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23. Vi lascio soli

«Ciao, Frank... tutto bene?»

Frank, il mio datore di lavoro, è passato a salutarmi al bancone come fa tutte le sere. È un uomo in gamba, un tipo giusto e alla mano: un buon capo.

Con un lungo ed esasperato sospiro, si accascia sul bancone. «Non proprio; il piccolo piange di continuo, tutto il giorno e tutte le notti. Devo dare di tanto in tanto il cambio a mia moglie altrimenti potrebbe andare fuori di testa; sta incominciando a tornare a lavorare e la notte vorrebbe dormire e non riesce perché io sono bloccato qui.»

«Mi dispiace», mormoro asciugando uno dei bicchieri.

Frank alza debolmente le spalle. «I primi mesi immagino siano così per tutti i genitori... spero proprio che passerà in fretta.»

«Mia sorella, invece, sta impazzendo con il bambino che ha appena iniziato a camminare... quindi, goditelo finché se ne sta buono, buono nella culla, altrimenti poi devi prendere il guinzaglio per controllarlo.»

«Vedremo», conclude mentre sorseggia la sua birra. «Senti, Harry, ma non sarebbe dovuta venire quella tua amica a chiedere per il posto che era di Phoebe?»

Guardo l'orologio che porto al polso, un vecchio regalo di mia sorella per il diploma. «Sally mi ha mandato un messaggio poco fa dicendo che ha avuto un contrattempo e che sarebbe arrivata tra poco.»

Evito il suo sguardo e lui non ci fa caso. Non è vero, Sally non mi ha mandato nessun fottutissimo messaggio. Sono le nove e lei non si è ancora presentata. Dovrei iniziare a preoccuparmi?

Con un sospiro, Frank si alza dalla sedia. «Beh, appena arriva, mandamela nel mio ufficio.»

Non è innervosito, forse è talmente stanco dal figlio piccolo che non sa nemmeno dove si trovi lui stesso sul pianeta Terra in questo momento. Però, per la miseria, Sally non dovrebbe comportarsi così, visto che potrebbe far sfigurare pure me. Cazzo, è in giro con Lewis dall'ora di pranzo...

E, oltre a tutti questi pensieri, ho il chiodo fisso su Dakota.

Certo che ha proprio un tempismo impeccabile: cambia idea proprio quando stavo iniziando a non pensarla più come prima. Fino a qualche giorno fa avrei saltato di gioia all'idea di ritornare con lei, pensavo fosse l'unica cosa che volevo davvero e, anche se le avrei sicuramente fatto passare qualche tempo sulla graticola, entrambi sapevamo quale sarebbe stato il mio responso.

E adesso, sono sicura di saperlo?

No, non lo so proprio. Mi sono andato a impelagare in qualcosa che sapevo già da prima di non poter controllare, e finché le cose tra me e Sally resteranno così in sospeso, non riuscirò nemmeno a mettermi a pensare lucidamente alla proposta di Dakota. E, probabilmente, non c'è proprio nulla su cui pensare e chiarire. Dopotutto, Sally ieri notte è stata più che chiara sulle sue intenzioni: è venuta a letto con me esclusivamente perché le ho promesso che sarebbe stato soltanto per una notte, e che oggi sarebbe ritornato tutto come prima.

Che bugiardo patentato che sono. Già mentre glielo promettevo, sapevo perfettamente che le cose sarebbero state diverse una volta svegliati al mattino; però mi ero illuso che, cedendo al desiderio e soddisfandolo come già mi è capitato varie volte in passato, quella strana fissazione che avevo iniziato a provare per lei sarebbe svanita. E invece, è accaduto esattamente l'opposto, ed è la prima volta che mi succede.

Beh, sto mentendo di nuovo; la prima volta era stata con Dakota.

Io e lei ci siamo conosciuti nella maniera più ordinaria. Quella sera Sam mi aveva trascinato di peso in una discoteca affollatissima, pur sapendo che la mia capacità di ballare equivale ad un approssimativo meno uno. Non che lui sia molto meglio di me, ma ha sempre avuto quel modo di fare, e soprattutto la faccia tosta, che io non ho mai posseduto e che gli permetteva di uscire dalla discoteca puntualmente in dolce compagnia; e la compagnia in questione non era di certo la mia.

Erano grosso modo le tre di notte. Ero fisso al bancone da almeno due ore e avevo tentato di provarci con un paio di ragazze che arrivavano a ordinare, ma non aveva funzionato. Con alcune ero sicuro di aver fatto colpo, eppure per qualche strana ragione femminile queste avevano ignorato i miei complimenti o le mie battute, o avevano declinato la mia offerta di offrir loro qualcosa da bere. Poi, però, hanno passato i minuti seguenti a fissarmi da lontano, aspettandosi che io tornassi all'attacco. Ma non sono di certo un cane, e fino ad allora non avevo ancora incontrato nessuna che valesse un secondo tentativo.

E poi la vidi, la ragazza che di tentativi ne valeva anche quattro o cinque.

Era al centro della pista ma, con un particolare gioco di spostamenti della folla, riuscivo a vederla spuntare tra le teste dei ragazzi che la circondavano, e stava guardando me. Soltanto me.

Era così bella, così luminosa, che mi sembrò naturale inseguirla quando si mosse per uscire sulla terrazza, come se mi stesse chiedendo con lo sguardo di seguirla. Lo avrei fatto comunque anche se quegli occhi azzurri dal taglio perfetto non me lo avessero chiesto con tanta insistenza.

