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39

"E, con cura, fermò il Tempo, per tutto il tempo che desiderò."



Tre mesi o poco più dopo.

Il Tempo scorre con leggerezza, talvolta senza curarsi del correre di coloro che tentano, in vano, di inseguirlo, sconvolti, penetrati dalla curiosità di conoscerne i responsi e inviperiti quando si rendono conto (piuttosto, fanno il conto con esso) che non possono davvero raggiungerlo o aggrapparsi al suo tormentato galleggiare fra i corpi.

Il Tempo, penso, funzioni così: aleggia, cosparge di sé intere esistenze e poi fugge, con una rapidità tale che l'uomo si interpreta realmente. Il Tempo non ha limiti, il Tempo ha visto se stesso nascere e, appare assurdo, ma deve, ad un certo punto, rapportarsi con l'imposizione di un uomo limitato, imperfetto, di assidua indifferenza, apatia e che, d'un tratto, conviene con il proprio cervello di poter sfidare una simile presenza.

Ma il Tempo vola, scorre, ruggisce fra i sogni e brilla assieme alla luna; il tempo ha notato quanto fosse bella la luna dall'altra faccia. Il Tempo determina la dimenticanza dei momenti notturni. Il Tempo strilla quando percepisce che tu lo stia sprecando e passa con lentezza se è per attanagliarti maggiormente.

Il Tempo non è cattivo, è come il narratore di una storia: onnisciente, onnipresente e consapevole di essere in grado di cambiare le carte in tavola.

È un narratore che gioca coi versi, il Tempo; i versi sono le nostre vite, le parole sono i miliardi di essere umani con cui ha a che fare. È un poeta maledetto, triste, satirico e cinico. Un mediante fra un sofista ed un neoplatonico, patteggiante per la maieutica e detestante la retorica, i giri di parole, i perditempo che la mente non perfetta elabora una volta ogni tanto.

Me lo immagino spesso somigliante ad un uomo con la gobba, scrivente, che dalla sua finestra spia il mondo in punta di piedi. Dalla serratura vive le emozioni. Dai libri esiste. Giovane e bello, il Tempo, ti renderai spesso conto che ti amerà eternamente e, allo stesso attimo, ti invidierà per la brevità delle tue sensazioni. Si dirà, rannicchiato nel letto di piume che lo ospita, che un tuo eventuale momento è unico, indimenticabile, irripetibile. Lui avrà tempo per entrare in contatto con migliaia di attimi dello stesso tipo.

Me lo rivedo, curioso e sciancato, un po' frivolo, a leggere le righe delle vite passate con un pizzico di nostalgia impudica. Salterà in piedi su una sedia, nel bel mezzo della lettura, ed interpreterà una delle infinite parti che avrà già ripetuta, già guardata, già sognata. Si passerà le mani fra i capelli disordinati ed increspati, per alcuni punti di vista ricci, (perché il tempo non può per niente possedere un'aria curata, dopo tutte le volte che l'uomo ha ferito la sua fragilità). Si chiederà come sia possibile, quanto ancora leggerà e proverà nostalgia. Allora, stancatosi, si metterà in piedi e camminerà frastornato, cominciando a tagliare i fili vulnerabili dei miliardi di burattini del suo teatro per noia e, dopo, si guarderà riflesso nella finestra da cui, spesso, osserva il mondo che coglie l'attimo. Individuerà, poco dopo, le centinaia di persone devastate dalla sua noia e comincerà a leggere di quelli che oramai non ci sono più.

Funziona come un vecchio pazzo, vagabondo della notte e sognatore della realtà perduta a causa dell'indifferenza dei suoi burattini. È innervosito, attraversato dalla fervida volontà di rendere spigliati (ma non può) coloro che sono distinti dalle bestie per l'arte di emulare.

In questo modo, niente di più, poco di meno, ha presieduto il trono all'interno dello scorrere che mi riguarda. Deve essere stato piuttosto felice perché mi ha donata tanta allegria, superficiale spensieratezza ed il compagno di sbagli migliore per la mia anima alcolizzata di sentimenti.

