Capitolo 13
Sulla soglia della porta di casa, mi chiesi se Christian fosse ancora lì o se se ne fosse andato.
Erano già le tre del pomeriggio ma speravo che fosse rimasto e che avremmo potuto passare il resto della giornata insieme, per recuperare tutto il tempo che avevamo passato lontani nell'ultimo mese. Allo stesso tempo, anche se facevo fatica ad ammetterlo, la sua presenza mi avrebbe rassicurata un pochino riguardo alla notte passata. Una parte irrazionale di me, temeva che per lui la notte precedente non fosse stata speciale come per me e che fosse stata una scopata come un'altra.
E, nonostante sapessi che non era così, perché si era preso cura di me subito dopo e aveva passato tutto il resto della nottata nel mio letto svegliandosi sempre lì quella mattina, non riuscivo a scacciare quell'odioso "e se.." dalla mia testa.
E se lui fosse rimasto deluso?
E se si fosse reso conto di non volermi veramente?
E se mi avesse lasciata?
Oh piantala!, mi rimproverai tirando fuori dalla borsa le chiavi di casa.
Mi aveva chiaramente detto di essersi reso conto di aver fatto un errore a lasciarmi andare e che voleva che restassi con lui e che, con lui, trovassi una soluzione perché potesse cambiare la sua vita. Finalmente ero riuscita a fargli capire che non era solo e che avrebbe potuto lottare per essere felice. Ed io avrei lottato con lui, perché la sua felicità, in questo momento, era la mia assoluta priorità.
Volevo che potesse essere felice, che risolvere i suoi problemi e riuscisse a diventare un pugile professionista (che nonostante non mi avesse detto che fosse chiaramente il suo obiettivo, avevo capito che fosse il suo sogno nel cassetto, in un certo senso. Era l'unica cosa che sapeva fare, come diceva lui, ed era anche maledettamente bravo a farlo, per cui sapevo che quella sarebbe diventata la sua carriera). Volevo che si liberasse del suo passato doloroso e che cominciasse un nuovo futuro.
Volevo che facesse tutto questo con me al suo fianco.
Si: probabilmente mi stavo innamorando di Christian Parker, detto KAYO.
Rovistai nella borsa alla ricerca delle chiavi di casa, e una volta trovate le inserii nella toppa e aprii.
Mossi i primi passi nell'atrio e tesi le orecchie nella speranza di sentire la voce del mio ragazzo.
- Davvero? - lo sentii chiedere dalla cucina.
E al solo suono della sua voce profonda e mascolina un grosso sorriso si formò sulle mie labbra, mentre mi precipitavo verso la cucina per accoglierlo.
Era rimasto!
- He..Mamma - mormorai.
Oh mio Dio.
Forse avrei dovuto chiedermi con chi diavolo stesse parlando ma ero troppo presa dalla mia nebbiolina di contentezza per pormi quella domanda fondamentale.
Ed ecco si, udite..udite: il mio ragazzo stava conversando con mia madre nella cucina di casa mia.
Si girarono entrambi verso di me, Christian seduto su uno degli sgabelli dell'isola e mia madre appoggiata al ripiano del lavello, e mi guardarono tranquillamente, come se la situazione in cui ci trovavamo non sembrasse affatto strana.
- Mamma? - ripetei.
- Si, tesoro. Sono io - rispose lei. - È così che mi chiami da quando hai cominciato a parlare.
Dio, aveva anche voglia di fare la sarcastica.
- Che cosa ci fai qui?
- Ci abito? Questa casa è intestata a me.
Oh si, era proprio in vena di comicità.
- No, mamma. Intendevo cosa ci fai qui oggi. Credevo dovessi tornare domani.
- Ne avevamo parlato, tesoro. Io dovevo tornare oggi e sono tornata oggi.
- Si, ma io.. - balbettai.
Era meglio lasciare perdere. Non saremmo andate da nessuna parte così, lei era qui. Io ero qui. Christian era qui.
E lei non sembrava minimamente turbata dal fatto che lui fosse qui.
Così guardai lui che a sua volta stava guardando me, con gli occhi dorati estremamente divertiti e un leggero ghigno sulle sue labbra meravigliose. Le stesse labbra che ieri erano su di me e.. Oh cavolo, non era proprio il momento di fare certi pensiero quando mia madre era presente.
