CAPITOLO 3: Tenebre
Le tenebre lo risucchiavano come sabbie mobili. Milioni di mani lo trascinavano sempre più giù, in quel buco senza inizio e senza fine, in quella sorta di limbo infernale che lo imprigionava nel nero funesto, senza luna e senza stelle, da un tempo imprecisato, che gli pareva lento e interminabile come l'eternità. Il vuoto cosmico lo circondava. Era solo, in una oscurità innaturale e inquietante. Faceva perfino freddo. Aveva paura, circondato dalla notte, come un bambino piccolo che si nasconde sotto le coperte battendo i denti, immaginando i mostri sotto il letto e nell'armadio. La sua però, era una paura più profonda, del puro terrore, era consapevolezza di morte. Non sapeva se la fine era vicina o addirittura se era già sopraggiunta condannandolo alle torture fisiche ed emotive, giù, negli inferi dov'era stato spedito, a espiare i suoi peccati, essendo pertanto, una brutta persona, perché era tutto irreale, confuso, ovattato e sfumato come nebbia. Tenebre e luce si alternavano sempre meno a causa dei farmaci o almeno era quello che pensava ogni volta che l'ago gli perforava la pelle. Ma c'era qualcosa di vero in quel sogno oscuro che diventava sempre più un incubo senza via d'uscita? Reale era così astratto e intangibile, in questo momento, proprio come un miraggio al sole cocente nel deserto. Per quanto ci provasse, non riusciva a svegliarsi, per quanto ci provasse, non riusciva a sentire nemmeno il suo corpo, per quanto si sforzasse a urlare non produceva alcun suono, le parole si stringevano alle corde vocali afone e la testa produceva solo pensieri contorti che subito scomparivano nella notte. Non c'era un tunnel di luce a illuminare il suo cammino, non c'erano Angeli o un mondo di nuvole avvolto da bellezza sovrannaturale, solo il nero che lo circondava, lui e la sua mestizia.
Aveva letto da qualche parte, in un'altra vita, probabilmente, dei gironi infernali e delle torture eterne inflitte ai condannati in base ai peccati e alle loro paure più recondite. Ma quali erano le sue paure più profonde? Il buio della notte perenne? Le siringhe? O il fatto che si sentisse totalmente solo e abbandonato in quell'universo avvolto dal mistero? Se nulla era reale, allora doveva essere trapassato. Ma come? Perché non si era semplicemente volatilizzato? Spento per sempre? Non era consapevole al 100%, di credere alla vita ultraterrena, al Paradiso, al Purgatorio e all'Inferno. Eppure era desideroso di sapere la verità, di capire il motivo della sua prigionia e della sua sofferenza e di trovare le risposte sulla sorte della sua anima, di placare questi pensieri inquieti, oscuri e fatti di niente, proprio come lui, che si sentiva vuoto come la pelle del serpente, dopo la muta. Non sapeva più distinguere ciò che era reale da ciò che era solo nella sua mente, perchè prima di quel buio, non rammentava nulla.
Il suo primo ricordo? Il suo traghettatore infernale, non Caronte, ma un ragazzo soldato dagli occhi prato, che lo trasportava, non su una barchetta, ma in un sacco nero, fino ad Ade, il Dio degli inferi, che si era palesato sottoforma di giovane e bizzarro dottore, con gli occhiali tondi che gli ingrandivano sproporzionatamente gli occhi turchesi, i capelli corvini ingellati e tirati indietro alla Superman, lo stetoscopio a forma di serpe e ben armato di siringhe.
La sua condanna quotidiana? Rincorrere, con una Motorrad della marca Bobby Car, un giocattolo für Kinder, rossa fiammante, su cui si sedeva muovendo le lunghe gambe, che piegate gli facevano arrivare le ginocchia alle guance, una figura ombreggiata in una tuta di pelle nera, su una motocicletta rossa e iridescente, che sfrecciava sempre più lontano da lui, sfidando le dune nere e alzando una polvere di cenere che gli entrava nei polmoni soffocandolo.
Per quanto pregasse, quell'entità sovrumana, di aspettarlo o di rallentare, l'ombra si dissolveva sempre all'orizzonte, come nebbia al sole, lasciandolo nuovamente solo e impotente, braccato dal nulla oscuro, che affondava i suoi artigli di morte.
