Capitolo 11
La prima settimana mi ero presentata alla palestra in cui lavorava per incontrarlo, solo perché Camille mi dicesse che Christian si era preso qualche giorno di pausa e sarebbe tornato la settimana successiva.
Così ci avevo riprovato una settimana dopo. Camille mi aveva confessato che Christian non voleva vedermi e le aveva chiesto di inventarsi qualcosa per farmi andare via.
La terza settimana, lo avevo chiamato sul cellulare e gli avevo lasciato diversi messaggi sperando che rispondesse, anche solo per farmi sapere se era vivo e stava bene. Dopo che si era allontanato in quel modo quella sera, avevo paura di quello che aveva potuto fare a se stesso o agli altri nella condizione in cui si trovava.
La quarta settimana mi ero presentata nel ristorante in cui lavorava Tyler. Il rosso non era rimasto per niente sorpreso vedendomi lì e aveva chiesto dieci minuti di pausa per potermi parlare in privato.
- Dimmi solo che sta bene e che non ha fatto niente di stupido.
Tyler mi aveva sorriso rassicurante. - Sta bene - aveva confermato ed io mi ero lasciata sfuggire un grosso respiro di sollievo. - E non ha fatto niente di stupido a parte bere fino a ridursi una merda..scusa.
- Combatte ancora?
- É l'unica cosa che lo tiene abbastanza occupato da non fare altre pazzie.
- Non vuole vedermi - avevo mormorato.
E poi ero scoppiata a piangere. Era la prima volta che piangevo dopo quella sera orrenda, non mi ero lasciata andare nemmeno di fronte a Blair, forse perché fino a quel momento la mia mente aveva cercato di far finta di niente, di credere ancora che Christian sarebbe tornato da me e che tutto si sarebbe sistemato. Ma, ora, dopo quattro settimane, nonostante tutti gli sforzi che avevo compiuto per cercare di contattarlo e dopo l'ennesima volta che venivo ignorata, cominciavo davvero a realizzare che per Christian era davvero finita tra di noi.
Sapevo che lo stava facendo per me, o almeno era di questo che lui si era convinto, e lo capivo. Ciò che non capivo era la sua decisione così drastica. Smettere completamente di vedermi e fare finta che non fossi mai esistita. Non potevo credere che potesse aver voltato pagina così in fretta.
- Che cazzo di idiota - aveva borbottato Tyler un attimo prima di prendermi tra le sue braccia. Mi ero aggrappata lui, grata per il conforto che mi stava dando. Con mia grande sorpresa Tyler non si era semplicemente limitato a stringermi ma mi aveva anche consolata e accarezzato dolcemente la schiena.
Fino alla fine del mio sfogo, quando le lacrime si erano esaurite e aveva sciolto l'abbraccio mettendosi le mani nelle tasche del pantalone nero della divisa.
- Non credevo potessi essere così sensibile - avevo cercato di sdrammatizzare pulendomi le guance.
Tyler aveva emesso una specie di grugnito e le sue guance si erano tinte di rosso. - Si..Non dirlo a nessuno o smetterei di essere credibile. Ho una certa reputazione da mantenere.
Quello era riuscito a farmi ridere. Ecco il Tyler che conoscevo.
- Senti, bellezza - aveva cominciato poi. - Certe volte faccio fatica persino io a capire cosa passi per la testa di quello stupido ma se c'é una cosa che notato é, che da quando ti ha conosciuta, qualcosa é cambiato in lui. Mi ha parlato della promessa che ti aveva fatto a proposito di trovare una via d'uscita da questa situazione di merda e, per la prima volta, l'ho visto e sentito veramente determinato a farlo. Grazie a te e per te - aveva confessato poggiandomi entrambe le mani sulle spalle. - Ti avverto, metterti contro il Boss e addirittura ambire a distruggere la sua organizzazione non sarà una passeggiata ma se davvero volessi provarci puoi contare su di me, okay? Anch'io sono stanco di tutto questo.
