Il Bivio
Non avrebbe mai dovuto smaterializzarsi lì.
Forse era stato il suo primo pensiero da quando aveva messo piede in quella villetta fuori città, sul momento non le era venuto in mente nessun luogo adatto e forse rifugiarsi nei suoi ricordi infantili, i pochi che la facessero stare veramente bene, era stata una tentazione troppo forte.
Se ne sarebbe andata prima di subito, ma evidentemente la sorte non aveva finito di tormentarla e il proprietario della villa l'aveva colta in fragrante. Naturalmente lei, aveva tentato di autoconvincersi, e nel mentre convincere anche l'altro, che fosse invisibile, ma non possedeva alcun Mantello dell'Invisibilità per sua sfortuna.
L'uomo era rimasto stupito, ma non aveva fatto molte domande; lei non desiderava altro che silenzio e pace, magari anche un tè. Come se le avesse letto nel pensiero, il proprietario del Manor le aveva preparato una tisana calda ed entrambi si erano seduti nello spazioso salottino.
Lei aveva continuato a fissare la tazzina, non sapendo bene da dove iniziare. Poi, prima che l'uomo iniziasse a fare domande aveva preso a raccontare: poiché non voleva dilungarsi su ciò che era appena successo, gli parlò di tutto, nel pieno e vero senso della parola.
Narrò dei momenti felici, dell'arrivo della guerra, dei sacrifici e delle battaglie, con voce ferma e fredda, quasi disumana, s'apprestava a concludere il doloroso racconto; ma sapeva che le avrebbe fatto bene dire tutto quelle cose brutte ad lata voce, era una tattica che usava anche da piccola.
Quando ebbe finito di raccontare la sua gola era secca e il suo tè freddo, portò la tazzina alle labbra e attese la reazione nell'altro, che non l'aveva mai interrotta. L'uomo non disse molto, le chiese soltanto: «Perché qui?»
Lei non lo guardò negli occhi, scosse il capo: «Ci vivevo da ragazzina, è sempre stata come una casa» La voce le si incrinò: «Avevo... avevo bisogno di sentirmi al sicuro, per una volta»
«Potrai restare fino a quando vorrai»
La donna alzò il capo e per la prima volta da quando era entrata scrutò il mago: «Grazie, Severus»
Si era ripromessa che sarebbe rimasta solo per una notte, poi la notte era diventata un altro giorno, i giorni settimane e ora era quasi un mese che stava con l'amico d'infanzia. Di notte sognava le battaglie, una in particolare: l'ultimo confronto di lei, Sirius, Remus e Dora contro Malfoy e Lestrange, sperò in cuor suo che i suoi amici stessero bene.
Da quando si era separata da James erano successe un sacco di cose, ma il pensiero della famiglia che si erano creati le era rimasto fisso in mente. Sospettava che suo marito avesse firmato le carte per il divorzio, non lo avrebbe probabilmente mai fatto, ma nel giro di poco sarebbe tornata a Villa Conchiglia e avrebbe portato Rachel via con sé: non avrebbe mai permesso che il suo orgoglio le causasse la morte.
Se anche per un secondo sua figlia aveva pensato che lei l'avrebbe abbandonata, si era sbagliata di grosso: Lily non avrebbe mai permesso che le succedesse nulla, era sua figlia e doveva proteggerla a qualsiasi costo, anche dall'egoismo di suo padre se era necessario.
Le cose, in realtà, erano più complicate di quello che sembravano: Lily amava veramente James, sicuramente egli era l'unico uomo che lei avesse mai amato in vita sua, eppure se n'era andata. Probabilmente se qualcuno avesse dovuto darle un giudizio l'avrebbe categorizzata come "Madre e moglie peggiore dell'anno", forse solo Tonks poteva capirla: entrambe avrebbero dato qualsiasi cosa, la propria vita se necessario, per la propria famiglia.
Lily scostò lo sguardo dalla finestra del salotto, si era persa ad osservare il campo che si estendeva in tutte le direzioni, si ricordava ancora quando da piccola la neve si addormentava sul prato e lei si divertiva a giocarci. Adorava aspettare che i fiocchi cadessero al suolo, amava alzare il capo e guardare il cielo, mentre centinaia di minuscole perle scivolavano nell'aria.