- Devo andare al lavoro - disse d'un tratto Christian, cominciando ad alzarsi dallo sgabello. - È stato un piacere, Cathryn - salutò mia madre.
Cathryn?
- Piacere mio, caro. Sei sempre il benvenuto.
Caro?
Cosa cavolo stava succedendo qui?
- Puoi accompagnarmi alla porta, dolcezza?
Me lo chiese. Ma in realtà mi prese per mano passandomi davanti e mi portò con sé, ripercorrendo l'atrio.
- È andata bene al lavoro, nursy?
- Che cosa succede tra te e mia madre? - fu la mia controbattuta.
- Abbiamo pranzato insieme.
Avevano pranzato insieme.
- Hai pranzato con mia madre.
- Cucina molto bene.
- Hai pranzato con mia madre.
E, allora cominciò a guardarmi come se fossi stupida. - Si, dolcezza. Abbiamo anche parlato e bevuto un caffè, se è per questo.
Squadrai Christian. Portava ancora i vestiti che aveva ieri sera, leggermente spiegazzati, e i tagli in viso erano ancora visibili. E sembrava che mia madre non avesse fatto una piega.
- Mia madre non ha detto niente a proposito dei.. - e indicai la sua faccia muovendo il viso in circolo.
Fece un'alzata di spalle. - Sa che lavoro come boxing trainer, sono i rischi del mestiere.
- E lei lo sa perché voi avete pranzato insieme e parlato.
Stavo diventando ripetitiva, sì.
Sembravo una sciocca, sì.
Ma, che qualcuno mi capisse, tutta quella situazione era surreale.
Il ragazzo con cui avevo perso la verginità proprio una notte prima ~ e di cui mi stavo innamorando ~ e mia madre avevano condiviso un pasto e un caffè insieme, senza che io fossi presente.
E si erano appena salutati come se fossero amici, benché si conoscessero da neanche qualche ora.
L'aveva chiamato caro e l'aveva invitato di nuovo!
Non intendevo insinuare che il fatto che Christian avesse conosciuto mia mamma mi desse fastidio, anzi mi faceva piacere che andassero d'accordo..era solo che non era così che me l'ero immaginata. La vedevo più come un "Mamma, questo è Christian, il ragazzo che hai visto uscire dalla finestra della mia camera qualche settimana fa".. e sapevo che nemmeno il modo in cui lo stavo immaginando io era molto normale, ma almeno io ero presente.
- Io e tua madre abbiamo pranzato e abbiamo parlato di te.
- Avete parlato di me?
- Abbiamo parlato di te, dolcezza.
Aspettai e quando lui non disse niente, borbottai un: - E..
Il sorriso che non aveva lasciato le labbra di Christian fino a quel momento si allargò, un attimo prima che so chinasse per stamparmi un bacio dolce sulle labbra. - Cose - rispose.
- Cose..Cose cosa?
- Abbiamo parlato di cose.
Era ufficiale: quella era la giornata Prendiamoci gioco di Thia.
Mi sembrava di rivivere la stessa scena che si era prodotta quando gli avevo chiesto di dirmi che cosa si erano detti lui e Blair quella volta al telefono. E sapevo che era una battaglia persa in partenza per cui lasciai perdere.
- Ora posso farla io una domanda? - mi chiese circondandomi i fianchi con le braccia e avvicinandomi al suo corpo. Annuii e gli posai i palmi sul petto muscoloso.
- Stai bene?
Non c'era bisogno che mi chiedesse a che cosa si riferisse.
- Sto bene - risposi arrossendo leggermente.
Christian mi strinse più forte e poggiò due dita sotto il mio mento perché lo guardassi dritto negli occhi. - Sei sicura? - incalzò. -Voglio che tu mi dica se ti senti a disagio, in qualsiasi modo.
- Sto bene, davvero. Anzi, più che bene - dissi con ancora più convinzione. - Ieri è stato magnifico e non potrei mai lamentarmi.
- Bene - mormorò soffiando sulle mie labbra. - Perché ci saranno molte altre notti così, e spero anche giorni, e qualche sveltina magari..