Fisicamente, provava un dolore atroce, indescrivibile e continuativo al petto, che si spegneva, temporaneamente, solo coi farmaci, che sadico, Ade, continuava a somministrargli perforandogli la pelle come se fosse un Groviera. Il torace bruciava all'altezza del muscolo cardiaco, come corroso dall'acido, pulsava, la carne e la pelle erano in tensione e tiravano come se una forza demoniaca la strappasse dalle costole dall'interno. Ancora e ancora. Era circondato da sussurri e mormorii lontani, bassi e incomprensibili. Voci rauche, di cui percepiva, solo lo strazio. Tutto si spegneva ogni volta che il liquido trasparente circolava nel suo flusso sanguigno e il suo corpo si arrendeva al torpore, fino a non sentire più niente, bloccandolo come un vegetale nel letto e nella sua mente, ormai svuotata di ogni ricordo, credo e sapere.
Chi erano quegli sconosciuti? I demoni che avevano l'incarico di torturarlo e di confonderlo? Beh! Ci stavano sicuramente riuscendo.
Ma soprattutto, chi era lui e perché era lì? Quali atrocità doveva espiare?
Le vaghe spiegazioni, che gli avevano dato, prima di intrappolarlo ancora in quella prigione senza sbarre, senza luce e senza reminescenze sul suo vissuto, non erano sufficienti, perché era consapevole, nel profondo, che non fossero la verità, non la sua.
Un nome, un cognome e una miriade di informazioni di un'esistenza, che non ricordava, che non sentiva sua e che non gli suscitava nessuna emozione e non lo legava a niente, perché la sua vera vita, era andata persa. Per sempre. Non c'era un prima a cui aggrapparsi. Solo un ora, dove si era svegliato sottoforma di un fantasma, imprigionato tra due mondi: uno di luce, che svaniva velocemente e uno di tenebre. Un'ombra morente: ecco chi era adesso. Un peso.
Un semplice individuo di nome Alan Ackerbau, un insulso contadino, che non aveva un passato e forse nemmeno un futuro.
Ma doveva esserci di più. Lui doveva essere di più di un moribondo smemorato con una ferita nel petto, che coltivava patate. Non che disdegnasse i contadini o chiunque altro lavoratore e nemmeno chi aveva umili origini, visto che considerava ogni essere vivente pensante e lavoratore, nobile e fondamentale, eppure, nel profondo sentiva o forse semplicemente, desiderava, essere importante per qualcuno, sentirsi invincibile, visto che nelle sue condizioni attuali, non lo era affatto e che una rapa era più vitale e preziosa di lui. In quel delirio senza tempo e albore, aveva sentito il ragazzo traghettatore, vestito in mimetica, dire a Dottor Ade, di tenerlo in vita a tutti i costi.
Ma perché proprio lui?
Un contadino, un'ombra, un angelo infernale caduto e imprigionato negli inferi, come Lucifero, cosa poteva mai avere di così speciale? Una mucca che generava latte illimitato? Un campo pieno di papaveri da oppio? Un giacimento segreto di petrolio? Nulla di tutto ciò. Alan non si sentiva per niente speciale e i demoni non gli avrebbero fatto cambiare idea con i loro sotterfugi, per illuderlo e distruggerlo più di quanto non fosse già, perché di una cosa era certo: lui non era più nessuno. Forse non era mai stato nessuno. Ecco spiegata la sua solitudine. Nessuno lo attendeva nella luce. Dimenticato o mai benamato.
L'ennesima siringa mise a tacere ogni suo pensiero.
Stretto nella fredda morsa della morte, combatteva per non soccombere all'inchiostro che tingeva tutto di nero, inghiottendo la poca luce ocra del tramonto, che filtrava dalla finestra del Keller, ma come al solito, nonostante gli sforzi, fu risucchiato nel baratro. Ogni volta si chiedeva se si sarebbe mai risvegliato nel mondo reale. Sempre, se fuori dal suo incubo personale, ci fosse un mondo reale ad attenderlo e a cui tornare.
Gli incubi per la febbre, le medicine e le torture infernali, continuavano a germogliare, scuri come nubi in tempesta e intricati e senza uscita come il labirinto di Cnosso. Questa volta non c'erano solo nulla e tenebre, questa volta sognò, luci rosse che sfarfallavano ad intermittenza, come un codice morse, facendogli venire una crisi epilettica e mischiandosi al catrame attorno a lui.
