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11. Ti proteggerò sempre.

Il sole giunse ormai prossimo al crepuscolo e Heeseung rabbrividì per quella brezza pungente di febbraio.

Continuò a passeggiare per le strade stranamente tranquille. Il luccichio dei palazzi gli rimase impresso nelle retine.

Gli facevano male le gambe, ormai camminava da molto tempo, tenendo i suoi pattini bianchi per i lacchi legati da un grande nodo. Quel giorno non incontrò Sunghoon alla pista, per sua fortuna.

I muscoli gli dolevano così tanto, che si fermò, si appoggiò a un muretto e accese il telefono. La schermata di blocco segnava le sei emmezza.

Quel pomeriggio studiò a casa di Jungwon ed era di ritorno. Siccome si trovava nelle periferie e, purtroppo, non c'erano autobus, dovette attraversare un bel tratto della città a piedi. Per sua fortuna non viveva in una metropoli come Seoul, ma in una cittadella di dimensioni ridotte, tuttavia arrivare dalle periferie al centro si rivelava un'impresa: era veramente facile perdersi.

Ormai stava calando il sole e il nostro cerbiatto non aveva la benché minima idea di dove si trovasse; ironico, siccome era andato a casa dell'amico chissà quante volte. Mancava completamente di senso dell'orientamento.

Stava per controllare la sua posizione attuale, quando il cellulare gli fu strappato dalle mani.

Alzò lo sguardo confuso e intimorito allo stesso tempo. Vide due ragazzi della sua scuola e quasi gli caddero i pattini di mano.

Heeseung li conosceva già: erano sempre i soliti scocciatori che si divertivano a umiliarlo e maltrattarlo. Inoltre la situazione peggiorò drasticamente dopo l'accaduto nei bagni della scuola.

Uno dei due buttò violentemente il telefono a terra, il vetro si ruppe in mille pezzetti. Risero entrambi per l'espressione indescrivibile del poveretto: un mix tra rabbia, paura e impotenza. In quel momento si sentì il corpo pietrificarsi, eppure avrebbe così tanto voluto prenderli a pugni.

Si avvicinarono sempre di più, fino a circondarlo.

"Ma guarda un po'... Quanto è piccolo il mondo..." Parlò uno, la sua voce era abbastanza bassa.

L'altro si avvicinò ancora e allungò una mano più del dovuto, verso l'inguine.

"Qualcuno tempo fa mi ha detto che fai delle urla pazzesche... Avanti, ora sono curioso..."

"TE LO SCORDI!" Strillò Heeseung, cercando pure di scappare, ma lo bloccavano.

Indugiò ancora con la mano.

Il cerbiatto gli lanciò uno sguardo feroce ed afferrò i suoi polsi, dai tendini ben evidenti.

"NON TI AZZARDARE A TOCCARMI NEMMENO CON UN DITO!" Gridò.

"Ma guarda guarda... Ora ci ribelliamo pure... Vieni a casa mia, mi annoio e mi devo svagare..."

"Di certo non usando me, maledetto! Ma chi ti credi di essere?!" Ringhiò, ormai stava perdendo il controllo.

"Ti pago per un'ora."

"MA PER CHI MI HAI PRESO?!"

Dopodiché Heeseung si dimenò, braccia e gambe erano inutili, lo avevano immobilizzato, ma non si arrese e si mise a urlare per chiedere aiuto.

"Che state facendo?"

Quella voce fu sufficiente a fargli tornare la calma. Mollò la presa e i pattini caddero a terra, sporcandosi appena, e smise completamente di respirare alla sua vista; non poteva crederci.

Scorse quella bellissima figura sempre così elegante e perfetta venire verso di loro. Il suo viso era colorato da tonalità di rosso e giallo, grazie ai raggi del sole che sembravano volerlo illuminare di proposito.

Si fermò davanti ai tre e si spostò delle ciocche di capelli neri dalla fronte. Guardò bieco i ragazzi che si stavano permettendo di maltrattare il suo Hee.

"S-Sunghoon?!" Balbettarono in coro.

"Il principe del ghiaccio?!"

"Sì, in persona... Che state facendo?" Alzò appena la voce.

Si attentarono subito a rispondere, ma furono interrotti.

"Era una domanda retorica; so cosa stavate facendo e vi avverto che se osate toccarlo ancora una volta, a casa ci andrete strisciando."

"Lascialo immediatamente." Ordinò.

Il suo sguardo glaciale faceva quasi paura.

"Hai sentito cosa ti ho detto?" Rialzò i toni, si stava innervosendo.

I due si lanciarono una serie di occhiate. Forse non era il caso disobbedire a un principe, quindi mollarono la presa.

Heeseung rimase fermo impassibile, l'espressione spenta in volto e le gambe che gli tremavano come foglie.

"Sparite."

Senza più fiatare, corsero via come conigli e scomparvero dietro le macchine parcheggiate, come se avessero visto un fantasma. In effetti quello sguardo sarebbe stato capace di mettere in fuga chiunque, senza poi contare della sua fama che intimoriva tutti: ogni volta che impartiva un ordine, i suoi "sudditi" eseguivano; era così che funzionava con Sunghoon, riusciva sempre a ottenere ciò che voleva grazie al suo fascino irresistibile.

"Codardi, mi fanno proprio schifo." Ringhiò il pattinatore, adirato più che mai.

