CAPITOLO 7: Die Schatten der Seele
Gli occhi della Principessa, erano di un pervinca sbiadito, circondati da gonfiore e vene rubino. Marcati da segni viola, dovuti all'insonnia e ai pianti convulsi, che accompagnavano le sue notti, da sola. Per quanto doveva ancora nascondersi nelle retrovie? Perché non poteva combattere alla luce del sole? Il sole, tra l'altro, non lo vedeva da mesi, se non dalle minuscole fenditure del Bunker. Nel frattempo era diventato autunno e la luce era sempre più fioca, la nebbia, piovigginando, si disperdeva nel grigio e piatto cielo color caligine, che la osservava affranto, piangendo tutte le sue lacrime, oscurando il pallido e stanco sole. Chissà se, il suo fratellino, era là, a vegliare su di lei. Respirava, aria filtrata, da mesi e aveva dimenticato perfino, il profumo della pioggia, che, prima di tutto quel dolore, adorava e le faceva fluire una calma e una tranquillità, ormai inesistenti. Si sentiva, nei confronti del popolo, che era uscito allo scoperto per ribellarsi, anche grazie ai suoi manifesti politici, una codarda rinnegata, le cui belle parole, facevano combattere in guerra, gli altri, mandandoli, verso morte certa, mentre lei rimaneva chiusa, tra le sicura mura di cemento armato e acciaio, spesse 80 cm.
"Armiamoci e partite!" così scriveva Olindo Guerrini. Così, lei, ultima discendente degli Adler, aveva spinto le masse. Con le parole. Senza fatti concreti. Senza scendere in strada, a combattere al loro fianco, come qualsiasi grande Leader e come aveva fatto anche suo padre, prima di lei. Aveva litigato selvaggiamente con Wolfgang, per questo motivo e lui, oltre ad averla segregata in camera, prendendo le redini del comando, evitava ulteriori scontri, visto il suo stato, come se essere incinta, significasse essere malata e incapacitata, a fare un discorso serio.
"Se non vuoi farlo per me, che ti amo alla follia, fallo per nostra figlia, maledizione! Non puoi andare là fuori a farti catturare o ammazzare!" le aveva urlato irato.
"Allora tu spiegami perché le menzogne e il ghiaccio, si sono insinuate nel nostro rapporto. Cosa mi nascondi? Ora che sono grassa come una Wal, non sono più bella, perciò hai trovato un'altra?"
"Che sciocchezze vai blaterando? Non sei mai stata più bella di adesso."
"Allora, dimmi cosa mi nascondi!"
"Io..."
《Non posso dirti tutto.》
"Tu cosa?" la ragazza urlò isterica.
Wolfgang sospirò. Non voleva chiederglielo così, ma ormai...
Si inginocchiò, incatenando le sue iridi Taiga, in quelle stanche, ma stupende, della fanciulla e pronunciò le semplici parole: "Zelinda Adler, vuoi sposarmi?" tirando fuori l'anello, che era stato, della bisnonna della ragazza. Ci aveva messo parecchio per elaborare il piano per sottrarlo e per trovare un orefice per farlo stringere, senza destare sospetti, ma a quanto pare, Zelinda, aveva notato i suoi sotterfugi. Ormai, non poteva più attendere che Al, ricordasse il suo passato, forse non l'avrebbe mai fatto, e benedisse questa unione.
"Ma... Come?"
"É un no?"
"Certo che sì."
"Certo che sì, che non mi vuoi sposare?"
"Certo che sì, che ti voglio sposare, stupido!"
Wolfgang sospirò e si lasciò andare in un sorriso felice, prima di tirare la ragazza verso di lui e baciarla con dolcezza.
"Come hai avuto questo anello?" tentennò, con le lacrime di gioia, alla vista del suo gioiello preferito.
"È stato complicato, lo ammetto. Ma, per farla breve, sono entrato nella super blindata torre dei gioielli della corona, con l'aiuto dei gemelli e di mio fratello e l'ho ehm... rubato. Per te. Anche se sostanzialmente, non è rubare, ciò, che è già, tuo, no?"
"Sei matto? Potevano catturarti."
"Per la tua felicità, sono pronto a rischiare tutto."
"Perché allora non capisci che per me è lo stesso e che per il mio popolo sono disposta a tutto?"
"La guerra, senza offesa, non é un posto per una Principessa e per una futura mamma. Ci sarà, presto, chi combatterà in prima linea e riporterà la pace. Te lo giuro."
"CHI? Perché mandare gli altri a combattere la MIA guerra?"
"Perché questa non é la tua guerra, amore."
"Lo è diventata nel momento in cui, Reiniger, mi ha sfidata pubblicamente."
"Vuole solo provocarti, farti vacillare e uscire allo scoperto, per ucciderti a sangue freddo. Ma non accadrà mai. Io non lo permetterò mai."
"Non puoi segregarmi per sempre, Wolf."
"Se non avessi scelta, non esiterei a farlo."
"Ti odio!"
"Peccato, perché io invece, ti amo, Piccola."
Zelinda, fissava il soffitto col magone, ricordando la proposta dolce di Wolfgang, che era sfociata nell'ennesima litigata. Sola, in quel letto enorme e sempre vuoto, nella parte sinistra, annusava il cuscino che sapeva di lui, del suo profumo, di dovere e solerte alacrità, sperando di addormentarsi e di risvegliarsi, finalmente, tra le braccia del suo uomo.
