57. Siete in ritardo!
Sally
È passata ormai quasi una settimana dal nostro arrivo a Three Forks, dove Harry è nato e cresciuto, e mi sto rendendo conto ogni giorno di più di non poter fare a meno di apprezzare e iniziare ad affezionarmi davvero a questo posto: è così calmo, rilassato e placido nella sua piccola vita che pare rispecchiare il lento movimento delle acque del minuscolo lago che lo bagna.
Io e Harry, come quasi ogni sera dal nostro arrivo, stiamo camminando mano nella mano sul piccolo molo in legno che si trova vicino alla fermata dell'autobus, anche se questa sera l'occasione per la nostra passeggiata è decisamente differente rispetto alle nostre abitudini; Ian è poco dietro di noi e i miei occhi sono puntati al tramonto che colora il lago di un tenue e caldo rosa salmone. Ormai passiamo questi radi dieci minuti insieme tutte le sere prima di cena, oppure quando troviamo un momento libero per poter fumare una sigaretta in santa pace, sigaretta che di solito è la stessa e che condividiamo per cercare di non fumare eccessivamente.
«Credo proprio che mia sorella ti adori, sai?» osserva Harry passandomi un braccio sulle spalle per avvicinarmi a lui.
Sua sorella, Hollie, è passata questo pomeriggio a trovare la sua famiglia e il suo fratellino, portando con sé anche il marito e il figlio; credo che abiti poco lontano da qui. Sembra davvero una ragazza simpatica, tosta e determinata; senza troppi giri di parole mi ha detto di tenere d'occhio Harry che, anche se si ritrova quel faccino da cucciolo coccoloso, è un ragazzo da tenere ben stretto al guinzaglio. Quindi, quando tutta la famiglia era distratta durante il pranzo ed Harry si era allontanato per aiutare il padre a portare l'arrosto in tavola, Hollie si è fatta più vicina sulla sedia e mi ha detto: «Harry è un ragazzo sensibile e ha già incontrato una stronza nella sua vita; fa in modo di non essere la seconda, ok?»
Il suo tono non era affatto minaccioso, era più un avvertimento plausibile dato da una sorella che tiene davvero al proprio fratello, e io ho accettato di buon grado le sue parole, rassicurandola che non gli avrei mai fatto del male. Tengo davvero a lui.
Continuo a camminare accanto a Harry, sentendo il calore del suo corpo e la sua mano sul mio braccio che si assicura della mia vicinanza continua, e sorrido per ciò che ha appena detto. «Almeno a Hollie sto simpatica... la cosa mi procura un notevole conforto», commento al ricordo della prima volta in cui ho conosciuto i suoi genitori.
Un disastro completo.
Ero più che convinta di poter fare bella figura con il mio sorriso e il mio essere minuta e col visino dolce e spaurito, di trovare la tipica mamma chioccia che, tutta contenta che il figlio avesse finalmente trovato una brava ragazza, mi avrebbe preso subito sotto la sua ala e avrebbe iniziato a sventolare le foto della vergogna di Harry da piccolo - di solito le peggiori sono quelle nudi nella vasca da bagno o durante il cambio del pannolino – e a dirmi quanto si veda chiaramente dallo sguardo di Harry quanto mi ami alla follia... insomma, tutte quelle stronzate da romanzi rosa.
E invece, le cose non sono andate proprio come mi aspettavo.
«Dai, Sally, stai simpatica anche ai miei genitori: non essere così pessimista», afferma per provare a tirarmi su.
Sospiro e appoggio la testa alla sua spalla. «A tuo papà, forse: quando ha scoperto che guardo anche io le partite di basket in tv e che ho quattro magliette di LeBron James, sembrava tutto euforico... quasi, quasi voleva adottarmi. Le occhiate che mi lancia tua madre di tanto in tanto, invece, non mi sembrano proprio di simpatia», ribatto con una punta di acidità involontaria nella voce.
Quando ho conosciuto i suoi genitori per la prima volta, appena arrivati qui dopo l'ultimo lunghissimo ed estenuante giorno di viaggio in auto, loro erano già impegnati al lavoro nel piccolo ristorante di famiglia che si affaccia sul lago. Dopo averli salutati entrambi con un caloroso abbraccio, Harry mi ha presentata allegramente come: «Questa è Sally, la mia ragazza», con tanto di braccio protettivo e possessivo sulle mie spalle nemmeno fossi una fottutissima coppa da mostrare. Sua madre Dianne mi ha sorriso appena: uno di quei freddi sorrisi di circostanza che si è obbligati a mostrare in pubblico.