L'inverno l'aveva da sempre affascinata: era stato proprio durante quel periodo che aveva conosciuto Severus e che si era fidanzata ufficialmente con James. Non avrebbe mai potuto dimenticare l'uscita ad Hogsmade del suo settimo anno, quel 16 dicembre lei aveva finalmente accettato la proposta di James Potter un po' riluttante all'idea di uscire con quel combinaguai, ma solo Merlino sapeva quanto si fosse divertita.
L'aveva portata da Mielandia e poi a bere una burrobirra ai Tre Manici di Scopa, James non faceva altro che fissarla e parlare, avrebbe potuto percepire la sua gioia e il suo nervosismo a metri di distanza e finalmente lei stava imparando a conoscere meglio quel rompiscatole che l'aveva da sempre stuzzicata.
Dopo di che il ragazzo dai capelli neri le aveva fatto chiudere gli occhi, lei aveva riso e a poi acconsentito, si era lasciata guidare, dando fiducia a James, mentre percorrevano la strada James aveva iniziato a parlare a vanvera: raccontandole cose assurde, come quella volta in cui, al terzo anno, Peter era rimasto incastrato con la testa nel water per colpa di uno scherzo di Sirius e poi lui e Remus avevano dovuto spiegare tutto alla McGranitt.
Arrivati nel luogo prediletto, James le aveva detto di aprire gli occhi e Lily era rimasta incantata alla vista che le si era mostrata dinnanzi: il Lago Nero era divenuto un'enorme lastra di ghiaccio, la superficie limpida rifletteva il candore della neve che gentile scendeva dal cielo. Sarebbe rimasta lì per tutto il giorno: a contemplare quel piccolo angolo di pace, ma il ragazzo le aveva proposto una pattinata e lei non aveva rifiutato; e quello era forse stato uno dei pomeriggi più belli di tutta la sua vita.
La donna scostò definitivamente gli occhi dalla distesa verde e si voltò verso il centro della sala, con gli occhi ancora lucidi dai ricordi.
«Stavi di nuovo pensando a lui?» La voce di Severus la fece sobbalzare, non si era accorta che ci fosse anche lui nella stanza.
«No» rispose secca.
«Lily» mormorò lui.
Lei incrociò le braccia la petto e alzò lo sguardo al soffitto: «Il mio mascara è troppo costoso perché si rovini piangendo e ho promesso a me stessa di non versare più una lacrima per lui»
«Potresti iniziare comprando un mascara meno costoso» fece lui.
Lily lo guardò con espressione contrariata, poi sbuffò e disse: «Me ne vado»
L'altro quasi non si strozzò: «Cosa?! Se è per la battuta di prima, io...»
«No, no solo che il mio sesto senso mi sta mettendo in guardia da troppo: c'è qualcosa che non va! Devo trovare James, Harry e Rachel»
«Ma-» la sua voce sembrava più risentita che arrabbiata «non avevi detto che non avresti mai più messo piede a Villa Conchiglia?»
«Bene, mi sa che dovrò infrangere questa promessa» mosse la bacchetta e il giubbotto le arrivò in mano.
«Lily, per favore, non cedere!» Severus si avvicinò a lei.
«Ci ho riflettuto molto: andarmene è stato un errore; io desideravo tanto smettere di combattere, ma desidero ancora di più lottare al fianco di James per proteggere ciò che amo» Le parole le uscirono dalle labbra tremanti, socchiuse gli occhi, ciò che stava dicendo proveniva dal cuore.
L'uomo guardò a terra rassegnato: «Non li troverai a Villa Conchiglia»
«Come? Perché no?» domandò Lily.
«C'è una cosa che non ti ho detto» la sua voce vacillò.
La rossa alzò lo sguardo di scatto e corrugò le sopracciglia: «E sarebbe?»
