Capitolo 9 - Perdere una scommessa.
Katherine.
Lo stanzino era un locale minuscolo, l'equivalente di una camera da letto singola, con una credenza, un tavolino, un piano cottura e un piccolo frigo.
Shane accese il fuoco sotto a una piastra, poi aprì lo sportello della credenza, ne estrasse una padella e cominciò a scaldarla sul gas. Dopo averlo fatto ci ruppe dentro due uova con disinvoltura.
«Non avevo idea che sapessi anche cucinare» dissi tanto per conversare mentre le uova cuocevano.
«Teoricamente ci sono molte cose che non sai di me» ribatté lui con un sorrisetto.
Tagliò quattro fette di pane e le sistemò sopra la piastra.
«Per esempio?» gli domandai mentre lui smuoveva una fetta di bacon con una spatola.
«Per esempio che so cucinare.»
Scoppiai a ridere.
«Questo l'avevo capito. E che altro?»
«Dunque... » si appoggiò un dito sul labbro inferiore fingendo di riflettere. Nel frattempo smosse le uova nella padella.
«So andare a cavallo, fra quattro mesi compirò trent'anni, il mio secondo nome è Matthew e mi piace disegnare.»
«Disegnare?» ripetei incuriosita. Era la passione di mio padre.
«Dipingere, più che altro. Paesaggi e di rado volti» spiegò Shane, prima di spegnere il fuoco sotto alla padella col bacon e di trasferire il contenuto su un piatto.
«Anche mio padre amava il disegno» gli confidai abbassando lo sguardo.
«Davvero?»
Annuii, tentando un sorriso.
«Parlami un po' di lui» mi esortò Shane.
Presi un respiro profondo, poi lo rilasciai lentamente. Parlare di mio padre mi provocava sempre un vuoto nel petto.
«Vivevamo a Bushwick, il quartiere per eccellenza degli artisti, ma io non ho mai posseduto la vena artistica di mio padre. Lui ce l'aveva nel sangue. Ricordo che quando ero piccola mi faceva sedere sulle sue ginocchia e mi mostrava il mondo fuori dalla finestra della sua stanza. Io vedevo solo palazzi alti, auto e passanti che ingombravano le strade, ma lui ci vedeva qualcosa di più. Molto più in profondità, diceva che c'era qualcosa che non tutti erano in grado di vedere: l'anima di ogni palazzo, di ogni oggetto e persona. Poi trasferiva quell'anima su un foglio da disegno, e allora io riuscivo a vedere quello che lui aveva visto prima di tutti.»
Shane mi fissò con occhi lucidi, intensi.
All'ultimo momento si ricordò di girare i toast nella griglia.
«Tuo padre è... »
«Sì» annuii con un sospiro. «Cinque anni fa.» Respirai profondamente, colsi un'espressione triste sul volto di Shane.
«Era un sognatore» continuai. «Cercava sempre di vedere il lato buono delle persone, anche quando era palese che avessero cattive intenzioni. Io ero come lui. E lui è sempre stata l'unica persona che riuscisse a comprendermi. Era buono, dolce, disposto al dialogo. L'opposto di mia madre.» Feci una smorfia.
«E tua madre che tipo è?» mi chiese Shane, cospargendo di sale e pepe le uova nel piatto.
Ci pensai su solo qualche istante. Descrivere mia madre era semplice.
«Oh, lei è il tipo di donna dedita alle regole e mai ai vizi. Non si scalfisce con tanta facilità. Mi ha buttata fuori di casa perché a suo dire ero pronta per vivere da sola, e non mi ha dato la possibilità di scegliere. Così l'ho chiusa fuori dalla mia vita.»
Mi schiarii la gola, scuotendo la testa.
«La tua, invece?» rivolsi la stessa domanda a Shane, appoggiando i gomiti sul tavolo.
«È un tipo come mia madre?»
«Oh, no» disse lui deponendo le uova pronte sopra le fette di pane.
«Lei è come tuo padre. Anch'io la definisco una sognatrice, nonostante lei faccia di tutto per nascondere questo aspetto di sé. Ma io sono suo figlio e so quanta dolcezza c'è in lei.»
Sorrisi inclinando il capo di lato.
«Anch'io vorrei un rapporto così con mia madre» mormorai tra le labbra. «Però non è possibile, quindi non pensiamoci più e mangiamo!»
Lui sembrò animarsi improvvisamente.
«Ma guarda un po' chi ha voglia di ingrassare, adesso» replicò, ammiccando.
Allontanò una sedia dal tavolo per prendere posto, e io feci lo stesso.
«Devo ammettere che mi ha incuriosito il modo in cui hai abbrustolito quel pane e il resto, e non faccio una colazione così dalla fine del liceo perciò... » allungai un dito verso il suo piatto e gli rubai una striscia di bacon, portandola nel mio.
«Sì, penso di poter essere disposta ad ingrassare un po'.»
Shane sorrise, facendo scivolare il piatto contenente le uova verso di me.
