23
"Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre eternamente costretti a spiegar loro le cose."
-C'è questo rudere e l'ha beccato Claudia mentre passava con la macchina. Voglio andarci, Cele.- mi dice Andrea quando stiamo attraversando il portone del grande edificio bianco e grigio con l'ingresso gremito di studenti presi tra il dialogare fra loro e l'azzuffarsi per qualche attenzione.
-Oggi?- faccio, scocciata, e mi guardo le unghie smaltate di rosso per l'improvvisa vena creativa che ha travolto mia zia, ieri sera, dopo che Jacopo se ne era andato.
Lui si aggiusta una manica dello zaino con accorgimento beffardo e storce il naso, preparandosi un discorso infimo per convincermi su quanto quest'avventura possa essere incredibile. Infimo ed anche campato in aria, ma a lui le cose piacevano in questo modo.
Dovrei essere lieta di avere Andrea nella mia vita, qualche volta dovrei arrivarci. Lui con la sua eleganza anche nel rappresentarsi. Lui che non lo butti giù, che piange spesso, ma a stento si arrende; lui che, gentile, affronta tutto come un bocciolo fiorito ricco di valori. Trasparente ed ingenuo, gli si legge sul volto anche quando sta tramando e desidera ottenere.
Mi racconta spesso che la mamma, quando era piccolo, gli diceva che fosse diverso e speciale a modo suo, che l'uniformità non lo aveva nemmeno sfiorato, già da piccola creatura che, nel negozio di giocattoli, per Natale, si buttava nell'angolo delle Barbie per osservarne i vestitini.
La sua omosessualità gli si è palesata da subito, mi raccontò una volta. Amava indossare il rosa, senza un reale motivo, e mettere il grembiulino a fiori pure per giocare al parco. Un giorno, mi ammise, dei bambini teppistelli glielo sporcarono di fango e glielo strapparono, così non lo indossò più.
Non gli interessavano le femminucce, alle elementari. Piuttosto, trovava confortante la compagnia del suo affabile compagno di banco dalle gemme al posto degli occhi ed il sorriso di un raffinato angelo umano.
Andrea è venuto su a modo suo e non si è mai compianto per quello che stava divenendo -- e che diviene tutt'ora, la sua vita. L'ha sempre vista come un dono, la sua omosessualità, neanche se sia qualcosa da far indossare solamente a lui.
-Che devo dirti,- mi rimbeccò, -vuol dire che sono speciale.
È triste quando resti soddisfatta per ciò che hanno le forze, gli altri, di realizzare e tu stai sempre lì con lo strambo senso di dover fare qualcosa, ma non ce la fai.
È come quando guardi dalla finestra, bramando quel poco in più che tu non c'hai (ma possiedi altro, ammettiamolo) e che invece è presente nelle vite di altri.
La ragazza, l'orgoglio, la dignità, i bei voti, la sicurezza, la bellezza : gli altri ce l'hanno sempre no?, e tu ti chiedi perché a te non è stato dato, questo qualcosa in più.
Ma ce l'hai, sta fermo a covarsi nelle tue mani, strisciando lungo il tuo corpo e invaghendo le tue cellule, tu non lo vedi, ma c'è. Non lo percepiamo, in fondo, perché siamo noi.
-Vabbé, ho capito. Fa niente, ciao peste.- lo ripete almeno quattro volte prima che le mie orecchie lo assorbano per davvero. Ma stavo contemplando te, scemo. Vorrei gridargli mentre si allontana, solo lo richiamo e gli alzo il pollice, che ci sto, insomma, ad andare con lui a questo rudere.
Mi aggiusto lo zaino sulle spalle e cammino fino alla mia classe, ritrovando delle solite risate e Piera tranquillamente seduta sul mio banco.
Mi ci fermo davanti, con le braccia conserte e la mascella serrata, e sento gli altri ridere o lavarsene le mani.
-Ti sposteresti?- le faccio, ma no. Lei sorride infima e inviperita, ancora incazza con Dio perché non le ha dato una sorta di razionalità. E neppure le forme, ma quelle vengono dopo.
Lei si aggiusta i capelli ramati che deve aver tinto recentemente e si sfrega il maglioncino scollato con le unghie smaltate di blu acceso. -In realtà, sto bene qui.- non posso biasimarla, s'era appena lasciata col suo adorato giocatore di basket, solamente che non mi andava di rispettare le regole per un'isterica costantemente coi petardi a culo.
