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Rosso 2.0


Le mani che ci cercavo, si intrecciano, si desiderano.

Lo bacio lentamente su quelle labbra rosse e così grandi delle quali ne sono dipendente. Lo bacio e vorrei affogare e gli chiedo di più, sempre di più.

Le nostre lingue si accarezzano prima piano e poi iniziano una danza tutto loro. Si accompagnano, si assaporano e si dissetano.

Mi nutro di lui, gli succhio via la vita.

E starei così per sempre a scambiarci solamente baci su baci. Baci dolci, delicati, a baci di chi ha sete di sangue e sono quindi scomposti, pieni di saliva, ma terribilmente perfetti.

Mi stacco per prendere fiato. Claudio ha gli occhi chiusi e respira profondamente.

Sorrido perché questo uomo bellissimo è mio e io oggi, ora, posso averlo davvero.

E poi apre le palpebre e mi mostra i suoi occhi. Verdi. Come la prima volta che l'ho visto. Quel verde che si era imbattuto nel nero della mia anima. Adesso è più scuro, desidera qualcosa di più, non si accontenta.

Siamo il rosso della passione.

Siamo il rosso della nostra vitalità, mentale e fisica.

Siamo il rosso della tentazione, voglio scavare, vogliamo trovare, vogliamo conoscerci davvero.

E poi ho un'idea. Mi metto seduto e lui cerca di alzarsi con me ma lo spingo sul divano, mettendogli un dito sulle labbra.

Mi alzo e mi avvicino al tavolo.

La mia erezione pulsante chiede pietà ma la testa vuole qualcosa di più. Prendo la tavolozza dei colori. Apro la tempera rossa. L'odore del liquido che mi anniebba i pensieri.

Lui resta sul divano. Mi osserva. Sono senza maglia. Mi sbottono i jeans. E lui sospira, lo sento.

Preparo la pittura e quando è pronta mi riavvicino a lui.

«Chiudi gli occhi.» sussurro e con la lingua gli sfioro il naso.

Obbedisce e io soddisfatto, immergo il pennello del colore e poi all'altezza della sua fronte. Lì dove lascio un puntino e poi uno sul collo, un petto.

Lo voglio rosso. Voglio sporcare il suo corpo.

Gli tolto la maglia, lancio via la cintura ed è passione di nuovo tra di noi.

Esplodiamo come palloncini in aria, intrecciati da due fili rossi che non smetteranno mai di separarci. Viviamo appesi nello stessa stanza, pronti a prendere il decollo.

Lo bacio e lo amo. Vorrei dirglielo ma non trovo le parole giuste. Mi sembra tutto troppo riduttivo, tutto troppo banale. Allora lo amo con gli occhi, con le mani, con i baci.

I suoi occhi chiusi, la testa inclinata all'indietro. Sporco di pittura e di amore.

«Apri gli occhi adesso, Claudio. Voglio che mi guardi.» che non smetti di guardarmi, mai. E lui lo fa, mi guarda. Ed è fuoco. Voglio sentirlo. È fretta.

Abbasso i jeans ma restiamo intrappolati tra le nostre gambe e la foga di svertirci. Ci guardiamo e ridiamo e non c'è più malizia nei nostri gesti, solo urgenza ma anche delicatezza.

Le mani sulla sua vita, la bocca là, un bacio sotto l'ombelico. I brividi, i brividi ovunque. Un misero brandello di stoffa che ci separa dalla nudità.

Lo guardo. Posso? Te lo chiedo con gli occhi. E lui, lui sorride e scioglie l'imbarazzo. Le dita tra i mie capelli neri, la mia testa che tocca quel punto lì, quello che lo fa impazzire, urlare, che lo fa sentire vivo.

E lo bacio e soffio, mordo, mi gusto il suo sapore, annuso il suo odore, quello vero, privo da ogni profumo artificiale.

Sa di buono. È quella cosa che aspetti, quel piatto preferito che ti gusti con calma anche se sei affamato, perché vuoi gustartelo, vuoi prendertelo tutto. Come le lasagne della nonna la domenica a pranzo, come la pizza il sabato sera, come tutte quelle cose che vorrei mangiare con lui... O mangiare lui.

È un viaggio. È una meta sconosciuta, è un tramonto di estate. Di quelli mozzafiato che vedi sulla riva della spiaggia. È il mio tramonto più bello.

«Mario...» un sussurro, una preghiera quasi.

«Mmh?»

«Ti prego, non ce la faccio più.» una supplica. E chi sono io per non accontentarlo?

Allento la presa, continuando a riempirlo di baci. E poi salgo su. Ripercorro il percorso al contrario. Ventre, pancia, petto, collo, mento, la bocca. Sempre per ultima la bocca.

Appoggio la fronte alla sua. Naso contro naso e resta in attesa.

«Sì.» lui sa. Lui capisce. Mi sta dicendo di sì, che va bene, che è pronto.

Pronto per essere amato da me.

