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"Eppure non ero fisicamente gelosa di te. Non lo ero mai stata, nemmeno all'inizio. Parlo della gelosia che svuota le vene all'idea che l'essere amato penetri un corpo altrui, la gelosia che piega le gambe, toglie il sonno, distrugge il fegato, arrovella i pensieri, la gelosia che avvelena l'intelligenza con interrogativi, sospetti, paure, e mortifica la dignità con indagini, lamenti, tranelli facendoti sentire derubato, ridicolo, trasformandoti in poliziotto inquisitore carceriere dell'essere amato."
Il mercoledì dell'Immacolata, la solita festività per i credenti a cui va di incamminarsi in assidue processioni alle quattro del mattino, è volata via, tra risate e lo stare seduti a guardare i film più banali stesi sul divano.
Zia è uscita, ieri, dicendo che aveva voglia di starsene sulle sue, camminando, magari, fra le strade con fosse della nostra cittadina. Pensa che io non l'abbia vista salutare con un familiare bacio sulla guancia il suo collega. È un genio della contabilità!, mi disse non appena lo conobbe. Dovresti sentirlo, fa certe battute!, È incantevole, Celeste!, Penso sia un po' più piccolo. È proprio affascinante.
Se fossi stata egoista, l'avrei chiamata ogni dieci minuti per simulare qualche problema momentaneo ed assolutamente irreparabile. Se fossi stata egoista, io, non le avrei pulita la cucina e neppure spazzato per terra. Se fossi stata egoista, le avrei fatto trovare la camera a soqquadro con la scusa del non trovare qualche cosa.
Il problema è che sono egoista ed ora so che sta cercando le scarpe col tacco a spillo che le ho nascosto nella credenza.
-Dove diavolo le ho messe, Perdio! Ero certa di averle lasciate nello sgabuzzino.- corre frenetica da un lato ad un altro della stanza, si aggiusta la leggera scollatura della camicia bianca e sta attenta a non strappare le calze color carne. S'è truccata, anche oggi, ma proprio oggi mi infastidisce.
Fingo con me stessa di non essere compiaciuta della sua figura sbandata e con un rossetto tra le dita, color rosso acceso, che si muove con la bramosia di capirci qualcosa.
In pantaloncini e canotta mi affaccio dalla porta, mi appoggio allo stipite e continuo a mangiare tranquilla uno dei suoi yogurt dietetici, uno di quelli che detesto. I capelli mi coprono le guance arrossate per il divertimento e mi diletto ad osservarla dannarsi perché svampita, dimenandosi innervosita.
-Celeste, tesoro, non è che le hai viste?- vacillo, mi sorride cordiale, tenta di non porre sulle mie spalle la rabbia che prova nei suoi stessi confronti. Giocherella con la collana ad ampio giro che le cade sul seno ed appoggia il rossetto sul tavolo in cucina. Perviene a me, quella deturpante sensazione, l'immagine di conoscenza della colpa si impossessa del mio cervello, demolendolo; fletto la gamba destra, il mio piede traccia un po' del pavimento nel calzino antiscivolo e prendo un'altra cucchiaiata dello yogurt dal sapore disgustoso.
Scuoto la testa, lei sospira e si siede, tenendo la testa fra le mani, sforzandosi di ricordare. Un po' le tremano le gambe per l'incessante nervosismo che la percuote progressivamente.
La casa è un cesso, giornali sparsi sul pavimento e scarpiera che è praticamente finita in salone. Mobilio aperto -- non quello giusto, però, -- e una donna sulla trentina intristita ed incazzata.
C'è anche una stronza egoista appoggiata ad una porta, ma, per omertà, interpreto di essermela dimenticata.
-Sono un'imbecille !, chi perde le proprie scarpe, dico io?- si sforza di mantenere la calma, stringe le unghie alla carne delle ginocchia coperte dalle calze sottili. Poi batte le mani, improvvisamente, e si solleva, ridendo nel luccichio striminzito dei suoi occhi. -Le troverò, magari, dopo. Ora metto quelle basse e prendo i biscotti, altrimenti farò tardi!- sbiadisce la sua rabbia, muta in pacatezza e saltella in una miscela di comunanza e dimenticanza, si scorda della negatività, tenta di farmi vedere come funziona, di darmi un cazzo di esempio.
Non mi rendo conto che si è avvicinata alla credenza esatta e la sta aprendo, che finisco inebetita il mio yogurt e minaccio me stessa per non rimetterlo sul disordinato pavimento. Poi, sposto lo sguardo da terra, le dita giocano col cucchiaino nel contenitore di plastica. Lo spostano per inerzia, per utilitarismo dello scostare, adesso, i miei occhi dalla presenza di zia Maddalena.