Ho bevuto maggiormente, mi sono ubriacata di quello che Jacopo poteva offrirmi, ogni lembo che mi poneva tra le mani, lo assorbivo e necessitavo sempre di più. Ho bevuto tutte le nostre risate, i nostri momenti intimi, lo studiare insieme, le passeggiate in bici, lui che mi viene a prendere a lavoro, lui che mi canta per farmi addormentare. Lui che mi dice spesso che sono la sua persona, o qualunque cosa intendesse.

Ed il Tempo è corso via, invidioso della mia felicità temporanea, una polaroid che scatta ed imprime un singolo avvenimento, un fattore di crescita, la mancanza della fine del mondo e un guardarsi allo specchio e finalmente piacersi perché riempita, aggraziata, migliorata dalla cura che riserva nei miei riguardi.

Come a Capodanno, che siamo rimasti a casa, comprando qualcuno di quei strani bastoncini che s'accendono (ero troppo vissuta, per ricordarmene il nome), ed aspettando la mezzanotte con i cartoni della disney e della coca cola. Siamo finiti a ballare sulle note di Mulan, o forse Rapunzel. A mezzanotte Aladin e Jasmine cantavano e lui mi teneva fra le sue braccia che mi cingevano simili al miglior rifugio.

Ci siamo catapultati (sempre perché di perder tempo non ci andava) sul soffitto ed abbiamo riso con le nostri luci, mentre intorno a noi si ergevano fuochi d'artificio per celebrare il nuovo anno. Riflettevamo sul fatto che non fosse davvero l'anno nuovo, poiché esso non accadeva al medesimo tempo ovunque. Abbiamo riso, alla fine, gettandoci a capofitto in una danza divertita, euforica, spasmodica, con il fuoco fra le nostre mani e l'incendio fra i nostri cuori. Bruciavo, trasudavo sentimenti per quel ragazzo dagli occhi color cacca di cane e mi sentivo a casa.

-Stefano!, Celeste e Jacopo sono lassù!- Lello ci aveva visti, i bambini cominciavano a salutarci e noi stavamo beatamente ad accoccolarci l'uno all'altra, celebrando il nostro nuovo anno. A modo mio e suo; nostro, ché suona meglio.

-Ora penseranno che stiamo davvero insieme.- gli ho sussurrato, ad un certo punto, quando il silenzio era calato con dolcezza. Era pur sempre chiasso ipocrita, un silenziato chiasso rumoroso, tipico della città, stereotipato per essa. Lui si è voltato, le sue mani nude hanno stretto le mie, e si è inchinato, affermando di coronare il sogno davanti a quei bambini.

-Cele,- rideva, io con lui. Si era inginocchiato, mi stringeva le mani, portava in dietro la testa e la sua figura vibrava di divertimento. Stava arrossendo, privo di controllo delle sue incredibili emozioni, lasciava trapelare i suoi buffi modi.

-Se ridi, dico di no.- avevo borbottato, tra una risata ed un'altra, aggiustandomi le calze ed aspettando nel mio vestitino nero (avevo piuttosto freddo, ma non vi badai fino a che, il giorno seguente, beccai l'influenza) che proponesse qualche assurdità.

-Vuoi coronare la nostra favola d'amore? Ti porto su un tappeto volante.-

-Deve essere come quello degli Aristogatti.- avevo portato una mano al petto, per fingere una pretesa eccessivamente equivoca.

-Tutti i camion guidati da depravati che vuoi.- mi aveva promesso, ponendo una mano sul petto e facendo una croce sul cuore, sorridendo falsamente serio, e mi ero gettata a capofitto fra le sue braccia, provocando una sua perdita di equilibrio.

-Voglio andare in Montenegro per le nozze.- gli ho, infine, detto ancora stesa su di lui che disegnava cerchi immaginari con le sue mani callose sulla mia schiena infreddolita.

