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17

"La vita meriterebbe di essere vissuta, senza una buona messinscena? E l'arte della messinscena, signore e signori, non è forse ciò che, tra miliardi di dettagli, distingue l'uomo dalla bestia?"



A volte mi chiedo se le persone che ci osservano ogni giorno, per strada, sull'autobus o anche di sfuggita allo sporco minimarket del quartiere, comprendano quante cicatrici ci siano dietro anche solo ad una parola.

Mi chiedo se noi -- persone che sono fatte di materia e una densità paradossalmente divertente -- ci spieghiamo la maggior parte delle cose che guardiamo, sentiamo o, silenziosamente, viviamo.

Se quando siamo a tavola siamo davvero attenti l'un l'altro alle pieghe assunte dal viso, alla postura (che per la maggior parte dei casi neanche a pagarsi è eretta) e se si dicano, almeno una volta nella lunga vita, che le persone sono perfette in questo modo.

Se, invece di soffermarsi sul taglio dei capelli, sul trucco eccessivo posato sulle guance o sulla marca dei vestiti -- a scommetterci che l'altro li abbia comprati tra le pezze -- ci ammettiamo davvero che il mondo va così.

Che questa finzione fa esilarare e che tutto ha quell'equilibrio malsano che solamente una bugia sa reggere.

Non sta a te, tenere su un mondo, ti convinci che ha le fondamenta per mantenersi saldo, ma noi lo calpestiamo, questo mondo. Imprimiamo fra le strade, tra i terreni, le case o quant'altro, cosa siamo e più volte mi sono soffermata su quanto alcune strade sembrano più solitarie di altre.

Alcune volte, in autostrada, notavo quanto essa fosse spenta, abbandonata, seppur attraversata. E poi poof, c'è traffico, c'è vita. Tutto sta a quanto osservi e a quanta attenzione, poi, doni veramente.

Se non ci si riflette abbastanza, mi auto convinco che il mio farlo, basti per tutti ; i posti prendono quanto noi diamo, una strada attraversata senza ammirazione, con sola e discostante ingratitudine, non potrà ributtare su altri, niente che non sia l'insolenza con la quale è stata percorsa.

E così siamo noi. Getti giù cattiverie una volta, poi qualcuna in più, e la finzione cessa di pavoneggiarsi in tutto ciò che si compie e resta solo quello che, da sola, non hai saputo tener su; tu sei sempre la stessa, è come appari a frantumarsi ogni attimo d'attenzione che poi, infinitamente troppo tardi -- è sempre troppo tardi, non pensiamo di scamparci, a questa legge rigorosamente costante -- a quando andava fatto.

Ri-sfoglio il dizionario con velocità fra le dita, mentre sto col capo chino a cercar parole per tradurre questo latino che è stato rimandato fino a che sono le dieci di sera.

-Sarà ora di mettersi su, no? Domani ti interroga.- ho detto a me stessa, ignorando mia zia che russava sul divano e ho trascinato lo zaino e il vocabolario fino al tavolo della cucina, accendendo quella luce giallo zafferano, provando a mettere in costruzione qualche parola.

-Studi lingue morte.- una volta mi hanno affermato dinanzi ed io mi sono ricreduta solo, appunto, studiandole. Che le lingue sono come le persone e i posti, se ci dai la giusta attenzione, loro brilleranno di qualcosa che per ora mi appare solo come una cultura tutta da sapere. Brilleranno non da meravigliarti e farti stare con la bocca spalancata, ma te ne accorgerai da sola.

Cerco un'altra parola, evitando di proposito la vibrazione del mio cellulare posato sull'isola della stanza calda per i termosifoni accesi.

Sento zia divincolarsi dallo stringere della coperta che s'è messa perché sul divano sente freddo e per guardare la televisione solo lì sta comoda, mentre un altro ronfo prende largo fra le sue labbra.

Donna incantevole, zia Maddalena. Dai lineamenti sempre da viversi e non diresti mai, a guardarla con superficialità, che porta tanti fardelli sulle spalle.