- Grazie - e per poco non mi ero rimessa a piangere per la commozione.
- Non ti arrendere con Christian. Ha bisogno di te - aveva aggiunto. - Cercherò di parlare con lui e di far ragionare quella sua cazzo di testa dura.
Ci eravamo abbracciati un'altra volta ed io lo avevo ringraziato di nuovo, contenta che fosse dalla mia parte. Ero tornata a casa e quella notte mi ero addormentata sentendomi stranamente meglio e nuovamente determinata.
Non mi sarei arresa, non ancora.
Perché?
Una carezza delicata attraversò il mio viso posandosi sulle mie labbra. Ne tracciò il contorno, prima quello superiore e poi quello inferiore. La mia bocca si socchiuse e mi sfuggì un leggero sbuffo d'aria per la piacevole sensazione di quel tocco. Nel mio sogno quelle dita appartenevano all'unico uomo che avesse mai conquistato così profondamente nel mio cuore, dell'unico che desideravo e che avrei voluto vicino in ogni momento.
Perché?
Eppure la voce roca che sussurrava mi sembrava così reale, come il suono del respiro che leggero si infrangeva sul mio orecchio. Sbattei le palpebre risvegliandomi dal sonno, non era possibile che..
- Christian - mormorai improvvisamente attenta.
Oh mio Dio. Era lì.
Sdraiato sul fianco, il viso all'altezza del mio. Gli occhi color miele che brillavano tra l'oscurità della notte. Bellissimo.
Sei qui, pensai con il cuore che prese a battermi all'impazzata.
- Perché non ci riesco? - chiese distrattamente continuando ad accarezzarmi il labbro.
- Perché che cosa? - bisbigliai.
- Non riesco a lasciarti andare.
- Perché non devi farlo.
- Finirai per farti del male.
Lasciai sgusciare la mano sopra la coperta fino a toccare il suo viso. La mia mano si posò delicata sul suo zigomo marcato leggermente arrossato. Probabilmente doveva aver avuto un combattimento recente visti i diversi tagli, al labbro e sulla fronte, che all'inizio non avevo notato. Speravo che non gli facessero troppo male e che se ne fosse preso cura. Dio, probabilmente aveva ragione ogni volta che diceva che lo trattavo come un paziente ma visto che lui non lo faceva, qualcuno doveva pur preoccupassi per lui.
Esattamente come lui si preoccupava per me e per questo motivo aveva cercato di allontanarmi ma senza riuscirci, dato che, a distanza di quasi un mese, si trovava nel mio letto e mi aveva appena confessato di essere incapace di lasciarmi andare.
- Invece non succederà. Perché io credo in te, Christian. - Gli accarezzai la guancia. - Sei destinato a molto più di questo.
A quelle parole un'ombra passò sul suo viso, come se si fosse ricordato di qualcosa. - Mia madre diceva sempre la stessa identica cosa - confessò dopo un paio di secondi guardandomi intensamente. - Le saresti piaciuta.
- Davvero?
Christian annuì, sfregando le dita sulle mie labbra ancora una volta. - Me la ricordi molto, sai? Si chiamava Marianne e anche lei era dolce e bellissima, determinata..
- Vuoi..vuoi parlarmi di lei?
Ero così curiosa di scoprire qualcosa in più sulla sua famiglia e su quello che era successo a suoi genitori. Da come Christian parlava, mi era sembrato che avesse sempre vissuto in orfanotrofio, almeno prima di fuggire via con Gwen e Tyler. Mi ero chiesta più volte se avesse mai conosciuto i suoi veri genitori e se avesse qualche ricordo di loro, visto che non avevo trovato foto in casa sua che ne facessero riferimento.
Ed ecco che, finalmente, stavo per avere risposta alle mie domande. Quello era l'ultimo tassello mancante per completare la complicata e difficile storia della vita di questo enigmatico ragazzo. Ciò che lo aveva reso l'uomo che avevo di fronte in quel momento.
