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9

"Era fatto così, lui. Un po' come il vecchio Danny: non aveva il senso della gara, non gli fregava sapere chi vinceva: era il resto che lo stupiva. Tutto il resto."

Buttata qui, che muovo i fianchi ed alzo le mani in alto, lasciandomi portare dalla musica, che stasera voglio dimenticare tutto.

Non c'avevo messo tanto a perdere quel poco di felicità che il parlare con Andrea mi aveva regalato. A casa, come se le paresse d'obbligo, zia mi ha rammentato quanto le è impossibile tenermi a bada.

-Sei scocciante, domani hai scuola.- aveva detto, mentre arrotolava i suoi capelli lisci in quei strani affari per fare i ricci ed indossava solo un accappatoio rosa -Hai studiato per domani?- come se non fosse prevedibile le ho pure risposto di sì, che non esiste che io vada a scuola senza aver studiato. Lei mi ha riso in faccia, dicendo che comunque non sarei uscita.

E quindi, da buona ragazza, per giunta banale, di una certa età in cui si fanno soprattutto azioni indigeste, ho infilato un vestitino corto e c'ho messo poco ad usare le scale antincendio fuori la mia finestra e a correre, scendendo, con delle vans a rompere l'equilibrio intrigante del mio vestito da puttana.

Una chiamata a Claudia, che certamente, ho riflettuto, non era di turno e boom, nella mischia solo per sbattere via da me la razionalità, che la ripesco magari domani mattina, nella pila dei panni sporchi.

Continuo a muovermi, la camicia di jeans mi sta facendo soffocare e sento il bisogno di prendere dell'aria. Non ho ancora toccato alcol, non ne necessito, non per ora.

L'alcol mi rende vulnerabile, spiritata, leggermente e forse fin troppo fottuta. L'ho usato, in passato, che tanto lontano da me non è, solo perché l'alcol mi riempie. Perché per certe persone si aspetta solo di perdersi nel fondo di un bicchiere di whisky. Perché ci si sente il cuore piuttosto e certamente vuoto, che il fumo di una sigaretta te lo alleggerisce e che l'alcol gli fa compagnia. Con una mossa non fedeistica butti via tutta la razionalità e la via della verità, che tanto ti lasci guidare dalle sensazioni.

Le persone si muovono in un balenare confusionario di immagini, un attimo prima distanti, alcuni corpi, quello dopo presi l'uno sull'altro, senza iniziativa di uno o motivazione di un altro. E la musica forte mi infastidisce, sistematica e che spacca le tempie col suo buttarsi addosso ad i problemi; a volte arrivo a pensare che la discoteca sia stata fatta per buttare della sabbia sui fatti stretti.

-La fabbrica del cioccolato!- non della stessa opinione è Claudia, già completamente fatta ed ubriaca, con una gonnellina bianca che è già più alzata rispetto a quando siamo arrivate.

I suoi capelli biondi luccicano leggermente sotto l'alternarsi dei colori dei faretti all'interno della sala impregnata di odore di fumo e sudore assieme. Mi si scaraventa addosso, dicendomi che le piace il mio vestitino nero.

La ragazza che per norma di ragione dovrebbe ripetermi come la mia generazione fa schifo, si sta fottendo la propria vita come se non le appartenesse. Si taglia le ali da sola, senza che sia l'esistenza stessa a massacrarla.

Mi sembra così vulnerabile, Claudia, mentre mi abbraccia e mi dice che ha bisogno di usare il bagno, anche se sono solo le undici, lei ha bisogno del bagno. 

Troppe ne dicono, altre ne fanno e l'accompagno al lato sinistro in fondo della sala, cercando di superare la folla di persone ubriache della domenica. C'è chi indossa abiti comprati in qualche mercato di seconda mano, altri nei migliori negozi della provincia, la differenza mi sembra nulla; la merda che si buttano addosso è la stessa, anche se la servono su un piatto d'argento.

-Tu sai che posso cambiare. . - lo dice con un tale disinteresse verso il farlo davvero che è a stento credibile. Si aggrappa a me e mi tiene per il bacino, ritrovandosi a sperare che non cada.

L'intorno non cessa di far casino, il rumore è sempre quello: la voglia di non farsi trovare sobri al mattino. Che mi viene da pensare che sia solo quello il motivo per cui sono qui tutti.

La trascino fino al bagno, cercando di farla entrare e sedere per terra, nonostante le piastrelle verdi siano quasi sudice. Claudia rotola, ridendo stramba ed allunga le mani come se mi chiedesse di farla stare in piedi.