-Perché il Montenegro?- sapeva perfettamente a cosa mi riferivo, quando i nostri volti furono a pochi centimetri di distanza e -Costo di vita basso, baby.- scoppiammo a ridere, liberando tutta l'allegria ed accantonando la minimale stanchezza, troppo superflua per i nostri gusti.

Ma il Tempo ci nuoce e si libera di ciò che preferiremmo fosse infinito, indeterminato, di cui non fosse da considerare la fine se non come una povera utopia relativamente teorica.

Le settimane sono trascorse con l'inquietudine di un rapportarsi con un nemico che si presenta da tale: un muoversi frenetico e non disposto a compromessi.

Abbiamo collezionato ricordi, frammenti istantanei, foto e tanto di cui raccontare, parlare. Molto condiviso, ancora il mondo da agguantare assieme.

In tal modo, il Tempo, giovane gobbo dal viso assonnato, si è affacciato una mattina dalla finestra e ci ha guardati ridere seduti su delle panchine, intenti nel mangiare delle crepes venute male.

Prese in giro, schiamazzi, abbracci scherzosi o mossi dall'affetto, dalla voglia di contatto.

-Non sei neppure arrivata alla nutella, Cele.- affermava, arrossendo alle gote scavate. Le sue lentiggini venivano accentuate ed io provavo incommensurabile bellezza nel perdermi in un incantamento che possedevo verso quel ragazzo.

Cacciavo la lingua e mi diceva di non farlo, continuavamo a ridere e mi raccontava delle novità di scuola, in casa. Di Lello che non cercava più con la stressante frequenza precedente di avere un riscontro col padre, di Ginnie sempre assorta e sognante, di ogni sottigliezza che brillava pari a diamanti nelle sue iridi scure. Mi raccontava che Tiziana l'avesse contatto e che avevano deciso di non provare più nulla.

-Come si può scegliere una cosa del genere a tavolino?- avevo domandato, la mia voce era nervosa, intimidita dalla risposta.

-È semplice, Cele, se quello che c'era veniva semplicemente fomentato affinché ci fosse.- e tornava a mangiare, prestando attenzione a non sporcare i suoi abiti neri.

E, il Tempo, poco dopo, una sera, ha cambiato finestra e, nei suoi abiti ottocenteschi (ho l'impressione, infatti, che il tempo abbia preferito bloccarsi a quando l'uomo prediligeva la riflessione che possedeva) aveva scrutato un vecchio bar gremito di vecchietti entusiasti di giocare a carte, urtando la tranquillità, a spalle ricurve, un sigaro fra le labbra, dita spigolose dedite alla partita ed occhi attenti, mente non proprio accelerata. I loro movimenti erano deliziosi, di infima innocenza, seppure l'esperienza elargisse la loro trascurata saggezza. Giggino, che era diventato segretamente il mio favorito, una sera decise -- da buon vedovo -- di inventare la bella donna presa dallo scrivere e pervasa solamente dall'acqua, a fare con loro una risata.

La giovane e bella Matilde se l'era risa, alzandosi e stracciando ognuno di quegli anziani poco scrupolosi e pieni di sé. Avevano riso, domandandole cosa facesse di mestiere.

Me ne stavo dietro al bancone io, con le mani da appoggio al mento ed il corpo ripiegato sul ripiano, con tutto il lavoro da farsi ed Ursula a chiedermi quale culla fosse migliore per la bambina in attesa.

-Cosa posso saperne io? Non ho nemmeno diciotto anni.- le avevo risposto, scoppiando in una risata quando storse il naso e si domandava in silenzio perché Renato assumesse ragazze di questo tipo.

-Ad ogni modo, quella gialla è accattivante.-

-Lo pensavo anche io.- mi rispose, raccogliendo i capelli biondi e sottili in una crocca ordinatissima. Il suo mollettone era di un grigio abbinato al vestito largo che indossava per non mostrare la crescente pancia. I suoi lineamenti miravano alla felicità, toccava di rado la sua pancia, quasi fosse del tutto consapevole che non mancasse tantissimo alla realizzazione del suo amore.