- Rimase incinta di me molto giovane, credo avesse diciassette anni. Non ho mai conosciuto mio padre, lei non me ne ha mai parlato ed io non ho mai chiesto. Siamo sempre stati noi due. Solo io e lei.
Abitavamo in un piccolo appartamento di periferia, a qualche passo dal Morin Park. Faceva la cassiera nel mini market lì di fronte. Mi portava sempre con sé quando andava al lavoro.
Un sorriso affiorò sulle sue labbra mentre continuava il racconto. - In realtà, la politica del negozio lo vietava ma i suoi colleghi conoscevano la sua situazione così non dicevano niente e poi non davo fastidio a nessuno: passavo la maggior parte del tempo nell'area dedicata al personale, anche se ogni tanto sgattaiolavo fuori e rubavo qualcosa da mangiare nel reparto dei dolciumi. Sono sempre stato un teppistello - disse con un ghigno da mascalzone.
- Temo proprio di sì - concordai sorridendo a mia volta. Nella mia mente già vedevo un piccolo bambino dagli occhi color miele e lo sguardo furbo mentre cercava di prendere quante più caramelle possibili senza farsi beccare.
- Alla fine di ogni turno, mi veniva a cercare e mi chiedeva se avevo fatto il bravo. Io, ovviamente, le rispondevo di sì ma credo che in realtà sapesse dei miei piccoli furti e risarcisse ogni cosa. Compravamo il gelato e poi ci fermavamo al parco a godercelo. Ci sedevamo sempre sotto lo stesso albero.
Non ci misi molto a collegare che l'albero di cui parlava doveva essere quello su cui aveva segnato le tacche. Ora capivo perché durante il periodo in strada, aveva scelto proprio quel posto. Per lui non si trattava di un semplice albero, c'era molto di più. Era il luogo in cui passava le giornate in compagnia di sua madre. Quel semplice insieme di legno e foglie aveva un valore affettivo importante. Forse lui lo vedeva persino come una casa.
E mentre Christian parlava avvertii il rispetto e soprattutto l'amore nei confronti di quella donna meravigliosa che aveva dato tutto per il figlio. Capivo che a Christian mancasse, proprio come a me mancava ogni giorno mio padre, e questo mi faceva sentire ancora più vicina a lui.
Strusciai sotto le coperte fino a lui, eliminando la brave distanza che ci separava e Christian mi accolse tra le sue braccia senza esitare. Mi era mancata la sua presenza nel mio letto tutte queste notti. Mi era mancato il suo calore, mi era mancato il suo respiro regolare e l'espressione tranquilla e beata mentre dormiva con me, mi era mancato poter affondare la testa nel suo collo e lasciarmi inebriare dal suo profumo, mi erano mancate le nostre chiacchierate notturne e la sua voce roca che mi sussurrava all'orecchio. E più di qualsiasi cosa mi erano mancati i suoi baci, capaci di portarmi ovunque e di farmi sospirare di piacere.
Ma adesso era di nuovo qui e stava condividendo con me un'altra parte della sua vita, forse la più importante. Era strano come ogni volta che finivamo per parlare di lui ed io scoprivo cose nuove ci ritrovavamo a letto. Come se si sentisse a suo agio in questo rettangolo morbido e le parole riuscissero a scorrere più facilmente.
- Poi mi ricordo che tornavamo a casa: era davvero piccola, un buco a malapena grande per una persona figuriamoci per due, ma era tutto ciò che riusciva a permettersi ed era riuscita a renderla abbastanza accogliente. Comunque io non mi sono mai lamentato delle condizioni in cui vivevamo, neppure quando cominciai ad andare a scuola e vedevo tutti gli altri bambini avere i vestiti e lo zaino dei miei cartoni animati preferiti mentre io no. Non mi importava. Sapevo quanti sacrifici mia madre faceva per mantenerci ma non mi hai mai fatto sentire un peso. Si impegnava a fondo perché io potessi avere tutto ciò di cui avevo bisogno. Era una donna forte.
