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Capitolo 2

Una forza le opprimeva il petto; era forte, fastidiosa, dolorosa. La pressava e poi spariva. Così, molteplici volte. 

Le prime sembravano quasi delle scosse, rapide ed estemporanee, perse nell'infinità del tempo e dello spazio. Le ultime, invece, sembravano più urgenti, più reali e concrete, accompagnate da rumori sordi e mormorii indistinti. 

Linda percepì un fischio, acuto e stridente, che istintivamente la portó a coprirsi le orecchie con le mani. 

"E' viva!" gridò all'improvviso una voce. Le giungeva chiara e nitida, in netto contrasto con il caos indistinto in cui era immersa. 

Provò ad aprire gli occhi, ma i raggi rossastri del sole la ferirono, costringendola a serrare le palpebre. 

"Piano..." sentì, mentre delle dita le accarezzavano il volto. Il contatto la fece rabbrividire. Istintivamente si allontanò, spaventata. Tremava, ma non per il potenziale pericolo. No, ma per quello che aveva percepito. Non aveva mai provato niente del genere: le dita erano morbide e calde e il solo contatto, benché veloce e leggero, le aveva provocato una fitta sensazione di benessere. Per un attimo si era sentita bene, ma poi, spezzata la magia, il mondo era tornato alla sua solita bruttura. 

Si rese conto che gli occhi le bruciavano, la testa le doleva - girava, anzi, riproponendole quella nauseante euforia che provava da piccola sulle giostre con suo padre -, faceva fatica a respirare, gli arti erano pesanti, indolenziti dallo sforzo eccessivo e percepiva un peso sulle cosce e sul ventre che la inchiodava sulla sabbia, facendola sprofondare leggermente. 

Allora si sforzò di aprire gli occhi. Lentamente e con calma. Prima poco, per permettere alle pupille di abituarsi nuovamente alla luce solare, poi totalmente, di colpo. 

La prima cosa che vide furono un paio di occhi azzurri, allegri e profondi, squadrarla con una viva curiosità. Spaventata, urlò. 

Lui arrossì, "scusa", mormorò, spostandosi di lato, liberandola finalmente da quel peso che non la faceva muovere. 

Linda si tirò su, mettendosi a sedere, ma il mal di testa peggiorò notevolmente. "Piano..." mormorò lui di nuovo. "Stavi annegando", le disse poi. 

La ragazza chiuse gli occhi per un attimo e respirò piano. All'improvviso ricordò tutto: l'attacco di panico, il mare, gli ultimi pensieri. Poi il buio. Terrorizzata, riaprì gli occhi. Cercò disperatamente il suo sguardo, un appiglio a cui aggrapparsi per non farsi trascinare giù di nuovo, per avere la certezza che quello che stava vivendo era reale. Lo trovò, calmo e sereno come prima, e il mondo sembrò fermarsi per qualche istante. Un caotico marrone scuro perso in un ciano pacifico. 

Si calmò. "Mi hai..." sussurrò Linda, ma parlare non era semplice. Tossì. "Mi hai salvata?" Lui annuì. 

Per un attimo lo odiò -  la pervase un sentimento irrazionale e folle, che le annebbiò la vista e la mente: lui non avrebbe dovuto. Poi però la calma razionale s'impadronì di lei, facendola ragionare. Ricordò l'ultimo pensiero: lei non poteva morire. 

"Grazie", gli disse. Lui le sorrise e lei, automaticamente e senza pensarci, fece lo stesso. 

"Come stai?" Si sentì chiedere, ma non era stato lui a farlo. Confusa, si guardò attorno, e solo allora si rese conto di essere circondata da vecchi pescatori incuriositi. 

"Bene", rispose di getto. Non stava bene, ma era troppo stanca per formulare una risposta sensata. L'abitudine, allora, prese il sopravvento. Lei stava sempre bene, lei doveva stare sempre bene. Non aveva altra scelta! Bisognava sorridere e dire di stare bene. 

"Sei sicura?" 

Scosse il capo. "Solo mal di testa." 

"Lasciateci soli", sentenziò il ragazzo. "Per favore", aggiunse poco dopo, ammorbidendo il tono. "Ha bisogno di spazio e riposo." 