- Christian! - lo interruppi coprendogli la bocca con la mano per zittirlo. - C'è mia madre!
Le due pozze color miele scintillarono sempre più divertite mentre le sue labbra baciarono le punte delle mie dita e, successivamente, lasciò che la sua lingua le tracciasse.
E, cavolo, nonostante ciò che avevo appena detto, quel gesto mi fece ricordare che cosa quella lingua era in grado di fare su altre parti del mio corpo. Dovetti trattenermi dal gemere.
- Hai programmi per domani sera? - mi chiese una volta che tolsi la mia mano formicolante da davanti la sua bocca.
- Hai un incontro?
Scosse la testa. - Pensavo che potresti cenare da me, dolcezza.
Era un appuntamento? Sorrisi. - No, nessun impegno.
- Bene - convenne. - Se non sbaglio il venerdì hai il turno pomeridiano, giusto?
- Si, finisco alle sette.
- Ti vengo a prendere direttamente al lavoro, okay?
Annuii mentre le mie labbra scattavano verso l'alto all'idea di passare una serata sola con Christian che non comprendeva incontri, sangue, minacce ed ex fidanzate.
- Ora, a proposito di lavoro.. devo andare - dichiarò e, alla fine, sciolse l'abbraccio ma non prima di avermi dato un lungo bacio appassionato di cui ormai cominciavo ad avere dipendenza.
- Meglio che esca in fretta da questa porta, prima di perdere il controllo - mormorò aprendo la suddetta porta.
- Ciao - lo salutai.
- Ciao, nursy - ricambiò. - A proposito, quel Brad è un gran testa di cazzo che non sa che cosa si è perso ma sono contento che ti abbia lasciata, così ti ho tutta per me.
Poi se ne andò, lasciandomi completamente spiazzata di fronte alla porta con il pensiero che mia madre parlava troppo e che non so se mi piaceva tutta quella confidenza che era nata trai due.
E sì, Brad era un grandissimo idiota. Ancora oggi mi chiedevo come avesse potuto piacermi quel maschilista, insolente figlio di papà. L'avevo conosciuto durante l'ultimo anno di università, frequentavamo entrambi il corso di medicina, ed ero rimasta subito attratta dai duo modi affabili e da gentiluomo e dalla sua ambizione. Solo che poi avevo scoperto che tutto quel suo essere perfetto non era nient'altro che una maschera: mi aveva lasciata sostenendo che (testuali parole) "Non voglio stare con una donna che pratichi la mia stessa professione. Se proprio ci tieni puoi diventare infermiera ma sappiamo che più in alto di così non puoi aspirare. Sei dolce e carina, Thia, non ti basta?"
Non mi ero nemmeno presa la briga di rispondere. O di tirargli un pugno.
Naturalmente, Brad aveva sparso la voce che fosse stato lui a lasciarmi. Non che mi fosse importato minimamente.
Quindi si, ero contenta anch'io che mi avesse lasciata.
- Mi piace.
Sobbalzai e mi voltai verso mia madre tutta sorridente alle mie spalle.
- Gli hai parlato di Brad.
Lei glissò com un gesto della mano. - Tra una chiacchiera e l'altra.
- Quindi non sei arrabbiata - mormorai mordendomi il labbro.
- No, tesoro. Non sono arrabbiata - disse con tranquillità. - Ammetto di essere rimasta un po' sorpresa trovandolo qui ma era comunque un ospite e la buon educazione viene prima di tutto. E, poi, ci siamo incrociati mentre se ne stava andando.
- E l'hai invitato a pranzo.
- Era l'una. Da brava padrona di casa non l'avrei fatto andare via a stomaco vuoto - ribatté. - Anche se in realtà è stato tutto un piano per fare due chiacchere con il ragazzo di mia figlia.
Arrossii e borbottai un "Mamma.." mentre il suo sorriso si allargava da un orecchio all'altro e rispose: - È un bravo ragazzo. Tienitelo stretto.
Ne avevo tutta l'intenzione.
Il giorno dopo mi presentai al lavoro alle tre in punto per il turno pomeridiano. Il venerdì era il giorno libero di Blair per cui mi preparai a lavorare senza la mia migliora amica a tenermi compagnia.