Sto ferma, fisso il vuoto e le dita fanno battere l'affare di metallo contro le pareti. E la sento battere le mani piene di rincrescimento sul bancone della cucina. Le ha trovate, so che è così, anche senza guardarla.
Sorridi per l'attimo, Celeste, che ora devi delle spiegazioni.
-Che stupida che sono!, come avrò pensato di metterle qui dentro?- la sua retorica risulta fenomenale alle mie orecchie, assorbo il sottile ed igneo sarcasmo, nell'eterno movimento della sua delusione altrimenti immobile. S'era detta che stavo cambiando, ora utilizza una meccanicistica dialettica perché io glielo ammetta, che faccio schifo.
Non la guardo mica, sto inerme a giocare con le mie bambole cicatrizzate che fanno da influsso dentro la mia coscienza, smantellandola in maniera sadica.
Il labbro subisce un tremolio, gli occhi quasi errano e si sganciano dalla falsità, e le gambe stanno flesse, irrigidite, nella perfetta combinazione di un mancante alibi. Scrollo le spalle, però.
-Sì, insomma, come ho fatto ad infilarle nella credenza stanotte?- scrollo ancora le spalle, faccio qualche misero passo ed attendo che l'insipida delicatezza che la sta vestendo, la spogli immediatamente. Da subito, osservo come si avvicina, in movimenti lenti e con le scarpe nella sinistra, mentre mi fissa impietrita, delusa.
Davanti a me, getta a terra con uno scatto adirato i tacchi e serra i pugni; gli occhi meravigliosi le vanno a fuoco, i lineamenti le si induriscono e le guance scavate divengono rosse dall'ira in un attimo, facendo sì che il sangue defluisca indiscusso.
-Perché?- lo sussurra, le mie dita si arricciano e rovinano il contenitore di plastica che reggono, il mio egoismo viene dato per nudo e cade la maschera, non c'è altro da fare.
Piccola piagnucolona, piangi adesso. Lascia scapparti i sentimenti. Piangi, piccola piagnucolona, e fingiti distrutta. La finzione è ciò che meglio ti fa te.
Ma piango realmente, lacrime di coccodrillo a parte, sento i sensi di colpa perforarmi il petto e percepisco quell'insalubre sentimento : la compassione che brilla con le azioni di questa donna. Sorride per la foto, sorride alla perfezione, e poi dentro scassa il meccanismo che la compone con dei disastri infimi.
-Celeste.- ora sta perdendo la pazienza, la mattina già brilla e sento le bambole di cicatrici con le quali gioco ridere del mio inesistente affetto verso una donna che per me si spezza ogni giorno di più.
Lacrime che scendono lungo le guance e che non la smuovono, di pietra attende spiegazioni che sa non riceverà. Strozzo un urlo e -Tu mi hai mentito! Ieri sei uscita con uomo! Perché non me l'hai detto?, fai schifo!- glielo strillo in faccia, butto giù il risentimento e sento i miei muscoli irrigidirsi, ogni lembo del mio corpo contorcersi alla mia dichiarazione. Il cuore sta pulsando, immagino, ma quel che arriva, non lo ascolto. Penso alla tristezza, penso a quanto sarebbe bello afferrare qualcosa e farla finita. Penso e non ci penso per davvero, sento la casa delle bambole crollarmi attorno e tutto assume un contorno disarmante. La faccia si incupisce, la mia, intendo o ci spero, e non vuoi essere una brava nipote, Celeste? Fai finta vada tutto bene, dai.
-Ho più di trenta anni e non ho la possibilità di curare le mie relazioni? Tu sei impossibile, Celeste.- si rivolge prima con noncuranza, poi si esalta, gesticola e noto solo come le stiano bene gli orecchini d'argento che ha scelto di indossare stamane. Lei urla, sbraita ed impreca, quasi bestemmia. Inveisce con potenza, la voce le si squarcia appena e calpesta la casa delle bambole già a terra, quella del piccolo mondo fatto a Celeste. Questo mondo disgusta chiunque ne venga a contatto.
-Tu!, tu sei rotta, fatta, sfumata. Sei come tua madre, tu! E io cerco di non fartelo capire, di smontare questo tuo reale ideale, ma so anche io che è così. Non ne combini una buona, sei un'egoista e vorrei capire quando ti stancherai di essere tanto meschina! Hai diciassette anni e nessuno qui ha avuto un'adolescenza felice e non per questo ci adagiamo nel male!- mi sta dinanzi, strilla con tutto ciò che possiede nel corpo ed io chiudo gli occhi, stringo le palpebre e lascio cadere il cucchiaino a terra. Le mani vanno a tappare le orecchie e mi piego leggermente sulle ginocchia. Me la immagino che stia ridendo e che nulla muti in rabbia figurativa e determinante. Ma conosco la realtà : starà gesticolando e pensando a come sbarazzarsi di me.
