12
"Esito ad apporre il nome, il bel nome grave di tristezza su questo sentimento, del quale la noia, la dolcezza mi ossessionano. È un sentimento così completo, così egoista che io quasi me ne vergogno mentre la tristezza mi è sempre parsa onorevole. Non conoscevo lei, ma la noia, il rimpianto, e più raramente i rimorsi. Oggi, qualcosa si ripiega su me come una seta, snervante e dolce, e mi separa dagli altri."
-E adesso Celeste quanti anni ha?- un ennesimo risolino che mi stizza, arrogante come pochi, che sta tutta lì, bella, ad esibire quello che è. Niente, vuota; persino la dialettica è scarsa.
-Ora va per i diciotto.- mia zia cerca di essere più gentile ed educata che può, cerca di sorridere e pare che con queste donne si trovi più che bene.
Seduta al tavolo con facoltose -- che tanto, alla fine, dimostrano l'esatto opposto -- donne che si congratulano con la fantastica Maddalena per il miglioramento sul posto di lavoro.
Un aumento, un incarico di maggiore importanza o quant'altro, non una scusa per sfoggiarsi in tanta fallace mancanza di ragione.
Grazia, mi sembra faccia nome la bionda dalle labbra grandi, che sorride e basta. Sorride e si aggiusta la camicetta sul seno, non vorrà mica apparire sconcia. Sorride e si libera in mosse divertite e derisorie verso ciò che viene detto.
Silvia, la più raffinata. S'è subito piazzata il tovagliolo sulle gambe per salvaguardare quel suo bel completo blu troppo stretto, ma l'ho vista raccogliere una cozza che l'era caduta addosso e mangiarsela. Dai capelli neri ed il viso scavato, unisce sempre le mani davanti a sé e cerco di non ridere troppo quando si finge abbastanza saggia da giudicare.
Carla, quella che di star zitta proprio non ne ha voglia. La più arrogante, sola nei suoi sensi di ego grandi quanto l'intero ristorante di lusso non lontano dal quartiere povero -- pieno di senzatetto, per giunta -- dove viviamo. Noi, ma anche loro.
Ed infine, Michelle, o, come la chiamano un po' tutti, la troia dell'ufficio. Quella che sì, a quanto deduco dalle occhiate, si scopa anche il capo ed è meglio tenersela amica. Tutta ben truccata, coi boccoli rossi che le cadono lungo la schiena e gli zigomi ben accentuati dal trucco.
-Mia figlia, l'altro giorno, mi ha portato un bel campionessa!- eccola, ancora. Ti pareva che non sfoggiava qualche altra parola di buon resoconto sulla sua famiglia Barilla. -Dovreste vederla, non mi dà neanche un problema.-
La sento, io, la frecciatina. E mica sono scema. Stringo la tovaglia nei pugni e mi trattengo dal non risponderle come quella stronza merita. Solo, fingo di non prestarle attenzione e porto un'altra forchettata di spaghetti e cala leggermente il silenzio.
-Quanti anni ha, cara?- è Michelle a togliersi il dente per prima, spezzando quel bel filo teso di tensione che si palpita neppure a pagarlo.
-Sei.- sorride, fiera.
-Quando se la ritroverà con un piercing mi chiami, così vedremo se le darà o meno problemi.- e no, a star in silenzio e a mangiarmi la foglia, proprio non riesco. Sento una forchetta cadere e qualche respiro smozzarsi. Non alzo lo sguardo e porto altri spaghetti alla bocca, pulendomela un attimo dopo e guardando, compiaciuta, le loro belle facce sconvolte.
Una risata, poi un'altra. -Scherza, lasciala stare. Pessimo umorismo.- riscatta la figuraccia mia zia e -Il mio umorismo non è mai pessimo.- mi arriva un calcio sotto il tavolo e decido che per ora è abbastanza; porto il bicchiere d'acqua alla bocca e me ne sto ferma a sorridere sotto i baffi.
Anche Carla finge che le stia bene il mio scortese e non ben fatto umorismo. Storce solo il naso e si fa versare da Grazia del vino, solo per attutire la risposta da parte di una diciassettenne dalla dubbia moralità.
-Come mai hai tanti buchi all'orecchio?- cambia discorso Silvia, senza rendersi conto che sempre lì stiamo.
-Pensavo mi stessero bene.- e nemmeno mi disturbo a coprirli, vorrei aggiungerlo, ma do un termine al tutto con un semplice sorriso flaccido.
