18
"Abbiamo tutti sedici, diciassette anni -- ma senza saperlo veramente, è l'unica età che possiamo immaginare."
-Jane diceva che guardare il cielo rendeva meno malinconici.- ancora ci pensa, Claudia, al suo amato pianista bislacco. Le brillano gli occhi ed accenna a qualche sentimento di troppo, mentre armeggia con la birra che sta preparando, facendo risuonare il rumore dei tacchi che calpestano il pavimento nello stranamente silenzioso locale.
-Era piuttosto saggio.- concordo, rialzando i capelli più ordinatamente possibile in una coda e lavando subito dopo le mani, per darmi una mossa con le ordinazioni degli ultimi clienti entrati.
-Diceva che, di solito, ognuno ha proprio orario per brillare. Secondo te, la sua luce, la lascia accesa nel cielo?-
-Mi dispiace, Claudia, ma sono agnostica.- smonto la sua bella teoria e mi asseconda con una risata spensierata, uscendo dal dietro-bancone per portare le ordinazioni al tavolo; così sgambetta tranquilla, neppure sbagliando un passo o prendendo una storta, mentre diversi uomini che giocano a carte si lasciano sviare lo sguardo al fondo schiena della bionda formosa.
Metto delle noccioline nella vaschetta di ceramica comprata dai cinesi e noto Renato fare il suo ingresso trionfante dal magazzino per assicurarsi che la serata proceda col consueto ordine.
Uomo bizzarro, Renato. Nemmeno uno di quegli scrittori fantasiosi, uno di quelli a cui basterebbe uno sguardo per denotare l'alterigia di un uomo, avrebbero potuto contrassegnarlo con la precisione e la voglia di bere e far sesso che ha quell'uomo.
Tre mogli, nonché un'attuale compagna ucraina, e divorzio in mano non appena arrivava per lui il momento di far il padre. Non è che non li cresca, è che non vuole. Ed allora scinde tutta la sua responsabilità in soldi versati sul conto in banca e in un cognome stentato.
Il locale è piú suggestivo di sera, i pensieri fuggono come le parole di quel saggio -- che qualcuno lo abbia in gloria, per quanto possa contare -- di Jane. Sfrego le mani fra di loro e mi rimetto in carreggiata, avviandomi verso il tavolo con le pizzette, le birre e le stuzzicherie richieste, mentre un'altra donna fa il suo ingresso nel locale.
Claudia si volta di scatto, non appena la campanella suona, ed io sto attenta a non rovesciare alcuna bevanda sui cappotti che emanano odore di naftalina dei clienti barbuti che sto servendo.
-La ringrazio.- quest'uomo, dai capelli castano chiaro ed un sorriso inquietante, tira verso di sé il boccale di birra che tengo per troppo tempo fra le dita e biascico un sorriso, richiamando delle risate già ubriache di sensazioni e di cattive giornate, oltre un'occhiata scocciata da Renato, che siede su uno degli sgabelli di fronte al bancone e prende a leggere il suo giornale.
Da uomo bizzarro legge il quotidiano quando di sera, diceva mia nonna, andrebbe letto la Repubblica o, in alternativa, farsi due polemiche tra sé e sé col tg giornaliero tutto ben impacchettato e corrotto.
Scrollo le spalle e mi riavvio al bancone, posando il vassoio sul ripiano di legno e cercando con lo sguardo la figura di Claudia che, una volta incontrata, constato che sta ancora lì ferma a servire birre e a fissare la donna da poco entrata.
Risalgo sul pianerottolo dietro al piano bar ed afferro la scopa, per dar una ripulita, prima che -È un bene che tu sia qui, la bestiola dai capelli neri si è ammalata.-
Annuisco alle parole dell'uomo che pare volermi dare attenzione piú del solito, poi accavalla le gambe, come di sua abitudine, e si aggiusta gli occhiali sul naso con la gobba, posando il giornale, che d'altronde teneva al contrario, e prendendo a guardarmi furbo.
