Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo trentadue - Odore di Candeggina

A grandi passi percorsi il corridoio semi vuoto dell'università. Ormai le lezioni della giornata erano finite e tutti gli studenti si erano divisi tra i dormitori e la caffetteria.

D'un tratto qualcuno mi afferrò il braccio e mi attirò in un'altra stanza. Il mio corpo venne letteralmente risucchiato nello sgabuzzino dell'inserviente.

«Cosa ca-» la mia bocca fu bloccata da una mano forte e possente, di un ragazzo.

Lo stesso, chiuse la porta dietro di se, impedendomi ogni via di fuga e poi si palesò.

«Hai preso qualcosa che non ti appartiene.»

Era Daniel.

«E mi rapisci per questo? Mi hai fatto morire!»

Quando capii che fosse lui, i miei polmoni ripresero fiato. Il mio cuore probabilmente si era bloccato per qualche secondo al limite di un infarto.

Fermarmi come le persone normali, no?

«Non ti ho rapit- no si hai ragione, ridammelo.»

Strinsi il foglio di carta, che avevo nella tasca della mia gonna, tra le mie dita, così forte da stropicciarlo.

«Cosa?» la mia faccia esprimeva un fare innocente che in realtà nascondeva l'espressione di chi aveva anche letto il contenuto.

«Dai Sophia... la canzone.» a quel punto Daniel liberò un lungo sospiro che gli spostò le ciocche dei suoi capelli dal volto.

«Perché la rivuoi?»

«Perché è mia.»

«Perché hai scritto una canzone?»

«Perché mi hai scritto una canzone?» questa volta marcai attentamente il pronome. Era per me. Era per me e io lo sapevo. La sua faccia me lo stava urlando in qualsiasi lingua del mondo.

«Cosa ti fa credere che sia per te?» con quel sorriso beffardo avrei voluto schiaffeggiarlo.

Oh si, un giorno avrei trovato il coraggio per picchiare Daniel Miller.

«Non lo è?» gli tenni testa, non doveva vincere lui a questo gioco. Non stavolta.

«No.»

«Dimostramelo.» Feci un passo avanti a lui e un altro ancora poco dopo. Le punte delle nostre scarpe si toccarono, io, in posizione eretta, arrivavo all'altezza delle sue spalle.

«Mi esasperi Sophia. Veramente. Mi togli tutta l'aria che mi circonda.» quelle parole un po' mi ferirono ma non lo diedi a vedere. Infondo, pensavo la stessa cosa. Mi esasperava.

«Tieniti questa stupida canzone.» sbuffai schiacciando il foglio stropicciato contro il suo petto.

La poca forza che avevo fu in grado di spintonarlo contro uno degli scaffali. Alcuni prodotti per le pulizie caddero per terra producendo un fastidioso frastuono.

Ma in quel frangente non mi resi conto della velocità di Daniel nell'afferrarmi il polso e nel farmi scontrare contro il suo petto.

Non aggiunse nient'altro, credevo mi avrebbe affrontato ma non lo fece.

Cambiò posizione, spintonandomi contro la parete attrezzata, questa volta fui io a far cadere qualcosa.

Poi mi baciò in un modo del tutto diverso da quello avvenuto a casa sua.

Mi afferrò i fianchi e mi sollevò costringendomi ad allacciare le gambe attorno alla sua vita. Questa volta non mi chiese alcun permesso di aggiungerci la lingua, lo fece e basta.

Le nostre labbra si mescolarono in una danza vorace e piena di esasperazione.

Avrei potuto usare quell'aggettivo all'infinito per descrivere quel bacio.

Affondai le mani tra i suoi capelli e li tirai incastonando le dita tra i suoi ricci corvino.

I nostri bacini cominciarono a scontrarsi ripetutamente fino a farmi avvampare le guance.

Questo perché l'eccitazione di Daniel cominciò a premere contro la mia.

Diamine.

Volevo di più, molto di più.

Daniel sembrò capirmi. Se a casa sua ci eravamo limitati a baciarci le labbra, adesso la sua bocca cominciò a scendere lungo il mio collo. Baci lenti ma voraci allo stesso tempo. Inarcai la schiena e portai la testa all'indietro.

Quelle dannate labbra scesero lungo ogni parte della mia pelle scoperta e anche laddove c'era il tessuto, Daniel fu in grado di stampare ogni traccia di se.

Infilai le mie mani sotto la sua felpa. Ci trovai un corpo caldo e una pelle abbastanza dura da poter contornare i lineamenti del suo addome.

Volevo ammirare quanto fosse bello Daniel, perché lo era. Lui era bellissimo. Lui stava per diventare mio.

Quella passione, forse era soltanto il segno che ci eravamo trattenuto troppo. Fin troppo.

Gli sfilai la felpa e gliela butta in qualche angolo remoto di quello sgabuzzino che puzzava di candeggina.

Lui fece lo stesso con me. Mi privò del mio maglioncino anche se nella mia testa lui mi aveva già spogliato di ogni cosa. Ogni insicurezza, ogni dubbio.

Le sue mani cominciarono a percorre ogni centimetro del mio ventre e poi si posizionarono sul bordo della mia gonna.

Non ti fermare. Non ti fermare.

Questo era ciò che la mia mente ripeteva ad ogni tocco di Daniel. E non lo fece.

La sua mano sinistra si insinuò sotto di essa, mi sfiorò le calze e poi le strappò per togliere ogni singolo impedimento.
Le sue dita cominciarono a sfiorare la parte più intima del mio corpo, non eravamo mai arrivati fino a quel punto.