Non diresti mai, a guardarla, che è sempre stata messa da parte per amore di un'altra sorella. 

L'altra aveva la bellezza, la posa, l'equilibrio. L'altra era desiderata, l'altra lavorava mentre studiava e l'altra era la maggiore. Lei aveva dalla sua parte solo i suoi amati libri e ammetteresti, se guardassi un po' più a fondo, ma leggermente, che ha avuto da fare con quelli.

Maddalena Rossi appare certamente come un forte albero che è stato maneggiato con la cura necessaria, ma s'è avvilita parecchie volte per essere all'altezza di una che poi si è ridotta a fare la prostituta.

-È che non doveva nascere, tuo nonno non la voleva; mi ha costretta ad una gravidanza nel letto. Con tua madre è stato più facile.- testuali parole di nonna, mentre mi spingeva sull'altalena e non te le aspetteresti mica. Buon anima non c'aveva visto proprio bene fra le figlie. E se, probabilmente, non avessero accresciuto, lei e il nonno, in tal modo, l'ego della prima, i fatti avrebbero avuto svolta diversa.

Sollevo il capo dal testo di Cicerone e noto che il telefono suona ancora, tutto lí solo, che lo ignoro spudoratamente. Non guardo chi chiama, ne ho una minima idea. Oggi avremmo dovuto passarlo assieme, ma di certo non è andata come avrebbe dovuto.

Non so esattamente cosa mi pesi sull'anima, più di ventuno grammi e questo è certo.

Mi alzo, una volta osservata zia scoprirsi completamente e rabbrividire nel giro di qualche minuto. Le riporto la coperta sulle gambe e vedo che il viso si ripiega nella gentilezza della cortese gratitudine e l'ammireresti questa donna, se guardassi realmente con attenzione.

Donna incantevole, ripeto, e più signora di mia madre. Non me l'ha mai rinfacciato, però, che le somiglio, e mi ha sempre raccontato che ognuno si segna con le proprie capacità e che non è qualche lineamento a farne da padrone.

Non ricordo neppure se abbia mai portato un uomo in casa, da quando ci sono. Ogni notte è stata qui, da sola, senza farmelo pesare e non è giusta, né tanto meno esatta, la mia intolleranza verso ogni persona, quando il dolore vero non posso dire di averlo conosciuto.

Spengo col telecomando la televisione e le aggiusto il cuscino, tornandomene in cucina, ri-ignorando il telefono.

Quarantadue chiamate, non è che ho portato il conto, le ho solamente numerate. Non che ci tenessi, ma lui pare spingere affinché io ci tenga -- e no, sono una pessima bugiarda. Certo che ci tengo, poco, ma ci tengo. Quanto necessario per non ignorare i suoi insistenti tentativi. Si arrenderà, però, fra massimo qualche giorno, ed avrò avuta ragione.

Risiedo, tornandomene a concentrarmi su quelle righe complesse finché la sedia, qualche minuto più tardi, non viene scostata -- quella esattamente di fronte a me -- e decido di non aver abbastanza attenzione da dedicarle.

-Dovresti imparare a chiudere la finestra.- la matita masticata mi cade e faccio persino fatica a scattare, col dizionario tra le dita.

-Vai via.- non altra parola o rischierei di perdonare ciò che nemmeno ha fatto -- e dovrei scusarmi io, anzi ! Ma le scuse non mi piace riceverle, figuriamoci porgerle.

-Non finché non ammetti che mi ignori solo perché ti sei detta che. . . Non lo so cosa cavolo ti sei detta, ma mi ignori da più di ventiquattro ore e voglio sapere.- lo sussurra, lanciando qualche occhiata, mentre parla, a zia Maddalena stesa sul divano, preoccupato, evidentemente, che si svegli e trovi un estraneo in casa, seduto a tavola con sua nipote, alle undici di sera, quasi.

-Non ti sto ignorando.-

-Sei una lurida bugiarda.- ed allora chiudo di scatto il dizionario, dandogli quello che s'aspetta : lo guardo dritto negli occhi e ci vedo solo della mia ingratitudine, ancora, dopo che mi smonta, con lo sguardo color cacca di cane, tutto il mio mondo fatto di false prospettive.