«Mi sembra giusto che tu ti prenda qualche svago. E poi, il bacon e le uova sono la mia specialità» disse come se fosse uno chef appena chiamato dai clienti che vogliono congratularsi con lui.
«Come se fosse difficile girare due uova in una padella e accendere il fuoco sotto a una piastra con il bacon» replicai con uno sguardo di sfida. Addentai un pezzo di carne fritta e sentii le mie papille gustative ballare la macarena.
«Scommetto che tu non sai farle così buone, però.» La voce di Shane trasudava una velata arroganza. Gli piantai addosso un paio di occhi penetranti, mentre lottavo contro me stessa per non fargli capire che stavo apprezzando questo cibo come non avevo mai fatto con nient'altro prima.
«Sfida accettata» dissi, sollevando una fetta di pane e mandando giù un morso.
«Forse però dovrei avvertirti che non ho mai perso una scommessa in tutta la mia vita.»
Shane fece un sorrisetto.
«Scommetto che questa è la volta buona che ne perdi una.»
Scattai in piedi, lasciando cadere il resto del pane sul piatto.
«Dammi due uova e ti faccio rimpiangere quello che hai appena detto.»
Lui mandò giù disinvolto l'ultima fetta di bacon e poi si alzò a sua volta.
Aprì il frigo e ne estrasse la scatola con le uova. Ne erano rimaste tre.
«Cuocile tutte e tre» disse, porgendomela.
«Se sei così brava come dici, allora mi verrà voglia di mangiarle tutte.»
«Bene» ribattei, afferrando la scatola.
Accesi il fuoco sotto la padella che Shane aveva usato qualche minuto prima e, quando fu abbastanza calda, ci ruppi dentro tutte le uova.
Shane era tornato a sedersi e mi osservava con un sorrisetto divertito.
«Tu sembri tanto sicura di te, Katherine» disse, accavallando le gambe.
«Ed è un problema?»
«No. Però non è stata questa la prima impressione che ho avuto di te.»
Rigirai le uova con la spatola.
«E qual è stata?»
«Ho pensato che fossi una ragazza timida e remissiva, che stava per mettersi a piangere dalla rabbia perché la sua amica l'aveva scaricata davanti a una stazione di servizio.»
Feci scorrere la spatola contro il fondo della padella con un po' troppa enfasi.
«In effetti era quello che stavo per fare» ammisi, salando le uova. «Ma poi sei arrivato tu e il bisogno di farti capire che non ero una prostituta ha prevalso sulla mia rabbia nei confronti di Roxi.»
Mi voltai a fissarlo.
«Però oggi mi sento diversa. Come se sentissi di poter fare qualunque cosa, e queste uova ne sono la prova evidente.»
Mi rivolse uno sguardo divertito, mentre io tornavo a voltarmi e spengo il fuoco.
«Ecco fatto.» Feci per togliere la padella dal gas, ma il braccio di Shane, che si era avvicinato senza che me ne rendessi conto, oltrepassò il mio, sfiorandolo.
«Hai dimenticato il pepe» sussurrò, mentre sollevavo lo sguardo verso di lui e cercavo di deglutire. Questo leggero contatto mi aveva fatto accelerare il battito cardiaco, e avevo quasi paura che lui riuscisse a sentire il cuore che mi batteva forte contro lo sterno come un martello su un pezzo di stoffa.
«Giusto» balbettai, afferrando la boccetta del pepe prima che lo facesse lui.
Ci cosparsi le uova e poi mi spostai, diretta al tavolo.
Per fortuna il cuore ritornò al suo ritmo regolare entro pochi istanti.
Shane si sedette di nuovo e mi guardò con esortazione.
«Devo ammettere che hanno un aspetto invitante» si congratulò con un sorriso.
Sollevai il mento.
«Avanti, assaggia. Sono proprio curiosa di sentire i tuoi pareri a riguardo.»
Gli feci scivolare le uova nel piatto e lo osservai mentre ne infilzava una parte con la forchetta e se la portava alle labbra.
Attesi con una certa impazienza, anche se non ne capivo il motivo.
Si tratta solo delle uova.
«Penso di aver perso la scommessa... » esclamò scuotendo la testa. Mi rivolse uno sguardo arrendevole.
«Sono ottime.»
Sorrisi compiaciuta.
Anche stavolta, non avevo perso una scommessa.
Il fatto di averla avuta vinta con Shane mi rendeva stranamente rilassata, ma non conoscevo il motivo.
«Chi ha vinto la scommessa, Shane?» lo sfidai appoggiando le mani sul tavolo.
Lui mandò giù un altro boccone, e mi sorrise.
«Sempre io, Katherine. Le mie sono solo di un pizzico migliori.»
Mi ammiccò ancora, poi si alzò e si diresse alla porta, lasciandomi in piedi dietro al tavolo.
«Va bene» replicai, sollevando la testa. Cercai di non mostrargli quanto la sconfitta mi bruciasse.
«Ma non importa» mi assicurò lui con un sorrisetto.
«Ti rifarai la prossima volta.»
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