Hamlet was a rapper
Guardò fuori dalle finestre dell'aula: era un'uggiosa giornata di novembre e piovigginava sugli alberi spogli lungo il viale della scuola. La vista sul grigiore della città non fece che peggiorare il suo stato d'animo. Leila sedeva imbronciata su una seggiola nei banchi di prima fila, unica alunna rimasta in classe mentre i suoi compagni schiamazzavano in corridoio durante l'intervallo. Dietro la cattedra, il professore la osservava: i lunghi capelli neri le incorniciavano un viso angelico, deturpato però dai piercing e dal trucco pesante. Quella maschera di volgarità ben si abbinava al top in pelle nera così attillato da non lasciare nulla all'immaginazione, indossato su un paio di jeans con più strappi che tessuto. L'aggressività di quel look sapientemente abbinato era però tradita dagli occhi umidi e confusi, che rivelavano il vero carattere di quella ragazzina: amava presentarsi agli altri come una specie di vampira ma, quando si lasciava andare a un sorriso, riempiva la stanza di una dolcezza infinita. Faceva supplenza in quella classe solo da poche settimane, ma aveva già avuto occasione di identificare quella studentessa come una delle più problematiche, proprio per questa sua abitudine di ostentare un comportamento ribelle spesso accompagnato da risposte sprezzanti. Il professore l'aveva osservata attentamente, sia durante le lezioni sia in compagnia delle sue amiche: quell'atteggiamento, secondo lui, era solo una facciata esteriore, che Leila sentiva il bisogno di recitare, anche se i motivi ancora gli sfuggivano. La studentessa era però intelligente: le rare volte che riusciva a farla intervenire nella lezione, la sentiva sempre pronunciare risposte ben contestualizzate, qualche volta addirittura sagaci. Qualche suo collega più anziano l'avrebbe archiviata come il classico caso che "ha capacità ma non si applica"; lui, invece no: non voleva liquidare quella ragazzina con lo stesso atteggiamento svogliato che ai tempi i suoi educatori avevano riservato a lui. D'altro canto, non aveva nemmeno le idee chiare su come aprire un reale canale di comunicazione con quell'adolescente che, chiusasi a riccio, puntava i suoi aculei contro il mondo degli adulti. Il professore sentì lo sguardo carico di disprezzo della studentessa fisso su di lui e decise di dare un taglio a quella pagliacciata. Si alzò di scatto, si sfilò la giacca e l'appoggiò sulla cattedra. Poi, preso un gessetto, tracciò sulla lavagna una lunga linea retta.
«Sai cos'è questa?» le chiese il professore.
Leila lanciò uno sguardo svogliato alla lavagna, poi tornò a fissare quello sfigato. La stempiatura gli accentuava ancor di più la fronte alta e, anche se cercava di darsi un tono hipster indossando degli occhiali con la montatura nera spessa, l'effetto era rovinato dal terribile completo che indossava, uno spezzato giacca e pantaloni color fumo di Londra, che sembrava preso di saldo nelle corsie non food di un grande ipermercato.
«Me lo dica lei» rispose Leila, con un tono di voce svogliato e l'espressione annoiata.
Il professore la guardò dritta negli occhi.
«Questa è la tua vita» disse.
Leila lo guardò perplessa, sforzandosi di soffocare una risata. Questo stronzo non sapeva più cosa inventarsi per fare colpo sulle ragazzine, pensò.
Il professore finse di non aver colto lo sguardo sdegnoso della sua alunna e spiegò la sua metafora: «Se non hai passato le ultime settimane in questa classe solo dormendo» esordì «dovrebbe essere entrato nella tua testolina il concetto di vettore, almeno per sentito dire».
Leila annuì, colpita da quell'improvviso impennarsi del livello di testosterone nella parlata del professore, di solito educata al limite dell'effeminato.
«La tua vita è come questo vettore» le spiegò «come questo vettore è al momento privo di una qualità fondamentale, così anche alla tua vita manca ancora una caratteristica chiave per darle un vero scopo.»
Leila ora ascoltava attentamente, stupita da quanto interesse era riuscito a risvegliare in lei il prof con quello scherzetto.
«E sarebbe?» chiese, cercando di ostentare un'aria superiormente disinteressata.
«Come vedi, questo vettore ha solo due delle tre solite caratteristiche che li contraddistinguono» spiegò, seguendone l'estensione sulla lavagna con il dito «è definito come modulo e direzione, ma manca la qualità senza cui queste due rimangono inutili.»
Leila si sentì fissata, come se il professore si aspettasse una risposta da lei.
«Il verso» mormorò a denti stretti.
«Brava» rispose il professore «vedi che, quando vuoi, le cose le capisci.»
Leila non seppe se prendere quell'ultima frase come una pungolatura o un rimprovero.
Il professore guardò fuori dalla finestra: la nebbia aveva ammantato l'edificio scolastico e riusciva a malapena a vedere fino al campo da calcetto.
«Come un vettore senza un verso è solo una direzione che non va da nessuna parte» concluse il professore «così anche la tua vita, finché non la definirai con un verso ben preciso, rimarrà solo una potenzialità inespressa.»