Evidentemente, si aspettava qualcun'altra.
Io non ho notato subito il modo in cui mi stava guardando, ero ancora scioccata nel constatare quanto Harry portasse su di sé i segni di quegli stessi occhi, dello stesso naso e della stessa bocca, mentre le somiglianze con il padre Steven, un uomo affascinante e dai capelli brizzolati e appena ondulati, parevano fermarsi all'altezza. Poi, quando ho riportato l'attenzione su di lei mentre Harry parlava con il padre, ho visto che mi stava squadrando dalla testa ai piedi con un sopracciglio appena inarcato per studiare come fossi vestita, e cioè con un paio di pantaloni della tuta di Ian e una maglietta con Marilyn Manson dei tempi d'oro stampato sopra che, evidentemente, lei non ha affatto gradito. Il suo sguardo si è raggelato e, senza più guardarmi o dirmi una parola, ha riportato la sua attenzione al figlio.
Harry sbuffa per l'ennesima volta ai miei commenti su sua madre e mi scrolla un po' per le spalle. «Beh, era abituata a Dakota, devi capirla. Ma si abituerà anche al funghetto atomico, non ti preoccupare. Anche io ho dovuto imparare ad abituarmi a te, dopotutto... e non è stato mica semplice.»
«Però io mi sto davvero impegnando in questi giorni per piacerle e mi limito a infastidire soltanto te quando siamo da soli», borbotto abbassando la voce. «Lo sai che vi sto aiutando nel ristorante e che sono contenta di poter dare una mano; metto persino io a posto la camera di Ian, così lei non ha il disturbo di dover andare a guardare se ha rifatto il letto o meno, le chiedo sempre se posso aiutarla e rispondo sempre gentilmente e nel modo migliore che conosco... uff, cos'altro devo fare?»
Mi irrita davvero il non essere apprezzata da sua madre. Il problema fondamentale è che Dianne non dimostra un'ostilità aperta nei miei confronti: non fa battute strane né riferimenti alle ex di Harry, non lancia frecciatine verso di me o sul mio modo di vestire, e non riesco proprio a capire che cosa le frulli per la testa. A volte, più che vero astio, mi sembra di esserle del tutto indifferente, come se io continuassi a risultarle invisibile nonostante i miei sforzi di sembrare gentile e accomodante. Non mi conosce nemmeno: perché dovrebbe comportarsi così?
«Dovrei iniziare a vestirmi con degli stupidissimi vestitini eleganti tutti in coordinato, indossare degli stupidissimi e scomodissimi tacchetti e truccarmi come... come...»
«Una stupida?» suggerisce lui.
«Ecco, come una stupida.»
Sogghigna avvicinandosi per baciarmi la tempia fugacemente. «Lo faresti davvero?»
Siamo arrivati alla fine del piccolo molo in legno, l'acqua del lago si infrange placidamente sui lunghi pilastri che sostengono la passerella, ricoperti di un soffice e rivoltante strato di alghe che danza lento con la corrente. Ci penso un po' su: mi immagino stretta in quei tubini insulsi, tutta preoccupata di cadere, di inciampare sui tacchi, di lasciare indietro la borsetta privata della mia amata tracolla; non potrei correre, non potrei saltare sulle spalle di Ian per spaventarlo quando è pensieroso, non potrei scappare via velocemente quando gioco con Harry o gli rubo l'ultima sigaretta dal pacchetto, non potrei mettermi a gambe incrociate sul letto, sulla sedia, sul pavimento...
«No... direi di no.»
Harry mi mette le mani sulle spalle e mi guarda con espressione serena, per niente preoccupato dai modi della madre. Oggi indossa un maglioncino leggero di un azzurro chiarissimo e un paio di vecchi jeans che aveva ancora qui a casa; i capelli sono raccolti dietro la testa così come fa sempre quando deve lavorare e io guardo quel viso adorabile i cui lineamenti sono appena illuminati dalla calda luce del tramonto che, se è umanamente possibile, lo rendono ancora più affascinante. «Ecco, meglio così... anche perché probabilmente con dei tacchi non ti riconoscerei più fuori dal tuo metro e quaranta.»