Nella stanza accanto, Leon, consumava il pavimento, andando avanti e indietro nervosamente. Da due giorni, ormai, sua sorella, aveva contratto un tremendo virus influenzale, con perdita di appetito, olfatto, gusto, tosse secca e febbre altissima, che sembrava non passarle più, nemmeno con gli antibiotici. Non mangiava praticamente nulla, nemmeno lo squisito Hühnerbrühe, che aveva fatto la mamma di Maxim, con una vecchia gallina della loro fattoria, che ormai, non deponeva più uova. La carne, negli ultimi tempi, cominciava a scarseggiare e un brodo così succulento, era un privilegio, che avevano in pochi. Eppure, disgustava anche lui, a cui, nonostante la fame, sembrava, essersi sigillato lo stomaco. L'unico sostentamento di Ad, erano le flebo con i sali minerali, che aveva procurato Felix, e i litri di tisane calde e Tee, extra zucchero, che lui le preparava amorevolmente e la obbligava a bere, quando non dormiva. Le condizioni della sorella, gli avevano tolto il sonno e lo impensierivano oltremisura. In fondo, per chi avrebbe dovuto preoccuparsi, se non della sua sorellina? I loro genitori stavano bene. Avevano mandato un messaggio criptato, proprio un paio di giorni prima, che diceva che gli mancavano i loro figli. Adalia, invece, ne aveva passate davvero troppe ultimamente e certe sue ferite, probabilmente, non si sarebbero rimarginate mai. Leon trascorreva le giornate a tenerle compagnia, leggendo romanzi, nonostante trovare quello giusto, senza storie d'amore struggenti e sacrifici, che portavano il protagonista, alla morte per salvare la donzella, o che non parlassero di guerra e carestia, fosse un'ardua impresa, e a metterle il ghiaccio sulla fronte, sperando che i deliri oscuri, che la intrappolavano in un mondo di incubi e tenebre, si trasformassero, presto, in sogni felici. Ma, per il momento, continuava ad urlare incessantemente il nome del Principe Alexander. Non ci voleva un genio per capire che, la morte del ragazzo, era ancora vivida nella mente della sorella e che sarebbe tornata a tormentarla in eterno. In fondo quei tre spari, il lago di sangue sul pavimento, quegli occhi dolci che si spegnevano con la morte, continuavano a disturbare il sonno di tutti. Una vita innocente, recisa con malvagità, estinta solo per smania di potere, per invidia, per vendetta e per quel trono che il Principe nemmeno voleva. Una morte ingiustificata. La prima di troppe. Leon si chiedeva quando sarebbe toccato a sua sorella, ai suoi genitori, ai suoi amici. A lui. Non aveva paura del trapasso o di morire facendo la cosa giusta. Aveva paura solo che il loro martirio, non avrebbe cambiato niente. Come potevano, una manciata di ragazzini, fermare un mostro, ben addestrato e ben equipaggiato? Per questo, aveva suggerito a Zelinda, di parlare a cuore aperto, per "reclutare" il popolo. Le prime rivolte si erano riversate sulle strade della Capitale, è vero, ma era al contempo, anche vero, che Reiniger, aveva mandato i carri armati a sparare sulla folla e che la loro Leadership stava vacillando, sovrastata dai drammi familiari. Leon aveva il sangue, di quegli innocenti, che scorreva, sulle sue mani tremolanti. Per quanto provasse a lavarlo via, rimaneva vivido e caldo, marchiato sulla sua pelle. Era stata una sua idea. Doveva conviverci, per sempre e non era facile. Non per un ragazzo, come lui, che anteponeva sempre, il bene degli altri, prima del suo. Avrebbe voluto rifugiarsi in un luogo, lontano dal mondo, con quel poco che ancora gli restava e prima di perdere tutto. Prima di perdere, la sua gemella, nonché la metà più preziosa e brillante della sua anima. Ma non poteva. Tuttavia, nel profondo, sapeva di averla già persa. Per sempre. Schiacciata dal dolore e dalle ombre della sua anima. Lei, comunque, non se ne sarebbe mai andata. Non prima di compiere la sua vendetta. La conosceva così bene, da sapere, che nessuno le avrebbe fatto cambiare idea e che sarebbe, tranquillamente, morta provandoci. Sospirò demoralizzato, passando la mano, tra i capelli aurei e umidi, per la febbre, della sorella, pensando all'amore. Quel sentimento, che le aveva aperto le porte del cielo, scaldando il suo cuore e sciogliendo la sua corazza di ghiaccio, e che ora bruciava nel petto della fanciulla, sotto forma di disperazione e di lacrime. Lui non aveva mai provato quell'ardore, quel fuoco che ti brucia dall'interno e che ti consuma come un tizzone sul bracciere, che si prende e si porta via tutto, che scuote la volontà e ti elargisce, quella forza che pensavi di non possedere, quella spinta prorompente e profonda che prepone la persona amata, al di sopra di tutto, anche di se stessi. Eppure, sentiva distintamente e amplificati, tutti quei sentimenti contorti, come se fossero i suoi, mischiati a quelli di fraternità, che provava, per Adalia. Era impossibile, anche per lui, ormai, farla desistere, perché in qualche modo, tramite i sentimenti della sorella, si sentiva legato al Principe. Il cratere della sua perdita, stava inghiottendo tutti, in quelle spesse mura. Il regolamento dei conti era vicino. Così come la loro disfatta. Gli altri non gli credevano mai, ma era chiaro che questa guerra l'avrebbero persa, perché avevano dimenticato il motivo per cui combattevano e avevano completamente perso di vista il loro vero obiettivo: combattere il sistema sanguinario e di sterminio di Reiniger e riportare la pace. Ormai, erano spinti solo dalla sete di sangue e questo desiderio incontrollabile di vendetta, li avrebbe distrutti, lasciando il mondo, nel caos dal quale cercavano di salvarlo.
Adalia stava sognando Alexander. Sempre e solo lui.
Quel sogno era splendido. Almeno inizialmente, perché la verità, è che, tutte le sue visioni oniriche, finivano sempre allo stesso modo: con Alex morto. E purtroppo non era una chimera, dal quale potersi semplicemente risvegliare, ma la triste realtà.
Persa, nella fantasia di un futuro che non avrebbe mai potuto vivere, si beava dello splendore e dell'incanto, di quegli occhi cerulei, che la guardavano con quella scintilla d'amore, che solo lui, possedeva. Lo sguardo del ragazzo: misterioso, altezzoso e vasto di bruma vellutata, era in grado di farla tuffare, senza alcuna possibilità di ritorno, nella vastità di quelle iridi d'oceano tempestoso, ma al contempo rassicuranti e che sapevano di appartenenza.
"Quest'anno non sarà la stessa competizione, senza di te, Fräulein."
"Non farti sedurre da qualche concorrente."
"Uhmmm... Credo sia già successo." le scoccò un bacio sulle labbra rigide. Lei si sciolse a quel contatto.
"Devi proprio andare via?" Adalia si sfiorò la pancia, che si stava arrotondando, per via della gravidanza.
"Lo faccio per onorare mio padre, a un anno dalla sua morte."
"Lo fai sempre per lui. Ti amo per questo ma... ho una brutta sensazione."
"Non mi accadrà nulla, come tutte le altre volte. Tornerò da voi, dopo aver vinto ovviamente." prima baciò le labbra di sua moglie e poi la sua pancia. "Non sentirai nemmeno la mia mancanza."
"Ne dubito."
"Che fine ha fatto, la mia Fräulein, dal caratterino di fuoco, che mi ha dato un pugno sul naso e mi ha fatto perdere la ragione?"
