#3
Il treno iniziò a rallentare, lungo il convoglio, con un gran chiasso, tutti si davano da fare per recuperare bagagli e animali. Speravo con tutto il cuore che i Prefetti stessero facendo il loro lavoro, perché non avevo assolutamente voglia di andare avanti e indietro per tutto il treno chiedendo la cortesia di non ingombrare il corridoio con le valige e i bauli.
«Te lo porto io» mi sussurrò Fred, vedendo l'evidente fatica che stavo facendo nel cercare di prendere la gabbietta di Macnas, insieme a tutte le altre cose.
«Ti piace proprio il mio gatto, eh?» ridacchiai, ringraziandolo però con uno sguardo e un sorriso che solo in pochi potevano dichiarare di aver visto.
«Io e lui ci intendiamo» mi confidò ad un orecchio, superandomi poi per uscire dallo scompartimento e mettersi in coda verso gli sportelli. Mi presi qualche secondo di tempo per guardarlo, e per cercare di calmare quella pelle d'oca che solo lui mi sapeva far venire. Di quel ragazzo si scoprivano nuovi lati ogni giorno. In sette anni, ero convinta di non aver ancora scoperto tutto di lui.
Scesa sul marciapiede, i miei sensi vennero inebriati dal familiare odore di pini che fiancheggiavano il sentiero per il lago. Mi aspettavo il familiare richiamo di Hagrid per i bambini del primo anno, ma in realtà non arrivò. Al suo posto c'era una voce diversa, da donna, che gridava: «Quelli del primo anno in fila da questa parte per favore! Tutti quelli del primo anno da me!».
«Perchè c'è la Caporal?» chiese Lee, guardandomi come se la nuova Caposcuola avesse tutte le risposte del mondo, «che fine ha fatto Hagrid?».
«Non sono mica il genio della lampada, non lo so. Si sarà preso un raffreddore, con l'acqua che sta venendo giù». E, a riprova di ciò, feci un lieve starnuto che non faceva presagire nulla di buono.
«Andiamo alle carrozze» mi interruppe George, «prima che il raffreddore venga a te, prefetta perfetta».
Fuori dalla stazione di Hogsmeade erano parcheggiate più o meno un centinaio di carrozze trainate da Thestral che portavano sempre al castello gli studenti dal secondo anno in su. Sono delle Creature Magiche che vengono studiate durante il quinto anno, invisibili a chi non ha assistito e compreso pienamente un decesso. Ero rimasta particolarmente affascinata dalle rappresentazioni trovate sui libri, perché ero appassionata di cavalli e in Irlanda avevo la possibilità di andare a cavalcare molto spesso. Il Thestral è una razza di cavalli alati con corpo scheletrico, privo di carne, rivestito di un mantello nero lucido e quasi scivoloso. Il muso ha caratteristiche rettiliane, come se fosse quasi un drago. Gli occhi bianchi sono senza pupille e senza espressione.
Non ne avevo mai visto uno dal vivo, fino a quando...la realtà mi investì con la forza di un carro armato. Riuscivo a vedere i Thestral. Ma certo che ci riuscivo, dopo quello che era successo quell'estate. Pensavo di essere più intelligente di così, eppure mi ero lasciata prendere alla sprovvista.
Mi toccai l'orologio che tenevo al polso, per poi cercare con lo sguardo mia sorella. Trovai la sua chioma bionda nascosta tra le braccia di Dean Thomas, un suo compagno di casa. Per un secondo considerai di andare da lei per consolarla, ma mi concessi un attimo di puro egoismo, per una volta. Probabilmente, Daisy non aveva bisogno di me. Anzi, l'ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento sarebbe stata vedere la sua sorella perfetta. E poi, Daisy mi stava cercando? Stava pensando che anche io potessi essere sopraffatta dal dolore e dai ricordi? Non sembrava. Come al solito, io dovevo pensare a tutti, ma nessuno pensava a me.
Sbatacchiando e ondeggiando, le carrozze avanzarono in fila lungo la strada. Nonostante stessi ancora pensando a mia sorella, Angelina riuscì a farmi partecipare ad una conversazione sulla nuova stagione di Quidditch in arrivo. Angelina, infatti, sarebbe stata il nuovo capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro dopo Oliver Baston, e stava già pianificando dei nuovi allenamenti che avrebbero portato i Grifondoro alla vittoria.
«Basta che non ci rompi il culo con tutti questi allenamenti» esclamò George dopo dieci minuti di blateramenti su giri di campo, mosse da imparare e addominali da avere.