-Non suggerirle quelle che costano di più e torna a lavoro,- mi aveva ripresa avvilito Renato, tornandosene a leggere il suo giornale ed alzando gli occhi al cielo, mentre me ne andavo camminando e canticchiando nello stranamente silenzioso bar, con persone disattente, molte altre pensierose.

-Scrivo ritratti.-

-Che roba è,- il vecchio Franco non smentiva la sua arroganza, portando alle vispe labbra un bicchiere di birra zuccherina, attendendo incuriosito e pertanto convinto di saperne di più della donna.

-Sono come una pittrice. Solo che scrivo.-

-E si può fare?- Antonio si passò una mano nei capelli brizzolati, alzando le maniche della camicia a quadri, mostrando l'abbronzatura dovuta dalla sua passione per la pesca.

Scossi la testa, stando nei dintorni, e risi per le espressioni incredule dei tre uomini.

-Certo, io lo faccio.- poi si aggiustò una ciocca dei suoi capelli a caschetto, siatemando con neutralità il berretto basco che indossava, e tirò i bordi dell'acceso vestito rosso. Mi guardò appena, abbassando il volume, -Un giorno scriverò il ritratto di quella ragazza lì.- mi bloccai, di spalle, fingendo di non averla ascoltata.

-Quella ragazza è strana.- si ripropose Franco.

-Risponde sempre male.- soggiunse Antonio.

-È divertente, mi fa morire quando se la ride con quel ragazzo dal grembiulino rosa.- mi difese Giggino, convinto della sua bislacca apologia.

E, andandosene a dormire, il Tempo spia dalla sua lampada miracolosa, illuminante la sua stanza fornita di libri su storie e storie ed ancora storie. Si accieca leggermente, il bel gobbo, e con le dita soffici (non rovinate da sé, sarebbe eccessivamente bizzarro) cercherebbe di afferrare la luce, raccosciandomi nei minuti di massima felicità.

A letto, stesa, in pigiama, compiti finiti, e stretta a Jacopo con Netflix non pagato a trasmettere Il grande Gatsby, riproducendo e perpetuando i nostri scontri, i disaccordi ricercati dalla complessità del personaggio di Daisy.

-Non è cattiva. Ama Gatsby, te lo dico io, Jacopo. È egoista, però.- lo invito a guardarmi, concentrato sui bordi della sua maglietta a mezze maniche. Mi osserva, tracciando i contorni del mio volto, giocando con i miei capelli, perduto fra le note di Lana Del Ray.

-È la peggior forma di amore, quella condotta dall'egoismo. Preferirei cadere nel dolore, piuttosto che illudermi per un amore egoista.-

-Sono parole forti, Jacopo.-

Continuava a tracciarmi, persisteva nel guardarmi, il petto mi pulsava, i miei occhi venivano trasportati nell'ammirabile incantamento costituito dal nostro modo di fare le sensazioni. Il Tempo doveva starsi divertendo ad ammirarci, gli apparivamo come un film in bianco e nero, e rallentò, riportandoci nel sentimento corruttore, colui che corrode e si schianta sullo spirito.

Le labbra si incontrarono e non ci fu passione o desiderio, qualsiasi bramosia proponibile. Fu delineato dalla malinconia, dal benessere portato dal contatto che accendeva di amore i nostri corpi. Mi stesi sopra di lui, le gambe al bacino e non persi un attimo per assaporare nuovamente il suo affetto, la pace che sapeva offrirmi.

Non ci fu altro, ci baciammo delicatamente, innamorati, per l'intero film, ascoltando i dialoghi che entrambi avevamo letto e ridendo per il mio pigiama di pile.

-Sei l'antisesso, Cele.- mi aveva sussurrato, sperando mi avvicinassi maggiormente. Lo ottenne, i petti si misurarono, i cuori battevano, sfacchinavano l'organismo, allo stesso tempo.