-Vuoi parlarmi di qualcosa?-
-Diavolo, no! C'hai diciassette anni te, Perdio!, mica posso parlarti di certe cose.- lo guardo, appoggiandomi alla scopa ed incrociando i piedi, mentre si grattava la guancia destra, innervosito.
-Come preferisci,- non che un uomo tra i quaranta ed i cinquanta anni avesse tanto in comune con una troppo turbata adolescente, ma ciò che è relativo diviene veritiero e ti verrebbe da sorridere a rifletterci.
Intanto la bionda cammina fino al bancone, accennando a dietro di sé -È Matilde, Renato ! Cazzarola, avrei giurato che l'avessero rapita, non la vedevo qui da quando?, saranno due mesi buoni !- parla col tono troppo alto e Renato la zittisce con un richiamo severo e le scuote la spalla, che Claudia se non ti percepisce, nemmeno ci pensa, ad ascoltarti.
-Claudia, fa silenzio o quella pazza ti sentirà.- la voce che si pone con una certa autorità e dà al vissuto, e al troppo fumo, sicuramente, fa zittire la bocca larga che la bionda si ritrova.
Io, nel mentre, ho posato la scopa ed ho lavato i bicchieri del lavabo con quel detersivo scadente che mi rovina la pelle ed ho pure sistemato il bancone. Mi guardano, li sento anche senza vederli, che si stanno ponendo domande assurde sulla mia intolleranza a ciò che non conosco : che se non so, non è che mi incuriosisco, io. Lascio semplicemente scivolare.
-Che.- scandisco per bene, muovendomi tranquilla con le buste di patatine da sistemare, e -Dài, non sei nemmeno un po' curiosa? Questa è matta da legare.- così alzo gli occhi e chiudo con le solite mollette i pacchetti, prima di guardarla per bene quella signora che avrà al massimo una trentina d'anni. Claudia se ne sta qui a schiamazzare e a bofonchiare affari su una giovincella che sembra cresciuta troppo in fretta, mentre dà una sciacquata ai vassoi grigi.
Ha i capelli di un rosso naturale, quasi arancione, diresti a guardarlo, ed indossa un vestito rosso che le copre fino al di sotto del sedere, mentre delle calze autoreggenti le stringono le magre gambe. Tutto in una figura alta, dal portamento stanco e la schiena curva, nonché un viso completamente struccato.
-Ha tre lauree, - e la donna sta tranquilla in piedi a dondolarsi e a guardarsi attorno, con un quaderno marrone fra le mani - ha lavorato prima nella scuola, mentre conseguiva la sua seconda laurea, poi in polizia mentre conseguiva la terza e fino a qualche mese fa si dava alla prostituzione. Una svitata, dicono che ritraesse in scritti i suoi clienti che avevano il cazzo duro e una bella donna a scrivere di loro !- l'esauriente spiegazione di Claudia mi fa spalancare la bocca mentre la donna che porta il nome di Matilde si avvicina ad uno dei tavoli accanto al bancone e vi siede accavallando le gambe, in maniera sensuale, e aprendo il suo taccuino, tutta contenta ed entusiasta.
-Ha letto troppo Baricco, molti dicono.- Mr Gwyn, ovviamente. Da dove altro avrebbe potuto prendere la stramba idea di scrivere ritratti di persone casuali che stanno lí in attesa di altro.
-Jane l'avrebbe amata,- eccola, la malinconia nel tono di Claudia, mentre un altro cliente richiama la nostra attenzione dalla signora buffa al tavolo.
Renato si incupisce, strofinando le mani fra di loro ed accenna ad un sorriso, prima di -Vai, Celeste sta qui.- non se n'è mica accorta, Claudia, che l'ha fatto solo perché le erano arrivate le lacrime agli occhi. Annuisce solamente, leccando le labbra ed avviandosi al tavolo dei soliti vecchietti dai cappotti pesanti che giocano a carte.
Poi, mentre sto zitta e mi fisso i piedi, anche io intristita dai fatti, una mano viene alzata e nessuna voce contestualizza il tutto, solo una mano sottile, con unghie curate e polsi delicati, e la mia attenzione che funge da calamita per una donna che ne cerca abbastanza.