L'ex-Mangiamorte prese un profondo respiro, poi sputò fuori: «C'è una battaglia in corso, è lì che troverai la tua famiglia»
Le parole dell'uomo le arrivarono come una pugnalata in pieno petto: «Una battaglia?» la sua voce era incerta.
«Esatto, Lily mi dispiace»
«Dove?» il tono freddo, lo sguardo fisso sull'uomo che aveva ottenuto informazioni voltandole le spalle.
«Poco a Sud di Manchester, non volevo Lily, ma lui può proteggermi, può proteggere anche te»
«Non mi serve la protezione di nessuno: né tanto meno la tua o quella di Voldemort!» esclamò infuriata, poi si fece più ragionevole: «Portami lì»
«Cosa? Ci sono almeno duecento Mangiamorte: praticamente tutte le forze del Signore Oscuro!»
«Non mi interessa, puoi portarmi lì oppure devo arrangiarmi?» osservò con durezza il mago.
«Lily ti prego»
Il tono supplichevole di Severus venne troncato dall'occhiata gelida che la donna gli riservò.
«Afferra la mia mano» disse infine, lei gli si avvicinò e fece come le aveva detto, entrambi lasciarono il manor.
Hermione aveva da sempre creduto che i Mangiamorte fossero irritanti, che dire: evidentemente non aveva mai combattuto contro Bellatrix Lestrange. Di per sé, i seguaci di Voldemort erano sgradevoli da affrontare: ci mettevano un sacco di tempo a morire e, come se non fosse abbastanza, rischiavano di ucciderti una o due volte nel corso del combattimento; ma Bellatrix superava tutti: il suo grado di irritazione era almeno il centonovantotto percento in più rispetto a una persona comune.
Si era messa a strepitare, a scagliarle malefici e gridarle ingiurie e, nonostante tutti i tentativi di Hermione per farle capire che non aveva molta voglia di dar aria alla bocca, la donna si ostinava a rovinarle la serata.
«Tu non sopravviverai a questa guerra» le urlò, tra un incantesimo e l'altro.
«Se mi fossi limitata a quello, avrei smesso mesi fa» replicò le parando i colpi.
La donna ringhiò, probabilmente irritata, la ragazza si guardò attorno e decise che era il momento giusto per perdere un po' di tempo: se c'era qualcosa in cui lui eccelleva, oltre a elaborare strategie e essere sempre pronta a tutto, era temporeggiare.
Diede un'ultima occhiata agli altri: il corpo di Sirius giaceva ancora in mezzo al campo, scostò subito lo sguardo la vista dell'uomo morto era qualcosa che ancora non realizzava; osservò Harry: nonostante le acciaccature e le ferite continuava a combattere, la sua immagine era molto simile alla prima impressione che si era fatta di lui quando James aveva raccontato loro di quando a Diagon Alley si era messo a seguire uno strano ragazzo dai vestiti laceri che era entrato nel motel più disgustoso dell'intero mondo magico.
Hermione si voltò nuovamente verso Bellatrix e parlò prima che la donna la colpisse: «E' divertente vero?»
«Il corpo di Sirius morto? Si, molto» replicò lei.
La grifondoro strinse i denti e deglutì sonoramente, ma si costrinse a non ucciderla all'istante, fece un gesto con la mano e disse: «No, non lui; la battaglia»
«Trovi divertente una battaglia, Mezzosangue? Le esplosioni ti hanno dato alla testa?» il tono era divertito.
«Non la battaglia, ma il fatto che Lord Voldemort sia talmente codardo da far affrontare centinaia di Mangiamorte contro una cinquantina di Auror; oltre a Signore Oscuro, si chiama anche Mr. Codardia?» quasi rise.
«Come ti permetti!» La sua voce era stridula «Morirai per quello che hai detto»
«A me pare di avere ragione, insomma: lui non è qui a combattere o sbaglio? Manda tutti voi come foste solo pedoni, ma tu non sei solo un pedone, vero Bellatrix, o forse sì?» fu tentata di portarsi l'indice al mento.
«Ovvio che no! Io sono fondamentale per la riuscita del piano del Signore Oscuro e non sarà di certo una ragazzina a dirmi cosa sono o non sono!»
