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Ho 24 anni e non ho un nome. Sono conosciuto semplicemente con la lettera "Q". Direi che è perfetto per quello che faccio: spacciare droga nella stazione locale; quindi è neccessario che nessuno sappia il mio nome di battesimo. Inutile dire che, ormai, me lo sono dimenticato.
È da otto anni che spaccio, da quando ne ho sedici, da quando ho abbandonato la scuola. Mi dicevano che sarei morto di overdose, eppure non mi sono mai fatto, nemmeno una volta. È così strano da dire, sì, ma poco importa.
Recentemente ho incontrato una ragazza molto particolare: ha i capelli ricci e lunghi, marroni scuro con le punte tinte di un rosso forte ma spento. Ha gli occhi grandi e di un azzurro così chiaro da sembrare bianchi. Lei è bellissima, ottima per quello che fa, ma al contempo è così fragile che è troppo diversa per questa tipologia di mondo. Non so come si chiama, non lo vuole dire, so solo che ha diciotto anni: così giovane, ma almeno lei ha finito la scuola.
Il suo lavoro è fare la prostituta.
Gira voce che sia la migliore fra tutte: fianchi non troppo larghi, seno prosperoso, sedere sodo, magra al punto giusto, bassettina con cosce abbastanza carnose. In più grida e geme in una maniera così eccitante che ti farebbe venire mille volte. O almeno questo è ciò che dicono, poi non so se sia vero. Io non ho mai speso un soldo per questi oggetti.
L'ho vista per la prima volta una mattina della settimana scorsa. Pensavo fosse una studentessa nuova e che si fosse persa, per cui mi sono avvicinato per darle indicazioni. Non aspettandomelo, mi ha chiesto con tono gelido «che servizio vuoi che ti faccia?» e lì ho capito. Ha confermato il tutto il Boss, che era dietro di lei, dopo aver appoggiato la sua grande e paffuta mano sulla spalla delicata della ragazza esclamando a gran voce «avete già fatto conoscenza eh? Vuoi essere il primo ad avere l'onore di ospitarla nella sua nuova casa? Ah no, giusto, tu non scopi le puttane. Peccato, sarò io ad averne l'onore» ed ha concluso con un'aspra risata. Lei ha sempre tenuto lo sguardo abbassato. Gli ho risposto solo con un sorriso tirato e poi ho continuato a camminare per prendere la droga che dovevo vendere.
Solitamente la si vende di sera, quando il sole è andato via ed in stazione ci sono solo quelle persone che vogliono divertirsi in modo sporco e sperare che l'angelo della Morte venga a chiamarli. Ma più i giorni passano, più questi perdono la speranza pure nella morte. Però di giorno bisogna andarla a prendere altrimenti si guadagna meno di zero, ovviamente cercando di stare alla larga dalla polizia.
Lungo la strada verso il clan che ci rifornisce degli stupefacenti non c'era nessuno, c'era solo lei. E l'ho vista. Stava seduta sulle panchine accanto ai binari. Li stava guardando. Scommetto la mia testa che voleva buttarsi. Il vento caldo le stava scompigliando i capelli rossicci. È una ragazza normale, non le daresti mai della troia, eppure in quei occhi di ghiaccio ci si nasconde il diavolo.
«Se ci tieni così tanto a scoparmi, basta dirlo. Non costo nemmeno tanto. Però sai, sentirsi continuamente osservati e seguiti non è così confortante» non si è mai girata.
Sono stato zitto ed ho continuato a camminare. Lei ha fatto una smorfia tra il divertito e lo scocciato, non distogliendo mai gli occhi dai binari.
«Se ti ci vuoi buttare, fallo, è inutile continuare a rimurginare su sé stessi per poi morire non avendo compiuto nulla» io mi sono girato.
Mi ha guardato con la coda dell'occhio per un secondo, poi si è alzata dalla panchina andando al limite della linea gialla per terra.
«Non farlo» ha espresso con tono calmo ma duro il Boss. «Puoi darci tanto, tantissimo». L'ha afferrata per il braccio e gliel'ha stretto. Lei non ha fatto una piega. Le ha detto qualcosa, non ho sentito, ed è tornata indietro probabilmente dalle altre prostitute. Successivamente, quando si è allontanata, lui mi si è avvicinato e mi ha tirato un pugno in piena pancia, facendomi sputare.
«Se tu vuoi morire non devi spingere gli altri a farlo solo per sentirti ricompensato. Del resto spacci droga: fattene una grossa e crepa, così siamo tutti contenti. In ultimo, lei è una mia merce e va trattata come decido io. Azzardati a farmi incazzare un'altra volta e sotto il treno ci finisci tu, hai capito bene?».
Chi tace, acconsente. Ma io non ero affatto consenziente.
Se n'era andato pure lui, sempre con quella risata malata, tossica ed acida, mentre io ho continuato a camminare con l'amaro in bocca per raggiungere l'altro clan. Ho continuato a camminare per riprendermi dal pugno. Ho continuato a camminare per la droga. Ho continuato a camminare per dimenticarla. Ho continuato a camminare nella speranza di morire.
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