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#18

Fu Macnas a svegliarmi, quasi cinque ore dopo. Si era addormentato in mezzo a me e a Fred, su quel divano bitorzoluto ed usurato che per noi era diventato il migliore dell'universo, ma ad un certo punto decise che ci fosse qualcosa che proprio non andava ed emise un miagolio acuto che si insinuò nei miei sogni.

«Che c'è...?» borbottai mezza addormentata, muovendo la mano ad occhi chiusi per cercarlo in quello che pensavo fosse il mio letto. Trovai un ciuffo di peli morbidi, anche se non mi ricordavo che il mio gatto li avesse così lunghi. Presi ad accarezzarlo, cercando di calmarlo. «Sssh, tranquillo Macnas...» sussurrai quando questo riprese a miagolare. «Sveglierai le altre...»

«Nonostante tutto questo mi faccia piacere, sono abbastanza sicuro di non chiamarmi Macnas».

Feci un salto dallo spavento, ribaltandomi giù dal divano con un tonfo sonoro. Da qualche parte di fianco a me scoppiò il rumore di una risata che conoscevo benissimo. Mi strofinai gli occhi per poi aprirli lentamente. La Sala Comune era immersa nel buio, l'unica debole fonte di luce le braci ormai quasi spente all'interno del camino. Alzai lo sguardo, trovandomi gli occhi di Fred fin troppo vicini. Si era sporto dal divano, guardandomi divertito mentre io mi ritrovavo sul freddo pavimento. I suoi capelli erano ancora più spettinati del normale. Di fianco a lui, gli occhi gialli di Macnas mi guardavano curiosi, ed era palese che si stesse chiedendo perché la sua padroncina fosse per terra quando il divano era così caldo.

«Brutto risveglio?»

«Tu che dici?» sbuffai, sedendomi di nuovo sul divano e lasciando che mi circondasse con le braccia. D'improvviso, non avevo più freddo. «Ci siamo addormentati?»

«Così sembrerebbe» rispose, lasciandomi un lieve bacio sulla spalla. Io mi appoggiai a lui, sorridendo lievemente.

«Qualcuno avrebbe potuto vederci»

«E allora?» sbuffò lui, «che ci vedano, non mi vergogno di stare con te».

Il mio cuore mancò un battito. "Stare con me". Non ce lo eravamo ancora detti. Non ci eravamo ancora dati un nome. Noi non "stavamo insieme". Non ancora.

Fred notò il mio tentennamento. Fui sicura che lo vide, perché lasciò andare la mia vita. La lasciò andare lentamente, come se non volesse ma fosse costretto. Fu un qualcosa che mi fece più male del previsto.

«Forse è meglio se ne parliamo più tardi- affermò, alzandosi a sua volta. «A dopo».

Si allontanò verso le scale per i dormitori maschili, sparendo nel buio della notte. Avrei potuto correre da lui. Avrei potuto raggiungerlo, prenderlo per mano, fermarlo, baciarlo e farla finita con quel tira e molla. Avrei potuto fargli capire ciò che provavo per lui, cercare di dare un nome ai brividi, alle labbra secche, al cuore battente, alla pelle d'oca. Allo stato in cui mi lasciava ogni volta che mi toccava. Ma non ci riuscii. Non ero mai stata una persona coraggiosa quando si parla di sentimenti.

Avevo bisogno di sicurezza, nella mia vita. Avevo bisogno di organizzazione, di avere sempre chiaro tutto. Ero sempre stata così, fin da piccola. Al contrario di mia sorella, sempre così disordinata, sempre così imprevedibile, io ero a mio agio nell'ordine, nella pulizia, nella tranquillità. Era da quando avevo dieci anni che organizzavo le mie giornate per filo e per segno, e facevo impazzire i miei genitori perché pretendevo di sapere che cosa avremmo mangiato a pranzo e cena nella settimana successiva quando era ancora il venerdì prima.

Io prosperavo nell'ordine, sia mentale che fisico. Era il luogo in cui potevo studiare, coltivare le mie passioni. Era la condizione che mi permetteva di essere una Caposcuola, una giocatrice di Quidditch, una studentessa del settimo anno, un'amica, una sorella. Una fidanzata.

Ma Fred non la pensava allo stesso modo. Fred non era mai stato chiaro, né con me, né con nessun altro. Forse neanche con suo fratello. Era un tornado. Di parole, di idee, di gesti inaspettati, di baci rubati. Aveva il potere di capovolgere il mio mondo da cima a fondo. E io avevo paura che la mia vita sarebbe cambiata così radicalmente da non poter più tornare quella di prima.