-Ti ho detto di no.- riporta una mano sotto al tavolo e il telefono vibra di nuovo, per analisi dei fatti, nemmeno lo guardo.

-Lo hai fatto per abbastanza tempo che è automatico ignorarlo !- si spinge troppo oltre con la voce e zia si lamenta, potrei immaginarmela storcere il naso.

-Ho il ciclo.-

-Bugiarda.-

-Non lo so perché ti ignoro.- non mi aspetto che ci creda, anche se è l'affermazione piú vicina alla realtà che potessi pronunciare. Stringo le mani alle braccia e muovo freneticamente i piedi sotto al tavolo. Lui mi osserva, poi guarda le penne e sa che mi infastidisce, ma che per ora non ho l'adrenalina per spiegarmi ed occuparmi delle asimmetrie e le allinea, al posto mio.

-A questo potrei crederci.-

-Potresti ?-

-Errato, ci credo. Sei una babbana del cazzo.- non sorride, non vuole insultarmi e misura le parole come se stesse scherzando. Ma ha lo sguardo flaccido e sgorgante di freddezza, non è il suo solito sguardo.

E poi stiamo per un po' a fissarci, prima di -Sai cosa? Nemmeno ti scusi. Stai ferma lí a morderti il labbro superiore -- che per la cronaca, ci si morde quello sotto -- e non biascichi nemmeno una motivazione o altro. Perché sono ancora qui?- si altera, ma non alza la voce. Sento che ha il tono pronto a svestirlo, togliergli tutti i veli con cui dà manforte alle sue corazze.

-Sei testardo. .- lo pronuncio solo perché sono abbastanza viziata dalle mie convinzioni, che non può aver ragione.

-È sempre colpa degli altri, vero? Mi ignori per ore, nonostante ti cerchi e ti chiami fuori scuola, solo perché sono piuttosto introverso e quel ragazzo mi ha preso alla sprovvista ! Per te, invece, è come se avessi voluto trattarlo male o, peggio ! Peggio, perché sei dannatamente convinta che io indossi una maschera con te. Ed indovina, ragazza, non c'è una maschera qui, mentre ti dico queste cose !- aumenta il timbro, l'agitazione gli trasuda dai lineamenti e divento sempre più striminzita davanti alla verità che, incessante, è come se tirassi i pugni per far uscire le budella.

-Io. . .-

-È così, non pensare sia stupido.- scatta e si strugge le mani, sollevandosi e standosene in piedi, per consumare adrenalina. Gli si sono arrossate le guance, non la controlla, questa rabbia.

-E perché sprechi tempo se sai che sono così?-

Che se ne combinassi una buona, per ogni volta che straparlo senza pensare a quel che perdo, mi ferirei la metà delle volte.

-Perché, a volte, qualcuno è semplicemente differente con qualcun'altro. Questo qualcun'altro non gli appare davanti all'improvviso e non gli vuole stringere la sinistra.- inveisce, trattenendo le urla che vorrebbero sgorgare dalla sua bocca.

-Non l'ha fatto di proposito.- e qui non mi trattengo, mi pongo, per quanto possibile, alla sua altezza, e cerco di reggere i suoi occhi diversi. Mi fa paura, questo Jacopo.

-Cresci, Ce'.- Ce'. Ce'.  C'è che se ne va, alza semplicemente i tacchi e mi lascia in cucina, che mi siedo e mi verrebbe da battere la testa al tavolo, per la rabbia. Mi verrebbe di urlare per davvero e dirgli che sono insicura, io ! Io, insicura. Che alcuno lo capisse, qualche volta, che esce incertezza da ogni mio poro e che ho bisogno di farmi male, prima di imparare.