- Qualcuno è molto felice oggi - squittì Melanie, da dietro la cassa aperta in cui stava riponendo alcune banconote.
E dissi squittì perché Melanie era un dolce ragazza di una corporatura esile, alta un metro e cinquanta con i capelli castano rossiccio lunghi fino alla vita e occhi nocciola da cerbiatto. Sembrava quasi una bambola con la voce tipica delle ragazzine dei cartoni animati giapponesi.
Mel era anche la titolare della boutique, che vendeva principalmente abbigliamento e intimo femminile. L'aveva aperta appena quattro anni fa ma gli affari andavano discretamente bene e alle persone piaceva ciò che vi si trovava. Io e Blair eravamo le uniche due commesse (anche se prima eravamo in tre, ameno finché Tracy - l'altra ragazza - non era stata beccata a rubare i vestiti dal magazzino) e, dovevo ammettere che il principale vantaggio del lavorare in un negozio di abbigliamento, era indubbiamente lo sconto dipendenti.
All'osservazione di Mel cercai in ogni modo di contenere il mio buon umore, non che fosse facile impedire alle mie labbra di incurvarsi verso l'alto.
Perché, cavolo, non riuscivo proprio a contenere l'eccitazione al pensiero di vedere Christian quella sera.
Ancora quattro ore, pensai. Quattro ore e poi avrei rivisto il mio sexy pugile, avremmo cenato, ci saremmo baciati e poi.. speravo che Christian mantenesse la sua promessa a proposito delle notti, i giorni e le sveltine..
Benvenuta a sessolandia, sorella!
La mia amica poteva anche non essere lì fisicamente ma giurai che quella vocina fosse proprio la sua. Accidenti a lei e alle sue battutine!
Le prime due ore di lavoro passarono in fretta, mi occupai di catalogare i nuovi arrivi e servii qualche cliente mentre Mel si occupò della cassa.
Sistemai sugli scaffali l'ultima fornitura di jeans, un modello con diversi strappi che andava di moda negli ultimi mesi, e da cui persino io mi ero fatta attirare qualche settimana prima e ne avevo comprato un paio.
- Thia.
Finii di riporre l'ultimo jeans ripiegato sopra la pila e mi girai verso Mel per chiederle di che cosa avesse bisogno.
Solo che non era stata Mel a chiamarmi e rimasi di sasso quando di fronte a me trovai Gwen.
Probabilmente Tyler si sarebbe lasciato sfuggire un porca puttana al mio posto.
Invece io mi limitai a fissarla scioccata. Mi ricordavo dei suoi capelli nerissimi e del suo volto pallido ma ora che mi era così vicino potevo notare alcuni dettagli che un mese prima mi erano sfuggiti. Come le pupille così dilatate che quasi nascondevano l'iride color cobalto dei suo occhi arrossati; le dure occhiaie sotto gli occhi, le guance incavate e le labbra screpolate.
Era quasi un peccato che fosse ridotta in quel modo, visto che riuscivo a scorgere i lineamenti aggraziati e molto femminili del suo volto e pensai che, quando Christian si era innamorato di lei, doveva essere bellissima.
E mi scoprii anche invidiosa ma poi mi rimproverai pensando a quanto fosse stupido essere invidiosa di Gwen, vedendola così e sapendo ciò che aveva passato.
Ora i suoi occhi erano così tristi e vuoti, come se non provasse più niente.
Il suo corpo era nascosto sotto altri vestiti informi, come la prima volta che l'avevo vista. Portava una felpa nera che le arrivava quasi alle ginocchia e un paio di collant neri sulle gambe esili, con qualche buco qua e là. Ai piedi un paio di stivali anch'essi neri, che in confronto a tutto il resto potevano definirsi nuovi.
Mi chiesi se non sudasse con tutto quel nero addosso. Non era una giornata particolarmente calda ma nemmeno il contrario, c'erano almeno venti gradi là fuori.
Eppure lei..tremava. Non il tipico tremore di quando si ha freddo. Solo un leggero tremolio che a prima vista non si notava. Ma le sue mani e le sue gambe si agitavano leggermente.
