CAPITOLO 12: Hügelkette
Alexander aveva notato le occhiatacce con lo sguardo torvo che si scambiavano, i loro discorsi fatti di monosillabi, la tensione che si veniva a creare ogni qualvolta si trovavano nella stessa stanza. Se fosse successo qualcosa fra loro, lei, glielo avrebbe detto, avevano superato da tempo, la diffidenza dei primi tempi e le barriere mentali e contorte che aveva innalzato per proteggersi dal mondo, eppure in cuor suo sentiva che qualcosa gli sfuggiva, che quel "qualcosa" fluttuava minaccioso e non andava ad incastonarsi nel tabellone con gli altri tasselli di quel puzzle che non era in grado di decifrare.
"Vuoi che gli dia un pugno?" le aveva chiesto snervato da quello scambio di cipigli tormentati e silenzi urlanti.
"Fuchs non è un problema! È un idiota e posso vedermela tranquillamente da sola con lui."
"Ok. Ma qualcosa deve pure essere successo tra di voi."
"Ha provato ad ucciderci. Non è sufficiente per te?"
"Fräulein, Fuchs ha tanti difetti ma non è un assassino a sangue freddo."
Era la verità? Chissà! Dopo il loro incontro spiacevole in bagno, lei, non ne era nemmeno così sicura. Gli era sembrato sincero quando le aveva detto che si era trattato di un brutto incidente, ma era anche vero che le persone mentivano con convinzione continuamente, proprio come avevano fatto Marlene e Sofie, dopo che l'avevano buttata nel pozzo. "Non è colpa nostra! Sarà scivolata da sola." avevano affermato con una semplice e bugiarda menzogna per scaricarsi la coscienza, ammesso che fossero davvero pentite del loro gesto. Adalia fissò il ragazzo che la guardava preoccupato e colse l'occasione per saperne di più, per testarlo, per capire se era falso come gli aveva detto Wolfgang, o se tutto il suo racconto era una mera manipolazione per incastrarla nel suo torbido piano. Aveva bisogno di sapere se si poteva fidare del ragazzo di cui si era innamorata, se anche il suo Alex era il "classico maschio" che mentiva continuamente alla compagna e si nascondeva dietro alle lusinghe, per non farsi fare mai domande scomode, sfuggendo a quel tentativo contorto di controllo.
"E tu che ne sai? Lo conosci forse?"
Alexander incatenò le sue iridi traballanti a quelle della ragazza.
"Pensavo di conoscerlo." alitò in uno sbuffo sofferente.
"Non è così?"
"C'è stato un tempo in cui ho creduto che fosse il mio migliore amico. In verità il mio unico amico, ma come vedi, le cose non funzionano, se non c'è fiducia e se il rapporto è unilaterale."
"E?"
"Non è che faccia i salti di gioia a rivangare questa storia. Devo proprio parlartene?"
"Non sei obbligato ovviamente, ma perché funzioni, tra noi intendo, dobbiamo essere sempre sinceri."
"Non molli mai vero? Sei..."
"Lasciami indovinare: straziante?"
"Dannatamente straziante per il mio cuore, Fräulein. Il riassunto? Pensa che lo abbia tradito spifferando un suo segreto a mia sorella, che ha reagito da isterica, lasciandolo. Ma non l'ho fatto. Zelinda non è mai stata felice come il periodo in cui stavano insieme. Non le avrei mai fatto questo. Non mi ha creduto. Fine della storia e dell'amicizia. Aspetta! Tu vuoi che funzioni tra noi!" un sorrisetto compiaciuto e sghembo accarezzò la sua bocca che si andava lentamente a distendere perdendosi in un bacio a fior di labbra, mentre annegava in quel cielo illusorio.
"Non ti distrarre Adler, continua." lo rimproverava la ragazza. "Se non sei stato tu allora chi ha informato tua sorella?"
"Non lo so. Lei non me l'ha mai detto e le mie indagini non hanno portato a niente. Sono passati due anni. Ormai non c'è più niente da ricucire."
Il racconto del biondo peccava in carenza di dettagli, come se riportare alla luce quel ricordo gli facesse troppo male, tuttavia, a prima impressione, le storie combaciavano perfettamente e Alexander non era un bugiardo. Ma avrebbe comunque potuto mentirgli su altre cose. Gli uomini lo facevano tutti, per coprire le loro "tresche". Non voleva dubitare di lui, ma le parole di Fuchs le perforavano il cervello come un tarlo, continuamente. Ognuno aveva i propri segreti e i propri scheletri. Lei ne aveva tanti che voleva lasciare affogare nella notte. Perché per Alexander doveva essere diverso? Non tutti i segreti potevano danneggiare la loro relazione. Non tutti i segreti erano indispensabili e potevano tranquillamente rimanere sepolti per sempre.