«Guardati attorno: nonostante i vostri sforzi, vi stiamo fronteggiando alla pari! Non trovi che sia un suicidio di massa? Perché mai Lord Voldemort manderebbe a morte la sua prediletta, sempre che possiamo definirti tale» Sperò di convincerla: era stanca e le forze iniziavano a venirle meno.
Bellatrix esitò per un istante, poi disse con voce vacillante: «Io sono qui per guidare i Mangiamorte!»
Hermione fece scorrere lo sguardo lungo il campo da combattimento, poi le venne un'idea: «Oh giusto, tu non sai della nostra arma segreta»
«Arma segreta?» le fece eco la Mangiamorte, Hermione rischiò di sorridere: aveva ottenuto ciò che desiderava.
«Certo, proprio così!» Continuò la ragazza.
«Mi stai mentendo! Non avete nessun'arma segreta!» esclamò la donna.
«Puoi credermi o meno, ma se vivrai abbastanza a lungo per vederla... beh, non vivrai per raccontarlo ai tuoi figli»
«E dove sarebbe quest'arma segreta?!» strepitò la Mangiamorte.
«Naturalmente... naturalmente sta per arrivare» Hermione cercò di essere il più convincente possibile.
Bellatrix accigliò lo sguardo: «Non ti credo, siete troppo deboli: guardati attorno!»
«Forse è proprio per questo che abbiamo un'arma segreta! Siamo venuti qui in pochi per non farvi insospettire e poi, quando sarà il momento giusto -e fidati che non manca molto-, vi colpiremo: schiacciandovi una volta per tutte» Sarebbe stato un piano geniale, se fosse stato vero.
La donna si guardò nervosamente attorno: «Che cosa mai potrà essere?» cercò di darsi un contegno «un altro paio di uomini non faranno la differenza»
"Okay" pensò la ragazza "Rachel questo è un buon momento per scatenare il drago." Guardò verso il cielo, più limpido che mai, sbuffò e disse a Bellatrix: «Non stiamo parlando di un paio di uomini»
La donna fece per replicare, ma una voce alle sue spalle la fece voltare: «Stiamo parlando di una donna infatti!» Detto ciò la Maledizione Senza Perdono per eccellenza colpì la Mangiamorte, che cadde a terra morta.
Hermione fece per parlare, ma James vicino a lei la precedette: «Lily?»
Incontrare Armando Dipett era stato un enorme errore.
Gellert Grindelwald ne era praticamente certo: si era spinti di nuovo in Gran Bretagna, rischiando di venire identificati almeno una decina di volte e sarebbe stato esilarante, si disse il mago, probabilmente sarebbe andata così:
-Il ricercato più ricercato che ci sia nell'intera comunità magica, Albus Silente e sua sorella morta che viaggiano insieme? Che cosa potrebbe esserci di strano in questo terzetto?-
Gellert ritornò serio, ripensare al corpo senza vita dell'ex-preside non fu troppo piacevole: avevano trovato Dippet nella camera da letto, non c'era nessun biglietto o arma babbana e tutto faceva indurre a pensare al suicidio, ma lui era certo che così non fosse.
Si erano sbrigati ad abbandonare la Gran Bretagna e si erano trovati ad un bivio: proseguire nel loro piano, continuando a cercare i vecchi membri del WERSIC oppure cambiare rotta; e naturalmente non potevano trovarsi che in disaccordo.
Erano decine di minuti che lui, Albus e Ariana se ne stavano seduto attorno ad un tavolo di un bar, era un posto affollato dove era difficile dare nell'occhio.
«Dovremmo continuare: la prossima della lista è Leta» fece Albus, la sua voce portò l'uomo alla realtà.
«Che senso avrebbe? Tanto a quest'ora sarà già morta: abbiamo poco tempo» ribatté convinto.
«E cosa proporresti di fare?» chiese Silente.
Grindelwald fece scorrere lo sguardo lungo il tavolino e domandò a sua volta: «Quali sono i nostri obiettivi?»
«Fermare Voldemort naturalmente» rispose l'amico senza esitazione.