Notai, da dietro le sue spalle, lo sguardo inquisitorio di Mel e cercai di farle un mesto sorriso per dirle che andava tutto bene.
Ma a dire il vero non sapevo nemmeno io cosa stava andando. Che cosa ci faceva lì? Come faceva a sapere che ci lavoravo? E come conosceva il mio nome?
Non mi ricordavo che il Boss l'avesse mai pronunciato quella volta.
Il Boss.
Christian mi aveva avvisato che avrebbe potuto fare delle ricerche su di me.
Cazzo.
Okay, dovevo mantenere la calma.
E dire qualcosa, magari. Non potevamo continuare a fissarci in quel modo senza una parola.
Se solo avessi saputo che cosa dire.
Ciao?
Che diamine ci fai qui?
Perché lasci che quel mostro ti controlli?
Perché hai fatto soffrire così tanto Christian? Si supponeva che lo amassi.
Splendido modo di cominciare una conversazione, Thia.
- Devi stare lontana da lui.
Anche lei non scherza, però.
- Prego? - mi sfuggì irritato dalle labbra.
- Devi stare lontana da Christian - ripeté di nuovo, in quello che era poco più di un sussurro.
Lei non poteva permettersi di venire qui, sul mio posto di lavoro, e dirmi una cosa del genere.
Era l'ultima persona al mondo che poteva parlarmi così, dopo averlo abbandonato lei stessa.
- Senti, Gwen.. - mi preparai ad attaccarla.
- Guardami! - disse, in quella che doveva essere un'esclamazione ma che il tono della sua voce così basso sminuiva. - Diventerai come me se non stai lontano da lui.
Si sbagliava. Io non ero lei e non avrei fatto i suoi stessi errori. Mai.
Ma poi disse solennemente le parole che mi ferirono di più. - Non ti amerà. Christian non può amarti.
Non ebbi il tempo di ribattere.
Sia perché rimasi così scioccata da quelle parole che persi momentaneamente la voce. Sia perché lei se ne andò senza aggiungere altro.
- Stai bene, Thia? - mi chiese Mel ad un certo punto.
Sbattei le palpebre, riacquistando la mia vista che si era offuscata per un momento a furia di fissare la porta da cui Gwen era appena uscita.
- Si - mormorai.
Ma no, non stavo bene.
E continuai a non stare bene quando Christian venne a prendermi due ore dopo.
Probabilmente di accorse subito che qualcosa non andava ma non fece domande fino a che non entrammo nella Range Rover.
- Parlami, Thia.
Esitai. Sapevo di doverglielo dire ma era comunque complicato. E avevo paura della sua reazione. Non potevo perderlo un'altra volta, come era successo un mese fa.
- Thia - mi richiamò.
- Non arrabbiarti - cominciai.
Christian chiuse gli occhi per qualche secondo e prese un profondo respiro. - Sono preoccupato perché quando ti ho lasciata ieri eri tutta dolce ed eccitata e, adesso, sei completamente sconvolta. Quindi, per favore, dimmi che cosa è successo.
- Gwen è venuta al negozio.
Ci fu un lungo, lunghissimo silenzio. E poi..
- Cazzo! - ringhiò abbastanza forte da farmi sobbalzare. Picchiò le mani contro il volante e gli partì un colpo col clacson.
- Cazzo - fece di nuovo poco dopo, leggermente più controllato.
- Avevi detto..
- Come puoi chiedermi di non arrabbiarmi per una cosa del genere! - ruggì. - Merda. Cazzo. Merda.
Eh si, le disse tutte in fila altre cinque volte prima di calmarsi apparentemente.
Quando finì eravamo già arrivati nel parcheggio di casa sua.
- Hai finito? - chiesi allora, slacciandomi la cintura.
Occhi chiusi. Respiro profondo.
Annuì rigido e scendemmo dall'auto. In silenzio. Prendemmo l'ascensore. In silenzio. Entrammo nel suo appartamento. In silenzio.
- Non so cosa sia successo tra voi ma avete delle facce di merda.
Tyler, ovviamente.
Nemmeno io sapevo che cosa stava succedendo lì. Tipo, il motivo per cui Ty, Blair, Caleb e un'altra ragazza fossero nell'appartamento di Christian, durante la serata del nostro appuntamento.