Già mi trattava male, Piera. Poi la mia piccola avventura col suo amato Gian Pio le ha distrutto ogni sicurezza e le ha sfaldato già l'arrogante meccanismo.
-Perfetto,- sorrido complice ed innocente, prima di avviarmi verso il suo banco e rovesciare la borsa coi libri lì poggiata e sedermici su. -Io, invece, sto bene qui.-
Non sono meglio di lei, né di alcuno che nella classe troppo soleggiata e la lavagna sempre sporca, sta in silenzio o commenta con battutine dal sarcasmo improprio. E questa consapevolezza mi spiazza e mi devasta. Che di migliore, io, ho poco e nulla, se non proprio alcuna cosa!, eppure sono piuttosto arrogante ed egoista da accettare che ci siano dei meriti.
Lei si innervosisce, tira con incredulità i fili dei suoi braccialetti e si alza, muovendosi sgargiante fra i banchi ed agitando i suoi bei capelli ramati, una volta biondi.
-Puttana frigida !- lo strilla così forte che mi parte lo scatto nevrotico e le butto l'ultimo libro rimasto sul ripiano a terra.
Si avventa, tirandomi i capelli e graffiandomi al collo con le sue unghie lunghe, mentre le mie mani armeggiano e le afferro il maglioncino.
Cadiamo entrambe a terra e sento un suo calcio nel ventre, che mi fa piegare e mollare la presa per il dolore. -Così impari ad aprire le gambe, troia !-
Sputo, alzandomi e -Non era fidanzato, mi pare?- fingo persino di chiedere, mentre mi aggiusto il maglioncino ed il giubbotto nero, pieno di sue pedate vendicative.
-Ah no? E tuo padre era fidanzato quando tua madre se l'è fatto?- sono già voltata quando le parole mi squarciano in due ed aprono un varco insormontabile all'interno di una ragazzina. Stringo i pugni e violata con onerosa verità mi pongo la domanda se ne valga la pena.
Scegliere resta un bivio difficoltoso ed impervio, meglio evitarlo.
Slego dai miei polsi le calamità dei miei attacchi di nervosismo, della disintegrazione della mi dignità e sorvolo su ciò che è stato, sorpassando Piera e camminando a testa bassa.
-Tale madre, tale figlia.- e l'allarme scompare quando un mio pugno entra in collisione con la sua mascella.
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-Sospensione, signora Rossi.- alzo il capo in alto, unendo le mani davanti alla bocca, accomodata sul divanetto dell'ufficio dell'ammirabile e giusto preside.
Si aggiusta i boccoli zia, tenendo la sua pochette sulle cosce e le gambe unite con la gonna verde che le arriva a sotto il ginocchio. C'ha i capelli raccolti in uno chignon disordinato ed il viso ricoperto di trucco per mascherare lo stress e la stanchezza con cui questa donna forte e delicata conviene a patti ogni giorno.
L'uomo che s'è fatto crescere i baffi e dal viso rotondo, si sporge, spingendo la sedia indietro, per afferrare un modulo che è uscito dalla stampante.
Finge che le lusinghe non le apprezzi, piuttosto attacca alla parete un quadro nel quale posa da modello in giacca e cravatta. Mi viene da ridere, ma trattengo l'eufemismo, che già sono sommersa di guai.
Unisce le mani dal tocco ovattato e vi appoggia il mento, guardando dagli occhiali la mia povera zia tormentata che batte i tacchi per l'impazienza che le sia concesso di parlare.
-So che non ha neanche prestato servizio alla biblioteca come le era stato ordinato !- ovviamente che lo tira fuori, lo smemorato e viscido uomo dalla pancia grassoccia e il capo pelato, mentre di già è proiettato alle lusinghe dell'adorata vicepreside.
-È stata la professoressa di italiano a chiederle fosse revocata la punizione !- scatto, alzandomi in piedi e noto come zia mi supplichi con gli occhi di lasciare che se ne occupi lei.
-Non ricordo.- mente, codardo del cazzo.
-Bene, la faccia anche chiamare.- mi spingo oltre, avvicinandomi alla sua scrivania lucida e lui alza il mento in segno di resa conseguita ad un'inetta sfida.
-Non è questo il punto.- svincola il discorso e zia Maddalena trattiene delle risate per le finte argomentazioni di un uomo eccitato per poco, soddisfatto per nulla. Si massaggia le tempie, poi si gratta il mento ed è palese il suo ammattirsi.