"È diventata una moglie e una Regina:"
"Allora, è fortunato il Re, che l'ha addomesticata."
"Scemo! Presto, darò alla luce un erede al trono. E' tempo di mettere la testa a posto, Alex."
"Sai perfettamente, che sono in due, lì dentro e che a me piaci semplicemente come sei."
"In ogni caso non farmi arrabbiare, con gli ormoni impazziti, potrei non rispondere delle mie azioni."
Alexander le sorrise. "Questo è per te."
"Un regalo? Perché? Non è il nostro anniversario. Vero?"
"Un marito, non deve avere per forza, una ricorrenza da festeggiare, per fare un regalo alla donna che ama."
Adalia aprì la scatoletta e ci trovò un anello.
"È bellissimo Alex."
"Mai quanto te. Ti ho fatto incastonare, sulla prima stella d'oro che hai vinto, due diamanti uniti da un filo di rubino."
"Il filo rosso del destino."
"Ti amerò sempre e a prescindere dalle distanze che ci separano, seguirò il filo rosso, che mi riporterà sempre da te."
"Partecipare a quella gara, è stata in assoluto, la decisione migliore della mia vita."
"Anche della mia, perché mi ha portato te, Adalia."
Ma il lieto fine era appeso a un filo. Adalia guardava Alexander dominare le tappe, tagliare i traguardi per primo, a ogni checkpoint, finché, il giorno della finale, mentre la bandiera a scacchi sventolava, alla sua 10° stella d'oro, un rumore assordante, fece finire la sua corsa. Il corpo del ragazzo rotolò per metri, l'asfalto consumava la tuta lacerando la sua pelle. Rimase disteso a terra, col braccio girato in modo innaturale e il sangue che gocciolava dal ventre. Chi aveva avuto l'ardire di sparare al Re? Poi vide gli occhi di Reiniger, che si accesero di sangue, mentre impugnava la pistola, ancora fumante, sulla linea del traguardo. La sua risata sadica, sembrava reale, al di fuori della sicurezza di quel sogno, trasmutato in incubo.
Una mano calda, le accarezzò dolcemente la fronte, rassicurandola e facendola risprofondare nelle ali spezzate, di un sogno di morte.
Adalia fissava Alexander, dormire in quel letto, che sapeva di fine, da troppo ormai.
"Avevi promesso." sussurrava continuamente al marito, piangendo. "Avevi promesso, che non ti sarebbe accaduto nulla e che saresti tornato da me, da noi."
"Tutto quello che mi è successo, è solo colpa tua. Pensavo di essere invincibile. Prima di te. Ma mi sbagliavo. Mi hai rovinato, Fräulein. Per sempre."
"Non è vero."
"Negare, non cambierà il fatto, che sono morto solo per causa tua. Non avrei MAI dovuto innamorarmi di te."
Adalia si ridestò, con sgomento, dal sonno che la intrappolava, scontrandosi col naso di Leon, che la fissava preoccupato.
"Maledizione Ad!" brontolò il gemello, tamponando il sangue, che fuoriusciva copioso.
"Mi dispiace."
"Non importa. Sono felice che ti sia svegliata. Vado a darmi una ripulita e ti scaldo il brodo di gallina."
Adalia annuì, sforzando un sorriso.
La realtà, senza il suo amore, non era poi meglio, dei suoi peggiori incubi.
《Più è intollerante il mio dolore, e più nere e fitte, saranno le ombre della mia anima.》
Felix, aveva deciso di non interferire all'esecuzione dei traditori, in programma quel pomeriggio piovoso e uggioso e che aveva organizzato suo padre in Alexanderplatz, durante le celebrazioni religiose, per mandare un messaggio chiaro e conciso alle masse insoddisfatte e rivoltose. Contro ogni previsione, solo tre giorni prima, contadini, meccanici, avvocati, banchieri, mamme e altri semplici cittadini, muniti di forconi e armi di fortuna, avevano affrontato il suo Kommando più letale, creando disagi e guerriglia urbana. In tanti, si erano dispersi all'arrivo dei carri armati, altri erano periti schiacciati dalla folla in panico e a causa dell'attacco militare e i feriti, erano stati catturati e accusati, senza alcun processo. Dichiarati colpevoli di tradimento e condannati con la pena più alta, la morte, attendevano la loro sorte in un centro detenzione, in un Lager segreto.
Il merito di quelle insurrezioni, non era solo della Principessa Zelinda Adler, che seguendo il consiglio di Leon, aveva deciso di ispirarli, guadagnando consensi e spronando le masse a ribellarsi, ma soprattutto della fame e del diffondersi di malattie gravi, che stavano mettendo alla prova le vite dei cittadini e aumentava esponenzialmente la mortalità infantile, dei soggetti più deboli e cagionevoli.
Ogni giorno, l'ultima degli Adler, l'ultimo baluardo della civiltà monarchica e di un'era di prosperità e pace, trasmetteva in Regno-visione, brevi filmati in streaming, direttamente sul canale "Kanzlei", il principale programma televisivo di propaganda politica, usato dal Generale Reiniger e hackerato, grazie a un dispositivo, che Adalia, aveva installato nel server centrale della televisione di Stato, durante la sua ultima missione. Inutile dire che, il padre, non avendo ancora capito come mettere a tacere la Principessa, era particolarmente infuriato. Reiniger, aveva scelto il 2 novembre, giorno della commemorazione dei morti, per giustiziare in modo esemplare, i traditori miscredenti della Nazione, sperando di scovare anche la sua Leader. Le aveva fatto un appello diretto. "Smettila di nasconderti, dietro a una telecamera e dietro al tuo popolo, come un ratto codardo, Principessa. Esci e affrontami alla luce del sole."
Felix sapeva che queste parole, avevano profondamente toccato il cuore della fanciulla e che la Resistenza, si stava sgretolando, alla richiesta di Zelinda di combattere in prima linea, esattamente come avrebbe fatto Alexander.
Era tutto il giorno che, in Alexanderplatz, c'era un via vai di soldati e reti televisive, perciò, Felix, conoscendo il genitore, si aspettava una diretta, un modo plateale e truce di applicazione della condanna di morte, il tutto "indorato" da paroloni, bugie e inni patriottici, che avrebbe scosso la popolazione, facendo desistere, anche la Resistenza, da ulteriori azioni. Nonostante non condividesse la smania di potere del padre, il suo sadico bisogno di sangue per piegare le masse e il suo volersi sostituire a Dio, diventando l'unico autorizzato a sentenziare sulle vite degli innocenti, per evitare una carneficina, era giunto alla conclusione, che era più opportuno risolvere la faccenda, a modo suo.
