#20
Il nostro secondo "primo" bacio fu un dolce scontrarsi di labbra. Un lento assaporarsi. Un conoscersi. Un morbido riconoscere di essere con la persona giusta.
Ci staccammo leggermente, guardandoci negli occhi. Le nostre mani che esploravano tutto di noi. Gli incrociai le braccia al collo, e lo tirai a me per un altro bacio. Un bacio pieno di foga. Un divorarci per diventare una cosa sola. Non appena ci staccammo, Fred ci mise qualche secondo per aprire gli occhi, e per un momento sembrò perso e non molto sicuro di dove si trovasse. Poi focalizzò lo sguardo sui miei occhi, e mi strinse tra le braccia affondando il viso nel mio collo.
«Ehy» mormorai, accarezzandogli i capelli. «Fred, che ti prende?»
«Sono completamente perso per te»».
Il mio cuore mancò un battito. Poi ne mancò altri due o tre. E solo le braccia di Fred avvolte intorno alle mie spalle e alla mia vita mi permisero di non cadere con il sedere per terra.
Il ragazzo passò le sue labbra sul mio collo e sulla mia guancia, lasciando baci bollenti dappertutto. Sussurrando parole che non mi sarei mai potuta dimenticare.
«Lo sono da un sacco di tempo. Tutto ciò che fai, tutto ciò che dici, tutto ciò che sei...non riesco a fare a meno di pensare a te. E questo mi fa paura»
«Perché dovresti avere paura?»
«Mi sento debole».
Feci uno sforzo enorme per staccarmi dalle sue braccia e fare qualche passo indietro. Lo guardai come se non l'avessi mai visto prima.
«E' questo...quello che pensi di noi? Come un qualcosa che ti rende debole?». Ironico, come la prima volta in cui avevo usato il pronome "noi", fu in un momento in cui il nostro "noi", quello che stavamo costruendo insieme, stava vacillando.
«No, Maeve. Io...non intendevo questo.»
«Mi sembra esattamente quello che hai detto. E io non ho nessuna intenzione di essere considerata come qualcosa che ti rende debole».
Fred mi prese i polsi con un gesto repentino, attirandomi a sé senza darmi alcuna possibilità di muovermi.
«Ascoltami bene, adesso» sussurrò con voce particolarmente bassa e profonda. Decisamente, quando iniziava a parlare così aveva tutta la mia attenzione. «Non sei tu a rendermi debole. E' il fatto di non sapere cosa sarei capace di fare per te.»
Dovevo ammetterlo, Fred Weasley ci sapeva fare con le parole. Sapeva cosa dire, e aveva la voce e il modo giusto per dirle. E io non ero mai stata capace di resistere.
«Non devi fare niente per me, Fred» sussurrai, appoggiando la testa nell'incavo del suo collo e lasciando che mi avvolgesse in un abbraccio. «Oltre ad esserci quando ne ho bisogno».
«Ci sarò, te lo prometto». E io, che non mi ero mai fidata di nessuno se non me stessa, gli credetti.
Fred si stava avvicinando per darmi un altro bacio, quando sentii il crepitio di foglie secche che si frantumavano sotto del peso, e lo allontanai abbastanza da riuscire a guardare davanti a me. In lontananza, due di quelli che all'inizio credetti essere cavalli stavano pascolando tranquilli. Se ci avevano visto, evidentemente non ci ritenevano una minaccia tale da scappare via.
«Wow...» sussurrai, cercando di avvicinarmi per vederli meglio. Fred mi prese dal braccio, guardandomi come se fossi impazzita.
«Che ti prende?» chiese, continuando a passare lo sguardo da me al punto in cui stavo guardando, «che cosa hai visto?».
In quel momento mi resi conto di essermi fregata con le mie stesse mani. Perché quelli non erano cavalli normali, erano Thestral. E Fred non li poteva vedere.
«Sono...ecco...sono...»
«Sono...cosa?»
«Thestral...ci sono due Thestral, lì in fondo. Vicino al castagno con quel ramo basso».
Vidi Fred che rielaborava a poco a poco l'informazione, facendo le connessioni opportune. Spalancò gli occhi, guardando diverse volte prima me e poi il luogo indicato. Poi si fissò su di me, aggrottando le sopracciglia.
«Mae...chi...?»
«Mia nonna, pochi giorni prima di tornare ad Hogwarts».
Fred ritenne il fatto che io non glielo avessi rivelato prima oltremodo oltraggioso, e si dimostrò particolarmente offeso dalla poca considerazione che avevo avuto per lui.