-Sta' ferma lì, ne hai fatte abbastanza per stasera.- 

-No, è appena mezzanotte. Anzi, un po' di meno.- guarda l'orologio che ha al polso e mi sento di sospirare quando mi avvicino al lavabo e -Tu, quell'orologio, lo porti senza batterie.-

-E perché?- ride ancora e mi porto una mano alla fronte, guardandola starsene barcollante su un pavimento freddo mentre fuori, stranamente, suonano i Coldplay.

-Io lo amavo.-

-Lo so, Claudia.- mi bagno le mani con l'acqua che sa di cloro del rubinetto e mi avvicino a lei, cercando di attutirle la sbronza, bagnandole appena la faccia; inutile, me ne rendo conto, ma fra poco, se la tengo così, vomiterà tutto.

-Lui non tanto.- lo sputa, come se se ne volesse liberare da un po'. Non me l'aveva mai ammesso che lui non l'amasse, solo che la voleva in modo diverso. Dischiudo le labbra e l'aiuto a sistemarsi non sconcia, mentre appoggia la testa alla parete. L'acqua del rubinetto scorre e non mi disturbo di girare la manopola; la guardo mangiarsi la ricostruzione che ha alle unghie.

Claudia prima riprende a ridere e poi le si affievolisce la risata, singhiozzando.

-Perciò forse ora tornerò lì.- poggia i palmi a terra e tenta di alzarsi, ricadendo sulle stesse ginocchia e ridendo -- ridendo come se ne avesse bisogno, perché la risata le parte dalla pancia, non dalla gola. É una risata spiritata, una risata che sembra dinamite sotto al culo.

Una ragazza alta e castana entra nel piccolo bagno e si osserva attorno. Ci nota e sorride, un po' brilla e sgambetta al lavandino, scrollando le spalle e girando la manopola, per poi chiudersi in uno dei cessi e starci per del tempo interminabile.

-A me piaceva il suono dell'acqua.-

-Sei fatta, Cla'. Andiamo a casa.-

-No, io tornerò lì.-

-Non c'è niente .-

-Sì, c'è la sua foto, lì.-

-Claudia. . .-

-Lui ci è morto lì, due anni fa.- me ne resto così, in silenzio, mentre si alza e si tiene al muro, coi capelli biondi che le vanno davanti agli occhi e l'angoscia nei gesti.

Lui faceva il pianista, mi diceva, una volta. Ed era davvero bravo. Faceva il pianista e faceva l'amore coi suoi tasti, Claudia lo aveva immaginato dal primo momento in cui lui le sorrise.

Poteva saper fare solo l'amore coi tasti che non gli bastava da vivere. Più volte gli avevano detto di cercarsi un lavoro, mi aveva raccontato Claudia, ma lui aveva risposto che non gli interessava, lui voleva suonare e copiare melodie; c'è un perché a tutto, io voglio suonare il mio e Claudia commise l'errore triste di caderci nella ragnatela e passare ogni notte, che aveva diciotto anni, nel bar jazz nel quale si esibiva. C'erano due o tre persone ogni sera, mi disse, ma a lui stava bene.

Più volte si stupiva delle cose che per altri erano tra le più ovvie. Come il liquore cadeva nel bicchiere o come il silenzio si mischiava alla musica o, e soprattutto, a come la gente guardasse e commentasse.

Mi venne da pensare, che avevo sedici anni, che Jane -- portava un nome da donna, riteneva che la sessualità fosse per i bigotti -- fosse stato come me. Usciva in ciabatte per ridere su quante persone lo osservassero e commentassero e indicassero e giudicassero. Saremmo andati d'accordo io e Jane, sorrise Claudia, al locale, quel giorno di pioggia in cui mi raccontava tutto, perché era o è il restante a stupirci. Era o è l'improbabile a viverci.

-Voglio del vino.-

-Qui non vendono vino, è una discoteca.- ho la gola secca.

-Beh, vorrà dire che andrò a prendermelo da qualche altra parte.- non fa neppure in tempo a dirlo che inciampa, ancora, ed io la prendo, cercando di non perdere l'equilibrio.

Jane è morto esattamente due anni fa di infarto, a soli ventisei anni, che ci rimasi di merda quando lo seppi. Stava suonando e il cuore decise che aveva fatto già abbastanza. Claudia arrivò in ritardo quella sera, con le sue gonnelline da studentessa, e non trovò nessuno. Pensava avessero annullato e chiamò al cellulare di Jane. Una volta, due, otto. Ed era segreteria. Sono il pianista Jane, lasciate un messaggio che starò suonando. Se potete, fatelo cantando. E chiamava di proposito perché quella voce le faceva del bene, neppure fosse tachipirina quando si ha la febbre a quaranta.