Bang.
Il rumore di uno sparo.
Poi di un altro.
E ancora un ultimo e assordante Bang.
Poi il rosso inghottì tutto, facendolo farfugliare, prima di accompagnarlo per mano, nuovamente nel nulla dove era intrappolato, mentre il suo corpo tremava scosso dai brividi e dalla paura, e il liquido bruciava nelle vene livide, spegnendo definitivamente tutto.
Felix e Patrik, il fratello maggiore di Maxim, laureato in veterinaria da un anno, guardavano preoccupati Alan, disteso sul letto.
"É necessario legargli così stretti gli arti con quelle cinghie? È pieno di lividi." chiese Felix.
"Devo immobilizzarlo e non posso continuare a riempirlo di morfina e oppiacei. Gli somministro dosi che stenderebbero un cavallo, eppure si dimena spesso sussurrando cose senza senso e strappandosi le flebo dal braccio, che al momento, sono il suo unico sostentamento. Credo inoltre che sia in corso un'estesa infezione. Ma la ferita è pulita e sinceramente non so spiegare la febbre. Per quanto cerchi di rendere tutto sterile, ti ricordo che siamo in una clinica veterinaria. Basta un pelo sull'ago e..."
"Lo so."
"Mi servono altri antibiotici per umani e il sangue per le trasfusioni."
"Per il sangue ci sto lavorando. Arriverà presto.
Ecco gli antibiotici."
"Scadono oggi."
"Me li passa il farmacista della base. Sono quelli che dovrebbero essere distrutti. Sono praticamente irrintracciabili perchè non cerchi ciò che non deve più esistere. Domani o io o Maxim te ne portiamo altri."
"Me li farò andare bene."
"So che le risorse scarseggiano, ma sto facendo i salti mortali per procurarti cosa serve per Al, senza attirare il radar di mio padre su di noi. Se solo scoprisse che lo sto tradendo..."
"A chi ho sparato? Di chi è questo sangue sulle mie mani?" farfugliò Alan agitandosi e interrompendo i due ragazzi. "È per questo che sono intrappolato all'Inferno? Sono un assassino? Mi dispiace io..." le parole morirono con l'ennesima dose di morfina endovena.
Felix sussultò.
"Credi stia ricordando?"
"Non ne ho idea. Ma non penso. Sono solo deliri da febbre e da overdose di farmaci."
"Continua a nasconderlo al mondo e a se stesso. Sai quanto è importante."
"Stiamo rischiando tutto per lui e per un mondo migliore. Io e la mia famiglia abbiamo accettato di rischiare la pena di morte, in caso di cattura, per salvare il tuo Pacco e stiamo procedendo con il suo camuffamento. Ma tu perché lo fai?"
"Non lo so. Immagino perchè... é la cosa giusta da fare."
"Non lo fai per una certa biondina con gli occhi stupendi?
Maxim dice che... un fulmine ti ha colpito in pieno petto."
Felix sbuffò spazientito. "Tuo fratello si è fatto tutto un film in testa."
"Perciò non ti piace la Campionessa Luchs?"
"Se anche fosse, il suo cuore è ferito e chiuso, ma soprattutto non appartiene a me."
"Perciò ti piace! Dimmi, cosa ci guadagni a salvarlo? Non è nel tuo interesse."
"È nell'interesse del Regno. Mio padre ha creato il caos e un mondo di terrore e sangue in cui non voglio vivere. Io non voglio averci niente a che fare. Che razza di uomo spara a bruciapelo a un ragazzo disarmato? Solo un mostro!"
"Pensi che lui farà di meglio?"
"Lo spero. Lei lo credeva... ed io mi fido dei suoi occhi, anche se mi detesta e quando mi guarda vede un lupo cattivo, come mio padre. Resisterà per altri tre o quattro giorni?"
"Francamente è un miracolo che sia ancora vivo e che sia sopravvissuto per tutti questi mesi. Per fortuna è uno che non molla mai."
"Allora non molleremo nemmeno noi. Vado. A presto amico."
"Ti chiamo se ci sono novità."