Discernendo ormai, i suoi amici "partigiani", era consapevole che, per evitare altro sangue innocente, avrebbero fatto di tutto: marciare sulla piazza, con la metà dell'esercito fedele alla Principessa, rubare dei carri armati Panzer o avrebbero elaborato chissà quale complicato e pericoloso piano, che li avrebbe fatti finire in trappola. A pelle, sentiva che il padre, li attendeva al varco, perciò coinvolgere la Resistenza, era troppo pericoloso e fuori questione. Non poteva farli esporre, proprio quando cercava di entrare nelle grazie del Generale Reiniger, che gli aveva comunicato delle sue intenzioni segrete e che testava continuamente la sua fedeltà. Un piano d'azione della Resistenza, pianificato nei minimi dettagli, per fermare l'esecuzione, avrebbe significato soltanto, che lui era un traditore. Non poteva permettersi, di bruciare la sua copertura, proprio ora che cominciava a ottenere notizie importanti. Avrebbe agito da solo, senza nemmeno l'appoggio di Maxim, la cui famiglia stava già rischiando tutto, ospitando Al. In caso di fallimento, avrebbe avuto sulla coscienza 15 vite innocenti e sarebbe stato l'unico a subire le conseguenze e l'ira di Steffen Reiniger.
Aveva passato notti insonni, per trovare il modo per sabotare la fucilazione, facendola sembrare un incidente, finché, scoperti i modelli di armi per il plotone di Boia, aveva avuto un'illuminazione.
In base a un antico ordinamento militare, in vigore dagli albori del Königreich, il prigioniero condannato a morte, dopo due tentativi di esecuzione non riusciti, doveva per legge, venire graziato, a condizione che non fosse autore di reati gravi e ripetuti e che non si fosse pentito delle sue azioni. In tal caso era previsto l'ergastolo e il detenuto, un serial Killer, un pedofilo o un terrorista, per esempio, veniva rinchiuso a vita. Felix, confidava nel rispetto del codice d'onore militare, che aveva seguito per tutta la vita il Generale Reiniger e nella riuscita del suo piano o avrebbe potuto tranquillamente sparare lui stesso alla tempia di quei poveri rivoltosi, diventando complice degli omicidi di massa, del padre. Dopo aver sostituito tutte le armi del plotone, con quelle difettose, che erano state costruite con un ingranaggio che faceva inceppare le pallottole, camminò per il lungo corridoio infangato del Lager, per mettersi alla destra del padre.
Aveva pensato a ogni minimo dettaglio perché, l'uomo, si sarebbe infuriato a morte e avrebbe voluto la testa, del soldato, che aveva commesso l'errore, su un piatto d'argento, per punirlo o peggio. Felix, aveva perciò, rubato il registro del magazzino e falsificato la firma del soldato semplice Dierl, addetto ai rifornimenti delle armi e morto il giorno prima al fronte della Capitale. Suo padre, non avrebbe potuto punire l'errore, commesso da un militare che purtroppo era già deceduto in battaglia. Giunto accanto al Generale Reiniger, lo salutò con il gesto che il padre aveva inventato e col classico saluto militare.
L'uomo, aveva gli occhi che lampeggiavano curiosi e ghignava divertito, guardando in direzione, del centro del cortile.
Felix sospirò per la sorpresa.
La cosa che odiava maggiormente, dell'uomo che gli aveva donato la vita, era senza ombra di dubbio, la sua teatralità e la sua abilità a cambiare le carte in tavola. Nel mezzo del campo lavoro, infatti, aveva fatto costruire un patibolo sul quale, l'unico malcapitato ad attendere il suo triste destino, era il povero Patrik.
Pioveva a dirotto e faceva freddo. Lo sventurato veterinario, era praticamente nudo e tremava come una foglia. Felix era sicuro che stesse per congelarsi e che, con l'ultima dignità rimasta, provasse a ricacciare indietro le lacrime, che minacciavano di macchiargli il viso, con la loro debolezza. Suo padre, lo stava umiliando nei peggiore dei modi. Il fidanzato di sua sorella, era appeso come carne da macello, davanti ai soldati che lo schernivano e gli sputavano addosso, facendo commenti stupidi sulle dimensioni del suo pene flaccido, sicuramente più piccolo della media, a causa del normalissimo restringimento subito, con quelle temperature polari. Aveva la pelle diafona, che risaltava la magrezza del ragazzo all'altezza delle costole e della colonna vertebrale ed era ricoperto dalle classiche "pustole" da pelle d'oca e dai peli rizzati. Patrik, cercava disperatamente di socchiudere le gambe, per coprire il suo sesso, ma era sempre più debole e infreddolito, per riuscirci. Era legato, stretto ai polsi, che ormai erano diventati lividi e viola come un drappo funebre.
"Lui che ci fa qui?" domandò sconvolto. "Dove sono i traditori, Vater?"
"Saranno pronti per lo spettacolo! Non angosciarti figliolo. Il moretto, é qui, in punizione, perché ha avuto l'ardire di chiedermi la mano di tua sorella, dopo tipo due mesi, che si frequentano. Quasi mi pento di aver sparato al bel Principe. Almeno, quel fallito viziato, aveva potere, gloria e soldi. Questo sfigato, cos'ha da offrire alla mia bambina?"
"Questo ti sembra il modo di trattare tuo genero? Se gli dovesse succedere qualcosa, Lisa, ti odierà per sempre. Nella vita c'è altro, oltre a fama, potere e soldi."
"Ma davvero? A me risulta che, gli ingranaggi della civiltà moderna, ruotino tutti intorno a queste tre cose."
"Per essere felici, basta incontrare la persona giusta, con cui condividere la vita, che sia piena di felicità o tribolazioni."
"È per questo che lui è qui. Se ama Lisa, come dice, sopporterà ogni cosa. Anche il freddo. No? Il dolore tempra e fa diventare saggi. Con te, figliolo, ha funzionato."
A Felix tamburellò, irrequieto, il cuore nel petto, ricordando se stesso bambino, in mutande, nella neve. Poteva percepirne ancora i brividi di terrore e di freddo, percorrergli la schiena e scaricarsi nelle dita dei piedi atrofizzate e piene di geloni. Il dolore, non rende forti, ma spaventati. Ti annienta e ti corrode dall'interno, portandosi via, tutte le tue sicurezze. Il dolore è un nemico silenzioso che guarisce le ferite epidermiche, ma non quelle dell'anima.