-Preside, mia nipote giura di essere stata offesa, e sa anche lei, la prego, che sia questa realtà.- mia zia si sporge e le sue mani si aggrappano salde alla scrivania per trattenere gli scatti d'ira profani.
-Cara signora, non ci sono prove.- schiocca le dita, leccandosi le labbra e dondolandosi su quella sua stupida sedia.
La giornata si perlustra ventosa e umida dalla mancanza di sole che si osserva dalle finestre opache dell'uomo a casa del freddo.
-Hanno fatto riferimento a mia madre, non le pare abbastanza?- sibilo.
-Non per sferrare un benedetto pugno ad una figliola, Perdio!- si alza, battendo un pugno sulla scrivania e arrossando le sue guance per l'ira.
-Allora mi espella e facciamola finita, aspettava un motivo per farlo da un po', no?- a braccia conserte lo sfido spavalda e sicura che non ci sia vittoria per la povera ragazza che non è in grado di contenere l'insolita ed innaturale rabbia verso ognuno.
-È esattamente ciò che ho intenzione di fare, Rossi.- mi risponde a tono, che lui è il dannato preside ed io fortemente incazzata per distinguere il limite del rispetto, ma risuona un allarme preciso ed io scelgo (che queste scelte, quanto male che ci fanno !) di tacere e mordermi la lingua, mentre zia mi tocca la mano.
Non la percepisco, la voglia di rimproverarmi. Sento, per la prima volta, comprensione. E mi sorride, suscitando l'irritazione dell'uomo in carne dall'altra parte della scrivania.
-Non ci sono più i genitori di una volta,- tono secco e già foglio e carta tra le mani grassocce.
-E neppure i dirigenti scolastici, se mi consente.- sarcastica e spudorata zia Maddalena si solleva e porge la mano al preside.
-No, in realtà non acconsento.- scatta, non accogliendo la richiesta di saluto.
-Ed invece dovrebbe. Perché Celeste non ha alcuna cosa in meno ad altri !, semmai il contrario. E non credere che io non sappia che la tratta diversamente solamente perché sa chi è la madre. Mio padre doveva sapersi scegliere gli amici, a mio riguardo.- e dal lei, voltò pagina arrivando al tu. Con sfacciataggine ed arroganza zia si compiace della vecchia amicizia fra mio nonno ed il preside, lasciandolo lì di stucco con i pensieri a penzolare e portandomi fuori dalla tana del diavolo, spingendomi verso il bagno di servizio dei docenti, sotto l'occhio dei segretari.
Ci entro, sì, ma che sono in lacrime ed i singhiozzi mi inondano la bocca e ogni fibra del mio corpo è travolta da timori insulsi.
-Ehi, ehi- fa zia, sollevandomi il mento mentre io la stringo d'impatto, con la sola voglia di sentire dell'affetto compatto e non striminzito, non artificiale, non debole, un affetto che ora so che zia potrebbe darmi.
Allungo le mani fino alle spalle, e lei mi abbraccia con tutte le forze che possiede, accarezzandomi fra i capelli e baciandomi sulla fronte.
-Io non volevo . . Te lo giuro, . .te lo giuro, zia. Sta-- stava, sì, dicendo. . Stava dicendo cose cattive su mamma e lei non sa niente. Niente !- mi sussurra che non fa niente, che insieme usciremo anche da questa, mi sussurra che non farà male per sempre e che prima o poi imparerò che è meglio lasciar andar via.
-Ascolta, Cele. D'ora in poi, mi dirai tutto e lo affronteremo assieme, sì?- mi dice, coccolandomi fra le sue braccia ed io annuisco, spaesata ed avvilita, tra le lacrime e capelli completamente disordinati.
Mi allontana e permette agli occhi di guardarsi, io singhiozzo ancora. Sento le lacrime non voler cessare di traboccare e la tristezza a far da padrona. -Ogni cosa, capito?- annuisco di nuovo.
-Fra poco andrà meglio, te lo assicuro.- mi stringe a sé tenendomi dal capo ed io persisto nel piangere sul petto di questa donna meravigliosa e con le mani stringo il tessuto del suo abito.
-La scuola è tutto ciò che ho, ti prego zia, non farmi mandare via.- butto fuori quello che sto conservando come uno scrigno segreto che merita di essere aperto. Tutte le paure vanno confidate ed andrà meglio, continua a ripetermelo.