Sospiro, indossando la mia solita indifferenza, e mi avvio verso il tavolo, col blocchetto in mano, -Buonasera.-
-La ragazza dai capelli neri non c'è?- la voce è meritevole di una simile figura allegorica e mite, dal tono, ovviamente e banalmente, genuino e dolce, con la lingua che scivola fra le labbra da maestra.
-Ha la febbre,- sorrido, poi scuoto il libretto.
-Capisco. - poi riguarda il suo quaderno e -Un bicchiere d'acqua, anzi, una bottiglia.- faccio per andarmene, senza neppure annotare, ma -Lo diresti mai che somigli alla Julie del Pennac, tu? Altro, che Elizabeth o Natascia. Allorché, direi, piuttosto, che sei una Cecilia, tu. Accogli bene la tristezza?- spalanco la bocca alla velocità con cui la donna pavoneggia alcuni testi letterari come se parlasse con gli autori da sempre. Poi, mi fa cenno di sedermi, denotando la prepotenza del contrappasso. Non me lo dice, che vuole che io lo faccia, ma io mi siedo e non mi accorgo che lei lo volesse con malizia arguta.
La guardo, mentre posa sul tavolo, con accuratezza, il suo berretto austriaco, prima di scrutarmi tutta, da cima a fondo -Una volta, lessi che l'indifferenza esistesse veramente. Poi ho capito che si è solo stanchi, quanti anni hai?-
-Diciassette.- troppo dura, tagliente. Non è che non mi fidi, ma questa donna è strettamente se stessa per non intimorirmi.
-E sei pure convinta di avercela solo tu, . . .la verità, dico. Ma anche un'altra cosa.- mi scappa una risata, non mi sforzo di contenerla perché lei se l'aspetta, mentre guarda con gli occhi vispi e verdi ogni mia azione, -Sei piuttosto divertente, ti prego,- mi prende la mano, io indietreggio col busto. La bocca assume una piega fatta da sé, le labbra sono sottilissime e gli zigomi di una leggiadria unica -Vieni qui piú spesso il martedí.-
Cosí, torna a prestare la sua devozione al quaderno che si è sistemata all'altezza simmetricamente perfetta dei gomiti e mi invito, gentilmente, ad andare a fanculo da lì.
Certe persone sono fatte per non essere capite, per agire e turbarti come le tue inquietudini più profonde ; alcune persone sono ambigue, ma ti interessano ugualmente e ti faresti tagliare le dita, piuttosto che non rivolgere loro lo sguardo. Queste persone ti sfioreranno con le parole come piume o, talvolta, come le foglie d'autunno. Non sono quelle persone che bruciano, anzi, coloro che aleggiano nella forza incondiscendente.
Mi avvicino al frigo rosso della coca cola e apro per afferrare una bottiglia d'acqua, fare un giro nelle mie vans e prendere un bicchiere sporgendomi dal lato davanti del bancone e poi la poggio sul tavolo, Renato mi richiama prima che io possa chiedere soldi.
-Cosa vuoi chiedere per dell'acqua ed un po' di follia, eh?- mi dà uno scappellotto e mi tira via dalla curiosità -Piuttosto, porta altre carte a quei signori e butta la spazzatura. . . Attenta ad infilarti il giubbotto, fuori si gela.- così prendo uno sgabello e salgo per scorgere tra i ripiani che si ergono sopra le foto truccate e prendo un altro mazzetto di carte napoletane, porgendolo ai vecchietti che stanno al di sotto, due tavoli dopo.
-Le abbiamo già, sai !- aggiusta gli occhiali e le bretelle sulla sua camicia a quadri.
-Renato ha notato ne abbiate persa qualcuna.- spiego, camminando al tavolo seguente per sparecchiare e per evitare di proposito le lamentele.