«Weasley!» esclamammo in contemporanea Angelina e io, perché entrambe non apprezzavamo le uscite volgari che negli ultimi anni i gemelli sembravano avere.
«Eddai, lo sapete che per noi maschi è doloroso stare troppo tempo a cavallo di una scopa»
«Perché, credi che per noi sia un piacere?» chiesi incuriosita, guardando George con occhi che lanciavano fiamme, «soprattutto in certi periodi del mese? Eppure non mi sembra che ci lamentiamo, no, Angelina?»
«E' inutile» rispose lei, scuotendo la testa. «La nostra sopportazione del dolore è infinitamente maggiore. Però, il prossimo allenamento i ragazzi lo possono iniziare con venti giri del campo in più, vediamo se si fortificano un poco».
Ridacchiai ai lamenti rumorosi dei due gemelli, e lasciai che il mio sguardo vagasse fuori dal finestrino. Il castello di Hogwarts si stava facendo sempre più vicino: una massa oscura di torrette, con qua e là una finestrella che diffondeva una luce invitante.
Le carrozze si fermarono sferragliando accanto ai gradini di pietra che salivano al portone di quercia. Gli studenti scesero, dirigendosi velocemente all'interno del castello per rifugiarsi dal temporale.
La sala d'Ingresso era splendente di torce ed echeggiava dei passi degli studenti che attraversavano il pavimento di pietra diretti alla doppia porta sulla destra, che portava nella Sala Grande, al banchetto di inizio anno. Nella Sala Grande, i quattro lunghi tavoli delle Case si stavano riempiendo sotto il cielo nero privo di stelle, identico a quello che si scorgeva dalle alte finestre. Candele galleggiavano a mezz'aria sopra i tavoli, illuminando i fantasmi argentei sparpagliati nella Sala e i volti degli studenti immersi in fitte conversazioni.
Entrare nella sala Grande mi procurava sempre la stessa sensazione. Fin da molto piccola avevo sempre desiderato entrare in quel posto, andare ad Hogwarts ed imparare la magia, come prima di me avevano fatto i miei genitori e i miei nonni. Era quasi la prova che mi serviva per dire di appartenere ad una famiglia importante nel mondo magico come era quella dei Callaghan. E, da quando avevo ricevuto la lettera, avevo fatto ogni cosa possibile per rendere la mia famiglia fiera di me.
Sin dal nostro primo anno di scuola, io, Angelina, Lee, e i gemelli avevamo stipulato un tacito accordo su come sederci ai tavoloni della sala Grande. Personalmente, avevo preso l'abitudine di sedermi in mezzo ai gemelli, che lasciavano sempre un posto vuoto per me, che ci fossi oppure no. Angelina e Lee solevano sedersi davanti a noi, in modo che il gruppetto fosse il più compatto e a portata di voce possibile. Anche quel giorno, nel nostro ultimo primo giorno di scuola, senza che nessuno lo dicesse ci sedemmo in quel modo, per darci forza l'un l'altro nell'affrontare il nostro ultimo anno.
«Chi è quella là?» chiese Fred in tono brusco, indicando il centro del tavolo dei professori.
Non avevo ancora guardato il tavolo insegnanti, ma non appena mi voltai notai una figura che andava fuori dall'ordinario. Era una strega seduta di fianco a Silente, che gli parlava all'orecchio. Aveva l'aspetto di una vecchia zitella: tarchiata, con corti capelli ricco color topo in cui aveva infilato un orrendo cerchietto, rosa come il vaporoso cardigan che indossava sopra la veste. Così, a pelle, non è che mi stesse particolarmente simpatica. Però era comunque un'insegnante, quindi le andava portato il giusto rispetto.
«Credo...», borbottai qualcosa sottovoce, indicando i professori, «Divinazione c'è, Aritmanzia pure...l'unica materia che manca è quella di Difesa. Penso sia una nuova insegnante»
«Che fortuna» sussurrò Lee.
«Bel cardigan» commentò George, «Angie, ne vuoi uno pure te?». Angelina gli diede una manata sul braccio. Lei odiava il rosa.
«Sarà un anno divertente» sussurrò Fred al mio orecchio. Il suo fiato sul collo mi dava una fastidiosa sensazione di solletico, che non pensavo di provare.
«L'hai detto».