Gellert arricciò le labbra: «Perché fermarlo?»
«Non capisco cosa vuoi dire, amico mio» un lampo di preoccupazione gli balenò nelle iridi cristalline.
«Perché non lasciare che si distrugga da solo? Sarebbe più semplice e poi non credo manchi molto»
«Comporterebbe la morte di centinaia di maghi e streghe: è una follia! E poi a chi credi che riserveranno fiducia i maghi: a chi non ha fatto nulla oppure a chi a fronteggiato la minaccia?»
«A chi li condurrà di nuovo alla ribalta» rispose secco.
«Cosa proponi?» domandò Silente, più incuriosito che interessato.
«New York»
«Perché?»
Gellert alzò lo sguardo: «Se dobbiamo rifondare una comunità bisogna partire dalle fondamenta»
«Non faremo un viaggio di centinaia di chilometri per riprenderci ciò che ti è stato tolto, lo sai bene»
«Albus, cerca di capire, è necessario»
«Questo no, è fuori discussione» l'uomo scosse energicamente il capo.
Grindelwald sospirò: «Lo nascosi nella biblioteca di Hogwarts dove sapevo che nessuno l'avrebbe mai trovato, eppure ci deve essere stato un errore»
«Hai idea a chi appartenga ora?»
«Sono l'unico e legittimo proprietario, anche se ora non è con me non significa che perda la sua lealtà, ad ogni modo sento che è a New York: devo ricuperarlo»
«Avresti dovuto distruggerlo e so bene che se lo riavrai non te ne separerai mai più» l'espressione di Silente si indurì.
«Potremmo vincere la guerra se è questo che vuoi, quel libro è la chiave: la soluzione dei nostri problemi e se capitasse nelle mani di Voldemort o di qualche incosciente... non oso pensare che cosa succederebbe» Il tono di Grindelwald era fermo, sapeva che cosa stava dicendo.
Albus parve rifletterci, ci furono diversi secondi di silenzio tra i due, mentre il locale esplodeva di rumore; poi l'anziano uomo disse: «Io e Ariana non lasceremo l'Inghilterra»
«Albus...» mormorò in tono supplichevole.
L'altro si voltò in direzione della finestra: entrambi potevano osservare Ariana seduta su una panchina a leggere: «E' debole e sempre più instabile, stanotte ha ucciso un gatto in sogno: non è sicuro muoverla da qui»
Gellert inspirò, poi gli disse: "Partirò domani all'alba, farò ritorno tra tre giorni: ti manderò un gufo e ci rivedremo»
«Se tornerai con il Libro, sappi che non ti accoglierò a braccia aperte»
«Credevo che dopo tutto questo tempo...»
Albus lo interruppe: «No»
«Vogliamo entrambi la stessa cosa: questa guerra sembra dividerci, ma tutti e due vogliamo la pace, per il bene superiore! Non lasciare che qualche dettaglio distolga la tua attenzione dal quadro generale: siamo dalla stessa parte»
«Mi dispiace, ma temo di no» Il tono era carico di rammarico.
Grindelwald sospirò e enunciò poco dopo: «Ci rivedremo, amico mio, e quando capiterà: Lord Voldemort sarà morto»
Albus sembrò non dare peso a quelle parole profetiche, disse soltanto: «Addio, Gellert»
Grindelwald salutò l'altro con un cenno della mano e del capo, poi si alzò e uscì dal locale a grandi passi. All'esterno salutò velocemente Ariana, si diresse poi in un vicolo isolato e si smaterializzò, certo che quello non fosse un addio.
Angolo Autrice:
Questo capitolo è stato un calvario... non mi piace, probabilmente lo ripubblicherò, ma mi sento troppo in colpa a non farmi sentire per dieci giorni.
Sappiate che mancano esattamente due capitoli prima della "pausa invernale", durante la quale (si spera) mi porterò avanti con la stesura dell'ultimo atto... preparatevi mentalmente.
Ad ogni modo credo che entro Natale pubblicherò sicuramente un altro capitolo se non due, così poi da prendermi una pausa fino al sette gennaio circa.
Hope you enjoy! c:
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