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Anche il vento pare caldo, in quella sera di fine luglio.
C'è poca gente in giro, ché le temperature asfissianti hanno vinto anche i turisti più smaniosi, e il lungomare è quasi deserto, animato da poche voci e dallo scrosciare delle onde.
Un gruppetto di bambini gioca a pallone nella piazzetta principale, quella ch'affaccia direttamente sul porticciolo. Hanno abbandonato le magliette, alcuni anche le scarpe, e si rincorrono allegri incuranti del caldo, i piedi battono nudi sull'asfalto raccogliendo sabbia e polvere.
È una serata perfetta, Simone crede, per sfruttare quello stesso coraggio che l'ha spinto a infilare anche una gonna in valigia.
S'è un po' guardato allo specchio prima d'uscire, e su tutti i dubbi e le incertezze che hanno preso a vorticargli in mente, ha vinto infine la sensazione di contentezza e benessere, nel concedersi di vedersi finalmente in quelle vesti.
È distratto dal pallone che gli arriva vicino a seguito d'un tiro troppo forte quando gli vibra il cellulare.
"Dove sei?", legge, che quand'è uscito Manuel dormiva - mezzo ustionato e col sale ancora addosso, tanto forte che Simone quasi poteva sentirne il sapore.
E pondera un po', prima di rispondere, ché delle reazioni di Manuel ha ancora timore, ma più ancora lo spaventa il nascondersi e il malessere che ne deriva, e allora butta giù tutto e "al porticciolo".
L' ansia gli divora comunque lo stomaco per i cinque minuti che Manuel impiega a raggiungerlo.
Si blocca, Simone lo sbircia con la coda dell'occhio, e resta un po' fermo prima di riprendere il passo, i ricci al vento e le mani in tasca.
Basta un'occhiata, e la pelle di Simone si ricopre di brividi.
Il suo silenzio pare mangiare ogni cosa attorno a entrambi, fianco a fianco sul legno impregnato d'acqua, e la sua voce tranquilla è una carezza lieve sul cuore tremante di Simone quand'infine "ti sta bene".
E il tempo riprende a scorrere, uguale eppure mutato, ch'è un po' più lieto di quant'era stato fino a quel momento.
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