-Sciocchezze.-
-Scommetto sono trentasette. Ne perdete sempre tre, Franco. Sempre.- gli altri due, uno con la barba, l'altro con il viso magro e scavato, ridono di sottecchi, prima che Franco metta le mani sulla sua pancia abbondante e sbuffi ancora.
Io faccio per andarmene con i bicchieri fra le mani, ma -Gliele ricompreremo.-
-Parla per te,-
-Vecchio tirchio sei, Giggino.- Luigi, detto Giggino, se la ride e batte le mani sul tavolo, soffocando i suoni con l'asma, ragazza, non è altro che l'asma!, raccontò.
-Le ritroverò io, tornate pure a giocare.- sorrido, scuotendo invaghita la testa e la lancio, un'altra occhiata, a Matilde che neppure per bere, alza la testa dai suoi scritti. Beve con il capo chino e sta pure attena a non bagnarsi le labbra.
Claudia è seduta al bancone, aspettando che qualcuno le dia da fare e gioca a quello stupido gioco sul cellulare, mentre rabbrividisce, infastidita dal freddo.
Poggio i bicchieri nel lavabo e le faccio cenno di dar loro una lavata, prima di avviarmi al magazzino per prendere il giubbotto -Questi detersivi mi faranno venire qualcosa, io lo so!- la sento dire e rido, lasciando che la porta si chiuda dietro di me.
Prendo il giubbino dall'appendi abiti e noto che, la spazzatura, Renato me l'ha preparata e la prendo fra le braccia, affaticandomi per il peso.
La porto come se fosse una sposa puzzolente per poco, mo innervosisco con facilità allarmante e decido di trascinarla, con il giubbotto nero a coprirmi per bene e le gambe tutte infreddolite.
Ranuncolo non si vede e probabilmente avrà trovato il modo di rifugiarsi in silenzio nello stanzino indisturbato.
Lo spiazzale non è tanto illuminato e, più che inquietare, affascina secondo la teoria del ognuno ha ciò che merita. Questo posto merita silenzio, accortezza, di essere amato ed un po' guardato, non di certo illuminato da qualche lampione troppo invadente.
Trascino il sacco dietro di me, imprecando perché non c'è un dannato contenitore del vetro nelle pattumiere dietro quel locale.
-Celeste, vengo con te.- Renato mi insegue coi suoi mocassini, il cappello di lana ben messo in testa ed i pantaloni di velluto, affiancandomi con affanno e parole bruciate.
-Alla tua età non bisognerebbe sforzarsi- lo derido, tirando ben bene il sacco e lui se la ride, strofinando le mani ricoperte dai guanti. Ed, involontariamente, io penso a Jacopo.
Non dovrei-- innanzitutto non dovrei impormi di non dovere o peggio, potere; l'idea mi percuote e la abbandono dentro di me, che si insidia nelle viscere, prestando ascolto a Renato.
-Tu sei al corrente di Antonella, no?- comincia, pare pure emozionato e mi chiedo cosa lo porti a strimpellare per una strada riguardo alla sua ex moglie mentre si gela e persino i cani non sono in circolazione.
-La tua prima moglie, sì- annuisco, intravedendo i contenitori dove dovrebbe essere fatta raccolta differenziata, ma dove, ovviamente, non è fatta. Lui sospira, passandosi una mano nei capelli unti e castani; è che si sporcano subito, li lavo troppo spesso.
-E di Carlotta?-
-Tua figlia, certo.- alzo il bustone col vetro e non che ci pensi ad aiutarmi, continua a straparlare del fatto che, fortunatamente, somigli alla madre.
-E di Gianna, ricordi?-
-Quella disgraziata che ti ha dato due gemelli, come no.- non le ho mai incontrate di persona, per aneddoti o altro, sono venuta a conoscenza di molte cose e mi stupisco dell'età dell'uomo, per una vita così ricca di errori.
-Già, Samuel e Filippo, quattro anni quest'anno, ci pensi!- fantastica, mentre facciamo marcia indietro e mi pulisco le mani fra di loro.