-Sembrano dolorosi--
-Cafoni, più che altro.- ed eccola, la succulenta risposta di una quarantenne con le mestruazioni; che poi, ad essere sincera, me l'aspettavo. Mi domando solo perché ci abbia messo tanto a sopraggiungere. Non le do una risposta, che tanto già si sta gustando il suo delirio esistenziale che le affonda la testa nella sua abituale voglia di sopraffare l'altro. La capisco, da un po' Carla, piuttosto imbarazzata per i tradimenti costanti del marito e sfoga le sue inettitudini su chiunque, anche solo si mostri, inferiore a veleno di lei.
Ma io di veleno ne ho abbastanza da litigarci tutta la notte con questa donna, solo che gradisco farle credere di averla vinta, limitandomi a far finta di non darle conto.
Credo arrivi il secondo, nel mentre, perché sono presa dalle chiacchiere che persistono, nonostante lo scambio di risposte avvelenate di poco prima. Non le ascolto, gioco col tovagliolo sulle mie gambe e lascio i capelli cadermi in avanti, terminando per farmi inghiottire da ciò che mi rotola attorno e non mi alliscia, neppure di poco, le angosce. Quelle che per una donna matura, quando le rivedrò nei vecchi ricordi sbiaditi, poco avranno conto; quelli che ora pesano sull'anima maledettamente tanto: e non le plachi. Lo smonto il piccolo palcoscenico del piccolo eroe salvatore più dannato di te che ti farà stare bene.
Niente fiori o farfalle in questo mondo, solo sane e felici delusioni.
-E Celeste quanto ha di media?- sento solo questo, l'indiscrezione fatta a domanda falsamente ingenua e di cortesia. Scatto eretta e mi rivolgo alla voce, incenerendola con lo sguardo.
-Beh. .- comincia zia, ma mi arrogo la briga di dare una lezione alla signora troppo sicura di sé.
-A dirla tutta, ho una media che va all'eccellente.- non c'è gentilezza nel mio tono, solo del perpetuo e disadatto insegnare ad un'eccentrica figlia di papà troppo in avanti con gli anni.
E di nuovo quel soffocante silenzio pare celarsi in tutto il locale. Che poi il tempo passa eh, non che non lo faccia. Lo fa e lo sento peggio di quando fumo fra le tre e le cinque canne.
Tutte omeomerie fastidiose che fluttuano fra me e i pregiudizi che mi infastidiscono, non tanto diversi da quelli che io stessa sputo con maturità non impeccabile e viaggiano ad una velocità tante da disgraziare l'organismo.
Zia si passa una mano nei capelli e tocca il suo bel vestito rosso fuoco, standosene ferma con lo sguardo basso.
Grazia si mangerebbe le mani per l'imbarazzo della faccenda e Silvia cerca di non dar troppo l'occhio al nostro tavolo, che sarebbe certamente inopportuno.
-Non me l'aspettavo. Tua mamma non era granché a scuola.- risponde, ancora. Porta un bicchiere di vino alle labbra e sa di aver fatto centro. Questa donna è stata programmata per spingere e farlo ancora, senza dei cavolo di limiti ad impedirle di ferire o ferirsi. Coi capelli mori ben raccolti e la faccia tutta bella e truccata, mi sfida per darle del buonsenso. Io, a diciassette anni -- che sono gli unici anni che sogniamo e che siamo capaci di immaginare -- le dovrei dare qualche lezione di vita scorretta, perché non c'ho l'età, la maturità -- sì, forse, appena, delle esperienze.
-Chiedo scusa, ma avrei bisogno di tornare a casa. Mi duole la testa e quest'aria mi sa di sudaticcia di arroganza.- con un bel ancheggiare di fianchi e smuovere di sedie, dono un'occhiata rassicurante a zia che sa, ha capito, e sorrido al resto della bella combriccola e -Buonasera.-
Poi, prima che me ne esca completamente di scena, regalo un -Poi, magari, ne riparliamo, Carla.-
Li sento, io, i commenti, ma gradisco farmi uscire qualche lacrima mentre indosso la giacchetta leggera e faccio marcia indietro verso la mia monotona e sicura solitudine.
Mi asciugo le guance con i polsi ed ingoio più lacrime di quelle che riesco, divenendo una ragazza barcollante, di venerdì sera, in una via poco raccomandabile.