Felix uscì dalla clinica veterinaria come al solito scrutando in ogni angolo e aspettando che non ci fossero occhi o selfie pronti ad immortalarlo per errore. Per fortuna in periferia, dove si trovava adesso, non c'erano telecamere controllate da suo padre, ma una minaccia molto più rovinosa, spuntata dal nulla, lo attendeva al varco, proprio alla fine degli scalini che stava percorrendo.
"Felix?"
Il ragazzo rabbrividì.
"Lisa!? Ma che..."
"Ti ho trovato finalmente! Ti avevo perso all'inizio della via, ma eccoti qui. Dove scappi sempre? Sono mesi che sparisci! Che ci fai in una Clinica veterinaria? Noi non abbiamo animali domestici."
Felix sbiancò. Che cosa doveva mai dire a sua sorella? Magari era stato proprio loro padre ad obbligarla a seguirlo. Deglutì nervoso e si grattò la testa cercando una scusa plausibile. Dipendeva tutto da una piccola bugia e nonostante col tempo avesse imparato a fingere, con sua sorella, che lo conosceva come le sue tasche, non sapeva mentire.
"Sono venuto a trovare il mio amico Patrik. Tutto qui." arrossì imbarazzato.
"Non c'è bisogno di vergognarsi."
"Vergognarmi per cosa esattamente?"
"Io non sono papà. Non giudico le tue preferenze sessuali."
"!?" Felix rimase basito. Sua sorella era completamente fuori strada ma...
"Ehm! Mi hai beccato!"
"Lo sapevo." cinguettò.
Sapeva cosa esattamente? Non aveva mai dato segni di omosessualità, eppure sua sorella aveva questa opinione errata di lui. Felix sbuffò, più per tensione che per fastidio e suscettibilità.
"Tranquillo a papà non dirò niente. È così antiquato e bigotto."
In fondo non c'era niente da dire sull'argomento, dal momento che a lui piacevano senza ombra di dubbio, le ragazze, ma Felix tremò comunque. Aveva condotto sua sorella "dal Pacco" e suo padre avrebbe potuto tranquillamente farlo pedinare da altri e scoprire tutto.
La clinica non era più un posto sicuro. Non c'era solo la vita di Al in ballo, ma quelle di tutti.
"Va tutto bene fratellino?"
"Sì sì." mentì. "Andiamo."
Mentre stava per allontanarsi con la sorella, Patrik li raggiunse sorridendo.
"Sei ancora qui, amico?"
"Stavo andando via." Felix tentò di lanciare un'occhiata all'amico per fargli capire che non dovevano parlare di niente, ma lui continuò imperterrito col suo monologo.
"Gli ho iniettato 125 cc di antibiotico ma continua a delirare. Peggiora a vista d'occhio. Devi procurarmi quel sangue o non sopravvivrà."
Felix gli fece cenno di no con la testa fulminandolo con gli occhi e Patrik, vedendo la ragazza sbiancò.
"Tu devi essere il compagno di Felix." si intromise Lisa. "Piacere! Io sono sua sorella Lisa."
"Io cosa?" quasi si strozzò con la saliva.
"Da quanto vi frequentate?"
"Ehm... Io e tuo fratello?" Patrik spostava gli occhi nervosamente da Felix a Lisa e non sapendo cosa rispondere, disse la verità: "6 anni."
"6 anni? Mio fratello era ancora un bambino." Lisa sgranò gli occhi sconcertata.
"Ci conosciamo da 6 anni. Patrik è il fratello maggiore di Maxim."
"Ma certo!"
Felix scoppiò a ridere. "Se non la smetti di insinuare che siamo una coppia a Patrik verrà un infarto."
"Ma tu mi hai detto che..."
"Hai supposto tutto tu. Ti stavo prendendo in giro. Come ti ho detto inizialmente, sono solo venuto a trovare il fratello di Maxim, dopo che quest'ultimo mi aveva informato dell'apertura della clinica del fratello. Si tratta di una visita di cortesia Lisa. Tutto qui."
"Che figuraccia! Mi dispiace. Sono mortificata."
"Io sono Patrik. Incantato Fräulein." con nonchalance le fece il baciamano facendo arrossire la fanciulla.
Felix provò un leggero fastidio e una potente scarica di gelosia.
"Però Felix non me la racconti giusta! Sei strano e assente da troppo tempo ormai. Anche papà è preoccupato."