«Sono il tuo migliore amico!» esclamò, facendo così scappare i due Thestral prima che io riuscissi ad avvicinarmi di qualche metro a loro, «beh, adesso sono qualcosa in più, ma prima ero il tuo migliore amico!»
«Non l'ho detto a nessuno, Fred» lo rassicurai, cercando di calmarlo, «neanche ad Angelina. Non volevo vedervi preoccupati per me. Sto bene, davvero». E, per qualche secondo, perfino io credetti alle mie parole. Però Fred alzò un sopracciglio, lasciando intuire che non ero stata poi così tanto convincente. Forse, lui mi conosceva persino meglio di quanto io conoscessi me stessa.
«Adesso andiamo» tagliò corto lui, rimettendosi le mani in tasca, «la lezione di Erbologia deve essere finita». Evitò il mio sguardo e la mia mano che si tendeva verso di lui, e si allontanò in direzione del castello.
Ed io, seguendolo, dovetti trattenere le lacrime.
Trovammo i nostri compagni di dormitorio all'ingresso del castello, diretti verso i Sotterranei per la lezione di Pozioni.
«Ti sei beccato una punizione, fratello!» esclamò George, mettendo un braccio sulle spalle del gemello, che si era stampato in faccia un sorriso finto nell'istante in cui aveva visto i suoi amici. «Ma dove eravate?»
«Da nessuna parte» minimizzò lui, scuotendo la mano. «Davvero la Sprite ci ha dato una punizione?»
«No, solo a te» precisò Angelina, ridacchiando, «alle diciotto nella Serra numero sette».
Quel giorno, per la prima volta da che avevo memoria, non fui la prima della classe a produrre un Incantesimo nella lezione del professor Vitious, il quale strabuzzò gli occhi e mi guardò come se avessi un febbrone da cavallo.
Il fatto era che non riuscivo a concentrarmi su quello che avrei dovuto fare, non quando lo sguardo di Fred mi bruciava la schiena. Sapevo che prima o poi avremmo dovuto parlare e chiarire quanto fosse successo, ma non riuscivo proprio a racimolare il coraggio necessario per guardarlo negli occhi, figurarsi parlargli. Sentivo che le cose stavano cambiando tra di noi, ma non sapevo ancora se in meglio o in peggio. E avevo la sensazione che farmi perdonare per quello che avevo omesso non sarebbe stato poi così tanto facile. Sempre se avessi voluto farmi perdonare.
«Professore?» dissi, alzando la mano. Il professor Vitious, che in quel momento stava cercando un'ulteriore persona che potesse provare la Meteofattura, mi fece segno di avvicinarsi con un veloce gesto della mano.
«Vuole riprovare, signorina Callaghan?»
«Sì, sono sicura di farcela questa volta».
Mi posizionai al centro dell'aula, che era più lunga che larga, con ampie vetrate centrali che davano sul Lago Nero. Quelle laterali, invece, erano incantate con lo stesso incantesimo che stavamo sperimentando, per mostrare sempre il sole e far entrare la luce. Da sotto le vetrate laterali, in entrambi i lati erano presenti scaffali pieni di libri e oggetti utili alle lezioni. La cattedra si trovava di fronte alla finestra centrale, mentre i banchi erano divisi in due file che si fronteggiano le une alle altre, orientate perpendicolarmente alla cattedra.
Di norma, non mi sentivo mai nervosa quando dovevo produrre un incantesimo davanti alla classe. Non era raro che i professori mi prendessero d'esempio per mostrare alla classe il movimento della bacchetta o la pronuncia. Nonostante ciò, in quel momento ero estremamente conscia di me stessa, di quanto stessi tremando, delle mie mani sudate che stringevano la bacchetta fino a che i segni delle decorazioni della stessa non lasciarono dei solchi nella pelle. Più di tutto, ero conscia di uno sguardo penetrante che non mi aveva mai abbandonata da quando mi ero alzata dal mio posto.
«Si ricordi, un bell'arco da destra verso sinistra» mi suggerì il professor Vitious, mimando il gesto con la mano che teneva la bacchetta. «E si concentri sul tempo meteorologico che ha scelto».
«Ibris Incànto» pronunciai, muovendo la bacchetta come mi era stato indicato. Non stavo esattamente pensando ad un tempo meteorologico particolare, ma al contrario stavo lasciando che le mie emozioni, estremamente confuse e cupe, in quel momento, prendessero il sopravvento su di me.