Felix guardò in modo truce il padre e poi avanzò verso l'amico. Con un gesto svelto, tagliò le corde, che gli imprigionavano i polsi, liberandolo. Patrik cadde a terra senza forze. Felix si sfilò il cappotto e lo avvolse intorno il corpo ghiacciato del ragazzo.
Il padre lo fissava con un cipiglio strano. Studiava ogni movimento del figlio, ogni sua reazione o parola, in attesa di dargli la "solita" lezione di vita.
"Stai bene amico?"
Patrik si limitò, battendo i denti, a fare un cenno con la testa.
"Non c'è più niente da guardare! In marcia soldati!"
"Sissignore." si alzò in coro e poi il plotone si disperse tornando alle proprie mansioni.
Steffen Reiniger, si avvicinò al figlio e gli appoggiò la mano, fasciata in un guanto di pelle, alla spalla.
"La compassione è una debolezza e un lusso che non possiamo concederci."
"Accogliere il fidanzato di Lisa in questo modo, é una vergogna che non ci possiamo permettere."
Reiniger sorrise in modo illeggibile.
"Comunque hai superato la prova di resistenza e di virilità, dottore degli animali, perciò, se Lisa ti vuole come marito, hai la mia benedizione. Ora vai a rivestirti, o il tuo membro sparirà per sempre, privando mia figlia, del piacere carnale e di una futura discendenza. E ti conviene non parlare di questo increscioso ehm... incidente, con la mia bambina, questa sera a cena. Alla mia Simone, che sta preparando Gebratene Ente mit Kartoffel, farebbe piacere conoscere anche i tuoi genitori, per tanto pregali di unirsi a noi."
"Ce ce certo, mein Führer!" sibilò infreddolito.
Felix scosse la testa pensieroso.
Che cosa avrebbe mai fatto, un giorno, alla sua fidanzata? Sinceramente, non avrebbe, mai, voluto scoprirlo.
Le giornate di Alan erano tediosamente uguali e monotone, da quando era uscito dalle tenebre del coma, che lo imprigionavano nell'oltretomba.
La sveglia, sottoforma di gallo indemoniato, cantava ogni mattina, sotto la sua finestra e più puntuale di un orologio svizzero, alle 5.00 in punto. Il cielo, cominciava a schiarirsi quel poco, da permettere al pennuto, di intonare un canto alla Pavarotti, in grado di risuonare in tutta la valle.
Alan, si stiracchiava pigramente, imprecando. I primi giorni, aveva cercato di mettere a tacere il Re del pollaio, lanciandogli scarpe, ma non era servito a nulla, anzi, aveva intensificato la loro antipatia reciproca. Altezzoso, nelle sue piume folte e ramate, sfumate d'oro e di blu iridescente, come quello dei Tauben, si appostava sul ramo basso del pioppo e gonfiava il petto per infondere il suo incontrastato predominio, sulla fattoria. Alan si costrinse a incatenare gli occhi, fuori dalla finestra, con quelli dell'animale, che lo osservava con astio e in una muta battaglia, che il ragazzo avrebbe vinto solo, mettendolo in pentola. Il pensiero lo sfiorò per una frazione di secondi, ma poi vide la Chioccia, con i suoi fagottini di piume gialle e soffici, razzolare in cortile e si rassegnò al fatto che non poteva privare quella famiglia, del padre.
"Ti è andata bene." sospirò digrignando i denti, mentre il gallo, lo fissava con gli occhi iniettati di vanità e superiorità, tipica di chi sa, di aver vinto.
Si lasciò accarezzare dall'acqua della doccia, che divenne immediatamente gelata, come quella di un ruscello montano, procurandogli fastidiosi brividi e che parevano entrargli fino nel midollo spinale, con la prepotenza e la forza, di una lama, intagliata nel ghiaccio.
La sua famiglia, attingeva al pozzo di sorgente, sia per lavarsi, che per bere. Grazie, a un sistema di filtri, tipo quelli in dotazione all'acquedotto urbano e a una caldaia, avevano sempre avuto acqua potabile e perfettamente salubre. Tuttavia, la suddetta caldaia, doveva essersi nuovamente guastata o era andata in blocco, perché, fuoriusciva, solo acqua gelida, da quei tubi.
"Mutti, l'acqua è di nuovo fredda." borbottò.
"Puoi sistemarla tu, mein geliebter Sohn?" la voce rassicurante della donna lo calmò e gli fece dimenticare, quanto odiava, tutti i problemi quotidiani, che quella fattoria, era in grado di generare. Scese nel Keller, con la cassetta degli attrezzi, e sistemò il guasto. Smontare, aggiustare e rimontare le cose, aveva un non so che di catartico ed era un toccasana per distendere i muscoli.
Dopo una colazione leggera, che comprendeva un caffè nero e una fetta di torta, si occupva delle sue mansioni: la raccolta delle uova, la mungitura e la cura degli animali. Alle 8.00, lo attendevano due ore di sfiancante fisioterapia. Poi, come ogni giorno, a prescindere dalle condizioni metereologiche, aiutava il padre nei campi, anche se, viste le vesciche pulsanti, non gli sembrava per niente, di esserne in grado.
Quella mattina, aveva dovuto raccogliere a mano, quintali di zucche, perché il trattore non era partito ed essendo un giorno di festa, non avevano trovato un servizio Notdienst, che mettesse a disposizione un meccanico.
Rimasto solo, aveva scoperto di saperlo riparare, nonostante fosse tecnologicamente, molto più avanzato della caldaia. Indubbiamente, era molto più bravo come meccanico, che come contadino.
Ormai, completamente, sporco e sudato, aveva deciso di andarsi a fare un'altra doccia. L'acqua calda, scivolava gradevole, come una carezza, sul suo corpo indolenzito, lasciandogli una piacevole sensazione.
"Tu chi diavolo sei e cosa ci fai in camera mia mezzo nudo?"
Alan, ancora bagnato e avvolto nel solo asciugamano da doccia bianco, dopo aver lavato via, dalla sua pelle, l'olio e il grasso del motore del trattore, si voltò sorpreso. Era sicuro di essere solo, in quella grande casa, con i mattoni a vista e il portico a L. Per tutto il tempo, impiegato a smontare il motore per ripararlo, aveva solo sentito, oltre al rumore degli attrezzi da lavoro, il vento ululare tra le fronde spoglie e la pioggia scivolare sulle pietre di porfido, dai colori rugginosi, con venature auree e i contorni irregolari. Era una giornata fredda e brumosa. Il cielo era una distesa fosca e piatta, che metteva tristezza. I genitori, erano andati a consegnare ai clienti, le zucche appena raccolte, per la Kürbissuppe, piatto tipico del giorno dei morti, chiamato appunto, der Allerseelantag.