《Steffen Reiniger preoccupato per qualcuno a parte se stesso? Mai successo!》
Felix provò disgusto. In 18 anni di vita, suo padre non aveva mai pensato a lui come a un figlio, era assente cronico a tutti i suoi traguardi di vita, non era mai andato alle sue partite e gli aveva sempre imposto il suo volere tanto che era finito in accademia militare solo per compiacerlo, nonostante odiasse essere un soldato e la monotona vita militare fatta di sveglia all'alba, divisa impeccabile e stivali lucidi, letto rifatto a tempo di record, saluto alla bandiera, giornate di allenamento in combattimento sotto ogni condizione metereologica, doccia fredda, rancio disgustoso e a letto con le galline. Che cosa c'era di bello in quella vita opprimente dove gli insegnavano a togliere la vita nei modi più svariati?
Almeno prima, con Re Otis, tutti vivevano in pace e armonia, l'esercito era solo una sicurezza di difesa in più, ma nessuno doveva usare questi insegnamenti di morte. Ora, con suo padre, gli innocenti perivano davvero e la violenza militare veniva giustificata e vista come un mezzo per liberare il popolo. Ma liberarlo da cosa? Il popolo era già libero!
"Non avrebbe dovuto sparare al Principe Alexander, disarmato e senza colpe, davanti ai miei occhi. Nostro padre è un mostro."
Lisa impallidì.
"Mi dispiace Lisa, ma questa è la verità."
"Nostro padre sta salvando questo Regno. Dovresti essere fiero di lui. Ci sono sempre perdite necessarie prima di raggiungere la perfezione. Alexander è una di queste."
"È questo che ti racconti per dormire la notte? Che nostro padre è il Salvatore di questo Regno? Sembra di sentire parlare lui. Beh! Io non ci riesco. Alexander era tuo amico."
"Lo era. Certo. Quando eravamo dei bambini. Poi si è isolato in un mondo tutto suo dove non lasciava entrare nessuno e mi ha lentamente allontanata. Dimenticata."
"Questo giustifica tre proiettili nel suo petto? Hai mai provato a capire perchè si comportava così?"
"Era un Principe ed io una ragazza qualunque. In che altro modo poteva finire tra noi?"
"Pensi che fosse così superficiale?"
"Lo era."
Felix scosse la testa.
"Tu nemmeno lo conoscevi!"
"Nemmeno tu a quanto pare." digrignò i denti Felix.
"Sei veramente insopportabile. Pensi di sapere sempre tutto."
"In verità so solo che nostro padre è assetato di potere e sta facendo tutto per il suo tornaconto. Possibile che non te ne rendi conto? Prima del suo colpo di stato non c'era nessuno da salvare perchè le persone vivevano in pace ed erano libere, adesso ci è proibito perfino respirare."
"Sei sempre il solito esagerato."
"Devo tornare in caserma, ma prima ti riaccompagno a casa. Le strade non sono sicure per una ragazza sola."
Adalia era inquieta, seduta con le gambe a penzoloni, sul cornicione del tetto, a fumare l'ennesima sigaretta, scrutando la città sottostante, in rigoroso silenzio, morta di vita, schiacciata dalla guerra e dal coprifuoco notturno di Reiniger.
Non era mai stata nella Capitale, prima dell'Enduro Motorrad Rally, ma sapeva per certo che al suo antico splendore, era una città piena di vita, di persone, di mondanità, di locali, di arte e di musica, di turisti e cittadini sorridenti per strada. Ora era tristemente deserta e desolata, senza sorrisi, senza colonna sonora, una tela oscura senza colori se non quelli legati alla morte e al dolore.
Davanti a lei, l'insegna del parrucchiere, sfarfallava, spegnendosi lentamente all'ennesima pietra lanciata da Fuchs, visibilmente teso e preoccupato, lasciandoli al buio e in un imbarazzante stato di inquietudine.
Sotto quel cielo opaco, colonne di fumo nero, eclissavano le stelle. Eppure, la Stella più bella, brillava, sgualcita, su un poster dimenticato. Adalia fissava quel viso con ammirazione e dolore. Quel sorriso, falso, ma perfetto, odioso e borioso, che l'aveva fatta innamorare, ora non faceva altro che farla piangere. Le tre stelle d'oro sul petto e quello sguardo fiero e illeggibile, la tormentavano continuamente.
Gli avevano fatto quella stupida foto, che Alexander odiava, poco dopo il loro arrivo sulla linea del traguardo.
