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ᴄαᴘɪᴛᴏƖᴏ 10


C A P I T O L O 10


Glenda mi aveva così tanto parlato di quella casa con grande rispetto, accennandomi qualcosa sulla vita privata di Michael Jackson.
Io la ascoltavo in silenzio, mentre tenevo fra le mani una cesta di vestiti appena lavati, pronti per essere stesi all'aperto, sotto a quel sole invernale che non riscaldava affatto.
Avevo scoperto che i suoi genitori erano spesso qui a fargli visita e che sua sorella - quella minore - si riuniva qualche volta a giocare insieme ai bambini in sua compagnia.
Mi aveva anche accennato che, in una piccola stanza, Jackson possedesse un pianoforte che nessuno era in grado di toccare.
Nessuno tranne lui.

« Non so cos'abbia di così tanto importante quel semplice pianoforte » bofonchiò, per poi legarsi i capelli in una crocchia alta.

La guardai e poggiai la cesta sul prato.
Mi sistemai per bene il grembiule e la guardai strizzando appena gli occhi, mentre la brezza invernale mi scompigliò capelli, solleticandomi il collo.
Mi strinsi nelle spalle e mi massaggiai le braccia come a volerle riscaldarle.

« Insomma, è un oggetto. Uno strumento. Non so perché Michael ci tenga così tanto » proseguì, afferrando un panno che cominciò a stendere.

La imitai, restando però in silenzio.
Un pianoforte? Così importante? Non conoscevo Jackson, ma avevo sentito parlare di quanto ci tenesse anche a un semplice oggetto.
Tuttavia, la questione dello strumento mi lasciò leggermente sorpresa.

« E dimmi un po'. Tu da dove vieni? » mi domandò all'improvviso.

Mi rivolse un sorriso simpatico che ricambiai senza esitare.

« Io? Sono nata ad Houston, ma poi mi sono trasferita nel Texas » replicai.

Lei spalancò leggermente gli occhi, ma continuò a stendere quei panni colorati.

« Texas? E dimmi, cosa facevi
lì? »

« Ho iniziato a lavorare in un orfanotrofio » mormorai.

Al solo pensiero dei bambini e di Angie, il solito sentimento di malinconia ormai divenuto familiare, mi pervase il corpo.
L'idea di averla lasciata da sola mi vagava in testa come un errore commesso su due piedi.
Se la stava cavando?
Solo allora Glenda si accorse della mia espressione attonita.

« Mi dispiace, io- » balbettò desolata.

Le rivolsi un dolce sorriso.
Non volevo si sentisse a disagio, poiché ero stata io ad aver accettato l'offerta; ero stata io ad aver cambiato mestiere e ne ero consapevole.
Avevo lasciato il lavoro che per tanto tempo mi aveva reso fiera e responsabile.

« È tutto apposto. Michael ha promesso loro di farli visitare Neverland, qualche volta. Quindi avrò la possibilità di rivederli » dissi.

**

« Cosa? Lavori per Michael Jackson? »

Mia madre mi aveva urlato con voce acuta quella frase al telefono, arrivando anche alle orecchie di Leticia che si voltò per regalarmi uno sguardo interrogativo.
Le feci un cenno con la mano, strizzai lievemente gli occhi e mi spostai nel grande salone illuminato dalla grande lampada kartell appesa al soffitto.

« Sì mamma. Michael è una persona apposto, non ti devi preoccupare. Ha perfino fatto visitare Neverland ai bambini » replicai, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

« La paga? È alta? » domandò senza scrupoli.

Soldi soldi e soldi.
Ormai erano divenuti parte degli argomenti di mia madre.
Diceva sempre che una paga alta, prometteva una vita migliore e lussuosa; ville gigantesche, macchine costose, vestiti all'ultima moda e uno stile di vita alquanto sano.
Ma io non aspiravo a quei beni; volevo la mia famiglia al completo, mia sorella al mio fianco e questo non aveva nulla a che fare con il denaro.
Volevo l'amore e una persona in grado di prendersi cura di me, nonostante i miei difetti.

« Mamma, sono arrivata proprio stamattina. Ne parleremo domani di questo...e del contratto » risposi.

Emanai un lieve sospirò frustato, ricevendo come risposta uno sbuffo dall'altro capo del telefono.
Poi riprese a parlarle, porgendomi una domanda: « Angie? Come
sta? »

Mi avvicinai alla finestra chiusa e riversai la mia attenzione in quel paesaggio idillico che si presentava sotto ai miei occhi.
Il buio era già calato, ma ad illuminare il grande giardino di Neverland, erano delle lucine piccole e colorate, la grande giostra in fondo ed il carosello proprio davanti a quella bellissima fontana colorata.
Era tutto così magico anche quando il sole non rifletteva i suoi raggi su quel posto incantato.

« Sta bene. Ci siamo sentite prima di cena. Si sente sola, ma la compagnia dei bambini e le loro risate la fanno stare meglio » mormorai, mentre poggiavo una mano sulla vetrata che separava il mio corpo e la parte fanciullesca di me, da quella meraviglia.

Accostai le labbra al vetro e queste si appannarono non appena respirai.
Vagai con gli occhi per tutto il perimetro del giardino, voltando la testa a destra e poi a sinistra, come se stessi cercando qualcosa. O qualcuno.
Nonostante tutto fosse tranquillo, c'era qualcosa che non andava.
Ma cosa?

« Menomale. È una donna molto forte, ma non posso credere che tu abbia ceduto quel posto » mugugnò.

Mi mordicchiai il labbro inferiore e subito l'immagine di Angie mi apparve in testa.
Il suo viso bagnato dalle lacrime, la sua risata dolce e contagiosa e la sua voce dolce e pacata.
Un senso di nostalgia mi pervase in pieno, rendendomi nuovamente partecipe di quel sentimento di colpevolezza in cui mia madre, nonostante la situazione, mi trascinava.
Non sapevo perché stessi per piangere, ma al solo pensiero di essermi allontanata dalle persone a me care, mi faceva stare male.
Sarebbe stato difficile per me ora rimettermi in contatto con loro e questo lo sapevo.
Anche loro lo sapevano, ma non potevo rifiutare un'opportunità di quel genere che, come detto da Angie, avrebbe forse cambiato la mia vita.

« Lo è mamma. Mi ha accudita come sua figlia e mi ha cresciuta nei migliori dei modi. Proprio come avete fatto tu e papà » sussurrai, poggiando la fronte sul vetro freddo.

Il contatto della mia pelle con quest'ultimo, mi causarono dei leggeri brividi lungo la spina dorsale.

« Spero che anche il signor Jackson sia capace di guardarti bene. Non voglio che ti faccia lavorare molto, lo sai » mormorò.

Potevo perfettamente vederla in quel momento.
Di sicuro era seduta sulla sua amata poltrona in pelle rossa con una coperta di lana a coprirle le gambe.
La coperta che lei stessa ha cucito e sistemato.
I capelli raccolti in quella solita crocchia disordinata, il suo solito maglioncino verde indossato e le sue comode pantofole gialle.

« Non preoccuparti mamma. Michael è una persona buona. Nessuno dei suoi dipendenti si è mai lamentato. Li tratta come membri di
famiglia » dissi, per poi allontanarmi dalla grande finestra per dirigermi verso al divano, dove presi posto.

Mi portai le gambe al petto.

« Parli come se lo conoscessi da tempo. Sei sicura che sia così buono? Magari è una recita, sai. Le persone famose e ricche, non hanno un cuore. Pensano soltanto ai soldi e alla loro reputazione. Tu cosa dici? Che non abbia obbligato i suoi dipendenti a mentirti? » disse con voce roca e profonda.

Rabbrividii leggermente alle sue parole.
Non rispecchiavo Michael in quelle descrizioni, ma su una cosa lei aveva ragione: non lo conoscevo abbastanza.
Mi strinsi nelle spalle, mordicchiandomi varie volte il labbro inferiore, poi, la mia attenzione cadde su una figura che fece il suo ingresso nel grande salone, soffermandosi a pochi metri di distanza da me.

Appena portai lo sguardo sul suo viso, mi accorsi che - dritto davanti a me - vi era Michael.
Mi sorrise dolcemente, le mani dietro la schiena e il suo cappello a nascondergli quella bellissima chioma riccia.
La sua camicia era leggermente stropicciata e fuori dai pantaloni.
Aveva l'aria leggermente stanca, ma ciò non compremetteva il suo aspetto affascinante.

« Mamma, devo andare. Ti chiamerò domani d'accordo? Salutami papà » mi affrettai a proferire.

Non volevo che mi guardasse in quello stato. Io ero lì per lavorare, pulire, non per una chiacchierata al telefono.

« Certo, fai attenzione e non stancarti. A domani bambina mia. »

Chiusi la chiamata con velocità assurda e mi alzai di scatto dal divano, traballando leggermente a destra.

« Michael, vuoi che ti prepari del the caldo? » domandai con voce leggermente tremante, portando entrambe le mani davanti al mio grembiule leggermente sporco di salsa.

Lui mi osservò da capo a piedi, poi, dopo essersi aggiustato il cappello, mi parlò: « Chi era al telefono? »

Lo guardai, con aria interrogativa ma imbambolata al contempo.
Perché lo voleva sapere?

« Mia madre. Perdonami, io - So che avrei dovuto pu- »

« È tutto apposto. Volevo solo assicurarmi che tu ti stessi godendo il primo giorno di lavoro » mi bloccò, avanzando di un passo verso la mia figura minuta.

Deglutii appena e annuì.

« Sto bene, ti ringrazio » mormorai imbarazzata dal suo sguardo studioso che vagava sul mio corpo.

Si inumidì il labbro inferiore con la lingua e portò due dita sul suo mento, proprio sulla sua piccola fossetta.
Poi, con estrema eleganza, mi sfoggiò un bel sorriso, facendomi un cenno col capo.

« Sto uscendo a fare una passeggiata, vuoi unirti a me? Così avremo modo di conoscerci meglio » sussurrò impacciato, grattandosi la nuca.

Sorrisi e annuì.
L'idea di passare del tempo con lui mi piaceva; avrei dovuto conoscere la persona per cui avrei iniziato a lavorare.
Mi tolsi il grembiule e andai in cucina per adagiarlo sulla sedia in legno, poi, dopo aver preso la mia giacca, la indossai per poi raggiungerlo alla porta principale.
Lo trovai intento a chiudersi una corta giacca a vento grigia e gialla.
Al collo aveva una sciarpa rossa che nascondeva il suo piccolo codino di capelli.

Appena si accorse della mia presenza, mi sorrise e mi aprì la porta, invitandomi ad uscire per prima, come da gentiluomo.
Lo ringraziai e, dopo aver oltrepassato la soglia, il solito familiare vento invernale, mi colpì in pieno viso, facendomi irrigidire appena.
Avevo da sempre amato l'inverno, ma le sorprese che essa portava, non le gradivo.
Cominciammo a camminare, una di fianco all'altra.
Michael aveva le mani in tasca e si osservava attorno con sguardo ammirato, accertandosi che tutte le lampadine fossero accese.
Io invece non sapevo cosa fare.
Era caduta in uno stato di imbarazzo, e non sapevo più come uscirne, tant'è che mi limitavo a copiarlo, osservandomi attorno e camminando dritta.

Passeggiare per quel posto magico, in mezzo a quella natura nascosta dalla tenebre e quelle giostre illuminate, mi faceva sentire come una bambina in un parco giochi.
Amavo quell'ambiente e amavo il modo in cui lui si era preoccupato di sistemare le cose, compreso i fiori colorati che non mancavano mai.
Mi ero innamorata di quel posto già dal primo giorno.

« Kara, parlami di te » mi disse all'improvviso, mantenendo il suo sguardo dinanzi a lui.

Aveva un bel sorriso ad incurvare le sue labbra rosee e dall'apparenza morbide.
Lo guardai e notai i suoi lineamenti eleganti accentuati dalle luci colorate.
Poi, sorridendo, ripuntai la mia attenzione davanti a noi, continuando a camminare di fianco alla sua figura alta e slanciata.

« Di me? Non ho molto da raccontare, perché nel corso della mia vita non ho fatto tanto, a dir la verità. Posso solo dirti che sono nata ad Houston e vengo da una famiglia di ex contadini. Mio padre era un agricoltore, mia madre una contadina » mormorai, sfiorando con le dita una piccola statuetta di marmo a forma di gnomo.

Michael mi guardò, sorridendo.

« Contadini? » domandò.

Annuii e ricambiai il sorriso.
I suoi occhi si velarono di una luce che non seppi decifrare.

« Oh, Kara! Non sai quanto avrei voluto essere al tuo posto. Ho sempre amato vivere in mezzo alla natura! E dimmi, il bestiame? Avevate tanti bestiami? » chiese con allegria, lasciandomi sorpresa.

« No, purtroppo non ne avevamo molti. Almeno così diceva mia mamma. Io non ricordo molto bene di quel posto. Ci siamo trasferiti in città quando avevo solo sei anni. Ma ricordo che ogni mattina, mio padre era solito svegliarsi alle cinque per portare a pascolo le mucche. Io restavo a casa ad aiutare mamma in cucina e lui ritornava solo a pranzo, al levar del sole » dissi.

Rifare un salto nei miei più remoti ricordi - non solo mi arrecava nostalgia e dolore - ma mi faceva rivivere un passato della mia vita alquanto bella e tranquilla.
Non ero solita parlarne con tutti, ma Michael mi sembrava una persona così innocente, che, condividere con lui una parte di quello che mi rese felice, mi aiutò ad avere un po' di fiducia in quel uomo.

« E le zanzare? Scommetto che erano tantissime! » esclamò divertito, regalandomi la sua risata cristallina che mi contagiò, nonostante cercai di trattenermi.

« Sì! Erano tantissime! Mi svegliavo ogni notte piangendo e lamentandomi. Ed infine i miei genitori avevano deciso di comprare una semplice rete che avevano impostato nella finestra. Pensavo volessero uccidermi! » raccontai dilettata.

Michael ascoltava in silenzio, ridendo di tanto in tanto come solo lui sapeva fare.
I suoi occhi scrutavano attentamente ogni centimetro del mio viso, voltando alcune volte il suo viso verso la grande fontana che si presentava davanti ai nostri occhi.
Il silenzio calò tra di noi.
Potevo perfettamente udire il fruscio dell'acqua fresca che schizzava da una parte all'altra nella grande fonte.
Ci avvicinammo maggiormente e, solo quando fummo a pochi metri di distanza da questa, chiusi gli occhi, godendomi di quei pochi minuti di tranquillità.

Nonostante l'aria pungente, stare in quel posto magico, spazzava via ogni forma di disturbo.
Riaprii gli occhi e mi guardai attorno e domandandomi, come una singola persona avesse avuto il potere di acquistare tutto quel pezzo di terra, compresa la grande dimora che alloggiava in mezzo a tutto quel verde acceso.
Poi, spostai la mia attenzione sulla sua figura, ferma di fianco alla mia.
Respirava a pieni polmoni l'etere rinfrescante, tenendo le mani dietro la schiena.
Dopo essersi accorto del mio sguardo fermo, mi rivolse un'occhiata e mi sorrise leggermente imbarazzato.

« Qualcosa non va? » domandò con voce pacata, quasi preoccupato.

Scossi la testa e ritornai a puntare l'attenzione davanti a me.
Sorrisi altrettanto impacciata.
Avevo osservato quel posto con tanta insistenza, il suo modo di comportarsi fuori dal palco e dal suo essere famoso e avevo scoperto che, sotto a tutti quei riflettori, non si nascondeva il Michael Jackson famoso, la persona più amata al mondo, la star internazionale, ma bensì una semplice persona innocente ed umile.

{Revisionato il 24.05.21}

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