Di fronte alla mi faccia confusa fu Blair a rispondere. - Ci siamo auto-invitati.
- In realtà, avrebbe dovuto essere una cena a quattro - replicò Tyler.
Di nuovo Blair. - Oh ma per favore, era il loro appuntamento. Poi tu ti sei auto-invitato e allora lo abbiamo fatto anche noi.
Di nuovo Tyler. - Io non mi auto-invito in quella che è praticamente casa mia.
Ora si, che mi sarebbe venuto un gran bel mal di testa.
- Gwen è andata da Thia.
- Come? - urlarono i nostri amici in coro.
- Gwen è andata da Thia mentre lavorava in negozio.
- Porca puttana.
Tyler, ovviamente (Visto? Sapevo che l'avrebbe detto).
- Caazzo. - Ed ecco che si ci metteva anche Caleb.
Era ufficiale: se ieri era la giornata del Prendiamoci gioco di Thia, quella era la giornata Facciamo a gara a chi impreca di più.
- Che cosa ti ha detto? - mi domandò Blair, avvicinandomisi.
Lanciai uno sguardo a Christian e lasciai andare uno sbuffo d'aria, aspettandomi un'altra infuriata non appena avessi smesso di parlare. - Mi ha detto di stare lontano da Christian..
- Che cosa cazzo ti ha detto? - ringhiarono Tyler e Caleb.
Dio, mi sembrava di stare con gente allevata dagli orsi.
Almeno Christian non aveva urlato quella volta. Aveva solo irrigidito la mascella e chiuso forte le mani a pugno, le sue narici si allargavano e stringevano con il suo respiro.
Non era solo arrabbiato, era completamente furioso (ma almeno non urlava).
- Finisce qui - sibilò. - Tutta questa stronzata finisce qui.
Oh, cazzo (adesso era il mio turno di dirlo, cioè pensarlo).
Non mi piaceva sentirlo pronunciare la parola fine (o il verbo finire e tutte le sue forme), perché di solito significava la fine di noi due.
- Christ..
- Ammazzerò quel figlio di puttana con le mie cazzo di mani.
- Lo terrò fermo mentre lo fai a pezzi.
Apprezzavo davvero, davvero tanto che Caleb si fosse messo dalla mia parte questi ultimi tempi, ma così non aiutava per niente.
- Adesso ascoltatemi tutti. - Blair si alzò dal divano attirando la nostra attenzione. - So che siete incazzati, e lo sono anch'io, ma che cosa credete di fare? Andare a cercare il Boss dovunque sia e poi cosa..
- Blair ha ragione - concordò Tyler facendosi serio. - Punto numero uno, non sappiamo dove cazzo si trovi e non possiamo fare domande in giro o ci faranno fuori; punto numero due, ammesso che lo troviamo, i suoi scagnozzi ci faranno fuori ancor prima di riuscire anche solo a sfiorarlo. In ogni caso, senza un piano, siamo morti.
- Esatto - proseguì la mia amica. - Quindi tu (indicò Christian) non ammazzi nessuno e tu (indico Caleb) non terrai fermo questo nessuno. Non senza un piano.
- Perciò sediamoci e pensiamo a qualcosa - ordinò il rosso.
- Ehm..scusate - sentimmo mentre ci prestavamo a sederci intorno al tavolino da soggiorno.
Ci voltammo tutti verso la ragazza bionda seduta a fianco a Tyler, quasi sorpresi che fosse ancora lì.
Fantastico, aveva sentito tutto. E probabilmente adesso pensava che fossimo tutti pazzi.
- Oh cazzo, Jessie - borbottò Tyler. Immaginavo che Jessie fosse la quarta persona della nostra uscita a quattro, non che ci sarebbe più stata un'uscita o un appuntamento oramai.
- Immagino sia il momento delle presentazioni - continuò Ty sarcastico. - Jessie, questi sono i miei amici. Amici, questa é Jessie, la mia ragazza, che fino a un quarto d'ora fa non sapeva niente di tutto questo.