"Ehi! Guardami! Cosa ti turba?" la obbligò a guardarlo negli occhi alzandole delicatamente il viso dal mento.
"Nulla." Lui la guardava pensieroso come a leggerla. Le parve che le sue crepe si fossero appena trasformate in voragini che lei non riusciva più ad arginare. Lei non sapeva mentire. Lei non gli poteva mentire. Non le stava credendo, ovviamente.
"D'accordo. Ma io sono qui quando vorrai parlarmene."
Si limitò ad annuire.
Alexander le scoccò un bacio umido sulla guancia e lei si irritò schifata.
"Mi hai sbavata! Dummkopf!"
"Tanto non dovevi andare a fare la doccia?" alzò il sopracciglio malizioso.
"Certo che vado. Da sola!"
"Permalosa! Lo sappiamo entrambi che prima o poi ti addomesticherò, selvatica Fräulein e non sarai più così indisponente e contraria a farti la doccia col sottoscritto."
"Nei tuoi sogni Adler."
"Non sai nemmeno quanto è vero!"
Adalia lo strattonò divertita.
Alexander guardava pensieroso e turbato il cielo imbrunire e uno stormo di uccelli in formazione, che volavano negli ultimi raggi di sole, formando una V scura, che scompariva lentamente avvolta dalle tenebre, tenendo in mano la sua immancabile sigaretta. I ricordi. I ricordi erano assassini silenziosi. Lo stomaco era ingarbugliato come i suoi pensieri, il volo di rondini sembrava danzare nel suo petto e non nel cielo primaverile, la leggerezza che sentiva quando lei era accanto a lui, era svanita nella foschia dei ricordi dolorosi di quell'amicizia finita. Non aveva fatto molto per tenersi quel suo unico amico. Era successo tutto così velocemente che non aveva reagito prontamente. Non si era mai trovato in quella situazione, l'amicizia era una relazione che non aveva mai esplorato prima, perciò non sapeva come comportarsi, in più era sempre stato poco empatico, troppo rancoroso e orgoglioso per aprirsi al dialogo, per capire quello che davvero aveva portato il suo amico a non credergli. Esaminava il fattaccio adesso, a distanza di anni, con la maturità ottenuta cadendo e rialzandosi, a forza di schiaffi in faccia e si rendeva conto che ancora non capiva nemmeno i suoi di sentimenti. Non aveva giustificazioni. Era colpevole quanto Wolfgang, perché lui non aveva fatto cambiare idea a Zelinda, non le aveva detto niente per non infrangere quella stupida promessa, non le aveva dato la sua versione, a cui avrebbe creduto, non aveva protetto quell'amore. Adesso sarebbe stato tutto diverso, perché nel frattempo aveva scoperto cosa si provasse ad essere innamorati, a dare voce al cuore e non alla mente, a sentire quell'emozione accendersi veloce e farsi strada nel petto senza sentire più tensione, solo vita scorrere dentro sè, una vibrazione che consumava la sua voce lasciandolo senza parole e senza respiro in balia di quelle labbra al cioccolato. La delusione nei suoi occhi color muschio non l'aveva più lasciato e da quella maledetta notte non faceva che guardarlo con risentimento. Non gli aveva creduto. Non gli aveva dato nemmeno il beneficio del dubbio. Aveva troncato il ramo ormai, senza germogli, esattamente come si potava una pianta di vite. Ma da quello stelo reciso non sarebbe più fiorito e maturato niente. Mai più. Era tardi per loro, ma forse non era tardi per l'amore. Avrebbe parlato con sua sorella e sistemato le cose.
"Ti ammazzerà quella. Lo sai vero? Le avevi promesso di smettere. Sei sempre il solito ipocrita." una voce roca e profonda lo fece sobbalzare. Il suo giudizio era stato importante, ma ora non contava più niente.
"Tanto a te cosa interessa?"
"In effetti non me ne frega niente." un ghigno perfido si stampò sul suo viso. In un modo o nell'altro, Alexander, comunque sarebbe morto. Non c'erano incognite sul suo destino, solo una certezza, una sentenza di morte che gli penzolava sulla schiena come un bersaglio.