"Quello che odio di questa competizione, è dover posare come un pecorone. Nemmeno il sorriso che ti obbligano a fare, è spontaneo, in queste inutili fotografie pubblicitarie, affisse per invogliare a partecipare alla prossima stagione della competizione. Come se, da un ritratto manipolato ed impostato, si capisse davvero chi è una persona nel profondo."
Alexander non aveva mai lasciato entrare e permesso a nessuno, a parte Adalia, di leggere dentro di lui.
Questo privilegio la faceva sanguinare ancora di più.
"Mi dai una sigaretta?"
Adalia annuì.
"Va tutto bene Fräulein?"
"E a te?"
Fuchs scrollò le spalle. "Ti dico di sì per non ammette che è l'opposto contrario." sbuffò teso, il fumo della sigaretta.
"Giá." sospirò la fanciulla.
"Non sei obbligata a venire, se non ti va."
"Meglio che stare qui a crogiolarmi nel mio dolore."
"Sbagli a non voler affrontare il dolore. Io... spaccherei tutto, urlerei, piangerei fino a non avere più lacrime."
"E cosa cambierebbe? Alexander rimarrebbe comunque morto e io sola."
L'abbraccio inaspettato di Fuchs, le mozzò il respiro.
"Non sei sola Luchs. Noi siamo la tua famiglia. Che tu lo voglia o no."
"Mi manca così tanto che a volte non riesco a respirare. Tornerò mai ad essere felice?"
"Certo."
"Come? Nemmeno l'avevo mai immaginato di potermi un giorno innamorare e quando è successo, ho toccato il cielo con solo un suo sorriso, con una stupida sigaretta divisa, con lui. Della ragazza che ero prima di incontrare Alex, non resta nulla e francamente non rivoglio indietro la vecchia me."
"Allora reinventati Fräulein. Solo non arrenderti. Per Alexander. VIVI. Semplicemente giorno per giorno."
"Vivere è diventato così difficile. A malapena riesco a sopravvivere adesso."
"Credi che non sappia come ci si sente? Ho passato due anni della mia vita a covare rancore per la persona sbagliata e non ho nemmeno avuto l'occasione per dirgli che gli volevo bene e che non pensavo che sarebbe stato un pessimo Re, come gli avevo urlato contro."
"Lo sapeva e ti voleva bene anche lui."
"E io l'ho fatto ammazzare come un ratto di discarica."
"Non è colpa tua."
"Invece sì. Non vivo con questo peso. Ogni volta che Zelinda mi sorride, ho il voltastomaco e mi faccio schifo. Come guarderò mio figlio negli occhi?"
"Perdona te stesso."
"Quando tu farai lo stesso Fräulein. Cerchi costantemente di incolparti per qualcosa di cui non sei responsabile."
"Infatti è colpa di Reiniger e il mio cuore non troverà pace finché non sará morto."
"Hai reso Alex felice. La felicità è l'unica cosa che non aveva mai assaporato, nella sua vita, e tu gliel'hai donata col tuo amore. La vendetta Fräulein, é una brutta gatta da pelare. Rinunciaci finché sei in tempo."
"Credi che sia spirato felice? Io ne dubito."
"Sicuramente non voleva andarsene, ma quale migliore morte di quella tra le braccia della donna che amava? Io ci metterei la firma, ma la verità è che la maggior parte di noi, muore solo. So che non cambierai idea su Reiniger e lungi da me farti desistere, ma pensa al dopo, a quello che comporta la tua scelta. Ok? Ora andiamo a riposare qualche ora, domani abbiamo due missioni."
"Io odio la notte fatta di ricordi e il sonno pieno di incubi che mi tormentano."
"Dovresti parlarne con qualcuno. Con tuo fratello, per esempio."
"L'ho appena fatto con te. Leon, non può capire perché non ha mai provato un sentimento d'amore così intenso, profondo e totalizzante."
"Non dovresti sottovalutare l'affetto e l'empatia di Herr Luchs. Solo perchè non lo fa vedere, non significa che non stia impazzendo a vederti così triste e rancorosa."
"Non lo faccio. So che mio fratello si butterebbe in un incendio per me, che è preoccupato e che ha paura che mi smarrisca per sempre per la mia sete di vendetta ma, con tutto l'impegno, non capisce come mi sento e di che cosa ho bisogno. Devo dare un senso alla mia perdita."