Non me le aspetto, io, certe cattiverie. Che la vita me ne ha fatte abbastanza per la mia età, non sorge dubbio; che debba aspettarmi, ogni volta che tento di starmene tranquilla, di peggio, forse il dubbio mi sorge.
I tacchi mi procurano dolore ai piedi già tutti storti e me li tolgo, appena arrivo sul marciapiede che porta a casa mia. Cammino con i tacchi che strisciano lungo il vestito ed il senso di inappartenenza che mi percuote il sangue.
Non sono pronta per le cattiverie che il mondo ha da offrirmi, ci rifletto mentre cammino per la strada che la illuminano manco per il cazzo, e preferirei non farmi sempre così grande e forte, che l'impatto mi disintegra ogni volta di più.
Quando arrivo sotto il portone di casa, tre isolati dopo, i piedi mi bruciano e realizzo di non avere le dannate chiavi con me, come mio solito.
Bestemmio, colpendo col pugno il portone, rendendomi conto che sono anche le undici, nessuno mi aprirà.
Se mi piacciono i complimenti, è anche vero che in questi momenti dei buoni insulti ci vorrebbero. Che non arrossirei, cazzo, ma di sicuro annuirei consenziente.
Apro la borsa scomoda e mi accorgo che il cellulare, da perfetto geniaccio disorganizzato e mai avvertito, ho dimenticato anche di caricarlo! -- che poi, dicono, il danno e la beffa.
Sospiro, imprecando sottovoce e raggiungendo l'ipotesi che io abbia lasciato la finestra di camera mia aperta e mi tocca arrampicarmi, giusto per provarle tutte.
Cammino per il retro del palazzo, appendendomi alla ringhiera e tirandomi su, sporgendomi, seguentemente, per prendere scarpe e borsa, con tutti gli sforzi possibili per non cadere giù.
Mi aggiusto la scollatura disinibita del mio vestito nero e comincio a correre lungo le scale antincendio, notando, piacevolmente, che la finestra è leggermente aperta.
Mio rammarico e sorpresa, sempre per la suddetta distrazione, mi ritrovo una figura sul pianerottolo delle scale a fumare.
Non metto a fuoco alla prima, ma poi -Guarda chi si rivede.- mi affogo in un respiro, riconoscendo il tono fragile, ma marcato. E lo scorgo, appena si sposta di poco, con i suoi lineamenti e le lentiggini al visto. Scorgo, con abbastanza rammarico, che sta fumando e mi sfuma il suo perbenismo innato.
-Ciao.- divento così, nella frazione di qualche minuto, dalla ragazza che cammina per le strade poco illuminate senza scarpe, alla ragazzina che tiene delle scarpe in mano su una scala antincendio ed un finto moralista che la guarda.
Che poi, no, non finto. Che i moralista, a discapito del mio recente cambiar teoria, son tutti i più grandi truffatori dei codici scritti che impongono. Scritti, poi, da loro. Da loro che dicono, fanno, dimostrano -- certo, poi si contraddicono.
-Perché non hai le scarpe?- me l'aspettavo una domanda del genere, da lui. Rido solamente, alzando le braccia e scrollando le spalle; il momento non potrebbe essere più ridicolo di questo.
-Ti stavano scomode?- prende un altro tiro e caccia fuori. Si nota il pomo d'Adamo.
-Abbastanza.-
-Perché le hai comprate?-
-Me le hanno comprate.-
-Povera piccola-- e no, Jacopo, stanotte non ti lascio buttarmi a terra con la tua solita supremazia alimentata dal superficialismo e dal falso moralismo.