"Io non ho dimenticato, Fuchs." affermava stanco e sconsolato.
"Oh lo so, che non l'hai fatto, Adler. Non ho dimenticato nemmeno io, il tuo tradimento, se è per questo. E ora siamo alla resa dei conti."
"Nemmeno lei ha dimenticato." la sua voce si incespicava lieve e incerta in quella affermazione. Fuchs fu percosso da un brivido alla schiena.
"Non ti ha mai dimenticato. Le manchi. Probabilmente è così, quando pensi di aver trovato l'amore della tua vita e poi semplicemente lo perdi. Per quello che vale, non sono stato io. Lo so che non mi credi e che non lo posso dimostrare, solo mi manca la nostra amicizia." sbuffò fuori l'ultima boccata di fumo e si affrettò a spegnere il mozzicone che aveva buttato a terra. Si era anche abbassato a raccoglierlo. Non glielo aveva mai visto fare. La presenza di Fräulein Luchs, l'aveva cambiato. Era evidente. Lei aveva un ascende sul ragazzino, che lo aveva piacevolmente stupito, ma che non avrebbe cambiato niente, non più.
Tuttavia, Alexander Adler non era mai stato più profondo e sincero, come in quel frangente. Fuchs lo osservava con una sensazione sgradevole addosso e con lo sguardo tagliente, mentre il biondino si accendeva l'ennesima sigaretta. Il suo modo malsano per scaricare la tensione, era peggiorato. Eppure adesso aveva pure una donna con cui potersi sfogare in modi decisamente più piacevoli, fondendo i loro corpi e le loro anime. Sorrise amaramente. Lui aveva perso quel treno per sempre. Una pece oscura di rabbia incontrollabile si impossessò di lui. Perdonarlo? Ci aveva pensato. Tanto. Ma era tardi. Ci sono peccati che non possono essere assolti. Nemmeno adesso che per la prima volta, il suo fratellino mancato gli apriva il suo cuore.
"Mi dispiace." aveva infine farfugliato.
Wolfgang spalancò gli occhi stupito. Un anno di addestramento per capire le persone, eppure questo ragazzo era un mistero indecifrabile. Alexander Adler, il ragazzo più borioso del Regno, gli aveva davvero chiesto scusa? E poi per cosa? Continuava a dire di essere innocente. Evidentemente cercava di scaricarsi la coscienza, ma Fuchs non avrebbe abboccato.
"Hai deciso di farmi fare un tedioso monologo, amico?"
"Non ho niente da dirti Adler e non siamo amici. Non più. Cosa pretendi da me? Vuoi che ti perdoni? Che lavi via le tue colpe? Non accadrà mai." il pugno era così stretto e in tensione che era diventato bianco.
"Non mi aspetto che tu lo faccia. Ho fatto una " verdammte Scheiße", non ci sono scuse."
"Lo ammetti finalmente?"
"Non ho fatto la spia, ma ho lasciato che Zelinda ti allontanasse e ora stiamo tutti male."
"Lei... sta male?" il suo fiato si accorciava mozzato.
"Cosa pensi? Ti ama." rispondeva ovvio.
"Mi ama ancora?" chiedeva stupito più a sè stesso che all'altro interlocutore. Aveva sempre pensato che lo odiasse, che l'avesse dimenticato per sempre consolandosi tra le braccia di un ragazzo degno del suo amore.
"Ahimè è così. Come te la passi? Hai bisogno di soldi?"
"Siamo qui per questo? Proprio lì vai a parare?"
"Mi preoccupo per te. Tutto qui."
"Non ho bisogno della tua carità e nemmeno della tua compassione. E non rubo più se è quello che stai insinuando."
"Non insinuo niente. Ti conosco." rispose ovvio con un accenno di sorriso, che Fuchs però interpretò erroneamente, scambiandolo per scadente sarcasmo. Alexander aveva lasciato in sospeso apposta quella sua affermazione. Non sapeva nemmeno bene il perché. Sapeva che Wolfgang poteva interpretarla come una provocazione, ma non gli interessava. In verità il suo "Ti conosco" significava che aveva fiducia in lui, che sapeva che non avrebbe rubato mai più e che gli errori del passato non facevano di lui un cattivo ragazzo. Le esigenze della vita lo avevano obbligato ad intraprendere quella strada. Non aveva avuto scelta. Lui, meglio di chiunque altro, sapeva cosa significava non avere scelta. Fuchs lo guardava con gli occhi che saettavano e bramavano il suo sangue.