«E cinquantadue», ribatto piccata schiaffeggiandolo sul petto.
«Sì, cinquantadue te lo sogni, fungo... se arrivi al metro e quarantotto è già tanto», commenta misurando dove la mia testa arriva rispetto al suo torace.
Sinceramente offesa, faccio un passo avanti e raddrizzo per bene la schiena per vedere dove arrivo in confronto a lui; e, quando mi accorgo che, nonostante io sia ben dritta e Harry appena incurvato con le spalle, non riesco a superare il tetto del suo mento nemmeno per un ciuffo di capelli, ci rinuncio e gli torno accanto per riportarlo indietro sul nostro cammino, subendo in silenzio le sue risate.
«Uffi... Ian, si può sapere a che ora arrivano quei due?» urlo a mio fratello per cambiare discorso.
Per tutto il tempo della nostra passeggiata, Ian è rimasto al telefono con nostra madre, come ha sempre fatto tutti i santi giorni della sua vita perché è un cocco di mamma altamente irritante. Ormai siamo abbastanza grandi da esserci abilmente evitati una brutta sfuriata da parte dei nostri genitori, ma ci sono rimasti male per la nostra fuga e, sebbene siano abituati ai miei colpi di testa, non si aspettavano che anche Ian mi seguisse, abbandonando temporaneamente il lavoro nell'azienda di famiglia. Ma dopo essersi lasciato con Jessica, anche lui aveva bisogno di staccare un po' dalla routine solita.
«Dieci minuti e dicono che dovrebbero arrivare», suggerisce Ian raggiungendoci e riprendendo a camminare insieme a noi verso la fermata dell'autobus. Mi appoggio al braccio che Harry tiene intorno alla mia vita e, con la mano libera, prendo per mano mio fratello. I suoi occhi azzurri si alzano per guardarmi, sorpresi da quel gesto affettuoso che non ho più messo in atto con lui da tanto tempo, però sembra gradire perché mi dona un sorriso sincero e stringe le nostre mani unite con un paio di colpetti per salutarmi.
Mentre camminiamo così, osservo la superficie calma e piatta del lago alla nostra sinistra e mi rendo conto che tutto quello che vedo e sento in questo preciso momento riesce a raccogliere e ricostruire tutti i pezzetti dispersi della mia piccola integrità. Essere lontana dai miei problemi, insieme a due delle persone più importanti della mia vita accanto, rappresenta la consapevolezza che mi riempie il cuore di una gioia profonda e immensa.
Gli ultimi giorni in questa piccola cittadina si sono animati di una routine particolare che mi fa ben sperare per il futuro. Dopo aver conosciuto i suoi genitori il primo giorno, tutti e tre abbiamo visitato il loro piccolo ristorante e la casa in cui Harry è nato e cresciuto. È solamente un piccolo appartamento situato proprio sopra al diner Lake and Forks di loro proprietà, ma è accogliente e molto familiare. Accanto al ristorante, i suoi genitori sono i padroni di un piccolo Bed and Breakfast con una manciata di vecchie stanze che, però, non sembra andare molto bene, visti gli esigui turisti del posto. Ian si è aggiudicato proprio una di quelle stanze libere, mentre io e Harry dormiamo nella sua vecchia camera da letto in casa con i suoi e la sera diamo loro una mano con il lavoro: Harry che prepara il caffè e resta a servire i clienti al banco, mentre io aiuto sua madre con i tavoli, servendo e sparecchiando. E, per inciso, ora che sto decisamente meglio e non ho quella stronza di Dakota che mi fissa e mi confonde le idee per tutta la serata nell'attesa di vedermi inciampare sui miei stessi piedi, sono diventata anche una cameriera con i fiocchi. Non mi dispiace affatto come impiego; lavorare qui è del tutto diverso dal locale in cui lavora Harry in California: qui non ci sono ragazzi che tentano di rimorchiare ogni cosa vivente nel raggio di chilometri, niente ragazze con miniabiti succinti e pronte solo ad annusare il portafoglio del primo cromosoma XY disponibile. Qui ci sono coppiette giovani, ma anche famiglie in uscita settimanale il venerdì sera; ci sono i bambini che vengono il pomeriggio dopo la scuola per chiedere una fetta di torta con la panna e la cioccolata calda, e gli anziani che d'abitudine passano a mangiare una bistecca la sera e che, per quello che non riescono a finire, chiedono con gentilezza che venga incartato per portarlo a casa e poterlo consumare il giorno seguente. E la cosa che amo di più è che praticamente tutti qui si chiamano per nome perché tutti si conoscono da sempre; è bello sentirsi dire «Sally, mi porteresti dell'altro caffè?» dalla nonna che porta in giro il nipote, invece di «Ehi, chiappe d'oro, la coca cola l'avevo presa con del fottutissimo ghiaccio», detto del neo laureato in giurisprudenza che crede di valere qualcosa di più della media delle nullità che siamo tutti quanti noi solo per quel pezzo di carta appena guadagnato... che ci si pulisca il...