"Mio padre diceva sempre che il modo migliore per vendicarsi dei propri nemici è diventare migliori di loro. Io ho fallito perchè avevo smarrito la via, ma da oggi onorerò queste sue ultime parole. Fallo anche tu Fräulein Luchs."
"Notte Wolfgang."
"Non puoi scappare in eterno."
Adalia annuì allontanandosi.
Dopo aver assunto un sonnifero, si addormentò nel suo letto, sognando Alexander. Dapprima era tutto perfetto. C'erano loro sotto le stelle all'Enduro Motorrad Rally, le corse folli in motocicletta, le risate, i baci rubati e i loro cuori innamorati, ma poi come tutte le notti, il sogno finiva con tre spari e Adler che moriva tra le sue braccia, in un incubo che era fin troppo reale.
<Vivi Fräulein, senza vendetta.>
"Non posso."
<Promettimelo.>
"No. Pretendo il suo sangue per il tuo."
<In questo caso non mi rivedrai più.>
"Certo che no! Sei morto. Mi hai abbandonata per sempre! Mi rimane solo questa parvenza spettrale di te."
<Addio Fräulein del mio cuore.>
"Aleeeeeex" Adalia urlò così forte, da far entrare Leon, di corsa e da farla cadere dal letto.
"Ad?"
"Sto bene! Era solo un incubo."
《Spero!》
Si concentrò sull'immagine di Alexander, ma lui non la degnò della sua presenza.
Il cuore di Adalia sprofondò in un tedioso senso di vuoto e malinconia.
"Più tardi ne parliamo. Ora devo andare in missione."
"Il tempo di vestirmi e..."
"No Ad. Tu resti qui."
"Non esiste."
"Sei troppo instabile per una missione sul campo."
"Come ti permetti!"
"È comprensibile. Devi superare il lutto prima di ricominciare a vivere."
"Come pensi possa riuscirci rimanendo chiusa qui? Tutto, ovunque, mi ricorda lui. Fa male e mi fa impazzire. Ho bisogno di cambiare aria e tenermi impegnata."
"Lo capisco ma..."
"Ti prego Leon. Ce la posso fare."
Leon avrebbe voluto dire di no, ma gli occhi di sua sorella così dolci e tristi gli toccarono il cuore facendolo annuire.
Egoisticamente, pensò che se non si fosse infortunato prima della competizione, probabilmente, sua sorella non avrebbe mai preso il suo posto, non si sarebbe mai innamorata, non avrebbe assistito all'omicidio del Principe ed ora non sarebbe così infelice per colpa sua.
Il fato aveva innescato una serie eventi fortuiti che li aveva condotti lì, nella disperazione di una morte ingiusta, nella lotta per la sopravvivenza e per una fantasia di futuro migliore che forse non avrebbero raggiunto mai, ma per cui valeva la pena combattere e morire.
Zelinda illustrò per l'ennesima volta il piano d'azione per ogni edificio, perché i suoi "agenti" dovevano agire velocemente e senza commettere errori e nulla poteva essere lasciato in balia della sorte. Un errore e li avrebbero catturati o peggio.
"Entrata furtiva, prelievo dei dati e fuga. Tutto in rigorosa meticolosità e con passo velato. Abbiamo pensato a tutto e a ogni tipo di contrattempo perciò affronteremo la missione con fermezza e tranquillità. Non fatevi prendere dal panico per nessun motivo. Il fallimento e la cattura non sono contemplati. C'è più di una vita in ballo! Ricordatelo sempre. In bocca al lupo. Vi coprirò le spalle da qui. Mi dispiace non poter venire là fuori con voi."
"Fräulein, hai un secondo?" bofonchiò teso Felix.
"Che vuoi?"
"Sempre diretta, pungente e acida."
"Modestamente."
"Ho bisogno di un favore."
"Da me?"
"Sì. Visto che sei stata assegnata alla missione nel Ministero della Sanità, ho bisogno che mi rubi un sequenziatore di DNA."
"Per quale motivo?"
"E' personale."
"Se non mi dici di più puoi scordarti il mio aiuto."
Felix trascinò Adalia in uno sgabuzzino.
"Che intenzioni hai? Perchè io tra meno di un minuto, ti rompo il naso."