Poi, di mattina, il Tempo s'era alzato e ci aveva trovati nei ricami del suo tappeto persiano profumato. Giocavamo a rincorrerci per le strade, rischiando riscontri con autisti giustamente arrabbiati per due ragazzini irresponsabili presi dal tempo che avevano davanti a loro.

Mi rincorreva senza pudore, senza mascolinità, senza inibizioni, senza paura di quello che le persone, vedendoci, avrebbero pensato.

-Che le hai a fare, le gambe lunghe?- gli avevo strillato, quasi arrivata al cortile della scuola grigia e devota alla solitudine. Aveva tirato indietro la testa, sopraffatto dal divertimento, stringendomi di spalle non appena, con uno scatto rapido, ebbe l'occasione di raggiungermi.

Urlai, calciando e ridendo, pregandolo di smetterla di farmi il solletico, e mi accasciavo ai suoi piedi che mi tenevano ben salda. -Okay --- hai vinto.- borbottavo, insolente, non preoccupandomi minimamente di come apparissi: una ragazza con una camicia a quadri lunga, dei jeans aderenti e delle vans, stesa a terra. Nell'intanto, un ragazzo dagli occhi color cacca di cane ed uno strano berretto con degli orsi polari (o quel che fossero) le faceva il solletico.

Detestabile per questo movente, il Tempo, accattivato dalla noia, si condusse ai piedi della sua immensa libreria, pregando la serva che tagliasse per lui i fili che, da prassi, dovevano essere spezzati. Trascinava le dita soffici lungo gli impolverati e non policromi scaffali, rivenendo due ragazze nella misera biblioteca della città.

Una sorretta da tacchi a spillo, portava i capelli biondi in una treccia e raccontava all'altra, eccessivamente bassa rispetto alla prima, della storia da amore qualche settimana prima intrapresa. Le narrava come lui la facesse sentire, dove l'avesse portata a mangiare, come avesse digerito il suo mangiare la pizza con la forchetta e come la guardasse. -Mi sento amata se sono con lui, Celeste.-

-È meraviglioso.-

-Non è meraviglioso, è esatto. Non funziona come nei libri, il rispetto è quello che funziona nel nostro rapporto, la fiducia. Posso dirmi innamorata di un uomo che è rispettabile e che rispetta, meritevole di fiducia e ---

-Claudia, non c'è amore senza rispetto. Quello lì,- e la ragazza mora che il Tempo guardava storcendo il naso anch'esso con la gobba, afferrava un volume di Tolstoj che bramava di leggere, -non è amore. È ossessione, bisogno di essere amati o dare amore. Chiamalo amore, poi!, come ci si può fomentare per un simile sentimento? L'uomo è rinchiuso in una bolla e non reagisce: uno scalino, due scalini fuori dalla bolla, e tre, quattro, sette!, si ferma.- si muoveva isterica, mostrando la sua visione, la sua opinione, esattamente pari ad una donna. -Si blocca e ritorna nella sua stramaledettissima bolla, non consapevole che il mondo visto da fuori fa tutto un altro effetto! È così,- gesticolava amabilmente, eretta, -che funzionano quelle dannate sensazioni. Ma non è amore, non può considerarsi amore, Perdio!-

-Funziona bene, la tua testa, ché hai soltanto diciassette anni.- mi aveva schernita, attirandomi in un abbraccio gentile, non asfissiante, consistente in una presa per le spalle.

Confuso, il Tempo, ha scelto di cambiare scaffale ed ha afferrato uno dei suoi libri bigotti. Quelli dalla copertina rilegata, quelli che (impressione o meno) sembrano profumare di incenso e al tatto risultano ben levigati: pelle fatta bene. Aprendolo, il Tempo, il suo libro riguardo i vangeli, ha sbuffato, oramai stancatosi delle tante teorie sugli dei. È questo il punto: ad una certa, si muore, e di cosa vi preoccupate? Ade, paradiso, reincarnazione, quel che vi pare!, godetevi il tempo, invece di spenderlo nel farvi la guerra nonostante crediate tutti a me, in un modo o nell'altro.