La mamma ha detto che devo fare il bravo e fare i compiti. Io ho fatto di sì con la testa e ho tirato fuori dal mio zaino rosso il quaderno di matematica. Stiamo facendo le sottrazioni. Non mi piacciono le sottrazioni e non mi piace la matematica.
Preferisco le lezioni di ginnastica perché sono il più bravo della mia classe: sono il più alto, il più forte e il più veloce.
Ma la mamma dice che la matematica è importante quindi la faccio, anche se non ne ho voglia.
Prendo una matita rossa dal mio astuccio rosso. Mi piace il rosso. È il mio colore preferito.
Stamattina ho chiesto alla mamma se potevo vestirmi tutto di rosso per andare a scuola. Lei ha riso e ha scosso la testa, ha detto che non potevo. Io le ho chiesto perché e lei ha detto che se mi vestivo tutto di rosso mi avrebbero scambiato per un Power Ranger. Io le ho detto che non mi importava di sembrare un Power Ranger perché i Power Rangers mi piacciono. Sono forti, combattono contro i cattivi e vincono sempre.
Alla fine mi aveva fatto mettere solo la maglietta rossa.
"Logan ha venti mele. Ne dà sette a Carlos e tre a Lucinda. Quante mele rimangono a Logan?"
Abbastanza per non morire di fame.
Se io avessi venti mele non le regalerei in giro. Le darei alla mamma per mangiarle insieme. Anche se non mi piace molto la frutta, e neanche la verdura. Preferisco le caramelle. Ma la mamma dice che non bisogna sprecare il cibo e bisogna essere grati per tutto quello che si ha.
Dice anche che la frutta fa bene alla salute quindi la mangio, anche se non ci credo molto. Mangiare la frutta non fa lo stesso effetto che mangiare le caramelle.
Ora ho voglia di caramelle.
Sono le quattro quindi posso andare a prenderne un po'. Il capo della mamma va in pausa a quest'ora. Non mi piace quell'uomo, puzza di fumo e ha uno sguardo cattivo. Per questo mi devo nascondere da lui, perché altrimenti la mamma andrebbe nei guai se lui scoprisse che sono qui. Potrebbe perdere il lavoro.
Ma io ormai sono diventato bravo a non farmi vedere quindi riesco a prendere le mie caramelle preferite, quelle che ti esplodono in bocca e torno nell'ae..a-re-a del personale senza farmi vedere da nessuno.
Mangio tutte le caramelle. Ho lasciato quelle rosse per ultime perché secondo me sono le più buone.
Adesso che sono sazio posso finire i compiti. Poi devo aspettare che la mamma venga a prendermi. Sono le cinque e lei finisce di lavorare alle sei. Per cui mentre aspetto posso giocare un po' con la mia macchina telecomandata. È rossa, con le ruote enormi.
La mamma dice che è stato Babbo Natale a portarmela e a lasciarla sotto l'albero ma io so che non è stato lui. Ogni volta che arriviamo a dicembre lei lavora di più per potermi prendere un regalo. Io le dico sempre che non mi importa dei regali, che va bene così. Mi basta che stiamo insieme.
Non voglio che lavori troppo e si stanchi.
Allora lei mi dà un bacio sulla guancia, mi dice che sono il suo ometto e poi mi sorride. Mi piace il sorriso della mamma. È molto bello. Una volta gliel'ho anche detto e lei mi ha risposto che da grande diventerò un vero se-dut-to-re. Non so che cosa significhi ma spero sia un bel lavoro altrimenti non voglio farlo.
E, comunque, io so già cosa voglio fare da grande. Il Power Ranger rosso e combattere contro i cattivi. Spero che i Power Rangers guadagnino molti soldi, così potrò prendermi cura della mamma quando sarò grande.