"Muori stronzo!" il pugno si scagliava quasi automaticamente contro la mascella perfetta del Principe. Il labbro di Alexander si era scoppiato come un palloncino pieno di acqua e sanguinava. Un ghigno soddisfatto e strafottente si conformò come una seconda pelle in una maschera di indifferenza. "E' tutto qui quello che sai fare Fuchs? Picchia più duro Zelinda di te!" lo provocò.
Fuchs si scagliò su di lui come una furia. Stava reagendo accecato dalla rabbia spinto da pura e irrazionale impulsività, esattamente quello in cui non doveva incappare perchè stava rischiando di rovinare tutta la sua missione. Ma in fondo la sua missione era la vendetta. Alexander non provava nemmeno a difendersi. Incassava colpi su colpi, calci che gli frantumavano le costole e bruciavano sulla pelle come abrasioni. Meritava tutta quella frustrazione sfociata in violenza. Ne avevano bisogno entrambi, per passare oltre. I veri uomini risolvevano le questioni in sospeso così. Dopotutto il duello alla Cow-boy, fuori dal Saloon, aveva quel non so che di catartico e aveva sempre funzionato. La diplomazia, i chiarimenti, i ragionamenti cervellotici, erano sopravaluti, meglio una vecchia, sana scazzottata.
Alexander era rimasto sull'asfalto freddo per un tempo indefinito, con dolori che lo scorticavano e che gli facevano perdere i sensi. Aveva male ovunque, anche dove non era stato colpito. Guidare in quelle condizioni non sarebbe stata una passeggiata, ma in fondo a lui piacevano le sfide e orgoglioso com'era, non si sarebbe mai perso una disfida quasi impossibile e tantomeno si sarebbe ritirato per qualche ammaccatura. Non era diverso da quando lo scorso anno era caduto dalla moto nel tratto oceanico e aveva dovuto fare tutto l'ultimo tratto con la tuta e la pelle squarciata che pulsava.
Infilare la tuta pulita sulle ferite aperte, la pelle gonfia e sui lividi viola, era stata una straziante tortura, ma non poteva mugugnare o lamentarsi rischiando di svegliare la sua Fräulein. La conosceva abbastanza bene, da sapere che gli avrebbe sicuramente fatto un sermone e che si sarebbe preoccupata senza motivo. Non era la prima volta che veniva pestato. Per sua scelta per di più. Aveva ingurgitato gli antidolorifici, della famiglia della morfina, che gli aveva dato l'infermiera Jasmine, che non aveva avuto il coraggio di chiedergli cosa gli fosse successo e mentre ne aspettava l'effetto analgesico, guardava le ombre inconsuete e strane che si muovevano lugubri attorno a loro danzando e prendendo vita dai ritratti curiosi, appesi sulle pareti fosche, esercitando il loro potere malvagio e che trascendevano l'ordine naturale delle cose. Era la sua mente ad immaginarsi un mondo spettrale e inquietante o erano le pastiglie a dargli quella sensazione strana che gli scaldava il sangue di caldo fervore e che lo faceva sudare freddo e tremare, che gli svuotava la testa riempiendola di inconcludente confusione, di intangibile niente, che non gli faceva più provare alcuna emozione felice e nessun tipo di dolore fisico mentre la consapevolezza gli scivolava via da addosso? La notte non gli pareva bella come al solito nonostante fosse sdraiato accanto alla donna che gli aveva preso in ostaggio il cuore. La notte urlava, latrava coi suoi pensieri, con le sue paure, con le sue insicurezze, aizzava gli abissi del suo animo e lo lasciava inerte a sguazzarci dentro, sprofondando in una sofferenza buia e sorda.
C'era ancora quiete, uno strano silenzio, perchè la notte era il momento in cui gli altri esseri pensanti si riposavano, si lasciavano cullare dai sogni felici di "Sandmann", si ritempravano per essere pronti ad affrontare la gara. Non c'era calma o pace nel suo petto, non c'era silenzio nella sua testa, non c'era luce di speranza, non c'erano sogni felici, non c'era niente: solo tenebre e nulla che lo inghiottiva. Giù. Sempre più giù. Le palpebre si erano fatte pesanti. Giù. Ancora più giù. Nel dolore che si trasformava in torpore che svaniva col sonno. Affondava giù, negli abissi profondi del suo essere, niente. Più giù, dove nessuno poteva raggiungerlo o salvarlo. Tra i rovi intricati che si conficcavano nella carne tarpandogli le ali. Giù. Nelle viscere della sua oscurità. Ancora più giù. Avvolto dalle tenebre, semplicemente si spegneva discinto di ogni emozione, sentimento, ardore, dilaniato da un alito di finta morte che aveva messo a tacere ogni voce, anche la sua.