"ALLORA? Chi sei? Rispondi o chiamo la Militärpolizei." urlò il giovanotto, spazientito.
"Chi sei tu piuttosto." rispose svogliato Al.
"Le domande le faccio io, Gauner." Il marmocchio gli alzò il dito contro con fare di sfida. Alan lo sovrastava sia in altezza che in stazza. Avrá avuto sì e no 15 anni, tuttavia, il fanciullo sconosciuto, era agguerrito e ardito, dote che Alan, aveva subito piacevolmente gradito.
"Datti una calmata ragazzino." gli bloccò la mano, con un solo gesto.
"Giuro che, se non mi lasci subito, mi metto a urlare."
"A parte me, non c'è nessuno in casa. Non fare la ragazzina frignante. Non voglio farti del male. Ho poco tempo però. Devo mettermi il vestito della domenica, per andare alla funzione di commemorazione dei caduti, in Alexanderplatz. Mamma e papà ci tengono così tanto!"
"Lo so. Per questo sono qui."
Alan sgranò gli occhi. Il piccoletto, aveva il colore delle iridi, proprio come quelle di suo padre: nere come la pece e lustre come il carbone. Il taglio delle labbra era quello di sua madre: sottile e lineare, come il Wiese quando era ben falciato. Possedeva delle adorabili fossette, che gli illuminavano il sorriso, innocente e puro, esattamente, come il fratello veterinario e i capelli ondulati, indomabili e ribelli, che scivolavano disordinati, ricci come molle, sulla fronte, proprio come quelli dell'altro fratello, il soldato. Somiglianze fisiche marcate e radicate nel DNA; affinità che lui, nonostante avesse ardentemente cercato, non possedeva, a dimostrazione che forse, la sua vita, era una chiara menzogna, alla luce del sole. Ma perché? Aveva fatto finta di niente, ma aveva perfettamente notato che il suo corpo, era ricoperto da una leggera peluria dorata, quasi impercettibile su ciglia, braccia, gambe, ascelle e petto, ma folta, irsuta e boccolosa, sull'inguine. Lanugine, così chiara, da sembrare la paglia di Tremotino, che si tramutava, in fili preziosi di oro, totalmente in contrasto con le sopracciglia e i capelli corvini. Anche il nero profondo dei suoi occhi, un abisso senza fine, che si inghiottiva pure la pupilla, come un buco nero, sembrava un artifizio. In natura non esisteva, a parte nei suoi peggiori incubi, un colore così inquietante. Comunque non voleva giungere a conclusioni affrettate. Sospirò frustrato.
"Facciamo così, bimbetto, al mio tre, insieme diciamo il nostro nome. Ok?"
"Si può fare, ma non chiamarmi mai più bimbetto! Ho 16 anni, IO."
Alan sorrise divertito.
"1... 2... 3..."
"Alan Ackerbau" lo pronunciarono simultaneamente.
Una coincidenza? Da escludere. Al si grattò la testa pensieroso.
"Spiritoso!' scoppiò a ridere più rilassato, il ragazzino moro, con gli occhi catrame, davanti a lui. Aveva un bel sorriso e la classica faccia da adolescente sveglio e felice. Era alto, certo, ma mai quanto lui, smilzo, ma atletico e indossava una tuta bianca, griffata, con la scritta Phönix Korball, all'altezza del cuore e con una grande fenice infiammata sui toni dell'oro, dell'arancio e del rosso, che pareva ardergli sulla schiena.
"Non stavo facendo dello spirito." sbuffò esasperato, cercando la biancheria da indossare.
"Ti prego anche, di smetterla di fissarmi. È da maleducati e io non provo interesse per i ragazzini, maschi, tra l'altro."
"Suvvia, sconosciuto, non fare il pudico! Io guardo sempre i miei fratelli nudi. Devo pur constatare se... insomma... il mio sviluppo, prosegue nel modo giusto."
"Ma io... non sono tuo fratello!" scosse la testa contrariato, Al, tra un misto di divertimento e disagio.
"Mai andato in una sauna pubblica? Lì sono tutti nudi! Maschi e femmine. Io ci vado per le donne, ovviamente!"
"Io... non... credo." tentennò Al.
"Comunque... Wow! Che bel tatuaggio! Ne vorrei uno anche io, ma i miei genitori, me l'hanno categoricamente proibito. Sono dei tali rompi scatole."
"Si preoccupano per te."
"Se fosse vero, mi farebbero fare il tatuaggio. Insomma, lo sanno tutti, che alle ragazze piacciono. Perché proprio un'aquila?"
"Io... non... ricordo."
"Ma dai... Ti sei fatto marchiare il corpo e non sai perché?"
"Esattamente."
"Smettila di fare il misterioso! Lo sanno tutti, il significato del tatuaggio Aquila."
"Illuminami. Te ne prego!"
"L'aquila, la sovrana del cielo, è uno degli animali più iconici e maestosi che esistano: il suo aspetto fiero, lo sguardo ipnotico, il volo tanto elegante, quanto potenzialmente letale, sin dall'antichità, l'hanno resa il perfetto simbolo di regalità, suprema forza e potere."
"Come mai così afferrato sul tema?"
"Beh! Il mio idolo, il Campione indiscusso dell'Enduro Motorrad Rally, aveva un'aquila tatuata, sul fianco, proprio come te, perciò ecco... volevo farmela anche io. Ma sai... su di lui, era tutta un'altra cosa..."
"Perché?"
"Chiede davvero perché, questo?" bisbigliò sorpreso.
"Scusa se non lo so, nerd, fastidioso!"
"Era il simbolo della sua Casata. Prima di questo caos. Prima del sangue e della morte: la sua e quella di milioni di innocenti." il moro abbassò gli occhi tristi e si guardò le punte delle scarpe da ginnastica.
"Perciò il tuo eroe è morto?"
"Già. L'hanno giustiziato."