Dopo qualche secondo le porte che davano sulla sala d'Ingresso si aprì e da essa entrarono una lunga fila di bambini dall'aria spaventata. In testa c'era la professoressa McGranitt, che reggeva uno sgabello sul quale era posato un antico cappello da mago, pieno di toppe e rammendi, con un ampio strappo vicino al bordo sfilacciato. Il Cappello Parlante era il metodo della scuola di Hogwarts per smistare gli studenti nelle varie case. Quando ero piccola, volevo estremamente finire il Corvonero, come il lato paterno della mia famiglia. Nonostante ciò, dopo quasi cinque minuti di rimuginamenti e assoluto silenzio, il Cappello Parlante mi aveva messa in Grifondoro. Per qualche minuto ero rimasta interdetta, ed evitavo il contatto con i miei compagni di casa. Poi, per ultimi e con più clamore possibile, erano arrivati a sedersi vicino a me i gemelli.
Nella Sala Grande scese il silenzio, e il Cappello Parlante iniziò a cantare. Dopodiché, la professoressa McGranitt aprì la pergamena che aveva in mano, contenente la lista dei ragazzi del primo anno, e potè iniziare lo smistamento. Ad ogni assegnazione, la casa corrispondente esplodeva in un boato di applausi e di urla, per accogliere come si conviene il nuovo arrivato. I Grifondoro erano particolarmente chiassosi, perché Fred e George approfittavano del momento per fare più chiasso possibile, sbattendo mani sul tavolo e piedi per terra.
Finalmente "Zeller, Rose" fu assegnata a Tassorosso, e la professoressa McGranitt portò via il Cappello e sgabello e il professor Silente si alzò per salutare tutti prima del banchetto di inizio anno.
«Sto morendo di fame» borbottò Fred, passandosi una mano sopra l'addome. Gli diedi una lieve ginocchiata, chiedendogli con lo sguardo di stare zitto. Lui in cambio mi regalò un sorriso che mi diede la sensazione di avere le farfalle nello stomaco.
«Ai nuovi arrivati» disse Silente con voce forte, le braccia allargate e un gran sorriso sulle labbra, «benvenuti! Ai nostri vecchi amici...bentornati! C'è un tempo per i discorsi, ma non è questo. Dateci dentro!».
Le risate e gli applausi furono seguiti dalla comparsa dal nulla del cibo sui cinque lunghi tavoli, carichi ora di arrosti e pasticci e piatti di verdure, pane e salse e boccali di succo di zucca.
«Finalmente!» esclamò George, buttandosi letteralmente sul cibo.
«Ci starebbe un altro Ballo del Ceppo» commentò Lee dopo un po', «non era stato tanto male quello dell'anno scorso».
«L'anno scorso non vi siete tipo limonati in tre quella tipa del Tassorosso?» chiesi corrugando le sopracciglia.
«Infatti, ci starebbe rifarlo» gli diede man forte Fred, prendendo una boccata di zucchine.
«Non serve un ballo per trovare una tipa da limonare!»
«Sì, ma serve la componente alcolica».
«Non so, magari la nuova Caposcuola potrebbe organizzare una festa nella sala Comune del Grifondoro senza che i professori ne vengano a conoscenza» propose Angelina, guardandomi con gli occhi dolci.
«Magari» la prese in giro io, «ma solo magari, voi potreste preparare la festa, e la nuova Caposcuola potrebbe omettere qualche dettaglio alla McGranitt».
«A proposito di Caposcuola, c'è l'altro Caposcuola che invece di mangiare la sua cena sta mangiando te con gli occhi» mi informò Angelina ridacchiando. Quasi mi strozzai con l'acqua che stavo bevendo, poi provai a girarmi, ma venni immediatamente bloccata dalla sua amica. «Non girarti! O capirà che stiamo parlando di lui!».
Al mio posto si girò Fred, facendo poi un'espressione tra il sofferente e il disgustato.
«Perché sta facendo lo stalker?»
«Non sta facendo lo stalker» affermai stizzita, tirandolo dal braccio per farlo girare ed evitargli una figura da scemo, che comunque aveva già fatto. «E non mi sta mangiando con gli occhi. Toglietevi queste idee dalla testa»
«Hai il salame sugli occhi» commentò Angelina.
«Aspetta, aspetta» la interruppe Fred, «che salame? Perché non penso che quello di George riesca a coprirle entrambi gli occhi».
Dopo due secondi di silenzio imbarazzante per la battuta indecente ci mettemmo tutti a ridere, George compreso. Lo ammetto, in quel momento mi sarebbe piaciuto tanto non conoscerli. Eppure, nessuno sapeva farmi ridere così tanto come ci riusciva Fred Weasley.
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