Che io, non che sia dolore, sono una di quei paesaggi che mai nessuno si è sforzato di osservare con la giusta attenzione. Complicata, irrealizzata (ho solo diciassette anni, poi, che novità essere irrealizzati a quest'età), troppo simile ad una persona, per esserne un'altra. E tutto questo è contornato da un bel lieto fine -- che tanto, il sarcasmo non appesantisce il tutto -- ed io dietro l'ombra di mia madre ci sto bene. Sono mezza vuota, come lei, non mezza piena. Vederle mancanti, le cose, fa bene all'anima.

O solo male e questo dolore è proprio dell'età che se lo percuote. E quindi mi ritrovo a piangere su una versione di Cicerone che parla di quanto il senato fosse fatto a modo suo.

Non mi disturbo a contenermi, zia russa e si muove nel sonno; io chiudo tutto e lascio lo zaino lí, dimenticandomi che sono solita portarlo in stanza. 

Spalanco la porta e la batto per farmi sentire dietro di me. Mi tuffo sul letto, ancora vestita e completamente prevenuta su quelle che sono le mie convinzioni solite, mi hanno dato abbastanza problemi. Non piango più, lo faccio per poco perché non è da me.

Prima il danno e poi la beffa, come si suol dire, ed entrambe le finestre hanno le tapparelle alzate; la mia, al suo contrario, è aperta e mi alzo per chiuderla, odio il freddo che ne entra.

Lui sta fermo sul suo letto e nella sua stanza tre volte più piccola della mia, mi perdo nel guardarlo, lui finge di non notarmi.

Sta sistemando quel suo blocchetto vecchio e disordinato, mentre con le gambe smuove la coperta a quadri che ricopre il materasso.

Mi giro intorno nella stanza, poi trovo un quaderno inutilizzato ed afferro velocemente una penna, sedendomi sul letto.

Sono stupida. Ce lo scrivo che si legga ed anche bene, poi lo sollevo e non so come, ne perché, ma so che lui lo beccherà nella traiettoria visiva mentre starà fingendo che io sia invisibile.

E lo fa, mi becco un suo sorriso assente, poi sparisce dalla mia vista e mi rigetto sul letto, a peso morto, con la felpa che ora mi fa stare troppo al caldo.

Ma, come io lo sapevo, lui altrettanto e mi spingo a rialzarmi, dopo qualche minuto, solo per assicurarmi che davvero non mi abbia risposto. Ma invece Ti sto ignorando.

Mi affretto a rispondergli, con un sorriso ebete sul volto a prender largo. Mi arrogo di definirlo solo stupido, non spontaneo. 

Mi dispiace. Lo alzo e questa volta il sorriso non è forzato, ma il suo. Quel sorriso è ciò che ti fa dire che si tratta di Jacopo.

Ti ignorerò ancora per un po'. Lo alza fra le mani e mi viene da ridere. Genuinamente, non per altro.

Per tutta la notte? scrivo e lui annuisce, scrollando le spalle.

D'accordo, buonanotte. Lui mi fa un cenno ed io mi alzo, abbassando la tapparella, mentre lui fa lo stesso, e per andarmi a dare una sciacquata.

Riprendo il telefono e mi infilo il pigiama, dopo aver perso abbastanza tempo per arrivare alla mezzanotte.

Solo che tutto è strano, a volte, tutto è come un non luogo che sta lí e tu lo guardi appena, ed esso si intristisce assurdamente.

Spazzolo i capelli e spengo le luci, zia sta ancora lí a dormire e domani lamenterà dolore all'ernia, vorrà dire che l'ascolterò, per una volta.

Io, invece, mi infilo nel letto, dicendomi che solo se fosse diverso, non ci butterei tanto le forze, in determinate sofferenze fasulle.

Do un'ultima occhiata al cellulare e noto, oltre le tante chiamate, un messaggio e lo apro Abbiamo fatto come Taylor swift, te ne rendi conto?

Rido, coprendomi gli occhi con le mani : Non dovevi ignorarmi?

Intendevo domani notte. Allora sorrido, ancora, prima di spegnere il cellulare e cullarmi nella consapevolezza che qualcosa si stia muovendo.

Solo che, solo che -- solo che ! Solo che se non ci pensassi, lo vivrei meglio !

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