Verde
Londra, ottobre di un anno prima.
"Ciao"
"Cosa ci fai qua?"
"Ho bisogno di te."
"Pietro, vattene."
"Non puoi buttare tutto così, cazzo. Non puoi, non te lo permetto"
"Sei tu che hai sposato lei, porca troia! Tu, non io. E adesso lasciami in pace."
"Io ti amo, Mario. Ti prego, ti prego."
"Non sai neanche cosa sia l'amore."
"Cinque minuti. Dammi cinque minuti, sono disperato."
"Cosa è successo?"
"Torna a Roma, Mario. Ti supplico torna con me."
"Non ho nessuna intenzione di tornare a Roma."
"Quindi mi lasci così? Pensi che mi ci voglia tanto confessare tutto? Penso che la polizia a Londra non ti possa trovare?"
"Mi stai ricattando?"
"No. Ti sto avvertendo."
"Tu non puoi tornare qui e mettere tutto sottosopra nella mia vita. Non puoi."
"Sì che posso. Lo sai che non hai alternative, Mario. Prendi le tue cose e seguimi. Abbiamo un volo tra due ore."
Roma, ottobre di un anno prima.
"E' l'ultimo colpo, dopo di questo mi tiro indietro, Pietro."
"Sì."
"Siamo sicuri che sia tutto sotto controllo?"
"Ho disattivato le telecamere e il sistema di allarme. Vai, Mario."
Indosso il mio passa montagna e mi avvicino a passo furtivo verso l'edificio dove dobbiamo attuare il nostro ultimo colpo. Gli altri due ragazzi mi seguono, ma come sempre, il lavoro peggiore spetta a me.
Entriamo, e tutto procede secondo i piani. Ma sta volta il negozio non è vuoto come noi ci aspettavamo, ma ci sono delle persone all'interno. Per fortuna ci eravamo preparati anche a questo. Urla, panico, ostaggi, pistola puntata contro, mentre gli altri svuotano la cassa. Adrenalina, paura, i minuti che passano fino a quando qualcuno alle mie spalle mi tira un calcio e la mia pistola finisce in un punto indefinito nella stanza.
Inizia una lotta, ma io sono stanco di lottare, quindi più che reagire alle mani dell'uomo che cerca di strangolarmi, resto passivo, chiudendo gli occhi. Fa che sia veloce. Tanto l'ho saputo dal primo momento che sono entrato dentro la gioielleria che questa volta non l'avrei fatta franca. Questa volta non si tratta di un fruttivendolo, di un piccolo di negozio, svaligiato in orario di chiusura, no. Questa volta ci sono bambini, ostaggi, gente innocente. Anche se le telecamere sono spente, non ci metteranno molto le autorità prima di intervenire.
E va bene così, se devo passare anni in carcere, forse è meglio chiudere gli occhi per sempre. Quanti problemi si risolverebbero se solo io lasciassi questo mondo, meno dolore, meno tormento, speranza di una pace. Come lessi una volta da qualche parte, morire è facile, vivere è molto più difficile. Soprattutto quando hai destino segnato e nessuna possibilità di rialzarti.
E mentre sorriso, quando vedo la vista annebbiarsi e i sensi abbandonarmi, a causa dell'aria che fa fatica a salire, che sento uno sparo.
Uno, sordo, e il mondo si ferma. Le braccia dell'uomo lasciano il mio collo, un urlo strozzato che si diffonde nella stanza.
Apro gli occhi e se non sono morto, questo però è davvero l'inferno. Quello reale, quello vero.
Mio fratello, quella stessa mia arma in mano. La gente che scappa e lui che guarda me mentre piange.
"Va tutto bene, va tutto bene." gli tolgo quella pistola dalle mani, alzo il suo mento e lui si butta tra le mie braccia.
"Mario." sussurra tra le lacrime.
"Shh, va tutto bene. Corri via e non dire niente a nessuno. Ci penso io qua. Vai." e lui stravolta mi ascolta.
Roma, Case Circondariale, 10 febbraio.
"Dichiaro il detenuto 881329, Mario Serpa, accusato di tentato omicidio e furto multiple aggravato a tre anni e due mesi. Così è deciso, l'udienza è tolta."
Roma, tre anni e due mesi dopo.
29 novembre.
«Mi raccomando.» braccia che mi stringono, si congratulano con me. Sguardi di amici, conoscenti, gente che ho incontrato in questo mio cammino. Occhi e sorrisi degli altri detenuti dietro le sbarre, strette di mani da parte dei dipendenti. Ho gli occhi lucidi e quasi mi dispiace lasciare tutto e partire. Ma questo è il mio giorno. Esattamente dopo nove mesi di reclusione, più altri tre anni e rotti che mi hanno dato dopo l'udienza definitiva, io sono libero.
Sono quattro anni che non vedo il sole.
L'ultima volta che ho respirato l'aria pulita è stato quando un ragazzo conosciuto anni fa, è inciampato nel mio cammino. Allora ero solo troppo giovane e troppo sciocco, ma quel ragazzo mi ha salvato la vita. E' grazie e lui se sono diventato la persona che oggi sono.
Tremo ancora al suo ricordo. Tremo ad immaginare i suoi occhi più verdi dei fili d'erba di un prato primaverile. Tremo e un sorriso genuino mi si dipinge sul volto.
Claudio non ha mi ha abbandonato, così come io gli avevo chiesto. Ha lasciato un piccolo raggio di sole che è venuto a farmi compagnia nei momenti in cui credevo di non farcela, dove avevo toccato il fondo e non riuscivo più a risalire a galla.
E poi bastava una tenera e timida luce che entrava dalla finestre per farmi tornare a respirare.
Lui, che per me era oro. Io, che l'ho custodito dentro di me, come se fosse la cosa più facile al mondo. Come la cosa più preziosa. Non ho pianto per lui, non l'ho più fatto dopo la nostra ultima volta. L'ultima volta che l'ho visto, quel lontano Natale, dove stringeva le mie mani e mi diceva che c'era e che mi aspettava.
E lo so che sono stato io a non farmi aspettare, sono stato io a lasciarlo andare. Non me ne pento, era la decisione migliore per noi.
Continuare a stare con Claudio avrebbe significato solo altro male, perché lui si sarebbe accontentato di una relazione a metà, avrebbe sofferto la mia mancanza, il fatto che non poteva portarmi nella sua vita, non poteva vivermi.
E io come potevo negargli il sole? Come potevo negargli le colazioni a letto, i pranzi al volo nei fast food, le cene a casa la sera, le uscite, le passeggiate a chiaro di luna, le notte in discoteca o quelle passate a rotolarci nelle lenzuola per fare l'amore? Come potevo donargli un cielo pieno di nuvole, le briciole, una telefonata a settimana, una lettera al mese, e una visita ogni volta ogni tanto, dove ogni contatto era negato?
Semplicemente non potevo. Stare con Claudio avrebbe significato essere egoisti. Lui doveva godersi il meglio della vita, mentre la mia di vita era in stand-by. Non potevo tenerlo con me solamente perché senza di lui io sarei morto, non potevo permettergli una eternità di lacrime solo per non perderlo.
Ho pensato a lui. Ho sempre pensato a lui.
Non vi racconterò di questi tre anni. Non vi dirò quanto sia stato difficile per me. Quante volte ho sentito la sua mancanza, quante volte ho soffocato le urla nel cuscino, mi sono ferito le nocche per i pugni che ho dato contro il muro.
Poi semplicemente, un giorno mi sono concesso di pensare a quel giorno. Il giorno della nostra uscita libera, dove ho respirato attimi di una vita insieme al di fuori da lì, il giorno della nostra prima volta e ho ricordato le sue parole. Lui, che chiamava me tulipano rosso.
"E tu sei questo, un tulipano: dentro la forma da turbante nascondi i tuoi amori infelici, le cose che non dici, le cose che hai amato e che forse non riesci più a lasciar andare, perché non ti apri più e non aprirti vuol dire non far uscire niente, ma nemmeno far entrare. Tu non fai entrare più nulla, per questo a volte ti senti così terribilmente vuota ."
E io mi resi conto che lo ero diventato. Ero davvero un tulipano che si era chiuso in se stesso, che piangeva l'amore che aveva perso e che non permetteva a nessun altro di entrare. Dentro di me avevo solo il vuoto, il ghiaccio, il gelo. Lui mi restava un ricordo sfocato da lacrime e dolore, un maglia che ho continuato a usare per dormire, un bracciale che mi ha regalato a Natale. Due lettere incise, un Anch'io sussurrato, e un senso a tutta questa vita che non ho mai trovato. E poi un quel giorno mi sono alzato e ho detto semplicemente basta.
Tutto è stato in discesa.
Io, Mario, mi sono trasformato nell'amico di tutti, quello socievole, che ride, che scherza, sempre dalla parte dei più deboli. Claudio non è stato più una spina nel cuore, ma è diventato un vuoto che ha continuato a vivere in me, è diventato un sorriso, una speranza a cui aggrapparmi. Uno scopo.
E adesso guardando gli amici che mi sono fatto qui dentro, gli occhi mi riempiono di lacrime al solo pensiero di doverli lasciare.
«Mi mancherete» sussurro a Luigi, Marco e Sandro, mentre mi slancio in un abbraccio di gruppo. Loro che sono diventati la mia famiglia, le spalle su cui piangere, il mio sopporto. «Non vi dimenticate di me. E vi aspetto fuori.»
Luigi mi prendi il volto tra le mani e so già cosa sta per dirmi. Io e lui ci capiamo con uno sguardo. Due anni insieme, compagni di cella, un fratello più che un amico. «Sai cosa devi fare.» e io sospiro. «Luì..»
«No, niente Luì. Adesso tu esci da questa merda di posto vai a Verona e ti riprendi quel ragazzo.» mi dice serio, e io non posso che ridere e abbracciarlo.
«Così, te ne vai.» mi volto verso la voce alle mie spalle e lascio i miei tre amici per abbracciare gli altri due pezzi importanti di questa famiglia: Lorenzo e Stefano.
«Ehi, ehi, quasi quasi ti preferivo quando eri uno stronzo senza cuore.» scherza Lore, scacciandomi una lacrima dagli occhi. «Basta piangere, Mario. Vai. Noi ci vediamo in giro. Mi devi tipo trenta birra, una per tutte le pippe mentali che ho sopportato.» aggiunge Stefano e ridiamo insieme.
«Grazie di tutto, ragazzi.» e saluto così quella strana famiglia che abbiamo creato.
I miei educatori che sono stati un po' i miei genitori e i miei tre nuovi fratelli. Mi mancheranno da morire, saranno sempre una parte di me.
Ma oggi la mia vita smette di essere in pausa, oggi sto dando il play.
E mentre stringo il borsone sulle spalle, e le guardie aprono le porte di quel carcere che ha rubato quattro anni nella mia vita, che lo realizzo.
Sono Mario Serpa, non sono più un numero, un'identità senza valore. Sono un uomo, sono nuovo, sto nascendo di nuovo.
Ho ventisette anni.
E questo è di nuovo la mia vita.
****
Ogni volta che ho pensato alla rinascita, io l'ho immaginata verde.
Verde è il colore della vegetazione, della natura, della rinascita primaverile e della vita stessa.
Significa forza, perseveranza, equilibrio, stabilità, solidità, costanza.
E' il colore della speranza, non a caso mi sono innamorato di una persona dagli occhi verdi.
Quei due pezzi di giada che mi hanno guidato lungo tutto il cammino che ha portato alla mia rinascita, alla accettazione dei miei errori, che mi ha dato consapevolezza sulle mie scelte e mi ha guidato verso un sentiero più tranquillo e armonioso.
Sorrido quando mi rendo conto che è oggi il 29 novembre ed esattamente tre anni fa io e lui uscivamo per la nostra giornata premio. Oggi, invece io sto uscendo da solo ma con in mano tutta la mia vita, e non solamente un'illusione di poche ore.
E' tutto verde quando finalmente mi ritrovo fuori dall'edificio. E' novembre, fa freddo, eppure non lo sente. Un timido sole mi illumina il viso, il cielo azzurro.
Chiudo gli occhi e mi beo la sensazione di benessere.
Quando passi troppo tempo chiuso in una cella, anche l'aria inquinata di Roma ti sembra magnifica come il vento che soffia in montagna, in un viale alberato.
Non puoi capire la vita in prigione se prima non ci passi.
Diventi pazzo, ti manca l'aria, devi imparare a controllare il respiro, e poi devi decidere che strada intraprendere.
Magari prima piangerai, o ti chiuderai in te stesso. Ma poi quando capisci che l'unico modo per uscirne è aprire il tuo cuore, tutto diventa più facile. Penserai alla tua famiglia, alle persone che ci sono fuori da qui, che ti stanno aspettando, che non è vero che non vali nulla.
L'amore cura tutto.
Sarà l'appiglio al quale ti terrai per non cadere e ogni giorno che trascorre sarà uno in meno verso la libertà.
Io, che innocente in parte ho scontato una pena che non mi aspettava.
Io, che ho salvato una delle persone più importanti della mia vita.
Io, che sono colpevole lo stesso. Perché se non avessi iniziato, non sarebbe successo. Ma ormai è passato, ormai è finita.
Resto ancora con gli occhi chiusi, mentre ascolto i rumori della città quando...
«Zio, zio!» una bambina che può avere più o meno quattro anni, con un adorabile vestito bianco, appoggia le sue manine sulle mie gambe. Apro gli occhi e mi accascio a terra per abbracciarla. Sono bastati i suoi occhi neri, profondi come miei. I suoi capelli lisci e scuri, la pelle olivastra e quel nasino perfetto.
Amelia, la mia Amelia.
Aspettavo questo giorno dal primo, da quando è nata o forse anche da prima. L'ho sognata, l'ho immaginato come sarebbe stato stringerla tra le braccia.
Lei chiude le sue piccole braccia intorno al mio collo e io la sollevo per farle fare una giravolta su me stesso e scoprire così il suono armonioso della sua risata.
«Amore mio..» sussurro.
«Zio, non piangere.» le sue dita sul volto, una carezza leggera.
«Piango perché sono felice e tu sei felice di conoscermi? Me lo dai un bacino?» e lei mi asciuga una lacrima nell'angolo dell'occhio e avvicina le sue labbra alla mia guancia per darmi il più tenero dei baci.
E poco dopo mi accorgo di avere di nuovo tutta la mia famiglia li davanti a me.
«Alessia.» e mia sorella che mi butta le braccia al collo e piange sulla mia spalla. «Va tutto bene è finita.» E' forte Alessia, è donna. Ed è ancora più bella.
«Ci sei mancato da morire.»
«Lo so.»
«C'è anche qualcun altro per te.»
Lascio che prenda dalle mie braccia Amelia e mi avvicino a un ragazzo che ormai non è più piccolo, ma è un uomo. E' cresciuto anche lui, gli errori gli hanno formato le ossa sulle quali adesso sa reggersi.
«Cri.»
«Mi dispiace da morire.»
«Shh.» è il nostro segreto e so che lui non lo ha detto a nessuno. MI limito ad abbracciarlo e lui si nasconde sul mio petto, come faceva quando da piccolo aveva paura. Restiamo stretti per un tempo indefinito fino a quando anche un'altra figura che non mi aspettavo, fa capolinea davanti ai miei occhi.
«Mamma.» sussurro, sbalordito.
Uno schiaffo. Forte. Deciso. Sulla guancia. I suoi occhi rossi, il viso di chi è invecchiata troppo in fretta.
«Perché non me l'hai detto? Pensavi che prima o poi non l'avrei scoperto?» ma non mi lascia il tempo di rispondere che si accascia contro il mio petto. Stretti in un abbraccio, con Cristiano che si aggiunge, Alessia che appoggia la mano sul mio fianco, Amelia in mezzo a noi.
Una famiglia.
E io per la prima volta nella mia vita, mi sento felice, nel mio posto al mondo.
Manca un solo pezzo per completare il puzzle, manca una sola spennellata di verde affinché questo diventi il quadro più bello che io abbia mai dipinto.
Aspettami, amore. Sto arrivando.
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