HARRY
Era lui.
C'era silenzio, ma sentivo il suo respiro.
Mi guardava da lontano; sentivo il suo sguardo perforarmi la schiena. Non mi parlava. Immobile come un pezzo di ghiaccio, gracchiai un «P-pronto?» che uscì debole dalle mie labbra.
Mi confondeva. Mi spaventava. Mi rilassava.
Fuori era buio, ma da lontano riuscivo a scorgere una figura lunga e magra. Un cappotto nero gli ricopriva il corpo.
Era lui. Lo sapevo.
Rise. Rise di me e del mio sguardo impaurito. Rise della mia paura. Ma quella risata mi fece sentire leggero.
Smise subito dopo. Un attimo che mi aveva confuso. Durò un battito i ciglia, un lento e involontario battito, e lui non c'era più.
La sua voce l'avevo sentita solo una volta. Dolce, roca, immutabile e spaventosa. Avevo incominciato ad amare quella voce; mi parlava, era rilassante, era bello.
Mi guardava. Sempre. Da lontano, con i suoi occhi scuri, mi scrutava. Sentivo il suo sguardo ovunque. Non volevo che smettesse.
Il suo tocco. Leggero, quasi impercettibile, delicato. Le sue mani ossute mi avevano toccato solo due volte in sei anni. Solo due.
Il primo tocco fu la prima volta che lo vidi: diciassette anni. Era il giorno del mio compleanno; la festa era appena finita. Mi ero recato in camera mia, stanco e soddisfatto.
Era lì. Mi aspettava.
Mi aveva guardato, lo avevo fatto anche io. Non vidi di quale colore aveva gli occhi, ma sapevo essere scuri, quasi neri. Sembrava non avesse nemmeno la pupilla.
Si era alzato e mi era venuto incontro. Avevo notato la sua camminata lenta e sicura, quasi fosse certo che non sarei scappato da lui, che non avrei corso nella direzione opposta. Si era preso del tempo per osservarmi da lontano.
Rimasi fermo, incatenato dal suo sguardo. Non riuscivo a muovermi.
Mi ero chiesto come potesse chiamarsi, ma non glielo chiesi. Ero spaventato.
Mi aveva toccato la mano che, immobile e parallela al mio corpo, aveva incominciato a bruciarmi.
Bruciava come se il fuoco adesso si era espanso e stesse incominciando ad ardere. Fece male, ma non mi mossi.
Riuscii solo a sgranare gli occhi e quando battei le ciglia, non c'era più.
La seconda volta che mi toccò, non ero a casa, io e la mia ragazza avevamo deciso di uscire. La stavo accompagnando a casa. Era buio ed era tardi.
Era lì. Sul ciglio opposto del marciapiede.
Mi guardava.
Non si era avvicinato subito, aveva aspettato che accompagnassi Eleonor a casa, che era proprio a due passi da dove si trovata lui.
Aveva aspettato che chiudessi la porta. Continuava a guardarmi. Si era avvicinato, e mi aveva toccato all'altezza del cuore.
Aveva bruciato. Non mi ero mosso. Lo avevo guardato.
Un battito di ciglia e non c'era più.
La mattina dopo la madre di Eleonor mi aveva chiamato in lacrime. La figlia era morta.
Quella notte era riuscito a chiamarmi al cellulare. Non si era avvicinato, era restato nel mio giardino mentre io, in camera mia, cercavo di addormentarmi. C'eravamo guardati da lontano.
Se n'era andato dopo un battito di ciglia.
Desideravo sapere il suo nome. Perché mi guardava. Volevo guardare i suoi occhi.
Mi addormentai con la sensazione che qualcuno mi stesse guardando. Ma non mi mossi. Volevo che continuasse a guardarmi.
Harry.
Una mattina mi ero svegliato gridando quel nome. Mi era piaciuto. Avevo continuato a chiamarlo così.
Era un nome duro e aggressivo, ma dolce una volta pronunciato. Glielo avevo affibbiato.
Quella sera si era presentato dopo tanto che non lo faceva. Ero felice.