Per qualche secondo non successe nulla, e io ero già pronta a rinunciare e dichiararmi sconfitta, quando d'improvviso riconobbi un profumo particolare, un profumo di pioggia, e mi scappò un sorriso. Era un profumo che conoscevo benissimo, perché era il profumo carico di elettricità che a casa mia, in Irlanda, avevo imparato anticipasse sempre una tempesta particolarmente violenta. Il soffitto si scurì, coperto da una nube minacciosa. Anche le vetrate laterali, che fino a quel momento erano sempre rimaste illuminate dalla luce del sole, nonostante gli incantesimi dei miei compagni di classe, si scurirono come se d'un tratto all'esterno si stesse preparando una tempesta. Un gran vento investì prima me e poi tutto il resto della classe, spettinando i capelli e facendo volare a destra e a manca fogli di pergamena e piume. Le mie preoccupazioni, il mio umore, le mie emozioni. Per la prima volta da quando facevo magie, tutto era stato riversato dentro un incantesimo. Un incantesimo che aveva trasformato l'aula in un ciclone, e me nel suo occhio.
«Finite Incantatem!»
I fogli di pergamena e le piume sparse caddero di colpo per terra, creando quasi un cerchio perfetto intorno a me. Il professor Vitious, con la sua bacchetta ancora in mano, scese dal piccolo palchetto sul quale si trovava la cattedra e si avvicinò a me con piccoli passi veloci, una maschera di preoccupazione che gli adombrava il viso.
«Signorina Callaghan, si sente bene?»
«Io...», mi guardai intorno, i miei compagni avevano i capelli spettinati, alcune ragazze particolarmente, e in viso un'espressione alquanto sorpresa, se non addirittura spaventata, «sto bene...sì, sto benissimo». E stavo davvero bene, come mi era capitato poche volte di stare. Era una sensazione molto simile a quella che provavo quando d'estate avevo la possibilità di cavalcare indisturbata per i prati dietro la nostra tenuta. Una strana sensazione di libertà.
In qualche modo, potevo capirli. Sapevo benissimo cosa avevo fatto. La Meteofattura era un incantesimo capace di cambiare a livello estetico la stanza in cui ci si trovava. Dare la parvenza che non ci fosse il soffitto, o incantare le finestre per avere più luce quando iniziava a fare buio. Era un incantesimo che non produceva danni materiali, perché non era qualcosa di tangibile. O per lo meno, fino a quel momento.
Tornai al mio posto ad occhi bassi, accompagnata dal chiacchiericcio sommesso dei miei compagni. Qualche secondo dopo suonò la campanella di fine lezione, e io scappai fuori prima che qualcuno potesse dirmi qualcosa, diretta verso la biblioteca, dove rimasi per gran parte di quel pomeriggio. Solo io e i miei pensieri ancora più confusi di prima.
Erano le cinque e mezza quando sistemai tutti i libri che erano sparsi sul tavolo dove mi ero messa a studiare e mi diressi verso le serre di Erbologia. Nonostante io non avessi ricevuto una punizione, e dopo tutto quello che era successo, non mi sembrava giusto che Fred rimanesse da solo. Alla fine, anche io avevo saltato la lezione, e non e mi piaceva che venissimo trattati in maniera diversa.
Le serre erano grandi strutture di vetro, che consentivano di trattenere il calore del sole. Anche a casa mia, in Irlanda, erano presenti delle serre dove mia nonna coltivava tutta una serie di piante magiche, forse per quel motivo Erbologia mi era sempre piaciuta come materia di studio. Mi ricordava un po' casa.
Entrai nella serra numero sette spingendo una pesante porta di metallo, e fui inondata immediatamente da un caldo afoso e un profumo dolciastro di fiori e terriccio. Sul fondo della serra, davanti ad un grande tavolo di legno, la professoressa Sprite stava lavorando alacremente.
Pomona Sprite era una maga nettamente più bassa della media, con dei vaporosi capelli grigi e grandi occhi castani. Era la Direttrice della Casa del Tassorosso, e del Tassorosso rappresentava a pieno i tratti della gentilezza e pazienza, indispensabili per diventare un'insegnante di Hogwarts.
Alzò la testa grigia non appena sentì la porta aprirsi, ma corrucciò le folte sopracciglia non appena mi vide entrare.
«Signorina Callaghan, non la aspettavo, ha bisogno di qualcosa?»
«Professoressa, questa mattina Fred non è stato l'unico a non presentarsi a lezione, mi merito anche io questa punizione».
Era la prima volta in sette anni che scontavo una punizione, e me la ero pure autoinflitta.
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