Una guerra per le opinioni!, sciocchi, gli uomini. Serva, taglia qualche altro filo, mi innervosiscono.

Mi aveva vista in una vignetta di questo libraccio, seduta accanto a don Mitchell, presa dal mio discorso. Lui annuiva, giocava con le sue vesti e mi interrompeva chiedendomi se mi piacesse Michael Jackson.

-Sì, mi piace.- ho risposto, alla fine, ammattendomi per i suoi quesiti ambigui e, d'apparenza, inopportuni.

-Allora, sei salva.-

-Cos'è?, la vendita di indulgenze con i dischi di Michael Jackson?- avevo riso, al suo viso pensieroso ed ero scoppiata al suo acconsentire.

-Potremmo tutti beneficiarne.-

Il Tempo aveva provato divertimento lieve, perciò si era concesso di starsene inerme a guardare ancora per un po'. Io, seduta, le mani fra le gambe coperte dalle calze nere e la gonnellina scura perché poco dopo c'era il compleanno di Andrea.

-Come si fa a combattere l'egoismo?-

-Amando. E mi dirai!- gesticolava, saltando ed alzando il tono quando gli occorreva, -Come, don Mitchell, ma è amando che si sviluppa egoismo. Quello, mia cara, è tutt'altro che amore. Quello è beneficiare in maniera sbagliata di un amore. Lascia che Dio ti guidi, Celeste, e senti per davvero l'amore per coloro che ti circondano.-

-E se dovesse vincere l'egoismo?- gli avevo domandato, intimidita, piena di paure, inclinando il mento per la nostalgia delle emozioni di una bambina. L'altalena pareva tanto rassicurante.

-Non ci sono se, mia cara ragazza!, c'è volonta, spirito, fede e amore. La strada per la vita eterna non è semplice e nemmeno ti posso assicurare che esista, ma se tu vuoi crederci, sii disposta a dei sacrifici. Rinuncia, ma ama. Ama rinunciando.-

-Io, --

-Vedi, c'è qualcosa che ci conduce ed è meraviglioso essere presi per mano. La felicità qui ha un termine. Sii meravigliosamente non egoista e sorridi allo stesso tempo alla felicità temporanea, vivi da donna, non emularla.-

Impietrito e leggermente stufo delle parabole di un uomo di colore costituito dalla fede, aveva chiuso il libro e, il Tempo, chiamando la sua serva, aveva intercettato altre chiamate. Mi aveva sentita telefonare alla mia mamma e, al col tempo, concepita donare il mio immenso affetto alla donna che mi stava crescendo pari ad una madre. Mi aveva notata crescere, senza un motivo, senza consapevolezza, senza che mi guardassi realmente allo specchio, solamente agendo stanca della recitazione, curiosa della vita.

Mi aveva ben studiata, il tempo, frettoloso di inghiottire nozioni, o più lento perché amante di certi attimi, e sapeva che la donna che stava venendo su (una delle tantissime a cui aveva badato) aveva bisogno della prova.

Così, un pomeriggio, il Tempo, questo pomeriggio, si è affacciato dallo stipite, aprendo con naturalezza la porta e mi ha guardata dondolarmi spensierata sull'altalena.

Si è avvicinato al suo teatro, a scorto fra i burattini colui che gli occorreva, il giovane riccioluto gobbo, e l'ha spostato in un parco. Ha sorriso e mi ha osservata alzare la testa ed incontrare i miei adorati occhi color cacca di cane lucidi e, bocca socchiusa, cuore sconcertato, -Ho bisogno di parlarti, Ce'.-

Il Tempo mi nuoce sorridente ed io crollo a pezzi sotto i piedi di un mondo che non funziona a mio piacimento.

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