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About Shelters And Storms

Sono le dieci di sera del ventisette di agosto quando Manuel mette giù il cavalletto della moto sulla ghiaia del vialetto di villa Balestra.

Non dovrebbe essere lì- nel senso che nesun' accordo era stato preso con Simone, ché da luglio a quella parte era riuscito a trovarsi un lavoretto in un piccolo bar poco lontano dal pantheon, e s'era quindi ritrovato ad avere i pomeriggi occupati fino a tarda notte ed un sonno persistente alla mattina.

Di conseguenza, passare del tempo con Simone era diventato, da luglio a quella parte, evento più unico che raro.

Ma forse domani mattina ci sono, gli ha scritto quella sera Simone, che sono un po' stanco stasera, e ho chiesto di staccare prima.

E Manuel non sa se Simone è ancora sveglio, che al suo passo io a prenderti? Risposta non c'è stata, ma ha deciso di giocarsela lo stesso, che c'ha un po' d'erba buona da fumare e una voglia matta di vedere il più piccolo.

S'avvia verso la veranda, le luci del salone e della cucina sono ancora accese, ed è sicuro, quindi, che sia Dante che Virginia siano svegli.

S'appresta allora a bussare, ch'è certo di non disturbare nessuno, che tanto Simone dorme sempre così profondamente che, nel caso, il campanello di sicuro non scalfirebbe i suoi sogni.

Eppure si blocca, ché gli occhi- per abitudine, per inconscia ricerca d'un legame- viaggiano verso la piscina. E lì si fermano, che Simone sta là, seduto sul bordo.

E sarebbe anche normale, una visione tanto familiare quanto dolce- il giardino, le stelle, il profumo lieve dell'erba tenera, il delicato finire delle cicale che Simone non sopporta ma che a Manuel piace tanto, Simone stesso, la sua figura inconfondibile.

Manuel potrebbe abbandonarsi contro le scale della veranda, quasi a contemplarlo, non fosse per le spalle di Simone, scosse da evidenti singhiozzi.

E allora un po' tentenna, ché non sa davvero cosa fare, che vorrebbe avvicinarsi e basta, magari abbracciare Simone, consolarlo, stringerlo forte forte, tirargli via il male - ma Simone non gli ha detto nulla, e Manuel si sente quasi un intruso, un ladro, a rubare un momento così privato.

Prende il telefono, alterna un po' lo sguardo tra lo schermo e Simone prima di decidersi.

Simone, sto qua. Posso venire vicino a te?

E questa volta la risposta è quasi immediata, ma Simone non si volta,

Sì.

Manuel lo raggiunge a passo svelto, siede accanto a lui tanto vicino che le spalle si sfiorano, i piedi penzoloni nel vuoto della piscina ancora vuota.

Il volto di Simone è rigato da lacrime che il più piccolo cerca d'asciugar via senza risultati.

Manuel vorrebbe baciarle via. Partendo dal mento, salirebbe su per quelle guance morbide fino ad arrivare agli angoli degli occhi, e lì i suoi baci sarebbero così dolci, lievi come battiti d'ali di farfalla.

Pressa il suo fianco contro quello del piccolo, tira fuori una caramella mezza sciolta dalla tasca del jeans e l'allunga a Simone - è una Rossana.

Manuel le odia quelle caramelle lì, gli sanno di vecchio. Ma Simone le adora, gli piacciono tantissimo, e Manuel ha preso a portarsele dietro ancora prima di capire che per Simone c'aveva perso la testa.

E Simone gli sorride, e il cuore di Manuel sembra un po' più leggero.

L'osserva mentre ripiega la carta ormai vuota con cura e l'infila nel taschino della camicia.

"Me lo dici che c'hai?"

"Nulla Manu, lo sai come sono fatto- me la prendo per niente"

"Se stai qua a piangere da solo proprio niente non è. E dici a Manuel tuo, che poi ce pensa lui".

"Ma perché parli di te stesso in terza persona?"

"Perché il singolare non basta mica pe' contene' tutta 'sta bellezza".

Simone ride e Manuel con lui, "ma quanto sei cretino".

"Oh!", Manuel gli tira la pantomima d' un calcio, poi, preso da un coraggio che non credeva d'avere, intreccia le loro caviglie, i talloni e i polpacci d'entrambi a pressare contro la parete della piscina, "allora?"