-Tu ti comporti sempre male!, disobbedisci, fumi e torni tardi la sera. Non sei grata di quel che hai ed aspetti che qualcuno venga a lucidarti il bel mondo, ma ascoltami, Celeste!, sono stanca di provare a crescere una tale ingrata depressa!- prende fiato, mi ritrovo a sperare che abbia voglia di smetterla, di lasciarmi in un agonizzante silenzio di intrusione, ma giunge la ripresa. Le offese, quel che pensa e le critiche vengono fuori con rammarico e ad ogni parola il mio corpo pare scindersi in due e poi cadere al pavimento in tanti piccoli sfracellati. -Non ti va bene neppure se cerco di avvicinarmi, io non ce la faccio, cazzo!-
-Porca merda, smettila!- adesso, adesso, adesso l'allarme non c'è più e la piagnucolona scoppia, il liquido salmastro non la blocca e reagisce. Afferra i polsi della donna incazzata che regala insulti, si accovaccia e fa di quei pezzi sfracellati un tesoro, aprendo il cranio e permettendo a tutto quel che vi è custodito di liberarsi in vortice caotico e vivo. -Io non sono un giocattolo, né tanto meno un pezzo di stoffa che puoi buttare. Sono così perché mi ha cresciuta quella prostituta di tua sorella che, se le andava, invece di pagare le bollette di casa, prendeva il fiasco di vino e presumeva di dimenticare i problemi! Che ne sai tu, degli uomini che entravano in casa la sera e sparivano la mattina dopo, facendoci trovare i soldi sul tavolino di ingresso!- le unghie si insinuano nella sua pelle chiara, i miei passi in avanti sono passi suoi all'indietro, i miei occhi restano chiusi, i suoi mi va di immaginarmeli spalancati e curiosi. Le gambe sono sul punto di cedere, l'urto della mia coscienza che arriva alla lingua per parlare mi ammattisce e non ci pongo su pensiero. La penso che prova a staccarsi, a prendere le distanze da quello che non brama di ricordare.
-E chiamami piagnucolona, ingrata e puttana, sì, quel che vuoi! Ma resto soltanto una ragazza a cui hai promesso di affrontare tutto insieme. Invece vuoi abbandonarmi, farti una famiglia tua perché io non sono abbastanza. Tu non mi vuoi!, guarda che l'ho capito!- adesso apro gli occhi ed incontro i suoi non inorriditi, ma ricchi di un sentimento per me indecifrabile. Le labbra le si piegano in una smorfia di rincrescimento, la recrudescenza delle nostre azioni ci percuote ed io insisto nello smanettare con i suoi polsi, finché non si divincola e mi afferra per le spalle.
Sto piangendo, digrigno i denti infervorata e le inveisco contro, calciando al muro, nel momento nel quale mi volto.
La vorrei proprio, in questo attimo, una nanna a cullare il mio insignificante piagnucolio, un vaso di pandora a contenere tutto quello che sta uscendo dalla mia testa inferocita. L'alibi, io, l'ho abbandonato in partenza e strillo acuta mentre la donna paziente tenta di calmarmi.
-Tu non mi vuoi! So che è così! Tu non vuoi che io sia la tua famiglia!, tu non vuoi me.- sto delirando, so di starmi perdendo in un infinito circolo di insulse scuse. So di star perdendo la coerenza, la confutazione di noi stesse che insieme dovremmo fare qualcosa di buono.
L'appartamento fa silenzio, insonorizza il fracasso che alle otto del mattino stiamo producendo e che la sta facendo ritardare. E zia Maddalena non ritarda, ma è qui ad abbracciare una nipote impazzita.
I capelli mi finiscono in bocca, le lacrime li bagnano e li increspano, e le labbra, le sto mordendo con forza fino a percepire il sangue in superficie. Delle urla mi profanano la gola, nei miei panni sbrindellati mi piego e sono devota alla mia esistenza maligna in ginocchio, che posso capire quanto io sia annientata dalla mia stessa effimera volontà. C'è il volere di pensare di far schifo, prima di affidarsi alla credenza comoda.
-Celeste!, ti prego, amore mio, calmati!- mi scuote con leggiadria, prova ogni parola, aforisma, utopia per agguantare la mia attenzione, ma io assorbo solo la sua pazienza svanire, la sua voglia di restarmi accanto evaporare.