-Nemmeno li hai visti.-
-C'hai ragione, cazzo. E di Carmela, di Carmela ricordi?-
-Sí, anche di Ferdinando, mi hai invitata al battesimo quest'estate.-
-...-
-...-
-Sì, volevo assistere ad un battesimo.- dice, tranquillo, che si notano le luci del locale.
-Che, non ne hai mai visto uno?-
-Non da vicino a quell'ubriacone del prete, . . Fidati!- starnazza balordamente, con fare esilarato e beffardo. Io alzo gli occhi al cielo, sperando che questa conversazione abbia un senso compiuto o saranno minuti sprecati.
-Le ho lasciate.- parla all'improvviso, dopo essersi fatto due risate fra le strade desolate di questa cittadina tutta abbandonata a se stessa.
-Lo so,-
-Come uno stronzo, le ho lasciate non appena mi avevano detto fossero incinte.-
-Sí, lo so. Sei un bel coglioncello, Renato.- scrollo le spalle e ci fermiamo davanti alla porta del magazzino. Dalle bocche il respiro esce come se fosse una nuvola bianca e sento le mani intorpidite sebbene le ho messe nelle tasche.
-Non volevo lasciarle.-
-Ma sí, che volevi.-
-...-
-...-
-È che sono codardo.-
-Tutti hanno paura.- scommetterei l'oro che le mie guance si stanno arrossando per il freddo eccessivo. Quest'uomo sta davanti a me, a parlottare del più e del meno, dei suoi problemi da evasore di responsabilità ed io ci sto anche dietro.
Ma un po' penso a Jacopo, un altro po' a Matilde.
-Non è che non mandi loro soldi, sa'! Guadagno bene.- non gestisce solo questo locale, lui, ma di giorno lavora in un ufficio abbastanza monotono da spingerlo ad aprire uno sporco e mediocre locale in questa città. Tutto fritto, anche la sua sanità nel momento in cui, a capo di non so quale azienda, prende il tempo libero per lavorare ancora e leggere il giornale al contrario.
-Non ci sei tu.-
-Ero immaturo.-
-Carmela, l'hai lasciata l'anno scorso.-
-L'avevo tradita.- lo ammette, toccandosi il petto, poi si avvicina alla porta.
-Lo aveva capito anche lei, non era un buon pretesto, però.-
-Sbagliamo tutti, sa' ragazzina.-
-Lo so,- apre la porta e stiamo ancora qui fuori al freddo, ma il gatto spunta e siamo concentrati nel battibeccare per scacciare questo felino tutto storto.
-Ricorda che si cresce-
-Lo so,-
-Non volevo sbagliare, ma vedi, tutti sbagliamo.-
-Esatto.-
-Siamo umani, sa' diciassettenne, cazzarola ! Diciassette e sto parlando con te di questa cosa !-
-Vai al sodo, mi sta congelando il culo.-
-Ursula è incinta.- la sua compagna, povera donna. Faccio un passo verso l'interno, ma lui sta lí fermo al vento notturno di novembre.
-Esistono i preservativi-
-Esatto.- scherno, vecchio bastardo.
-...-
-...- il silenzio della cittadina ci affligge un po' ed io faccio un passo dentro, Ranuncolo mi tocca la caviglia, lui qualcuno in fuori.
-...-
-Sai cosa devo fare?-
-Non lasciarla.-
-Dici?-
-Ho diciassette anni, io.-
-Bene, chiudi tu?- e mi porge le chiavi, -Puoi farlo anche ora.-
-E tu, dov'è che vai?-
-Da Ursula.- si allontana ed io faccio per chiudere la porta -L'importante è far quello che ci si sente, quel che siamo.-
-Le vai a dire di andarsene a fanculo e che le pagherai il battesimo?-
-In realtà, vado a dirle che possiamo già pensare ai nomi.-
-Non la lasci?-
-Tu sei piú saggia di me,-
-Ho diciassette anni.-
-Anche io ero saggio a quell'età, solo che lo si capisce dopo, sa', quanto si sapeva da incoerenti.- e chiudo la porta, sentendo, poco dopo, la sua auto partire.
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