Successe che Jessie non scappò via di corsa, che non si arrabbiò con Tyler per non averle detto nulla su quella parte della sua vita (in fondo, stavano insieme da poco più di un mese, motivo per cui non l'avevo conosciuta prima) e che volle sapere tutta la storia.
E, ancora più sorprendente, si offrì di aiutarci. A quanto pare la ragazza di Tyler dagli occhi azzurri stava studiando giurisprudenza e sapeva qualcosa del diritto penale che avrebbe potuto esserci utile.
Così mi ritrovai a farle un riassunto abbastanza dettagliato di tutta la vicenda e a suo merito, lei non fece una piega. Annuì qualche volta e strinse gli occhi infastidita mentre le raccontavo del faccia a faccia con il Boss ma per il resto rimase abbastanza calma.
- Ha mandato Gwen da Thia per arrivare a me. Un promemoria per ricordarmi che mi ha in pugno: se mollo o faccio qualche altra cazzata, le farà del male - concluse il biondo. Aveva preso posto sulla poltrona marrone e mi aveva trascinata sulle sue gambe, dove mi ero seduta comodamente. Blair, Tyler e Jessie si erano seduti sulla poltrona mentre Caleb aveva preso una sedia e se ne stava curvato, con i gomiti appoggiati sulle cosce.
Christian mi strinse involontariamente mentre parlava con voce grave.
Quel vigliacco piuttosto che affrontare Christian si nascondeva dietro le minacce alle persone che lui amava. Proprio come aveva fatto mandando i suoi scagnozzi a pestare Tyler, due anni fa.
- Se questo Boss ha tanto potere quanto credo di aver capito abbia, non potete fermarlo da soli - intervenne Jessie. - So che siete convinti che non possa aiutarvi ma un'indagine della polizia é la vostra unica possibilità se pensate di poter smantellare la sua organizzazione. E per aprire un'indagine, servono prove, testimoni o una confessione scritta o orale: in questo modo possiamo sperare di arrivare ad una perquisizione, un arresto e un processo.
- Nessuno testimonierà contro di lui, hanno tutti troppa paura di finire dentro dei sacchi neri ancor prima di aprire bocca - considerò Caleb.
- Allora ci servono delle prove materiali che verifichino l'esistenza della sua organizzazione: foto, video, resoconti.. - propose Jessie. - Non penso sia troppo sperare che tenga un bilancio o qualcosa di simile di tutti i soldi che entrano nelle sue tasche ogni anno e delle sue attività.
- Posso farlo parlare - disse Christian.
- Beh, ottenere una confessione sarebbe l'ideale ma come pensi di fare?
- Chiederò di poter parlare con lui, le voci girano e prima o poi riuscirò ad incontrarlo. Cercherò di tirargli fuori qualcosa e registrerò ogni parola, basterebbe?
Jessie rifletté qualche secondo prima di continuare: - Immagino di sì, se dovesse dichiarare di voler attentare alla tua vita o a quella di Thia potresti effettuare una denuncia per minacce di morte e querela; con un'indagine approfondita si aggiungerebbero anche reati per riciclaggio, violenza privata, spaccio di sostanze stupefacenti e crimine organizzato che, tradotto, significa un sacco di tempo ad invecchiare dietro le sbarre. Quindi sì, dovrebbe bastare.
- D'accordo, allora. Lo farò.
- Ti rendi conto, amico, che se ti scopre é finita?
Mi si strinse il cuore. Di nuovo quel verbo.
Il piano avrebbe potuto anche funzionare ma era troppo rischioso e Christian avrebbe potuto pagare un prezzo troppo alto. C'era l'enorme possibilità che il Boss capisse che cosa avevamo in mente e gli facesse del male, che lo uccidesse addirittura.
E a quel punto, invece di salvarlo, l'avrei perso.
Christian puntò gli occhi color miele su Tyler, mortalmente serio. - Questa storia é andata avanti fin troppo. Ha osato coinvolgere Thia, l'ha minacciata e l'ha spaventata e con questo ha passato il segno.
Il rosso annuì. - Quindi questo é il nostro piano A?
Tutti annuimmo.
Finalmente avevamo trovato la soluzione per liberare i ragazzi e avrei dovuto essere contenta.
Eppure l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che odiavo il piano A.
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