Insomma: è un ambiente del tutto diverso e io ci sto davvero bene.
L'altro ieri abbiamo ricevuto una fantastica notizia: Sam e Lewis hanno deciso di raggiungerci qui per qualche giorno per poter passare del tempo con noi prima dell'inizio delle lezioni in università, e ora stiamo aspettando che arrivino con l'autobus dall'aeroporto. Staranno solamente per il week end, ma almeno saremo di nuovo tutti insieme e la cosa mi rende particolarmente felice. Non ci conosciamo da molto tempo eppure, vivendo tutti insieme per qualche mese, abbiamo creato un rapporto di amicizia profonda e di questo ne sono davvero felice. Non sono mai stata una ragazza con una grande cerchia di amici: sono espansiva a un primo sguardo, ma quando si tratta di approfondire i contatti mi ritraggo subito come un riccio; ma con loro mi sono subito trovata a mio agio.
E poi, Sam è una forza della natura e mi fa ridere ogni volta che apre bocca. Non si può non volergli bene.
Non so quanto questa mia vacanza potrà ancora durare, visto che le ferie di Harry stanno finendo e pure il permesso dato a Ian da mamma e papà per assentarsi da lavoro non può essere allungato ancora. Con tutta probabilità, se Harry avrà dei piani diversi e vorrà restare ancora qui per un altro po', Ian tornerà a casa tra un paio di giorni con i suoi due amici. Quanto a me, io seguirò semplicemente Harry ovunque vada e poi penserò cosa fare della mia vita e del lavoro che ancora non mi sto impegnando a cercare. Quando Theodore dice che fuggo dai problemi, ha davvero ragione: non posso negarlo.
Nonostante l'animo cupo e silenzioso che lo ha accompagnato per tutti questi giorni, ultimamente Ian sta cercando di tornare di buon umore e di farmi notare di meno che ha qualcosa che gli frulla per la testa, anche se io me ne accorgo comunque. Di tanto in tanto abbiamo parlato tutti e tre insieme a proposito di Jessica, se l'avesse più sentita o se ci fosse stata qualsivoglia novità... ma niente, quella ragazza sembra essere sparita nel nulla; non lo ha cercato e, per fortuna, Ian ha fatto lo stesso.
Peccato che ci troviamo a ventimila leghe di distanza da quella stronza, ma quando torneremo a casa giuro che le organizzo uno scherzetto che non dimenticherà tanto facilmente. Non si può permettere di trattare mio fratello come una suola da scarpe.
Aspettiamo ancora un paio di minuti davanti alla fermata e poi, finalmente, scorgiamo l'autobus svoltare nella curva prima di arrivare a fermarsi davanti a noi con il fischio e lo stridore dei vecchi freni ormai andati. Quando li individuiamo scendere in mezzo alle altre persone, notiamo subito gli sguardi di Lewis e di Sam che si guardano intorno. Balzano giù dall'ultimo gradino della scaletta dell'autobus e i loro occhi vagano qualche istante alla nostra ricerca e, non appena ci vedono, parto all'attacco senza riuscire a trattenermi. Sam mi aspetta già con la braccia spalancate dopo aver lasciato a terra lo zaino, e io gli salto in braccio quasi facendolo cadere all'indietro.
«Ehi!» gli urlo nell'orecchio. «Siete in ritardo!»
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