"Giustiziato?" deglutì nervoso, un fiotto di saliva. Da quando era tornato da Jenseits, non era mai uscito dalla fattoria, ad appena pochi minuti dalla capitale. Oggi sarebbe stata la prima volta che vedeva il resto del Welt. Era al contempo emozionato e terrorizzato: non era sicuro, che la realtà, fosse meglio degli incubi che lo avevano immobilizzato, per mesi, in un letto di tenebre e morte. La mano gli tremava e i brividi gli percorrevano come scariche elettriche, ogni terminazione nervosa. Si era sentito così, anche quando, aveva sentito quella voce alla radio e la sensazione di terrore che ne era scaturita, non l'aveva più lasciato. Quella voce, quel timbro roco e inquietante, gli era sembrata, un presagio di morte, un riflesso di una vita lontana, forse di un trauma sopito, perché inspiegabilmente, gli era parsa anche familiare e dannatamente raccapricciante. Con quello slogan, aveva lavato via tutti i suoi colori, facendolo risprofondare nelle tenebre e nell'angoscia perenne.
"Senza motivo! Un pazzo, un giorno si è svegliato e ha distrutto il nostro regno. Tu piuttosto, cosa ti sei fatto lì?" il giovane Alan indicò, curioso, la cicatrice di Al, ridestandolo dagli orrori dei suoi pensieri.
"Mi hanno sparato. O almeno così mi hanno riferito, perché francamente, non me lo ricordo. Il buio totale danza, come un Tango, nella mia testa."
"Sei un "randagio" trovato Maxim o forse un veterano che è stato ferito in battaglia?"
"Un randagio? Un veterano? IO?"
"Può essere, oder?"
"Non mi sento un vagabondo, o un soldato, però, sono bravo coi motori."
"Le mie teorie sono plausibili. Mio fratello ha l'abitudine di aiutare tutti. Una volta ci ha portato a casa un barbone per cena. Puzzava da morire. Magari sei un senzatetto anche tu, non per scelta, ovviamente. È dura di questi tempi, con la guerra."
"Non sono un barbone, ma un membro della famiglia. Guerra?"
"Questo lo escludo e non capisco perché ti spacci per me. Sì guerra! Gente che muore, carestia, malattie, Kommando armato e coprifuoco... Ho reso l'idea? Ma dove hai vissuto fino ad ora?"
"Qui. Credo. Ero in coma."
"Che storia!" Alan sfilò un pacchetto di sigarette dalla tasca e ad Al si illuminarono gli occhi come un Tannenbaum a Weihnachten.
"Comunque ragazzino impiccione, nelle fotografie di famiglia tu non ci sei, ci sono io. Vedi? Dammi qua! Sei troppo giovane per queste!" con un movimento secco gli strappò di mano sia l'accendino, sia il tabacco.
"Ehi! Ridammele finto me!"
Poi imprecò sottovoce "Ma guarda questo Matusalemme!"
Al lo sentì e scoppiò a ridere. Il fanciullo aveva un bel caratterino. Sfilò una sigaretta dal pacchetto, ne odorò il tabacco al cacao dall'involucro e poi con lentezza ne portò una alle labbra accendendola.
"Almeno offri, considerando che sono mie."
"Tornando a noi, Junge, se mi rispondi, magari ti faccio fare un tiro. Chi sei?"
"La vera domanda è chi sei tu."
Alan sbuffò prendendo le cornici riposte sulla sua scrivania e fissò curioso, le sue fotografie modificate.
"Qui eravamo al Katersee a Vulkaninseln. Ci siamo andati per festeggiare la laurea di Patrik. Fanno il gelato flambè più buono di tutto il regno. Mi dispiace deluderti, ma tu non c'eri."
"Ma se sono proprio lì... accanto a..." Al scoccò le dita per ricordare il nome di suo fratello, ma la nebbia fitta, oscurò ogni ricordo nella sua testa."
"Questo é Maxim. Dovresti sapere il nome di tuo fratello, non credi?"
"Ho l'amnesia."
"Può essere. Comunque queste foto sono ritoccate."
"Ritoccate?"
"Vedi? Tu appari sempre nella stessa posizione, con gli stessi indumenti e con la stessa faccia."
"È vero. Non me n'ero mai accorto."
"Se questa non fosse davvero camera mia, come potrei sapere, che dietro alla ventola del condizionatore, c'è una bottiglia di Vodka alla pesca, nascosta?"
Al incuriosito, sfilò la grata del condizionatore ed effettivamente, ci trovò la bottiglia.
"Sei veramente una sagoma, ragazzino! Mi ricordi qualcuno... ma non so chi!"
"Sono un figo lo so. Modestamente, le ragazze, mi apprezzano"
"Seriamente, se tu sei il vero Alan Ackerbau, allora, chi sono io e perché sono qui?"
"Bella domanda! Ma lo scopriremo! Hai la faccia nota, tipo da volantino propagandistico, ma, in questo momento, non ricordo proprio dove ti ho già visto. Di solito, non dimentico mai un volto, perciò mi ricorderò sicuramente di te."
La voce allegra della madre, li interruppe, entrando nella stanza.
"Wir sind schon wieder da!"
"Mutter" la guardò il ragazzino, prima di abbracciarla.
La donna tentennò stupita, ma sui suoi occhi, che brillavano di una luce mai vista prima, Al, poteva scorgervi, il semplice, puro e profondo amore materno.
"Dovresti essere dai nonni, a Engel, al sicuro, non qui, a pochi chilometri dal conflitto.
"Mi mancava la mia famiglia e poi... non abbiamo mai saltato una festa insieme."
"Mi sei mancato, piccolo mio."
Il fanciullo aveva detto la verità. Ora, era il momento di scoprire, qualcosa su di lui.
"Si può sapere, chi è il finto me?" chiese il vero Alan.
Solo in quel momento, la donna, si ricordò di "finto Alan" e sbiancò.
"Non lo sappiamo." una voce alle loro spalle, quella del padre, interruppe, quel fastidioso silenzio, fatto di imbarazzanti occhiate e mesi di bugie.
Era calmo e pacato come sempre. Guardava il loro ospite, con gli occhi dolci, come faceva ogni giorno. Aveva la voce ferma e rassicurante, però, i pugni serrati sui fianchi, nascosti nelle tasche dei Jeans, lo avevano tradito.
"Chi sono?"
"Non insistere ragazzo. Non lo so, davvero!" "Perché non puoi dirmelo, padre?" chiese con gli occhi supplicanti.
Gli occhi neri dell'uomo, si incupirono, mentre portava le mani ai capelli, frustrato.
"Mi dispiace, signor Ackerbau, perché a questo punto è chiaro che non sono vostro figlio, non volevo metterla in imbarazzo, ma si metta nei miei panni. Mi sento tradito. Come se tutta la mia vita, fosse una barzelletta. E non posso che domandarmi, se c'è qualcuno, da qualche parte ad attendermi."