-Ascoltami bene, stronzetto.- schizzo, interrompendolo, ed alzando una mano verso di lui -So che sei tutto bello ed abituato a sputare giudizi su ciò che tu non sei, non fai e non dici! Perché no, non osare interrompermi! Tu sputi tutti questi bei giudizi che potresti tranquillamente metterteli da un'altra parte. Prima te ne esci che fumare fa male, ed ora stai qui a fumare delle sigarette --e sono rosa! Sigarette Malboro rosa che costeranno il triplo! Poi, mi accusi di essere viziata e nemmeno mi conosci. Ora, proprio qui, quando nulla di scortese, ancora una volta, ti ho rivolto, mi stai insultando! Sai una cosa, Jacopo? Non pensavo di aver qui davanti a me, il ragazzo senza peccati a cui tutto può dar fastidio! Se proprio ti interessa, mentre scuoti la testa e ridi scortesemente, ti dico che io vivo in questo buco di casa dietro di me- e lo indico, approfittandone per prendere un pizzico di aria per il mio monologo assurdo -e che ci vivo con mia zia, non con i miei genitori super ricchi. Nemmeno li ho, io, i genitori! Non qui, almeno. Quindi, prima di sputare cattiverie su chiunque solo perché hai paura che vengano dette su di te, riflettici perché tutti hanno dei sentimenti!-
Sento le lacrime uscire e le tonsille bruciarmi in gola, ma concludo, perché devo -E non indosso tacchi perché ho camminato per quattro dannati isolati dopo che una quarantenne mestruata con dei cazzo di petardi sotto il culo mi ha offesa! E allora, Jacopo, dimmi, cosa stavi per gettarmi addosso col tuo menefreghismo?- sembra che lo abbia sorpreso, quasi senza parole o fatti da dimostrare. Butta a terra la sigaretta a metà e mi guarda, mentre prendo dei respiri e mi siedo a terra, buttando i tacchi giù dalle scale.
Stiamo zitti per qualche minuto, poi lo vedo alzarsi e scendere dalle scale. Meglio che se ne vada, se non ha da dire cattiverie gratuite, non pare nemmeno lui.
Mi stringo le ginocchia al petto e mi preparo allo starmene tranquilla, che c'ho il battito che fra un po' mi spezza il petto.
E poi sento un rumore davanti a me ed una presenza sedersi. -È un peccato buttarli.-
Alzo la testa e sorrido, guardandolo appoggiarsi alle ginocchia e osservarmi.
-Vivi davvero qui?-
-Già e, a rendere il tutto più drammaticamente ridicolo, ho anche scordato le chiavi.-
-La chitarra si scorda.- non c'è cattiveria, solo del brutto umorismo e lo apprezzo, ridendo con lui.
-Tu, invece, vivi lì?- indico l'appartamento dietro di lui con un cenno.
Annuisce e pare pronto per parlare.
-Non ho intenzione di chiederti come mai.- non sono irrispettosa, io. Avrò la lingua lunga, la voglia di bere o uscire esagerata, ma non sono mancante di rispetto. So che quella dietro di lui è una casa famiglia e lui mi ringrazia in un sussurro.
Abbasso lo sguardo sulla sua mano sinistra: l'ha coperta, ovviamente. Il rincrescimento mi assale e punto sullo scusarmi; ferirò un po' di meno lui e mi sentirò più libera, io.
-Mi spiace per l'altro giorno. . Non avevo idea che, sai. .--
-Avessi un'orrida cicatrice su tutta la mano?- il tono sarcastico ed un po' rancoroso. No, ma non verso di me. Verso il come, il perché, il quando. Forse un tantino nei miei confronti per averglielo ricordato.
-Non è orrida.-
-Io penso di sì.-
-È solo tua, e tu non sembri essere orrido.- sorride.
E sgancio l'ennesima bomba, perché di filtri, io, non pare che ne abbia mai sentito parlare -Come te la sei fatta?-
Dire che non me la ero riproposta, questa conseguenza, sarebbe una bugia. A rassicurarmi, è un'altra sigaretta rosa in bocca e lui che se l'accende.
-Sei da svelare, Celeste.- schietto, diretto, improvviso. Riporta la sigaretta alle labbra, agganciandosi alla sua cura -Un mese.-
-Un mese per cosa?-
-Un mese per scoprirti. Dammi un mese della tua vita ed io ti svelerò il perché della cicatrice sulla mia mano.- getta la cicca a terra, riaprendo il pacchetto con mosse fugaci e afferrandone l'ennesima con la bocca -Ci stai?-
E ci rifletto, da quando mi disse che fumare faceva male, a quando me lo sono ritrovato tra le notifiche Facebook. Che la vita sembra piegarci tutti.
-Ci sto.-
Lui non se lo aspettava, potrei dirlo. Schiude le labbra e butta la sigaretta, poi -Magari non vorrò saperlo.-
-Siamo tutti un po' ipocriti, Celeste.-
Annuisco e mi alzo, raccogliendo le scarpe ed aprendo maggiormente la finestra. Lui fa lo stesso.
-Quindi hai davvero la camera grigia.- ridiamo.
-Buonanotte, Jacopo.-
-Buonanotte, Celeste.-
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