"Credo che Wolfgang sia mio fratello. Ho bisogno del sequenziatore per esserne sicuro. Come sai, non posso chiederlo a mio padre, ma su quel maledetto sottomarino lui ha fatto delle allusioni su Fuchs e io ho bisogno di sapere la verità."
"E' assurdo. Se fosse tuo fratello non credi che sarebbe cresciuto con te?"
"Lo so che è assurdo, ma mio padre, i suoi piani e le sue idee antiquate lo sono di più. Se Wolfgang è davvero mio fratello e lui l'ha allontanato, ci dev'essere un motivo. Ed io lo scoprirò. Vivere sotto lo stesso tetto di Steffen Reiniger, è un vero incubo e ti assicuro che Fuchs è stato fortunato a crescere con un padre che l'ha amato."
"Perciò ti sei unito a noi per questo?"
"No. Non solo. Io credo nella vita e nella libertà, ma ora mio padre ce ne ha privati. O meglio le ha tolte agli altri. Io non ho mai avuto niente di tutto ciò. Non non ho mai assaporato la libertà, non ho mai avuto libero arbitrio e non mi sono mai sentito amato e capito. Sono stufo di sentirmi un involucro vuoto e di prendere ordini da quel dispotico pazzo. Meglio la morte. E ti assicuro che non si farebbe scrupoli a togliermela, come ha fatto con..." Felix sospirò "se solo scoprisse o avesse il sospetto che sono uno sporco traditore. Ma meglio morire combattendo, che morire dentro, distrutto da lui."
"Ok. Lo farò."
Felix si smarrì in quegli occhi azzurri sempre ardenti di odio e vendetta e abbracciò grato la fanciulla.
Adalia a quel tocco trasalì. Ogni suo amico provava ad andare avanti con la propria vita, non dimenticandosi del passato e di starle accanto con un affetto spontaneo che lei non ricambiava mai, perchè lei non riusciva a giustificare la morte di Adler e non vedeva alcun futuro ad accoglierla.
"Scusa." farfugliò il ragazzo con le guance arrossate. "Non pensare subito che ci sto provando con te. Non è mia intenzione."
"Non sei così male come pensavo." Adalia sforzò un sorriso. "Spero che Wolfgang sia tuo fratello ma anche in caso contrario, lui è già molto orgoglioso di te."
"Grazie." disse il ragazzo uscendo e trovandosi gli occhi iniettati di fuoco di Leon.
"Ad? Ti ha messo le mani addosso? Devo riempirlo di pugni?"
"No! Non l'ha fatto. Herr Reiniger è un gentiluomo. Va tutto bene e in qualsiasi caso sai perfettamente che so difendermi." sorrise ripensando al gancio destro che aveva scagliato sul naso di Alex, facendolo sanguinare.
Alexander Adler, gli mancava così tanto, così come le sue labbra e le sue mani che la sfioravano procurandole brividi e vampate di caldo, per non parlare del suo sorriso e dei suoi occhi azzurri che, in determinate circostanze, ricordavano il cielo piatto, color caligine, in inverno, prima di una tormenta di neve. Adalia arrossì, non per imbarazzo o emozione, ma per mancanza d'aria, visto che il respiro si mozzò facendole dimenticare di inspirare ed espirare l'ossigeno filtrato e il cuore sembrò rallentare i suoi battiti quando, nemmeno questa volta, il fantasma di Alex, si mostrò.
"Ad? Tutto bene?"
"Sì." mentì. "Sono solo nervosa."
Nervosa lo era di sicuro, ma non per la missione, di cui non le interessava niente e per cui era anche disposta a farsi uccidere, per mettere a tacere per sempre i suoi tormenti, ma per la paura di dimenticare, giorno per giorno, Alexander Adler, il suo unico amore.
"Beata te! Io me la sto facendo sotto!" la spintonò scherzoso suo fratello.
Adalia finse un sorriso, mentre le tenebre, le oscurarono il cuore allontanandola per sempre, dal ricordo di Alex.
NOTA AUTRICE: 🤣 me la sono dimenticata!
Alan ha bisogno di cure e la febbre gli ha rivelato in sogno, un ricordo confuso, della sua vita passata. Felix teme possa ricordare prima del tempo. Adalia è sempre più devastata dal dolore del lutto.
Votate e commentate.
Buon weekend.
Barbara 💙
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