Poi il vecchio Giorgio le disse che Jane se n'era andato e che poteva, comunque, raccontarla in giro la storia della sua musica che lui l'avrebbe amata. Giorgio è un buon vecchio, rammentava la bionda, ma di certo non sa quando ficcarsi un tappo in bocca.

Claudia se ne stette sola ed in silenzio per un po', qualche giorno, poi decise che i diciotto anni non le stessero tanto più bene addosso e da allora, seppure mancassero dei mesi, diceva di averne diciannove.

-Mi accompagni?- le si arrossano le guance quando ha voglia di starsene da sola o quando ha bevuto così tanto che il suo organismo le butta addosso della sana vendetta.

Annuisco, prendendola per sotto il braccio e iniziando a pensare come posso portarla fuori dai guai se l'unica a guidare é lei.

I genitori di Claudia, ad un bel punto, le hanno detto che se la sarebbe dovuta vedere da sola, che erano stanchi che ogni sabato tornasse a casa fradicia ed ubriaca e che l'aria della sua camera fosse tanto pesante da procurare il voltastomaco. I genitori di Claudia sono due professionisti legati all'apparenza delle cose e ai buoni voti a scuola. Scandivano i ruoli, i genitori, ma poco importava che Claudia si sentisse un po' disorientata nei suoi jeans costosi e senza strappi.

-Come faccio a portarci a casa?- sbuffo, mentre si appende a me, camminando nel viale davanti alla discoteca nera di mura. Un bel cartellone lascia che lo guardino e poche luci all'esterno, non vogliono mica dare una pessima presenza.

Mi fermo e lei con me sul ciglio della strada per nulla illuminata, i lampioni sono stati rotti qualche anno fa. Si aggrappa nuovamente e mugola di dover vomitare. E lo fa, neppure si disturba a cercare un posto appartato, vomita tutto su un marciapiede pieno di gomme da masticare. Si piega in due e le afferro la borsa, tirandole su i capelli, mentre rigetta tutto l'alcol nell'erba con un accenno di sconforto nei gesti.

É tanto una brava ragazza Claudia, Renato. Gli aveva detto Andrea per convincerlo a tenersela con sé, Andrea che è troppo buono con troppi. Era un po' strana la bionda dietro al bancone quando la conobbi, ma ci misi poco a farmela piacere, c'aveva un sorriso disarmante.

-L'amore può far male, a volte.- mi aveva detto, toccandomi la spalla con le mani tutte curate, e mi aveva sorriso. Lei sorrideva sempre, lei sorride spesso e ci si maschera dietro quel sorriso -Però quello che non ti ammazza non ti rende più forte.- ammise anche. 

Claudia sorride sempre e mi mischia tanta allegria pellegrina, una di quelle allegrie che passa di volto in volto con facilità. Sparisce subito, per carità, ma sono dei secondi pieni di entusiasmo quelli che ti travolgono. Una di quelle che valgono quanto una cicca gettata in strada e mi si riaccende la voglia di fumare, così mi poso una sigaretta in bocca e cerco l'accendino nelle tasche con la sinistra, che con l'altra sto reggendo i capelli biondi della ragazza che dice di averne ancora per molto.

Passa qualche minuto e -Hai rimesso tutto.-

-No, c'è ancora qualcosa qui.-

-Quello è il petto, Claudia. Alzati e andiamo a casa.- l'aiuto che barcolla sui suoi tacchi vertiginosi e con lei sotto braccio cammino per le strade buie della mia cittadina del cazzo.

La mancanza fa male, la mancanza la si sente per un bel po' per le persone che se ne vanno. Alcune perché lo scelgono, altre perché non ce l'hanno scelta --come Jane che si perse nel fondo di un pianoforte che ha 88 tasti e tu lo sai, quanti ne ha. Sono sempre gli stessi. L'infinito era lui, mischiato con la vita o con la morte -- ma, diceva nonna, ad un certo punto la mancanza nemmeno la senti più, poiché arriva l'età che hai perso tanto che penseresti solo a quello.

-É vero eh, che l'amore ci frigge.-

-Siamo già fritti.- rido, lei con me, prima che cominciamo seriamente a pensare al fatto che la vita buttata così fa proprio schifo.

N/A: sono in  ritardo scusate, non avevo ispirazione per Cele. Comunque, so che vi starete chiedendo cosa cazzo ve ne dovrebbe fregare di Claudia e Jane, ma sono, magari non in apparenza, fatti fondamentali che Celeste ha assorbito come una spugna. Celeste è intristita, penso che lo sappiano anche i gatti di mia nonna, ma ci sono dei motivi oltre quello che lei stessa ha passato e ve li sto spiegando, quindi niente. Se mi va, stasera aggiorno di nuovo, xoxo.

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