Gli anziani acconsentirono: si fidavano di lui. Era un bravo ragazzo, figlio di un'ottima famiglia, e un ottimo soccorritore. 

"Allora... come ti chiami?" Le chiese una volta che furono rimasti soli. 

Linda ci pensò su per un po'. "Mary", disse poi, di getto, ricordando una vecchia canzone che amava. 

Lui le sorrise ancora. "Bel nome", si complimentò. 

"E tu?" 

"Alex, piacere", le disse, allungando la mano verso di lei. Linda gliela strinse, prima piano, timida, poi sempre più forte, come se, con quella stretta salda, lui la potesse tirare fuori da tutti i casini in cui viveva. Come se quella fosse una tacita richiesta di aiuto. 

Lui non capì, ma, con quel solo tocco, la scosse con un'improvvisa sensazione di benessere. Lei arrossì per l'imbarazzo e si allontanò, alzandosi in piedi. Lui fece lo stesso. 

"Dovresti andare in ospedale. Vuoi che ti accompagni?" 

Lei scosse nuovamente il capo, piano, per non aggravare il mal di testa. "No grazie", mormorò. 

"Sicura?" 

Linda si limitò ad annuire con un gesto secco del capo, facendo sì che tra i due cadesse il silenzio. Alex la scrutava, curioso, mentre lei, a disagio, stringeva le braccia al petto e fissava il mare. Lui seguì il suo sguardo. "Mi dispiace per stamattina", mormorò. "Ti ho spaventata." 

"Non è stata colpa tua. Grazie per avermi salvata."

"Non ringraziarmi", le disse, avvicinandosi. "Ho fatto il minimo." Si sorrisero ancora, poi, mentre lui, pensieroso, osservava il mare, Linda si prese qualche istante per osservarlo di nascosto. I suoi capelli scuri erano ancora bagnati e poggiavano disordinatamente su un viso perfetto. Aveva gli occhi grandi, le labbra piccole e rosse, circondate da una barba scura ben curata. 

Lui ricambiò lo sguardo e lei, imbarazzata per essere stata colta sul fatto, prese a guardarsi i piedi. Solo allora realizzò di essere ancora in intimo davanti ad un perfetto sconosciuto. 

"Oddio", singhiozzò all'improvviso. "I miei vestiti", disse, sinceramente preoccupata. 

Lui rise di nascosto per la sua ingenuità. "Sono quelli?" le chiese poco dopo, indicando un punto imprecisato sulla sabbia. Linda assottigliò lo sguardo, come se ciò la potesse aiutare. Poi li riconobbe. 

"Sì", mormorò. Fece qualche passo in quella direzione. "Allora... ciao. Torno a casa." 

"Vuoi che ti accompagni?" Si offrì lui, avvicinandosi. "Non è sicuro tornare da sola..." 

Linda si allontanò ulteriormente. "No, grazie. Non c'è bisogno, sto bene", mentì.

Lui sospirò, acconsentendo. "Ciao Mary." 

"Ciao, Alex", mormorò, prima di avviarsi. Dopo aver indossato in fretta la maglia larga e i pantaloncini, si guardò indietro un'ultima volta - osservò il mare, così pacato e tranquillo, e poi lui, il bellissimo ragazzo che l'aveva salvata e che, probabilmente, non avrebbe rivisto mai più. 

Distogliere lo sguardo fu difficile, ma, dopo un'ultima rapida occhiata, si diresse, decisa, verso la strada. 

Camminava, goffa e incerta, mentre l'insicurezza s'impadroniva di lei. Si sentiva dannatamente stupida per ogni cosa. Per essere fuggita, per essere andata lì, per essersi tuffata. Per ogni singola parola detta e ogni singolo gesto fatto mentre lui la fissava. E, per ultimo, per aver sperato che lui l'osservasse andare via. Che si aspettava? Lei non era chissà chi - o meglio, chissà cosa. Era solo una stupida ragazzina che stava annegando. 

Solo una piccola margherita in mezzo a delle rose. Solo un "meno", un "non abbastanza". 

Eppure lui non aveva mai smesso di guardarla. 

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