La mamma dice sempre che qualunque cosa deciderò di fare lei crede in me. Dice che sono destinato a molto più di questo, a una vita migliore.
Non ho mai capito molto bene cosa voglia dire. A me piace la mia vita perché c'è lei. Le avevo detto anche questo e lei aveva riso dicendo ancora che sarei diventato un se-dut-to-re.
Io voglio farla contenta quindi forse diventerò un Power Ranger Seduttore. Chissà che poteri ha..
Sono quasi le sei. Ho già sistemato tutte le mie cose nello zaino e buttato le carte delle caramelle nel cestino. Ora devo solo aspettare che la mamma venga e mi dica: - Andiamo a prendere il gelato, campione.
È la nostra tradizione. Io prendo sempre due palline rosse, invece lei cambia sempre gusti poi ci sediamo ai piedi del nostro albero nel parco, fino a quando non fa buio.
Sono già le sei passate e la mamma non è ancora arrivata a prendermi. È strano.
Ora, in negozio ci sono dei rumori. Dei colpi forti. Qualcuno grida. Non riesco a capire cosa succede. Ho un po' di paura.
Vorrei uscire a vedere ma la mamma dice che non devo finché lei non viene a prendermi. Così aspetto.
E aspetto ancora.
E ancora.
Fino a che la porta non si apre ed entra un uomo in divisa. Lo riconosco, è un poliziotto. I poliziotti sono come i Power Rangers ma senza poteri. Da queste parti non se ne vedono molti, però.
Il poliziotto mi guarda e mi dà la mano. Gli chiedo dov'è la mia mamma e perché non è venuta lei a prendermi. Gli chiedo che cosa è successo.
Il poliziotto ha un'espressione che non mi piace. Mi dice di andare con lui, mi dice che gli dispiace.
Capisco che non vedrò mai più la mia mamma.
- Due uomini entrarono nel mini market armati. Cominciarono a prendere tutti gli incassi finché non arrivarono a mia madre. Lei si rifiutò di consegnare i soldi, anche quando le puntarono la pistola alla testa. Da quello che scoprii qualche anno dopo, cercò addirittura di farli ragionare. Alla fine le spararono. Due volte. Morì sul colpo.
Christian si schiarì la gola improvvisamente sopraffatto dall'emozione. - Non trovarono parenti stretti così fui mandato in orfanotrofio ma ero già troppo grande per poter prendere in considerazione l'adozione così sono stato mandato in affido. Sono rimasto con la prima famiglia per meno di due settimane, non credo di ricordare neppure i loro nomi. Non volevo restare con loro e ho fatto di tutto perché mi cacciassero, ho fatto la stessa cosa con tutte le altre famiglie fino a che non hanno capito che volevo essere lasciato in pace.
È stato allora che ho conosciuto prima Tyler e poi Gwen. Cinque anni dopo siamo scappati dall'orfanotrofio. Il resto lo sai.
Oh, il mio Christian.
Capivo esattamente come si sentisse: entrambi avevamo amato e perso un genitore. Solo che lui non aveva avuto nessuno che condividesse quel dolore con lui, nessuno con cui sfogarsi. Ed era stato costretto ad affrontare tutto da solo e crescere troppo in fretta.
- Non sono riuscito a salvare lei. Non sono riuscito a salvare Gwen - disse con tono amaro e i suoi occhi cercarono i miei. Le sue palpebre sbatterono sulle due pozze color miele che tanto adoravo nel tentativo di scacciare le lacrime. - Ho paura di non riuscire a salvare neanche te.
- E se non fossi io quella che ha bisogno di essere salvata?
La sua bocca si incurvò in un sorriso infelice. - Io sono già condannato, Thia.