Avevo paura di quello che Fred Wesley avrebbe potuto fare alla mia vita.

Dopo altre due ore di sonno, questa volta nel mio letto, fui svegliata dalla combinazione di un raggio di sole in faccia e il chiacchiericcio delle mie compagne di dormitorio. La testa mi pulsava, e le occhiaie profonde che si erano create sotto i miei occhi evidenziavano soltanto la mia mancanza di sonno.

Mi sedetti sul letto per vestirmi, e notai con la coda dell'occhio Angelina già vestita di tutto punto uscire dal dormitorio per andare in Sala Comune senza degnarci né di uno sguardo né tantomeno di una parola. Non era da lei. Speravo solo che il suo malumore non c'entrasse con me.

Quando arrivai nella Sala Comune invasa dal sole notai la novità che aveva già attirato l'attenzione di un gruppetto di studenti. Un cartello era stato appeso alla bacheca di Grifondoro, così grande da coprire tutto il resto.

«Che succede...?» borbottai, alzandomi in punta di piedi per poter guardare oltre le teste di tutti gli altri. Senza avere grande fortuna.

«Hai bisogno che qualcuno ti alzi, nanetta?» sentii domandare dietro di me. Non ebbi bisogno di girarmi per riconoscere Fred, tanto vicino da potermi toccare. «Posso anche provare con un Levicorpus, se proprio ci tieni»

«Oh, ma stai un po' zitto, Weasley» sbuffai, mentre un leggero sorriso mi solcava il viso.

Sentire le sue mani sfiorarmi i fianchi era una sensazione talmente bella...e anche imprevista, visto come ci eravamo lasciati la sera prima. Lo sentii ridere dietro di me, e mi si scaldò un pochino il cuore.

«Permesso?» chiesi, introducendomi tra la folla a furia di spintonate. «Permesso! Sono la Caposcuola, lasciatemi passa...».

Guardai il cartello, stampato in grossi caratteri neri e con il fondo, accanto a una firma precisa e meticolosa, un sigillo dall'aria ufficiale.

PER ORDINE DELL'INQUISITORE SUPREMO DI HOGWARTS

Tutte le organizzazioni, società, squadre, gruppi e circoli

di studenti sono sciolti a partire da questo momento.

Per organizzazione, società, squadra, gruppo o circolo
si intende l'incontro regolare di tre o più studenti.
L'autorizzazione alla ricostruzione può essere richiesta
all'Inquisitore Supremo (professoressa Umbridge).
Nessuna organizzazione, società, squadra, gruppo
o circolo può esistere senza previa conoscenza
e approvazione dell'Inquisitore Supremo.
Qualsiasi studente che costituisca, o appartenga,
a un'organizzazione, società, squadra, gruppo o
circolo che non siano stati approvati dall'Inquisitore
Supremo sarà espulso.
Quanto sopra ai sensi del Decreto Didattico Numero
Ventiquattro.

Firmato: Dolores Jane Umbridge, Inquisitore Supremo.

«Non è possibile...» sussurrai, rileggendo per la seconda volta l'avviso.

«Lei lo sa» ipotizzò Fred, mentre ci allontanavamo verso la Sala Grande. «C'era un sacco di gente sospetta in quel locale. Poteva benissimo essere nascosta da qualche parte»

«Non era lì» affermai io, decisa. «Non è possibile. Abbiamo fatto tutto per bene»

«Qualcuno avrà fatto la spia» disse allora George. Io guardai Angelina, che stava camminando di fianco a lui. Era stranamente silenziosa, e pensierosa. Ci guardammo negli occhi rapidamente, ma lei distolse subito lo sguardo.

«Nessuno ha fatto la spia, o lo sapremmo» dichiarai decisa. I due ragazzi mi guardarono perplessi. «La pergamena era incantata. Fidatevi, se qualcuno avesse cantato sapremo chi è stato, e se ne pentirà sul serio».

«Per Godric, Callaghan» mormorò Fred, guardandomi attentamente, «ogni tanto fai proprio paura».

«Angelina? Stai bene?» chiese ad un certo punto George, fermandosi di colpo mentre stavamo scendendo le scale verso la sala Grande. Mi girai a guardarla, attirata dal tono preoccupato con cui le si era rivolto il ragazzo. La sua pelle scura del viso aveva d'improvviso preso un colorito vergognolo. Si teneva a George come se da un momento all'altro avrebbe potuto svenire.

«Il Quidditch...» mormorò a voce così bassa che mi costrinse ad avvicinarmi per poterla sentire. «Parlava anche del Quidditch».

Io e Fred ci guardammo negli occhi per un secondo, e poi partimmo a correre.

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