccia per rinforzare il concetto.
"Certo, però non si sa mai. Chissà che si dice su di me in quelle fan fiction sconce" conclude, aprendosi in un sorriso sornione e allontanandosi verso la cassa.
MY SPACE:
Nonostante abbia la scaletta degli eventi già pronta, ci impiego sempre un po' per scrivere alcuni capitoli. Non so esattamente se questo mi piaccia, però diciamo che non mi fa neanche troppo schifo. Mi ritengo soddisfatta, ecco.
Tra l'altro, so perfettamente che le mie storie non si distinguono per le loro trame brillanti, però si leggono facilmente e senza troppi sforzi, quindi mi appiglio a questo per dirvi di restare e tenermi compagnia!
Spero che la lettura non vi abbia fatto molto schifo e speriamo di rivederci anche al prossimo capitolo!
-Sara
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