"Erano loro che facevano tanto i ruffiani con me l'altro giorno... Che schifosi leccaculo, mi fanno repulsione." Continuò. Digrignò i denti dalla rabbia.

Heeseung intanto raccolse i pattini, li pulì dalla polvere col polso, finché non tornarono al loro abbagliante bianco originale. Tremava ancora e si chiese cosa gli sarebbe accaduto, se non fosse capitato casualmente Sunghoon a salvarlo.

"È la prima volta che ti succede?"

"No." Rispose secco, evitando di guardarlo negli occhi.

"Immaginavo..."

"Grazie comunque."

"Per te questo ed altro."

Sorrise timidamente e buttò un occhio verso il suo cellulare frantumato sull' asfalto.

"Te ne regalo uno nuovo se vuoi."

"Non posso accettare."

Sunghoon non lo ascoltò e tirò fuori dalla tasca l'ultimo modello dell'IPhone che sembrava non essere mai stato usato. Glielo porse.

"Tieni... Ne ho mille a casa, non so che farmene."

"Non posso, davvero..."

"Avanti."

"Ma è tuo."

"Non lo uso quasi mai... Prendi, è come nuovo."

Allora Heeseung esitò, ma alla fine lo afferrò. Lo schermo era così pulito e liscio che sembrava appena uscito dal negozio.

Dopodiché non disse niente, rimuginò su tante cose, non sapeva come contraccambiare il gesto. Alzò la testa e lo guardò dritto negli occhi, il suo cuore perse un battito. La tentazione di baciarlo era irresistible. Si focalizzò sulle sue labbra socchiuse, rosee e umide e si impose che non le avrebbe sfiorate nemmeno per sbaglio, non aveva alcuna intenzione di cadere in trappola stavolta.

Infine Sunghoon si schiarì la gola.

"Vuoi che ti porti a casa?"

Nessuna risposta, non sapeva proprio che fare.

"Bene... Allora è meglio che vada."

Si girò ed iniziò a camminare nella direzione opposta.

Heeseung, ancora preso dallo shock, non si mosse di un millimetro, mentre lo guardava allontanarsi sempre di più. Ad un certo punto si sentì un vuoto dentro di lui, successivamente l'impulso di rincorrerlo, ma cosa gli avrebbe detto? Che voleva che lo riaccompagnasse a casa? Che desiderava stare con lui ancora?

Svoltò l'angolo e scomparve.

Quando non riuscì più a vederlo, si sentì terribilmente solo e in colpa per non avergli detto nemmeno un "grazie". Si diede dell'idiota per essere stato lì impalato a fissarlo per così tanto tempo, senza nemmeno mostrargli un po' di riconoscenza.

Basta, non ce la faceva più.

Improvvisamente le sue gambe scattarono come molle, infilò il telefono in tasca, strinse i lacci dei pattini e si mise a correre. I muscoli ormai si muovevano da soli, non pensava a niente, se non impedire che il cuore gli esplodesse.

Sperò di non avere esitato troppo e di non averlo perso, così accelerò.

"Ti prego, non andartene." Pensò.

E rieccolo!

Lo vide fermo che stava aspettando il verde per poter attraversare la strada.

"Sunghoon!"

Si voltò e, prima che potesse rendersene conto, Heeseung gli saltò addosso e lo strinse a sé, avvolgendogli le braccia attorno il torace e premendo la faccia contro il suo collo sottile e perfetto.

Da canto suo, Sunghoon ricambiò l'abbraccio e chiuse gli occhi. Era così piacevole sentire il suo calore, il contatto con la pelle delle sue guance morbide e il suo respiro irregolare. Non voleva più lasciarlo andare, temeva che ad un certo punto si staccasse e se n'è andasse, ma non accadde, restarono uno nelle braccia dell'altro giusto il tempo che il semaforo cambiasse due o tre volte.

Si alzò un vento gelido, ma non ci fece molto caso, anche se sentiva il corpo di Heeseung tremare dal freddo.

"Grazie, Sunghoon." Mormorò.

"E di ché? Era solo un telefono che non avrei mai usato."

"Non per quello, per avermi difeso poco fa."

"Aah... È stato un piacere, non li sopporto quei tipi."

"Beh, ti ringrazio; non so cosa mi sarebbe successo se non ci fossi stato tu."

Si staccarono e il nostro principe del ghiaccio appoggiò le mani sulle tenere guance di quel cerbiattino.

Tutta quella situazione pareva quasi una fiaba per bambini, quella classica storiella della principessa salvata dal principe azzurro, ma questa volta con qualche modifica: un normale ragazzo a cui sembrava che la vita avesse voltato le spalle che incontra casualmente un pattinatore professionista, soprannominato non a caso "il principe del ghiaccio", a causa di uno stupidissimo dizionario di latino... Stupida lingua morta!

Oppure, cambiando fiaba, possiamo definire Heeseung come una stupenda e altrettanto delicata rosa: abbandonata a sé stessa al sole e alle intemperie, con i petali leggermente scompigliati e rovinati, e Sunghoon colui che lo protesse con una teca di vetro.

"Heeseung, io ti proteggerò sempre. Quindi se ti dovesse mai ricapitare, chiamami, me lo prometti?"

"Non riuscirai mai a proteggermi sempre."

"Perché no?"

Sorrise, poi disse:

"Te lo prometto."

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