Erano partiti con le prime luci dell'alba, dopo che Fräulein gli aveva medicato il labbro tumefatto e lui l'aveva pregata di non chiedergli niente. Avevano guidato in un silenzio assordante di motori ruggenti e sguardi rubati nello specchietto e che racchiudevano molto più delle inutili parole. Avevano macinato km su km, con la vittoria nel cuore come unico obiettivo, instancabili, indomabili, battaglieri. Si erano lasciati alle spalle da tempo i campi di riso, le pianure con i fiumi cobalto e i pascoli erbosi. Alexander non ricordava di aver riposato così bene, dai tempi in cui, da bambino, il nonno gli raccontava la storia della buona notte, tuttavia il dolore, cominciava a tormentarlo, a distrarlo facendolo inabissare nelle solite questioni irrisolte. Il motore pulsava come il suo cuore, su di giri, mentre attraversavano il paesaggio dolcemente ondulato da rilievi cenozoici, campagne verdeggianti e vigneti a perdita d'occhio, percorrendo strade costruite su creste sommitali e che univano fra loro deliziosi borghi rurali in pietra dove ai Pit Stop, graziose signore sorridenti, li attendevano con i biscotti appena sfornati e "Apfelkuchen" o Strudel fumanti. Si era fatto tentare, dalla dolce nonnina col viso simpatico, in quel paesino sperduto tra i boschi verdi e i vigneti, ad addentare lo Strudel più buono che avesse mai mangiato in vita sua: crema pasticcera calda e marmellata di ciliegie avvolte in "Blätterteig" che si scioglievano in bocca in una combinazione di sapore, vellutatezza ed equilibrio, infervorando le sue papille gustative raffinate. I dolci lo mettevano sempre di buon umore, parlavano di momenti passati, sereni e felici, da ragazzo, col nonno, ma poi, passata l'euforia del momento, i morsi di fame scaturiti da quella perfetta combinazione di zuccheri + carboidrati e l'astinenza da quella gradevolezza zuccherina, gli facevano perdere la ragione, motivo per cui non mangiava mai quelle prelibatezze quando era nel bel mezzo della competizione. Lo stomaco brontolava. Ancora e ancora. Le barrette energetiche, la carne essiccata e nemmeno il pranzo, l'avevano soddisfatto e non avevano neppure scacciato quella maledetta "voglia" di dolce. O era voglia di... lei? Come se non bastasse non poteva nemmeno fumare o baciare Adalia in pubblico. Aveva i nervi a fior di pelle e sentiva di poter scoppiare come "Dynamit", da un momento all'altro. I dolci: abbuffata compulsiva come evasione dalla tristezza del lutto che gli lasciavano sempre l'amaro in bocca e lo piegavano ai sensi di colpa, facendo riaffiorare il lato più oscuro e doloroso della medaglia: suo padre.
"Diventerai un ciccione, brufoloso. Il popolo ti schernirá e non troverai mai moglie."
I dolci. Il suo continuo amore/odio per quelle bombe caloriche che facevano ingrassare tutti ma non lui, era stato sostituito dal più salutare sport divenuto quasi istantaneamente maniacale e compulsivo e da una alimentazione equilibrata. Ma Alexander non era come gli altri. Quel nevrotico vuoto che si propagava dentro di sè era corrosivo, oscuro e spaventoso come un'ombra, non si placava mai come la fame nervosa che lo mangiava dall'interno svuotandolo di ogni emozione felice facendolo incappare nel peggiore dei vizi: il tabacco, anoressizzante, mortalmente letale e un toccasana Zen per i nervi e per la mente.