Il professore sentì il rumore della sedia che strisciava sul pavimento e si girò. Leila si era alzata e, afferrato un gessetto, aveva iniziato a scrivere qualcosa alla lavagna. Il professore le si avvicinò da dietro la schiena, ammutolendo dalla sorpresa, mentre leggeva quello che la studentessa aveva scritto sulla nera ardesia. Una spanna sopra la linea da lui disegnata, la ragazzina aveva inciso il famoso verso Shackespeariano: "essere o non essere".
Il professore trattene un moto di nervosismo.
«Cosa sarebbe questa stupidaggine?» le chiese, stizzito.
Leila lo guardò risentita: «Cosa ne sa lei di come ci sentiamo noi, di cosa proviamo ogni mattina quando veniamo qui?» esclamò «queste emozioni non le trova nei suoi registri».
Leila indicò la strofa Amletica con la mano: «Questo verso» spiegò «è il motivo per cui non riesco a dare alla mia vita un verso».
«Ragazzina!» tuonò il professore «questo non è un gioco!», e diede una manata contro la lavagna «qui non sei con i tuoi amichetti che puoi stupire facendo la rapper!»
Leila fece un passo indietro, spaventata: non aveva mai visto il professore così arrabbiato.
«Qui è la tua vita che c'è sul piatto» continuò il professore «e fino a che non deciderai in quale verso vuoi dirigerla, ti ritroverai sempre insoddisfatta e non combinerai mai nulla di buono.»
Leila si sentì ferita dal tono aspro di quelle parole dure. Non capì il perché di quella cattiveria improvvisa del prof, che di solito era mite come un agnello, e le venne quasi da piangere.
«Perché lei invece» protestò tra i singhiozzi «che ha saputo plasmare così bene la sua esistenza, quali risultati ha ottenuto!»
Il professore trasalì.
«Sì, dico a lei» urlò Leila sconvolta «viene qui a farci le prediche ma lei quale modello crede di essere per noi?» Il professore distolse lo sguardo, imbarazzato, mentre Leila tirava su con il naso. «Che cosa ne è stato dei sogni che aveva da ragazzo, delle sue ambizioni» continuò la studentessa «per cosa ha barattato tutto ciò in cui credeva, per un'utilitaria e uno stipendio da precario?»
Il professore rimase a guardarla, pietrificato. Leila deglutì, temendo di avere esagerato e attendendo con timore la sfuriata con cui il professore ora le avrebbe risposto. Ma il prof non si arrabbiò, anzi, si sedette su un banco con l'aria avvilita.
«È questo che pensate di me?» chiese alla studentessa «mi considerate uno sfigato che vi fa le prediche per sfogare le proprie frustrazioni?»
Leila rimase imparpagliata davanti al repentino cambio di espressione del prof, che ora le fece compassione. Avrebbe voluto scusarsi, ma le parole le morirono sulle labbra.
Il professore sospirò: «Non fa niente» disse, alzandosi «in fondo anch'io ero così alla vostra età». Il professore camminò verso la lavagna e prese il cancellino.
«Mi dispiace di essere stato così duro» si scusò con la ragazza «volevo solo farti capire che preferirei non vedervi fare gli stessi errori che ho compiuto io quando avevo i vostri anni.»
Leila assunse un'espressione stupita: «Allora, anche mister perfezione ha fatto degli sbagli?».
«Molti più di quanto tu possa credere» rispose, poi guardò la lavagna «e forse anche questo è stato soltanto uno di essi.»
Il professore fece per cancellare la riga che aveva disegnato, ma Leila lo fermò: «No, la prego, non lo faccia».
Il professore si girò verso di lei, guardandola interrogativamente.
«È stata la miglior spiegazione che abbia mai sentito in quest'aula» confessò Leila, prendendo un gessetto, e disegnò una freccia a un'estremità della riga.
«Ecco quello che mi aveva chiesto» disse.
«Sì, ma non basta disegnarlo su una lavagna.»
«È già un inizio» commentò Leila «anche se nella vita reale le cose saranno un po' più complicate.»
Il professore prese un gessetto anche lui, e disegnò una freccia all'altra estremità della riga.
«Ma così ci sono due versi» commentò Leila «uno tira da una parte, l'altro dall'altra: è come stare fermi.»
Il professore scosse la testa e sorrise bonariamente.
«Non lo definirei stare fermi» spiegò «quanto piuttosto essere in equilibrio.»
Leila sorrise: «Quello di cui abbiamo bisogno un po' tutti, o no?» concluse.
Sospirando, il professore aprì il cassetto della cattedra e le restituì il lettore mp3.
«La prossima volta che ascolti Eminem durante la mia lezione» le intimò «cerca almeno di non farlo a tutto volume.»
Leila prese l'Ipod e se lo mise in tasca.
«Non avverrà più, promesso» rispose.
Il professore tornò alla finestra, guardando fuori. Leila aveva ragione: era tanto bravo a fare le prediche agli altri, ma lui che casino aveva combinato con la sua, di vita?
«Sono ancora in punizione?» chiese Leila.
«No, vai pure» rispose il professore «ma ricordati l'esercitazione della settimana prossima.»
Leila uscì nel frastuono dell'intervallo, mentre il professore rimase immerso nel silenzio dei suoi pensieri.
Guardò la scritta sulla lavagna: un verso che non aveva verso. La definizione di Leila era indovinata, quella ragazzina aveva talento.
Forse anche lui avrebbe dovuto iniziare ad ascoltare un po' più di musica rap.
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