Mi aveva sorriso. Non un sorriso completo, ma lo aveva quasi accennato; le sue labbra si erano mosse verso l'alto.
Quel nome era piaciuto anche a lui.
Solo dopo poche sere riuscii ad avvicinarmi a lui tanto quanto bastava per poter guardare i suoi occhi.
Non mi spaventai quando vidi completamente nero.
Avevo alzato una mano per toccarlo e non si era mosso. Sorridevo perché finalmente avrei avuto l'occasione per sfiorare quella pelle di porcellana.
Era bello, da morire. I capelli lunghi e ricci sembravano morbidi, mi venne voglia di infilarci la mano e accarezzargli la cute. Gli occhi completamente neri non mi spaventavano come probabilmente avrebbero dovuto fare. Ci vidi il riflesso della luna che filtrava dalle finestre semi chiuse. Le labbra rosse e gonfie erano tirate in un lieve sorriso.
Avevo battuto gli occhi. L'attimo dopo, non c'era più.
L'unica volta che provai a parlargliene a mia madre mi portò dallo psicologo. Cercavano di convincermi che questo Harry non esisteva.
Frutto della mia immaginazione? E allora quel bruciore quando mi toccò? Quegli sguardi che mi perforavano la schiena? Eleonor?
Mi avevano dato del pazzo. Non sapevano però che i pazzi erano loro, a mettersi contro di lui.
Mia madre morì il giorno stesso. Non piansi. Non andai al funerale. Restai ad aspettarlo, tutto il giorno.
Quando si fece vedere, stava sorridendo.
Quando mi parlò per la prima volta, mi ricordo, fu a Primavera. C'era abbastanza freddo, in realtà, ma non mi importava.
Ero appena tornato a casa da fare la spesa. Mi aspettava davanti alla porta.
Mi guardava e sorrideva. Sorrisi anche io e cercai di non battere le ciglia, di non mandarlo via.
«Devi morire», mi innamorai della sua voce «per stare con me.»
All'inizio non ci feci caso, ma solo dopo che il viso cominciò a bruciarmi capii che mi stava toccando. La mano fredda era appena appoggiata alla mia guancia.
«Louis.» annuii anche se non ero sicuro di cosa mi volesse dire. «Fallo.»
Battei le ciglia.
Un giorno venne da me, era vestito come un normale adolescente: jeans e maglietta nera. Sembrava non aver freddo.
I suoi occhi erano verdi. Talmente fluorescenti da accecarmi.
All'inizio pensai fosse un sogno, poi toccò il mio braccio, e quando incominciò a bruciare, sorrisi.
Mi aveva guardato e, continuando a toccarmi, mi aveva guidato in una farmacia lì vicino.
Durante il viaggio la gente ci guardava strano; vedevo il loro sguardo ballare dal mio corpo a quello di Harry. Sapevo non fossi pazzo. Mia madre se l'era meritato.
La farmacia era stranamente vuota e silenziosa; solo il rumore di tasti sbattuti e dei nostri passi risuonava nella stanza.
«Cosa posso fare per voi?» una donna di vecchia età con un camice bianco cominciò a parlare con Harry. Non capii cosa si dissero, sentii solamente il tocco bruciare ancora di più.
Ritornammo a casa. Lo guardavo mentre prendeva la stessa boccetta presa in farmacia nelle mani.
«Prendile per me, Lou.», mi aveva detto «faranno in modo di non dividerci, mai più.»
L'attimo dopo i suoi occhi ritornarono neri.
Battei le ciglia.
Era ancora lì.
Sto scrivendo questa lettera per dirvi che lui è reale. E che lo sto per raggiungere.
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NDA:
Le frasi corte e, molte volte, prive di descrizione sono fatti appositamente per rendere più credibile i pensieri che Louis sta scrivendo nella lettera.
ATTENZIONE: Ho presto spunto dalla storia «He is everywhere» di Demon121994 che gentilmente mi ha dato il permesso di scrivere questa OS.
Ringrazio They_are_my_smile che mi ha gentilmente aiutato a trovare un titolo, e a trovare una copertina per la storia. Ti voglio bene :3
Spero vi sia piaciuta.
Charly
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