I dolci non erano mai stati il suo problema. Suo padre invece sì. Accostò frustrato sulla strada costeggiata da campi di tulipani in fiore, uno spettacolo di colori tenui e sfumati, di una bellezza indescrivibile, e scaraventò con inaudita veemenza il casco sull'asfalto sbiadito. Non si placava mai quel suo continuo malessere, quel senso di inadeguatezza perenne, quel senso di colpa che lo divorava. I problemi, i pensieri, i commenti al vetriolo lo seguivano sempre. Tutto per una maledetta fetta di torta che aveva scatenato ancora i suoi incubi diurni. Compartimentare, le emozioni negative chiudendole in una scatola, come gli aveva suggerito lo strizzacervelli, non serviva a niente se quella poi gli esplodeva in faccia ogni volta.
《Tu mi giudichi, ma non mi conosci. IO SO CHI SONO》
Appoggiato alla moto portava alle labbra una sigaretta inebriando i suoi sensi di tabacco alla menta, il tutto sotto gli occhi indagatori di Adalia.
"Ero in astinenza Fräulein! Non giudicarmi."
"Ci siamo fermati per una sigaretta? Mi credi così sciocca e ingenua?"
"Lungi da me avere pensieri errati su di te." sogghignava col suo sorrisetto odioso e beffardo da Copyright, come se il tempo si fosse resettato alle prime vecchie e brutte impressioni su Adler.
Lei lo squadrava accigliata.
"Dai non fare la musona. Vieni qui!" spalancò le braccia, come a volerla stringere.
Lei non si mosse. Nemmeno un passo nella direzione del ragazzo. Era arrabbiata. Con lui. Forse come il resto del mondo, delusa. Sai che novità.
"Sto aspettando Alex." batteva il piede tamburellandolo nervosa sul manto stradale, imbronciata.
"Imbronciata, arrabbiata, dolce, pensierosa, agguerrita, sorridente. Quante versioni di Fräulein Luchs, che mi fanno perdere la testa, sono racchiuse lì dentro?" borbottò camminando verso di lei con lunghe falcate.
Le accarezzò la guancia in modo aggraziato ma travolgente. A lei parve infiammarsi la pelle a quel contatto.
"Dio quanto sei bella e perfettamente perfetta per me."
Un bacio carico di desiderio, di lussuria, erotico, che la travolse facendole dimenticare perchè era arrabbiata e perfino il suo nome. Si trovò con le gambe avvinghiate al bacino del ragazzo, mentre lui la appoggiava delicatamente su un manto di tulipani.
"Un fiore in mezzo ai fiori." si mordeva il labbro forse troppo eccitato da quel trasporto inappropriato e pericoloso, che era esploso senza controllo nel bel mezzo della gara, mentre la lampo della tuta della ragazza scivolava giù e le sue labbra cercavano voraci la sua pelle coperta solo dalla biancheria intima.
"Alex" le sfuggì, sussurrato in un gemito gutturale attraversato da brividi di fuoco, mentre cercava di fargli scivolare via la stoffa di troppo passando le mani su quei muscoli virili che guizzavano sexy.
"Fräulein, no! Stai buona lince del deserto! Non... devi... Ci concentreremo solo sul tuo, di piacere. Non farmi perdere il controllo. Non così, non in mezzo al polline, ai pistilli che mi macchiano la pelle e alle mie mancanze, ai miei silenzi che rovinano tutto."
"Non è equo."
" Il tuo piacere, è il mio piacere."
"I tuoi silenzi sono la mia voce."
Alex le sorrise baciandola.
"Mi sono picchiato con Wolfgang."
"Era evidente."
"Mi leggi sempre dentro."
"Sempre. Ora però stai zitto!" sorrise maliziosa facendosi trasportare da quel fuoco di labbra e mani che esploravano il suo corpo.
Era la prima volta che si trovava in intimità con un ragazzo.
"Sei tutte le mie prime volte." le sussurrò ansante e ingorda di quelle carezze e quei baci brucianti.
"E tu le mie."
"Sul serio?"
"Non ti mentirei mai su un argomento dedicato come questo. Fräulein tu sei l'unica che abbia mai baciato, l'unica con cui riesco a parlare di tutto. L'unica che abbia mai toccato. L'unica. È tutto nuovo. Puro istinto e desiderio di te."
NOTA AUTRICE: Achtung! Situazione bollente!😳
Deutsche Wörter:
Hügelkette: colline
Sandmann: Mago Sabbiolino (figura che nei racconti per l'infanzia, sparge sabbia dorata e magica, negli occhi dei bambini per farli addormentare e fargli fare lieti sogni.)
Apfelkuchen: torta di mele
Blätterteig: pasta sfoglia
Dynamit: dinamite
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