-Farò quello che posso, amore mio.- è proprio vero che l'amore non si compra, né tanto meno è dovuto. Questa donna mi ama, mi rispetta, mi vuole e non mi ha messa al mondo.
Perché l'amore lo si prova crescendo ed ammirando, facendo crescere e lasciandosi guardare, che altrimenti è solo legame dovuto che non apprenderai mai per davvero.
Per amore, e quello vero, non si parla di compromessi. Non duole la necessità di andare d'accordo, duole piuttosto la felicità mancata dell'altro.
Se una cosa, questa donna, me l'ha insegnata è che amarsi non vuol dire volersi sempre, ma esserci, anche se da parte, su una parete, finché l'altro non ti farà entrare per dargli ciò che sa potrai dargli.
Mi asciuga gli occhi con i suoi fazzoletti profumati e mi scorta fuori, poi mi chiede -Vuoi venire a vedere per quanto tempo non starai a scuola?- annuisco, incapace di agire in altro modo.
Le segretarie che mi trattano sempre con simpatia e, persino la bidella Rosa, intenta a fingere di pulire, mi sorridono con grazia e mi fanno cenno di entrare.
Zia bussa, la vice preside dichiara che si possa entrare e ciò che noto mi persuade nel credere che non sia sempre tutto un dannato schifo, che la nota di serenità c'è e bisogna solo scovarla fra i rovi.
Filippo, nella sua postura eretta e le sue maglie a maniche corte, seguito da Roberto, il compagno di banco, stanno lì in piedi a girarsi i pollici e ad aspettare che qualcuno li mandi via.
-Che succede?- mimo il labiale e loro si limitano a sorridere. Roberto è alto pressappoco quanto me e porta le basette come Filippo, così, allo stesso modo, indossa maglie a maniche corte anche se fa freddo.
Io e zia Maddalena facciamo qualche altro passo in avanti, le si aggiusta la pochette che ha a tracolla e noto il preside che pare star riflettendo.
-Rossi, per questa volta te la cavi con una nota disciplinare,- mi si allarga un sorriso sul volto ancora frastornato dallo sfogo precedente e -Ringrazia che i tuoi compagni abbiano voluto ammettere come siano andate le faccende per davvero.- solamente sorrido, ringraziando ogni persona, persino la vicepreside dai buffi capelli bruni e, non appena siamo fuori dallo studio del preside grassoccio, abbraccio in uno slancio quei due idioti -Grazie, grazie.-
Zia è rimasta dentro a discutere con l'uomo e le segretarie mi sorridono tutte entusiaste e col pollice in su.
-Tu l'avresti fatto per noi,- scrolla le spalle il più alto.
-E poi i tuoi ganci sono fighi,- fa l'altro ed io rido, mentre torniamo in classe.
N/A: parto dal presupposto che sono desolata per il ritardo, ma mi sto impegnando a terminare Light, inoltre ero a corto di idee per Hands.
La storia si sta svolgendo, siamo a metà, e mi pare sia ovvio che voglio lasciar chiaro che si tratta di una storia ambientata realmente nella realtà (che cacofonia) e quindi sono consoni i discorsi sul sesso, le cose stupide, ma anche le raccomandazioni ed i pregiudizi.
Vedete, Maddalena è stata chiara : il padre conosceva il preside, quindi poteva chiudere un occhio. (Fa nulla che poi ho fatto ricorso ad un valore che io adoro, quale la lealtà, m lo scopo della donna era quello).
Personalmente, trovo scorrette queste cose, ma ci sono, quindi perché non parlarne?
Ed, infine, non approvo la violenza. Cele fa molte cose che non mi piacciono, ma ha un carattere cazzuto e forte che la spinge ad agire di impulso. In questo caso Piera ha esagerato, e per fortuna i due dalla media e condotta impeccabile Filippo e Roberto si sono dimostrati, appunto, leali.
Niente, necessitavo di spiegarvelo. Voglio farvi una domanda, vorrei rispondeste, vi sta lasciando qualcosa Hands? Senza costrizioni, se vi fa schifo al cazzo, ditelo ! e lo apprezzerò (se, ovviamente, mi spiegherete il perché).
Alla prossima e Jon Sudano?
Jon Sudano.
(Avevo concordato con me stessa fosse il nostro per sempre, adios)
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