Afferro con le mani avide i giornali e strillo maggiormente, lo stomaco smentisce la mia coesistenza con l'ira e lamenta il dolore per il mio atteggiamento. La mia pelle è come attraversata da centinaia lame di vetro che strisciano e si conficcano tremende, bucando la mia intera vita. Le guance mi pare voglia sfasciarsi e la mandibola supplica una pausa, un mio calmarmi insolidale ed infedele.
L'egoismo, neppure lo sento più. Nemmeno l'orario, il tempo cronologico non mi preoccupa, concentro il male nell'ignoranza di una speranza.
-Celeste, sì, sì che ti voglio! Tu non puoi pensare il contrario! Tu sei il mio cuore, sei come uscita dal mio grembo, bambina mia. Ti scongiuro, calmati. Calmati, ti prego. Celeste, calmati!- che l'affetto ora è padrone, sgancio un altro urlo e mi appiattisco al muro. La vedo che si ne aspetta un altro, mentre sto eretta con le spalle ben salde alla parete e i capelli sono sparsi sul mio volto bagnato. Il petto mi esplode, l'anima impone di venir fuori. La sua chioma le circonda disordinata il viso; sta inginocchiata davanti a me, le mani ancora in bilico poiché prima tenevano salda la presa su di me.
-Tu non mi vuoi,- le sussurro, scatta ad osservare la piccola piagnucolona che si ritrova nell'esistenza e scuote il capo, devastata.
-Tu non mi vuoi!- le grido, sono pacata, insonorizzata, ma glielo strillo con le meningi che mi bruciano ed il tono cedevole.
I palmi vanno alle sue cosce coperte dal tessuto strappato delle calze, i tacchi a spillo sono poco dietro di lei e l'appartamento è un cesso violato dalle emozioni contrastanti ed ingiuste.
Quel che vedo nei granelli della mia comoda casa delle bambole non è Celeste e mi opprime l'assetarmi che questo mio divenire mi porta. È la calma e poi mi divora la tempesta. Un intero oceano che fa vacillare l'uomo in onde possenti, annientatrici. Sono alienata e vissuta dagli ormoni sbandati degli anni peggiori.
-Non mi vuoi.- testa al muro e gambe chiuse, respiro affannosamente ed anche a palpebre abbassate, so che mi sta per toccare.
-Cosa vuoi che faccia?- sappiamo a cosa si sta riferendo, la mano sudata si avvinghia al mio ginocchio e mi sembra implori pietà. Silenzio, la piagnucolona torna a strillare.
-Non lo so! Vattene, sono stanca. Vattene, cazzo, vattene!-
-Celeste!- mi percuote.
-Portami ad un cazzo di orfanotrofio, fai quel che diavolo vuoi! Ma vattene, vattene!-
-No, non che non me ne vado. Cosa vuoi che io faccia?- alza la voce più di me, mi sta abbracciando ed impiego qualche stralcio di tempo per stringerla per rincuorarmi e persistere nel dirle di andarsene a fanculo.
-Cancellami questa roba che c'ho in testa, zia, ti prego.-
-Non me ne vado.-
-Raccogli i pezzi di questa bambola fottuta, allora.- la sento sorridere fra i miei capelli arruffati. Mi pongo come un'assemblagista di guai, di malinconia e di codardia, ma -Ti tengo con me, Celeste.-
Ti tiene con sé, piagnucolona.
N/A: parto col dire che non ho idee, non ho ispirazione, non ho tempo, non ho nemmeno più tanto la solita Martina. Infatti questo capitolo fa cagare al cazzo.
È uscito tutto stasera, grazie alla canzone di Melanie Martinez, Dollhouse, altrimenti chissà quanto ancora ci avrei messo.
Mi spiace, sono triste.
Non mi piace come si comporta Celeste, è proprio spiritata e se fossi stata in Maddalena avrei abbandonato molto prima. Ma, per fortuna, loro si divincolano da me in parte.
Non so se sia chiara o meno, la motivazione dell'atteggiamento infame di queste due donne. La prima, Cele, si è sentita riportata indietro in un'infanzia che la scotta ancora. La seconda, zia Maddalena, si è momentaneamente stancata. Non realmente di Celeste, lei quelle cose non le pensava mica, ma di se stessa. Porta fardelli pesanti sulle spalle e c'è una parte dell'immenso amore che prova per la nipote che non la ama per davvero.
Domanda : in quale personaggio storico ed artistico vi rivedete quasi nella totalità per ideali e spirito? Non motivatelo, già il nome dice tutto.
Jane Austen.
Alla prossima, spero al più presto
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