"No. Non c'è. Mi dispiace. La tua famiglia è stata catturata e rinchiusa in un Lager. Non ci sono certezze, che siano ancora vivi."
Ad Al si chiuse la gola e una lacrima solitaria, si staccò, senza controllo, scivolando sulla guancia e precipitando sul suo piede nudo.
"Per favore. Ho bisogno di sapere chi sono e come mi chiamo."
"Lo capisco, ma non posso dirti chi sei."
"Perché?"
"Perché, ti metterei in pericolo."
"In pericolo?"
"Le sorti dell'intero Regno, delle vite di tutti i deboli e degli onesti cittadini oppressi, ricadono su di te, ragazzo. E per quanto, le tue spalle siano larghe e il tuo cuore puro e intrepido, ti assicuro, che nessuno, vorrebbe farsi carico di questo fardello."
Al si sentì sprofondare in un vortice. Le sabbie mobili lo risucchiavano, nonostante fosse rimasto immobile, senza nemmeno respirare.
"Rimani qui. Con noi. Al sicuro. Hai già rischiato la vita una volta, non ti permetterò di esporti, perché, anche se non sei il frutto del nostro sangue, sei come un figlio. L'affetto che proviamo per te, é autentico." l'uomo circondò la vita della moglie, che sorrise annuendo.
"Almeno, se Alan è il mio vero nome, posso saperlo?"
"Non lo é." rispose schietto l'uomo.
Alexanderplatz era gremita di gente che si nascondeva sotto ampi ombrelli e cappucci, in attesa della funzione religiosa, sempre se, Reiniger, non l'avesse cambiata.
L'aria da tempesta, gelida e impetuosa, era presagio, dell'arrivo della prima neve. Il cielo, percorso da nuvole nere, si era fatto ancora più bigio e pallido.
Sul podio, una schiera di frati, intonava canti gregoriani, che sembravano il lamento di una balena, col mal di pancia.
Nel Bunker, riuniti nella sala mensa, la Resistenza guardava la diretta di ciò che accadeva, proprio sopra le loro teste, sorseggiando cioccolata calda.
Adalia, ancora febbricitante, sentì un brivido nelle ossa, non appena vide Steffen Reiniger avanzare tra la folla. Il suo peggiore incubo, la "Bestia satanica", che aveva sparato a bruciapelo all'amore della sua vita, stava camminando proprio sopra di loro, col sorriso stampato e come se niente fosse. L'impulso omicida, prevalse sul raziocinio.
In rigoroso silenzio, si vestì e sgattaiolò fuori dal rifugio, con una sola missione: la vendetta.
Intanto, la famiglia Ackerbau, si era unita alla commemorazione, dove ogni anno, venivano letti i nomi dei caduti, morti, in modo eroico. Il fratello di Thomas Ackerbau, Lorenz, poliziotto decorato, era caduto in servizio, durante il terremoto a Engel, 10 anni prima.
Al si guardava attorno spaesato. Quella piazza enorme era al contempo familiare e intimidatoria. Una strana sensazione, si era scatenata, alla bocca dello stomaco, quando aveva letto la targhetta, incastonata nel cemento:
☆ Gewidmet meinen geliebten Sohn: Alexander Adler
~14. Februar 2003~ ☆
"Ho capito chi sei." gli aveva urlato il suo "fratellino" acquisito.
"Uhmmm? Davvero?" Al si voltò curioso di sapere la verità, ma fu spinto dalla folla di pazzi, che applaudiva un Generale che stava marciando, circondato da milizie e lustrini, verso il palco. Si ritrovò, suo malgrado, a spingere un passante, che perdendo l'equilibrio, precipitò a peso morto su di lui, facendoli cadere entrambi.
Lo sconosciuto, era infagottato come una mummia, perciò Al riuscì a scorgerne solo gli splendidi occhi, di un azzurro insolito, illusorio e infinito, come la volta celeste. Il genere di occhi, in cui puoi smarrirti, per sempre. Il cuore, gli sussurrò lieto, nel petto.
"Maledizione! Un po' di attenzione." la voce infastidita, era sicuramente di una ragazza.
"Desolato Junggesellin, sono stato travolto dai fanatici, qui a fianco." tentennò il ragazzo, con i capelli corvini, altissimo e con un fisico statuario.
"Vi siete fatta male?" le domandò smarrendosi ancora, nei suoi occhi tristi.
Adalia sussurrò senza timore "No". La fanciulla fissava quelle iridi nere e spaventose, come le tenebre, come buchi neri, profondi, che erano in grado di risucchiare i suoi, senza esserne terrorizzata, anzi ne era inspiegabilmente attratta. Non poteva essere lui, eppure, i suoi occhi, avevano la stessa intensità, la stessa scintilla, mentre la guardavano. Era stato uno scambio fugace di sguardi, tuttavia il suo cuore si era rianimato di tutti i battiti che erano morti, soffocati, da mesi di dolore.
Erano ancora a terra, sul manto bagnato, avvinghiati e con i respiri trafelati che si mischiavano, quando Adalia, vedendo Reiniger sul podio, si alzò di scatto, scappando via.
Al, la cercò nella folla. Senza trovarla. Senza prestare attenzione alla lista infinita di deceduti. Senza notare le 15 anime, legate come insaccati, in attesa della sentenza di morte.
Poi, quella stessa melodiosa voce femminile, urlò "Alexander Adler."
Nella piazza risuonò, come un eco, il rumore di due spari. Il primo, sembrava soffocato, mentre il secondo aveva scandito perfettamente, il suo letale impiego.
La folla, scappava spaventata, attorno a lui, che rimase come pietrificato, al centro della piazza, come se il rumore della carne trafitta, come se l'odore di polvere da sparo, come se il dolore di quella ferita, fossero i suoi.
Proprio, come nei suoi peggiori incubi.
NOTA AUTRICE:
Buona domenica.🙃
Scusate se ultimamente non riesco ad aggiornare con regolarità, ma sono sommersa dagli impegni.
Eccoci al nuovo e intenso capitolo che esplora il dolore profondo dell'anima dei personaggi più rilevanti.
Alan (Al), il nostro contadino preferito, ha scoperto di non essere uno dei figli degli Ackerbau. Ma allora chi sarà davvero e perché il destino del Regno dipende da lui?
Chi ha sparato a chi, alla fine di questo lungo capitolo?
Teorie? Fatemelo sapere nei commenti!
Grazie a chiunque leggerà e voterá il capitolo.
A presto.
Barbara 💙
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