Le mie dita sulla sua guancia. Lo rassicuro, lo accarezzo come si fa con i bambini.

«Non ti farò male.» te lo prometto, amore.

«Voglio che mi fai male se questo significa stare bene.»

Me lo bacio, non ne posso fare a meno.

La mano. Dammi la mano. Come prima. Non me la lasciare questa. Ti tengo aggrappato a me. Le dita si consumano strette le une con le altre, ma non si vogliono lasciare.

E poi sono tutti momenti studiati, ma naturali. Io che lo bacio, lui che mi graffia la schiena. Il cassetto, le precauzioni sempre. Due dita in bocca, una scia di baci. L'altra sua mano che distrugge la mia.

Lo preparo con calma, ma lui inarca la schiena, vorrebbe di più.

«Piano, abbiamo tutto il tempo del mondo.»

Piano, amore.

E poi è fusione.
Due pezzi nati per combaciare.
Io che lo completo, lui che mi guarda in ecstasy.

Bacio il suo dolore, lo faccio mio, e aspetto, lentamente che quello lasci il suo spazio al piacere. Non allenta la presa della mia mano neanche un secondo.

Lui annuisce e io inizio. La nostra è una danza. Ci coordiniamo subito. Io spingo e lui che mi incontra a metà strada. Il rumore delle nostre pelli a contatto, la nostra sinfonia. Il ritmo scandito. Lui che è partecipe e io, io che sono altrove. Tocco il cielo e sto bene.

Ma è quel qualcosa di più, non è sola fisica. È la sua testa che mi incanta. Sono io che non posso smettere neanche un attimo di pensare a lui e solo a lui. I suoi baci, il suo affanno sul collo, i gemiti, i piedi ai miei fianchi. Le mani.

Anche loro stanno facendo l'amore. Strette, intrecciate, prigioniere.

E lego la mia anima alla sua. Un nodo indissolubile.

Come mi libererò di te, Claudio?

E mentre siamo vicino al culmine, mi butto sulla sua bocca. Moriamo in quello scontro di denti. Tiro il suo labbro inferiore. È una droga.

«Mario»

«Sono qua, sono qua. Anche io.»

E arriviamo insieme, incastrati, sanguinanti. La pittura ovunque sui nostri capelli, la pelle, il divano.

Rotoliamo a terra e lì lo realizzo.

Mentre siamo sudati, sfatti, stanchi, impregnati dei nostri sudori, che lui è stato il primo.

E così mentre lentamente mi sfilo da dentro lui e mentre lui mi circonda le spalle e respira stanco sulla mia spalla che lo dico.

«Claudio?»

«Dimmi, amore.»

Amore.

«Sei la mia prima volta.»

****


Restiamo in quella posizione per un tempo indefinito. Claudio continua ad accarezzarmi i capelli, io appoggiato al suo petto. È tutto così dannatamente perfetto, lui qua, a casa mia, noi soli, l'amore, che mi sembra di impazzire al pensiero che sta già tutto per finire.

Resto avvinghiato a lui. Non voglio scollarmi. Voglio prendermi tutti i battiti del suo cuore, i suoi respiri, le sue carezze e i baci delicati che lascia sulla mia testa.

Fin quando l'atmosfera non viene interrotta da un brontolio.

«Il bimbo ha fame.» lo prende in giro toccandogli la pancia.

«Scusa, è che sto morendo» mi scappa una risata e mi metto seduto, anche se a malincuore.

«Dai, ti preparo qualcosa.» mi alzo. Recupero i vestiti per coprirmi. Fuori piove, dentro c'è il sole.

Rabbrividisce per la mancanza del corpo di Claudio a riscaldiarmi.

«Hai freddo?» mi chiede apprensivo.

«È che tu sei una coperta calda.» rispondo ridendo e lui mi allaccia le braccia da dietro, stringendomi a se.

«Oh, oh dov'è il mio ragazzo scorbutico e incazzato con il mondo? Chi è questa copia dolce e premurosa? »

Il mio ragazzo.

Quasi il cuore mi arriva in gola. Mi ammazza sempre lui, con un solo gesto alle volte.

«Smettila.» gli do un pizzicotto nel fianco e lui ride di più. «Dai. Famme andà a cucinare che poi hai bisogno di una doccia. Puzzi.»

Ridiamo insieme e poi mi avvicino ai fornelli. Non metto mani da secoli. Tra Londra e tutta il resto, non so neanche se ho qualcosa dentro. Apro lo sportello e con mia grande sorpresa trovo un pacco di pasta e un barattolo di sugo pronto ancora buono.

«Spero ti piaccia.»

«Dopo il cibo che ci passano in mensa, credo che la qualunque cosa tu possa fare equivale a un piatto in un ristorante stellato Michelin»

«Scemo.»