In quel momento compresi che, nonostante gli avessi parlato facendogli capire che tutto quello che era capitato alle persone a cui teneva non fosse assolutamente causa, lui al contrario non riusciva a smettere di incolparsi. Per la morte di sua madre. Per la dipendenza di Gwen. Questi fatti non avevano solo segnato così profondamente la sua vita, erano diventati il motore di tutte le decisioni che aveva preso in seguito. Era come se la sua condizione di schiavitù (perché solo così mi veniva da chiamare ciò che il Boss faceva con lui e con tutti gli altri suoi pugili) fosse diventata un modo per espiare queste colpe che non aveva. Forse, era per questo che non aveva più riflettuto veramente sulla possibilità di cambiare vita, da due anni a questa parte, perché, dopo aver visto quello che era successo a Gwen, si era convinto che quello fosse il suo destino.
E, poi, ero arrivata io. Ed ero quasi riuscita a farlo cambiare, a spronarlo ad uscire da questo vortice.
Ma ci ero quasi riuscita perché vedere me, Gwen e il Boss contemporaneamente nello stesso posto aveva come risvegliato i suoi demoni. Si era ritrovato faccia a faccia con Il suo passato (Gwen), il suo presente (il Boss) e il suo futuro (che speravo essere io) e questo l'aveva spaventato. L'aveva spaventato l'idea di non farcela ad andare avanti e a lasciarsi alle spalle quella vita, che ciò che era accaduto in passato si sarebbe realizzato una seconda volta, con me come protagonista.
Così aveva preferito gettare spugna ancora prima di provarci, interrompendo la nostra relazione prima che potesse essere troppo tardi. Perché aveva paura di non riuscire a salvarmi.
Ma, la verità era che non ero io quella che aveva bisogno di essere salvata. Era lui. Dovevo salvarlo da se stesso, dai suoi demoni e dal suo passato e mostrargli di essere libero.
- No, questo non é vero - ribattei decisa. - Tu non sei condannato e..mi dispiace molto per quello che é successo a tua madre, so cosa hai provato..ma voglio che la smetti di pensare che sia stato a causa tua. Qual é la tua colpa in tutto questo? Non potevi prevedere quello che sarebbe successo ed eri solo un bambino, non avresti potuto fare niente per fermarli comunque. E, lo dirò all'infinito, se questo servirà a far si che prima o poi tu te ne renda conto.
Tua madre era una donna saggia, e sì mi sarebbe piaciuto conoscerla. E so che aveva ragione: sei destinato a molto più di questo. Lei ci crede, Tyler ci crede. Io ci credo.
Mi avvicinai con il viso al suo, tanto da far toccare le punte dei nostri nasi. - Credici anche tu, Christian. Per favore. Credici.
Le mie labbra toccarono lo sue. Delicate. - Credici - sussurrai nuovamente.
Lo baciai di nuovo. E ancora e ancora, continuando a ripetere quella parola, come un mantra, nella speranza che l'assorbisse, che la facesse diventare finalmente sua.
Il bacio divenne più passionale. La sua bocca prese voluttuosa la mia mentre le sue mani si intrufolavano sotto le coperte, scorrendo sul mio corpo. I suoi palmi ruvidi si posarono sulla mia pelle, scostando il tessuto bianco della sua maglietta (quella con cui dormivo ogni notte, ormai). Avvertii la leggera pressione dei calli mentre premeva le dita sui miei fianchi e mi attirava a sé cambiando la nostra posizione. In un batter di ciglia, mi ritrovai distesa sotto di lui, la maglietta che saliva sul mio corpo snello fino a levarsi del tutto.
Christian interruppe il bacio. Ci guardammo per qualche secondo in silenzio. Non potei fare a meno di ammirare ammaliata il suo viso dai lineamenti, duri e mascolini, perfetti anche con quei piccoli graffi. Gli occhi color miele che ora mi guardavano con un'intensità tale da farmi scalpitare il cuore nel petto.
Non disse niente ma era come se stesse dicendo tutto. Sapevo esattamente cosa stava per succedere. Era arrivato il momento.
Ed io ero pronta.
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