«Daniel...» ansimai a quel semplice tocco che aveva paralizzato ogni parte di me.

Riuscì ad intrufolarsi sotto i miei slip e fu lì che strinsi la sua spalla sotto il palmo della mia mano, avevo le gambe molli.

Ringraziai il sostegno del mobile contro cui eravamo o avrei potuto cedere da un momento all'altro.

Lo chiamai di nuovo, questa volta lui si bloccò e alzò lo sguardo verso il mio.

«Ti prego non fermarmi proprio in questo momento...o io impazzisco.» mi supplicò ansimante anche lui. Strinsi le labbra in una linea dura e sottile per evitare di ridere e poi scossi il capo in segno di negazione.

«No.» sussurrai poggiando entrambe le mie mani sulle sue guance bollenti.

«Baciami.» lo attirai a me e questa volta fui io ad annullare la distanza. I nostri corpi erano intrecciati, fusi insieme, come il nostro destino.

Mi strinsi ancora più a lui quando si infilò dentro di me. Divaricai leggermente le gambe per permettergli di muoversi meglio. Il piacere cominciò ad avvolgermi nello stesso momento in cui con un ritmo  regolare l'anulare di Daniel affondava nelle mie carni.

Portai la testa all'indietro perché era l'unico modo per poter prendere aria. Sussurrai il suo nome infinite volte, forse per ricordare a me stessa che il ragazzo avvinghiato al mio corpo fosse Daniel o forse perché lui era sempre stato la mia unica religione.

«Guardami Sophia.»

Obbedii senza troppe pretese, aveva anche lui la fronte imperlata dal sudore, le guance rosse che si intravedevano tra le tenebre del suo viso. E i suoi occhi, Dio il modo in cui mi guardava, il modo in cui mi spogliava e mi penetrava l'anima erano una condanna per me.

Sentii l'aggiungersi di un secondo dito dentro di me, questa volta fui io a muovermi su di lui anche se ormai ero fin troppo scivolosa. Strinsi le mie mani attorno alle sue spalle tanto da affondare le mie dita dentro la sua pelle. Sapevo di potergli lasciare il segno ma in quel momento era l'unico aggancio che avevo per sostenere il piacere che stavo per raggiungere.

«Sophia...» quando Daniel pronunciò il mio nome, fu la mia fine. Premetti le labbra contro di lui, ansimai contro la sua bocca ormai gonfia e umida dai miei baci e alla fine, quando ogni brivido percorse ogni angolo del mio corpo, accompagnato da un senso di liberazione, venni contro le sue dita.

Ci fu il silenzio.

Se quella stanza fino a quel momento si era riempita dai nostri gemiti, ora poteva sentire soltanto il mio cuore e quello di Daniel battere all'unisono.

Non volevo dire niente.

Cosa avrei dovuto dirgli?

Per un po' rimanemmo abbracciati l'uno all'altro.

Le dita di Daniel bagnate dal mio umore mi attraversarono la schiena e poi si posizionarono sul mio ventre. Poggiò la testa nell'incavo del mio collo e io feci lo stesso con lui.

Il suo profumo mi invadeva le narici.

«Le tue aspettative sono più alte adesso?» fu lui a rompere la monotonia del silenzio, ma non lo capii. Cosa diamine intendeva?
La mia fronte corrucciata e lo sguardo perso nel vuoto lo fecero parlare ancora.

«Insomma i cinque minuti in paradiso con Daniel Miller.»

Idiota.

Scoppiai a ridere e di conseguenza gli diedi un pizzicotto sul collo.

«Sei proprio deficiente.» esalai, a quel punto lui si allontanò di poco permettendomi di scendere.

Avrei voluto rimanere in quella posizione per sempre, ma non era poi la più comoda del mondo.

Quando i miei piedi toccarono il suolo, presi un respiro profondo e poi mi risistemai la gonna.

Avevo le calze rotte. Come potevo andare in giro in quel modo? Decisi di toglierle anche se ormai eravamo a metà Novembre.

Tanto necessitavo di una doccia, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata quella di tornare in camera.
Mi voltai verso di lui.

Ma Daniel mi stava già guardando.

«Sophia.»

«Si?»

«Non penso debba ricapitare di nuovo. Noi non possiamo, vero? Non potremmo mai.» rimarcò quasi alla lettera le parole che gli avevo detto quel giorno in cucina.

Tutte le mie preoccupazioni mi cascarono nuovamente addosso.

Luke.

Il fatto che fossero fratelli.

Le parole del padre di Daniel.

Mi ero appena fatta toccare, baciare, sfiorare, come mai mi era successo fino a quel momento, eppure ero lì immobile con le gambe tremanti mentre mi sforzavo di non piangere davanti a lui.

«No. Si infatti. Non lo so. Ora vado si» biascicai parole quasi incomprensibili che esprimevano tutta la mia confusione, la mia delusione e poi girando il pomello dello sgabuzzino, corsi via.

«Sophia! Aspetta!»

Ripresi aria.

Varcai il corridoio e uscii in giardino.

Respirai altra aria.

Aria fresca, pulita.

Aria non contaminata dal respiro di Daniel.

ANGOLO AUTRICE
Scusate l'enorme ritardo di questo capitolo, ma ne è valsa la pena no?
Per me è stato stradifficile scriverlo quindi se avete consigli, ditemi pure!
Mi dispiace se non ho rispettato i giorni di pubblicazione ma sto avendo dei momenti difficili... sicuramente vi confermo l'uscita del prossimo capitolo giovedì!!
Buona lettura
Pennadeidesideri.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro