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Capitolo 52

C A P I T O L O 52

I miei genitori erano in piedi dinanzi alla mia figura quasi tremante per l'emozione.
Udii un leggero urlo e quando mi voltai per vedere chi fosse, mi accorsi che Glenda aveva le mani davanti alla bocca, lo sguardo spalancato, sorpreso e le lacrime a bagnarle le goti perfette.
Michael invece era di fianco a lei, talmente vicino da sfiorarle il braccio con il tessuto del suo vestito.

« Mamma? » esclamò.

Seguii con lo sguardo ciò che stava osservando quasi incredula e quando incrociai il viso di una donna sulla cinquantina di anni, restai sorpresa.
Michael aveva invitato sua madre a Neverland.
Dopotutto quello che ella gli aveva fatto, lui non le aveva voltato le spalle.
Lui non lo aveva fatto.

« Glenda... » mormorò ella, avvicinandosi quasi con passi titubanti alla figlia ormai in lacrime.

Guardai i miei genitori che come me, erano stati alquanto colpiti da questa sorpresa.
Poi spostai la mia attenzione su Jackson, notandolo con un'espressione che non seppi del tutto decifrare, seguire i movimenti esitanti della donna il cui nome mi era sconosciuto.
I bambini avevano cominciato a correre allegri per tutta Neverland, non accorgendosi di quanto stesse accadendo, mentre Angie mi aveva affiancata, sfiorandomi il fianco con una mano.

« Cosa significa? » mi sussurrò all'orecchio.

Scossi di poco la testa, stringendomi nelle spalle.

« Non lo so, madre » mormorai.

Glenda s'incamminò a passi lenti verso a sua madre che era rimasta immobile proprio davanti all'auto nera, tenendo in mano una borsa chiara e fissando la figlia farsi avanti.

« Midispiace tanto » sussurrò ella, portandosi istintivamente una mano sul viso, cercando di reprimere il dolore che provava in quel momento.

Aveva abbandonato la figlia proprio quando ella aveva più avuto bisogno del suo aiuto; aveva deciso al posto suo e lei si era lasciata influenzare.
Aveva portato lontana da lei la persona che aveva amato e quando questa aveva intenzione di ritornare a casa, lei non le aveva aperto la porta.
Aveva abbandonato sua figlia.
Proprio come Jane aveva abbandonato me.
E non la sopportavo per questo.
Con quale scopo?
Avrei tanto voluto poterli osservare, ma per loro era un rincontro dopo tanto tempo.
Un momento intimo e quasi segreto.
Io avevo avuto il mio con mia sorella, seppur non come avevo immaginato.
Ma quella era colpa sua.
Se solo anche lei avesse varcato quei cancelli.
L'avrei perdonata per tutto il dolore che mi aveva inflitto, ma non avrei mai e poi mai perdonato il modo in cui ci aveva abbandonati.
Nel modo in cui si era rivolta a nostro padre prima di sparire completamente dalla nostra vita. Dalla mia vita.
Strinsi un dolce e caloroso abbraccio i miei genitori, ripetendo loro quanto fossi felice di rivederli e nonostante mio padre avesse l'aria un po' stanca, sembrava essersi ripreso dall'ultima volta in cui lo vidi.
Speravo tanto che le terapie funzionassero.
Che egli stesse bene con se stesso.

« Michael non ci ha dato nemmeno il tempo di prepararci che ha subito mandato i suoi uomini a prenderci » esclamò mia madre.

Michael. Michael.
Lui era sempre stato la causa della mia felicità, in quel periodo.
Fin da subito era stato in grado di adempire i miei più segreti desideri, senza il bisogno di doverglieli dire.
Mi aveva letta nel profondo del mio stanco animo, spogliata senza nemmeno che me ne accorgessi ed infine era stato in grado di coprirmi con i suoi vestiti.
Era l'uomo che ogni ragazza sognava e sperava di avere.
L'uomo ideale di ogni donna.
Mi voltai nella sua direzione, incrociando subito il suo sguardo imbarazzato ma dolce al contempo.
Potevo perfettamente leggere la felicità che in quel momento provava e non potevo biasimarlo.
M'incamminai verso alla sua direzione, pronta a stringerlo in un grato abbraccio, ma mi bloccai subito quando una piccola mano mi afferrò per le ginocchia.
Anche Michael ne fu sorpreso e quando entrambi abbassammo il capo, scontrai la minuta figura di Lily sorriderci con i suoi graziosi dentini.
Era una bambina davvero bellissima e quel giorno, a renderla ancora più graziosa era un semplice completo verde acqua.
Le sue profonde iridi chiare scrutavano ogni parte del mio viso, spostandosi infine su quelle di Jackson per osservarlo attentamente.

« Giochiamo? » domandò con la sua solita vocina stridula.

Stavo per rispondere, ma Michael mi precedette, abbassandosi leggermente per prenderla dolcemente in braccio.

« Che ne dici se prima accompagniamo i nonni nelle loro camere? Così nel frattempo possono riposarsi e noi potremmo giocare » parlò dolcemente.

Quella fu la prima volta che vidi Lily fra le sue braccia e giurai che a quella scena persi un battito.
Ella arricciò le labbra, com'era solita fare quando era delusa oppure quando aveva voglia di piangere, ma dopo essersi portata una manina al suo piccolo orecchio, annuì.
Michael rise intenerito, allungandosi in avanti per stamparle un casto bacio sulla guancia e a quel contatto così genuino, Lily rise divertita, stringendosi nelle spalle.

« Nonni? Per caso siamo così vecchi? » scherzò mia madre.

Teneva a braccetto mio padre, stringendo la sua mano talmente forte da notare i muscoli del suo braccio contrarsi.
Li osservai dolcemente, lasciando che un leggero e tenero sorriso scappasse dalle mie labbra.
Erano una coppia bellissima, perfetta avrei detto.
Non avevano mai smesso di amarsi anche in pubblico e spesso, quand'ero piccola, li avevo quasi sempre sorpresi a scambiarsi effusioni d'amore che loro avrebbero voluto ritenere segreti.
E nonostante il tempo fosse passato, gli anni fossero volati via, i miei genitori erano riusciti a mantenere ancora intatto il loro amore passionale.
Proprio come nelle favole che mia madre era solita leggermi prima di addormentarmi.
E per quello li invidiavo.
Michael si portò una mano sulla nuca, grattandoselo imbarazzato mentre stringeva Lily al suo corpo.
Quella scena mi strappò un sorriso divertito ma blando al contempo.

« Beh, dovrei ammettere che voi riuscite a portarli bene. La vostra età, intendo » mormorò.

Ridacchiai dilettata, portandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio prima di voltarmi nella direzione da cui scorsi subito le figure alte di Glenda e sua madre avvinghiate in un abbraccio affettuoso.
Ella era una graziosa donna dai capelli scuri e dagli occhi chiari, proprio come la figlia.
Entrambe belle e attraente.
Portai una mano sul fianco, osservandoli con una nota di malinconia sul viso.
Sapevo perfettamente quanti problemi esse abbiano avuto.
Quante discussioni e malintesi ma Michael, come sempre, era riuscito a rimettere i pezzi frantumati insieme.
Proprio come aveva fatto con me.
Percepii una mano sfiorarmi la spalla e quando mi voltai per vedere chi fosse stato, scontrai il viso divino di Michael.

« Stai bene? » mi chiese.

« Perché non vai da loro? » domandai, sorridendogli dolcemente.

Lui sospirò leggermente, inumidendosi il labbro inferiore.

« Dovrei? Non sarebbe meglio aspettare? » sussurrò.

« Aspettare? No. Ora è il momento giusto » replicai.

Michael mi guardò per brevi secondi in silenzio, poi, dopo aver annuito mi porse Lily che affrettai a prendere delicatamente, incitandolo infine di raggiungerli con un cenno del capo.
Senza esitare, Michael camminò con passi leggeri e decisi verso alla loro figura, soffermandosi solo pochi centimetri lontano da loro.
Quando Glenda si staccò per spostare la sua attenzione su egli, mi accorsi che stava piangendo e così anche la donna che subito si gettò fra le braccia di lui, ringraziandolo ripetutamente.

« Grazie. Grazie. Grazie mille » esclamava.

Michael si affrettò ad afferrarla da sotto le braccia, impedendola di cadere giù e Glenda si accostò maggiormente a lui, avvicinando le sue labbra alla sua guancia per stampargli un casto e lungo bacio prima di poggiare la sua testa sulla sua spalla larga.
Mi sentii disperatamente gelosa e nonostante avessi voluto reprimere quel mio sentimento infantile, non ci riuscii.
Fu un momento davvero giubilante.
Madre e figlia che si riunivano dopo anni di separazione.
Un sogno per Glenda divenuto realtà.
E il mio? Quando sarebbe arrivato?





Purtroppo quel pomeriggio nessuno di riuscì a giocare.
I bambini si erano rivelati stanchi ancor prima di cominciare, i miei genitori invece avevano deciso di farsi un bagno caldo, Angie invece era rinchiusa in camera a cambiarsi per la cena, mentre Erma, la madre di Glenda, era occupata in una conversazione segreta con la figlia.
Mi ritrovai da sola in cucina con Leticia a sistemare le ultime posate, prima di consumare l'ultimo pasto della giornata tanto aspettato e quando Angie fece il suo ingresso con un completo serale impeccabile, rimasi del tutto senza parole.
Era davvero una bella donna e i suoi lunghi capelli erano legati in una crocchia ordinata.

« Madre, siete un incanto » dissi.

Lei ridacchiò imbarazzata, sistemandosi l'abito lungo i fianchi.

« Kara, tesoro. Ti ringrazio » replicò.

« Angie! Che meraviglia rivederti! Non sai quanto tu mi sia mancata » esclamò ad un tratto Leticia, stringendola in un grande abbraccio.

Inarcai un sopracciglio divertita, poggiandomi con una mano sul pianale ancora bagnato ed Angie rise, afferrandole il viso per stamparle un bacio sulla fronte.
Leticia arrossì a quel contatto.

« La cena sarà pronta fra pochi minuti! Prendi pure posto e chiama gli altri a tavola! » esclamò ad un tratto, allontanandosi da ella per correre verso di me, afferrando i piatti e le posate in un colpo solo.

« Lascia che ti aiuti » dissi, allungando le mani verso alla sua direzione, ma ella si scostò di poco, guardandomi.

« Cara, perché non chiami i tuoi? Dove sono quei graziosi bambini? » domandò.

Guardai Angie ed ella mi sorrise dolcemente.

« Sono fuori con Michael, perché non li chiami, Kara? » chiese.

« Fuori? Ma non erano stanchi? » replicai, aggrottando la fronte.

« Oh! Il signor Jackson riesce sempre a farli divertire! È come una calamita per tutti noi. Prima sei stanca e poi quando lo vedi ti senti subito in forma. Come un pugile prima della sua partita » esclamò Leticia, agitando una mano per aria.

Scoppiai a ridere divertita, scuotendo piano il capo.
Perché diceva cose senza senso?
Roteai di poco gli occhi, avanzandole incontro per stringerle amichevolmente le spalle ed ella a quel contatto ridacchiò, saltellando piano sul posto.
Era davvero una donna fantastica e non avrei potuto negarlo.
Sempre allegra e spensierata.
Uno dei tanti modelli da seguire.

« Dove stai andando, cara? » mi domandò.

Mi voltai verso alla sua direzione, sfoggiandole un dolce sorriso.

« Vado a cercare il signor Jackson e i bambini per avvertirli che la cena è pronta » replicai.

Leticia annuì, sorridendomi raggiante e dopo aver agitato le mani davanti al suo viso, si ricompose, stirandosi il grembiule lungo i suoi fianchi formosi.
Uscii quasi di fretta dalla dimora, scendendo le piccole scalinate che portavano al grande giardino del Ranch. Di notte un posto davvero magico.
Quanto amavo la grande Neverland illuminata.
Amavo quando la lune baciava la terra in modo quasi sublime.
Mi guardai attorno estasiata, ammirando ogni piccolo particolare di quel posto segreto, così perfetto da sembrare surreale.
Mi strinsi nelle spalle, avvertendo il dolce vento serile solleticarmi il collo coperto a malapena dal colletto della mia camicia colorata.
Erano ormai le nove passate e attorno a me regnava il silenzio.
Potevo solo udire il cinguettio degli uccelli richiamare la propria famiglia nei loro nidi, il resto era un eco lontano dalle mie orecchie.

« Michael? » lo chiamai.

Aspettai un paio di secondi e quando non ricevetti alcuna risposta, ripresi a camminare per quel sentiero ciottolato, inoltrandomi nel regno di una favola in cui ero io la protagonista.
Avanzavo verso ad una meta a me sconosciuta, calpestando sotto ai piedi l'erba leggermente bagnata.
I giardinieri erano passati proprio quella mattina e nonostante il sole splendette alto nel cielo quel giorno, le piante erbacee non si erano del tutto dissetate.
Attraversai le giostre e il tanto amato carosello, arrivando fino al lago dove scorsi in lontananza le figure dei bambini seduti a gambe incrociate per terra e la corporatura alta di Michael in piedi di fronte a loro.

« All'improvviso, Peter Pan balza fuori e sfida Capitan Uncino » esclamò, spalancando le braccia mentre i bambini avevano iniziato ad urlare emozionati.

Peter Pan.
L'infanzia di molte persone, una storia profonda e genuina.
Proprio come lui.
Mi avvicinai lentamente a loro, sorridendo dolcemente quando scorsi alcuni espressioni meravigliati, dipinti sui loro visi.
Michael non si era accorto della mia presenza e quando lo fece, restò leggermente sorpreso, quasi divenne imbarazzato.

« Kara » sussurrò.

« La cena è pronta » dissi.

Al solo pronunciare quella frase, tutti i piccoli si alzarono di scatto dall'erba, cominciando a saltellare sul posto con tanto entusiasto, strappando una risata divertita a Jackson che si era portato le mani sui fianchi.

« Signorina Jones. È riuscita perfettamente a rovinare il mio momento » parlò.

« Il suo momento? Beh, potrebbe sempre recuperarlo più tardi, non crede? » replicai con un sorriso alquanto dilettato.

« Anche il nostro? » domandò all'improvviso.

Ora non sorrideva più, anzi, la sua espressione si era tramutata del tutto e il mio sorriso si dissolse lentamente, cogliendomi del tutto sorpresa.
Anche il nostro.
Presi un bel respiro e guardai i bambini, incitandoli a mettersi in cammino e loro, piuttosto affamati, non avevano esitato.
Con passi piccoli e lenti cominciarono a camminare, lasciando indietro me e Michael che era rimasto ad osservarmi per minuti che mi parvero interminabili.
Le sue iridi scure splendevano sublimi sotto al chiarore della luna e quasi temetti di svenire.
Erano uno spettacolo che non mi sarei mai stancata di osservare, nonostante fossero passati mesi o addirittura anni.

« Sono incredibili » dissi ad un tratto, interrompendo quel silenzio creatosi attorno a noi.

Michael serrò leggermente la mascella, mordicchiandosi il labbro inferiore.

« Kara, tesoro. Non hai risposto alla mia domanda » mormorò.

Gli sorrisi dolcemente, portandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

« Vorrei poterli recuperare proprio in questo momento, Michael. Ma non possiamo » risposi.

« Tu vuoi? » mi chiese.

Annuii, stringendomi leggermente nelle spalle.

« Dimmi solo com- »

Egli si avvicinò velocemente al mio corpo, afferrandomi per il polso mentre con l'altra mano andò a sollevarmi il viso, guardandomi negli occhi con intesa.

« Allora baciami, Kara. Baciami e non pensare al resto o a cosa ci potrà accadere. Fallo adesso, ti prego » sussurrò, attirandomi maggiormente contro al suo corpo.

Cercai di liberare piano il mio polso, voltando il mio viso altrove per assicurarmi nessuno ci stesse vedendo, ma egli mi obbligò quasi a guardarlo, incatenando le sue iridi nelle mie.

« Michael, i bambini...Loro potrebbero vederci e potrebbero...potrebbero dirlo a Glenda o a sua madre. Noi non possiamo, adesso » balbettai alquanto nervosa e con il cuore a mille.

Avevo paura. Paura che ci potrebbero scoprire e portare via da me l'unica persona che ero stata in grado di comprendermi e di farmi provare emozioni devastanti.
Avevo paura di perderlo.

« Al diavolo le tue paure » esclamò.

Fu tutto in un attimo.
Mi afferrò saldamente per i fianchi, avvitando le sue braccia attorno ad essi con fare quasi possessivo e in un colpo solo, unì le sue labbra con le mie, baciandomi con una passione del tutto disarmante.
Combaciò il suo petto contro al mio, inclinando leggermente la testa di lato per poter accedere maggiormente alla mia bocca le cui labbra avevano cominciato a tremare per l'emozione.
Mi aveva baciata senza nemmeno spiegarmene il motivo; aveva lasciato che le mie mani vagassero per tutto il suo petto leggermente scolpito, soffermandosi sulle sue larghe spalle prima di circondarle dolcemente, stringendomi maggiormente al suo corpo sicuro.
Il suo profumo esilarante invase le mie narici in un modo del tutto carezzevole, mandando i miei sensi in esuberanza.
Mi aveva in un certo senso intossicata, tendendomi una ragnatela d'amore in cui ero caduta senza nemmeno saperlo.
E nonostante essa fosse profonda e gigantesca, il mio cuore non ne voleva sapere di uscire.
Avrei aspettato per giorni, mesi e anche anni prima di venire allo scoperto.




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