L'estate era appena scomparsa dal cielo e l'aria sapeva di autunno inoltrato; Dakota era appoggiata alla balaustra con indosso solo un vestitino nero, aderente al suo corpo snello e tonico, le spalle coperte soltanto da due minuscole spalline in gioiello. Tremava. Arrivai da lei posandole il mio maglione sulle spalle per coprirla, e così iniziammo a parlare. La sua voce era sottile e timida, tutto il suo modo di fare e di muoversi trasmetteva un senso di profonda delicatezza e soavità. È come quando in autunno osservi una foglia che sta per cadere dall'albero; la sua fine è ormai vicina, il vento sembra soffiare con più forza soltanto per farle dispetto, eppure lei resiste, e tu non puoi fare a meno di guardarla e sperare che possa tener duro il più a lungo possibile. Ti metteresti con le mani a coppa giusto sotto di lei per accompagnarla fino al terreno, con gentilezza.

Dakota era proprio così quando la conobbi: ispirava tenerezza e protezione, qualcosa che forse, inconsapevolmente, ho sempre ricercato. Per la prima volta avevo iniziato a sentire che sarei potuto diventare quell'uomo che mio padre aveva da sempre cercato di insegnarmi a essere: responsabile, indipendente, legato ai sani principi e valori della famiglia. Se quella sera non avessi conosciuto Dakota, oggi sono certo che sarei un uomo del tutto diverso. Non che prima fossi un delinquente, uno scansafatiche o un perdigiorno, ma con lei il senso di responsabilità si è convogliato in qualcosa di vero, concreto.

Quella sera ci scambiammo i numeri di telefono, ma non riuscii a chiamarla. Soltanto alla terza telefonata mi resi conto che nel numero di telefono che mi aveva dato mancava una cifra. Restai con il pensiero fisso a quegli occhi azzurri per tre lunghissimi giorni, al mio maglione ancora in suo possesso, fino a quando non la ritrovai al Lounge: l'avevo vista entrare e sedersi a uno dei tavoli con delle sue amiche, tra cui Jessica, che allora ancora non conoscevo. Non mi aveva notato.

Le lasciai un bigliettino sotto al suo analcolico alla frutta: spero che il maglione ti abbia tenuto compagnia in mia assenza. H.

Sì, lo so: a ripensarci ora mi sento un cretino ad aver scritto quella frase, ma lei aveva sorriso e mi aveva riconosciuto, e questo mi era bastato.

Ma adesso è meglio lasciar perdere i ricordi e che mi concentri sul mio lavoro per non commettere errori con gli ordini.

Sally si degna di presentarsi al locale dopo più di mezz'ora di ritardo. Non che avesse alcun tipo di appuntamento ufficiale, avevo soltanto accennato a Frank che sarebbe arrivata una ragazza a chiedere per il lavoro da cameriera, ma visto che è stata tutto il pomeriggio e buona parte della sera fuori con Lewis... beh, ecco, doveva arrivare prima. Punto.

E, peggio del peggio, è ubriaca. La vedo immediatamente ondeggiare fino al bancone.

«Ciao, Harry», borbotta quando mi raggiunge, «dove trovo il tuo capo?»

Per lo meno non biascica e resta in piedi da sola, ed è già qualcosa, eppure vorrei prenderla per i capelli e snocciolare tutto il beneamato elenco di insulti che mi si sono presentati nella testa da oggi pomeriggio. Come riesce lei a istigarmi violenza, non ci è mai riuscito nessuno.

Questa sera è in modalità "Sally al lavoro": gonna, camicia e tacchi. Almeno ha cercato di fare una buona impressione, nonostante gli occhi leggermente appannati dall'alcol e, potrei scommetterci, anche dal fumo. E non di certo di sigaretta.

Tiene lo sguardo basso, cercando di incrociare il mio soltanto per il tempo necessario. «Hai bevuto?»

Ha pure il coraggio di sbuffare. «Non sono affari tuoi. Puoi dirmi dov'è il tuo capo o me lo devo cercare da sola?»

Grugnisco, ricordandomi di non stringere così forte il bicchiere di vetro perché potrei farlo esplodere. «Frank è in ufficio... vieni, ti accompagno.»

Ci sono un paio di clienti in attesa, ma possono anche aspettare un po'. Devo riuscire a parlarle.

Un porticina accanto al bancone porta nelle stanze retrostanti al locale: un bagno, un piccolo spogliatoio e l'ufficio di Frank prima dell'uscita sul retro.

«Come mai sei arrivata così tardi? Sei stata con Lewis fin'ora?»

Si gira lanciandomi uno sguardo torvo. «Sei l'ultima persona che può dirmi qualcosa in proposito.»

«Ho solo chiesto che fine avevi fatto. Temevo mi facessi fare una brutta figura con il mio capo.»

Lei sospira, amaramente divertita. «Sì, come no. Sono stata tutto il giorno con il tuo amico e non ti infastidisce? Io sono stata sincera con te questa mattina, dovresti esserlo anche tu.»

Spero che parli così perché ha bevuto troppo.

«Senti, Sally, dobbiamo parlare un secondo», cerco di bloccarla per il polso, ma lei si divincola.

«Non c'è niente di cui parlare, Harry; mi è passata. Davvero. Amici come prima, come promesso. Puoi pure tornare da Dakota, a me non importa.»

Arriviamo davanti alla porta dell'ufficio e, quando sto per replicare che è lei la prima che non sta rispettando i patti, Sally bussa e apre con sicurezza la porta.

«Buonasera, signore. So che Harry le ha parlato di me», entra con determinazione già allungando la mano: per lo meno, riesce a nascondere la sbronza meglio di molti altri.

Sally è fin troppo formale con Frank, e infatti lui si fa avanti con un gran sorriso, invitandola a dargli del tu. A giudicare dalla sua espressione confusa, si era addormentato sulla sedia dell'ufficio.

Li saluto con un gesto della testa. «Vi lascio soli.»

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