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È una cosa nuova.

Simona ha iniziato da poco, forse tre mesi, e nei suoi passi è ancora impacciato, ché le membra hanno ancora da imparare a sciogliersi alla musica, le ossa e le giunture hanno ancora da comprendere appieno l'elasticità e il muoversi contemporaneamente, come fossero fumo a salire o fiamme in balìa del vento.

Non ne demorde però, Simone, e ne fa ostinazione.

Vi si pone con la sua usuale testardaggine, e s'osserva, quasi maniacale, allo specchio.

Il ventre scoperto, i fianchi, che dei suoi movimenti dovrebbero essere il centro, che piano s'abituano al ritmo dei bassi - un ritmo ancora lento, eppure tanto inebriante che Simone sente d'essere posseduto dal peccato.

Ancora s'imbarazza, a pensarsi in quelle vesti.

E la sala è vuota ormai, ch'è tardi e la lezione è terminata da più d'un ora, e l'incenso è stato spento ma il profumo permane nell'aria e l'inebria, che  neanche s'accorge d'aver chiuso gli occhi, d'aver abbandonato il capo, ché la consapevolezza d'essere finalmente solo riesce a liberarlo e allora sente e vive nelle pause e nelle note.

Non s'accorge di quanto tempo passi, che il legno scivola sotto i suoi piedi nudi e la musica scorre e detta lo scorrere del sangue, e Simone scorre con lei, e non è più solo ma non ne prende coscienza.

Continua a muoversi, a respirare a tempo,  inconsapevole del tumulto che i suoi passi ancora impacciati scatenano nel petto di Manuel, povero penitente.

Che l'ha aspettato per quasi mezz'ora, Manuel, in sella alla moto, subito fuori lo studio.

Che non è stupido, e nei tre mesi passati ha evitato con intenzione ogni possibile immagine di Simone alle prese con la sua nuova passione, ché non ne reggerebbe la vista. Ma Simone ha tardato, e Manuel s'è preoccupato.

In quel momento, alle prese con la vista di quei fianchi candidi, comprende ch'è di sé stesso che dovrebbe preoccuparsi, che neanche riesce a respirare.

Per tre mesi s'è proibito quella vista. Per tre mesi, altri ne hanno beneficiato, e lo stomaco va a fuoco, incendiato da invidia e gelosia.

Non si controlla - è cosciente di ciò che fa, semplicemente non controlla e non sopprime quel che il suo istinto gli suggerisce - e silenzioso quanto più può avanza sul parquet, arrivando alle spalle di Simone e stringendone impetuoso i fianchi, tanto che il piccolo in primo momento urla e si dimena, calmandosi soltanto alla vista della sua immagine allo specchio.

"Sei impazzito", e porta una mano a sentirsi il petto, "m'hai spaventato".

È geloso anche di quella mano, Manuel, e svelto la sostituisce con la propria, sente il palpitare del cuore di Simone sotto il palmo.

"Come ti viene in mente", e lo stringe più forte, ché non c'è più spazio tra i loro corpi, "come te viene n'mente de fa'ste cose avanti agli altri? Lo sai adesso quanta gente me tocca mena' Simo'?"







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