"Ma non è niente Manu, davvero".

"Simone, te ricordi che ce siamo promessi dopo l'incidente, davanti a Jacopino?"

"... Niente più bugie. Io non mento a te, tu non menti a me".

"Niente più bugie. Allora dimmi che è successo per favore, che me sta a veni' 'n coccolone qua, co' te che piangi e io che non so perché. 'A vuoi n' altra caramella?"

Simone scuote la testa, si stringe nelle spalle, prende un bel respiro e gli occhi si fanno un altra volta lucidi,  "è che - lo sai che i turni al locale girano, no? Ecco, c'è questo ragazzo che, insomma-" di nuovo, Simone tentenna.

Manuel non sa cosa aspettarsi. Teme, nel fondo dello stomaco, che Simone stia per raccontargli d'un  nuovo amore, però gli stringe la mano, prova per quanto può ad essere sostegno per quello scricciolo rinchiuso nel corpo d'un gigante, "Insomma?"

"Lui- Emanuele, si chiama Emanuele" dice, e un po' ridacchia, ma le lacrime hanno ripreso a scendere, "mi rendo conto solo ora che il suo nome somiglia al tuo."

A Manuel non piace nulla, di quella situazione.

"Che centra Emanuele co' e lacrime tue Simò, ché, lo devo mena'?"

"Lui-insomma, ha cominciato a - provarci con me, dal primo giorno, no? Ma non - è sempre stato molto volgare. La prima sera è stata un inferno-"

E Manuel vorrebbe chiedergli perché ha deciso di non dirgli nulla, ma nota con quanta difficoltà Simone stia parlando, e preferisce quindi mordersi la lingua, rimandare le domande ad un secondo momento.

"-ma i turni girano, quindi sono riuscito ad evitarlo, e quando non riuscivo l'ignoravo e basta. Però stasera- non so, s'è arrabbiato credo. E Salvatore m'ha mandato nel frigo perché c'era bisogno di prendere - non me lo ricordo che dovevo prendere Manu. E poi la porta s'è chiusa e c'era Emanuele, e m'ha guardato così male e io- non me lo ricordo che mi ha detto, però mi ha spinto forte"

Simone ormai singhiozza di nuovo, il polsino della camicia è umido di lacrime e a Manuel sembra così piccolo, vorrebbe soltanto abbracciarlo.

Si gira allora, siede a gambe incrociate rivolto verso di lui, con delicatezza sposta via un ricciolino dietro l'orecchio e Simone punta i suoi occhioni su di lui, le labbra tremano, "Manuel".

È Simone ad abbracciarlo alla fine, lo stringe stretto stretto, si fa piccolo piccolo sul grembo di Manuel, accoccolato come un cucciolo. Manuel gli accarezza i capelli, gli bacia le tempie.

E intanto il sangue pompa forte nelle vene, ma non ce l'ha il tempo per la rabbia in quel momento, non c'ha tempo per nulla che non sia Simone che gli trema tra le braccia.

"Simone, mi hai detto che era arrabbiato. Ti ha fatto qualcosa?" chiede, e quella semplice domanda nasconde molto di più, e Simone tira sù le maniche della camicia, mostra due polsi lividi, "solo questo".

Solo, non è il termine che Manuel avrebbe scelto per quei polsi delicati, tanto martoriati da risultare viola.

Ne carezza uno con la punta delle dita, l'accompagna alle sue labbra per baciarne la pelle tenera, "Ti fanno male?"

"Solo un po'"

Solo.

Manuel respira a fondo, attende di calmarsi, attende che Simone si calmi, rassicurato dalle sue carezze.

Poi, si tira su con Simone ancora tra le braccia.

Le luci in villa ormai sono spente, il piccolo s'era quasi assopito e ha bisogno d'aggrapparsi stretto alla sua maglia per non cadere, "Manu, che fai?"

Mi prendo cura di te.

"Ti porto a casa. Mettiamo un po' di crema su questi polsi, mettiamo il pigiama e ci mettiamo a dormire."

"Resti con me?"

"- se a te va bene."

Simone rafforza la presa, si sistema meglio tra le sue braccia e nasconde il naso sotto il suo mento, "Portami a casa Manu".

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Cuore mio.

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