Preparo la pasta, esagerando un po' con le dosi ma ne abbiamo bisogno. Apparecchio la tavolo mentre lui parla, mi racconta aneddoti della sua vita e io mi perdo nei suoi racconti.
Ha un sacco di storie lui, potrebbe scriverci un libro con tutto quello che ha da dire e da narrare. E io semplicemente lo ascolto in silenzio, sorridendo mentre lo guardo ed è assolutamente bellissimo, bello tanto da fare male e ora, ora che l'ho avuto, mi è entrato ancora di più sotto la pelle, le unghie e si è scavato un posto dentro, appoggiato tra le costole con la testa sul cuore.

Ci sediamo a tavolo. Io di fronte a lui. Lui che mi guarda e poi allunga le gambe per stenderli sulle mie cosce. Guardo prima i piedi che mi solletico i fianchi e poi lui e il suo sorriso a tremila denti.

«Sei comodo?»

«Sì, love»

«Menomale.»

Ridiamo, tra una forchettata e un'altra. La fame che si risveglia e anche quel senso di serenità. Ma più i minuti scorrono, più ritorna l'inquietudine. Cerco di non pensarci, concentrandomi solo su di lui e su quello che dice.

«Prima, hai detto una cosa»

Abbiamo finito di pranzare. Io gli massaggio le gambe, lui ancora le mani tra i miei capelli.

«Cosa?» domando.

Sembra quasi imbarazzato. Abbassa lo sguardo e le guance si colorano.

«Prima. Mentre facevamo l'amore. Hai detto che sono stato la tua prima volta.»

E adesso solo io ad abbassare lo sguardo e smettere di toccarlo.

Ci sono certe cose che fanno male.

Punti della mia vita che sono rimasti per troppo tempo nascosti.

Ma come posso scappare dal passato?

Sospiro. Glielo devo. Lui mi ha raccontato tutto di lui e io in cambio gli ho dato solo il mio silenzio.

«Ho perso la mia verginità con una donna. Classico cliché di ragazzo gay che non sa ancora cosa gli piace e si chiedeva il perché non provava attrazioni per il genere femminile. È stato un disastro, tutto quanto. Non sapevo dove mettere le mani. Poi è arrivato lui. Pietro mi ha segnato come spogliarmi, come svestire l'altro. Ha guidato le mie mani ma era tutto troppo... Strano» mormoro imbarazzato. Lo sento respirare come per mandare giù quel nodo di gelosia che gli attaglia lo stomaco. E vorrei dirgli che c'è solo lui ormai, ma devo cercare di spiegargli meglio. «Era lui l'attivo tra i due. Io subivo e basta. Pensavo fosse quello l'amore. Lui mi faceva male e io glielo lasciavo fare. Mi ha insegnato come fare stare bene lui, anche a discapito mio... Io, io...»

Mi posa una mano sulle labbra. Sollevo la testa e trovo lui con le lacrime agli occhi. Piange lui per me, piange e non lo fa per pietà, lo fa perché avrebbe voluto essere lui il primo, avrebbe voluto conoscermi prima. E lo so, a volte certe cose non è necessario dirle. Bastano gli occhi.

Sono sempre bastati gli sguardi tra di noi.

«Prima, su quel divano io ho capito cosa significare amore davvero. Quindi sì, Claudio. Sei la mia prima volta.»

E mi prende le guance per avvicinare i nostri volti. E ci perdiamo sempre in quel attimo primo del bacio. Quel momento in cui ci sfioriamo ma è più bello guardarci negli occhi. E facciamo questo stupido gioco, occhi, labbra, a chi cede prima per noi cadere insieme nello stesso momento l'uno nella bocca dell'altro.

E mi prende per i glutei e mi stringe per prendermi in braccio e io di conseguenza allaccio le gambe dietro la sua schiena.

E ci baciamo mentre come se la conoscesse casa mia, ci trascina in bagno. Apre il soffio dell'acqua, senza mollarmi le labbra. E giù sotto l'acqua con tutto i vestiti addosso, con le mani fatte di pittura e la sua maglia bianca schizzata di sugo.

Solitamente si associa il rosso come il colore dell'amore, dell'amore carnale, passionale, che ti toglie il fiato e ti manda in tilt il cervello. Quel tipo di amore prepotente che non ti lascia decidere perché lui ha già deciso per te, ha già scelto chi devi amare, a chi sei destinato.

E allora non puoi farci niente. Sei nato per amare, per amare lui e lo fai con tutto ciò che hai, l'anima, il corpo, la vita.

L'amore ti annienta e poi distrugge. L'amore ti scalda.

Il rosso è il colore del fuoco,il fuoco che può colpire i due amanti e bruciarli.

Ti devi bruciare di questo amore. Mi sento bruciare, mentre gli strappo di dosso i vestiti, e improvvisamente anche se stiamo sotto il getto dell'acqua fredda, ho caldo. Caldo di rivolerlo spalmato su di me, di sentirlo, di amarlo.

E ci stringiamo ancora contro il muro di una doccia per lavare via gli odori passati e rivestirci dei nostri profumi e dei nostri sapore.

E ci amiamo senza dircelo.

Ci amiamo e se questo dovesse essere l'ultima volta, per me sarà sempre.

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