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Oro

A chi rischia e resta, nonostante tutto.


14 dicembre

È oggi.

Non so come devo fare.

La guardia sbatte il bastone contro i cancelli delle celle. Da inizio a un nuovo giorno, ma io sono già sveglio.

Io non ho dormito. Non si può dormire.

Mi metto seduto. Il chiasso dell'uomo che continua la sua conta, mi dà fastidio.

Mi chiedo sempre a cosa serva fare tutto questo rumore per svegliarci, per svegliare qualcuno che è già sveglio.

Ma oggi, è oggi.

Oggi è la chiusura del cerchio. Oggi è il 14.

Tre mesi fa esatti un ragazzo dagli occhi verdi colmi di lacrime, ha attraversato la soglia di quella cella.

Si è seduto nel letto sottostante al mio e ha pianto tutta la notte.

Tre mesi fa, un uomo nasceva dentro queste mura, leggendo le parole scritte di pugno da sua madre, stringendo il pezzo di carta al petto e singhiozzando come un bambino.

Perché si è uomini solo dopo essere stati bambini. Perché si mostra la grandezza di un uomo, ammettendo la proprio debolezza.

Tre mesi fa, due pezzi di giada hanno scalfito il nero nella mia vita. Non ha chiesto permesso, si è incastrato perfettamente nelle mie giornate, ne ha dato un senso, ne ha dato forma, un colore.

Dopo sette mesi trascorsi in solitudine, lui è arrivato e ha rovinato tutto o ha aggiustato tutto.

Ha aggiustato me, la mia vita. Mi ha dato un'anima e poi l'ha imprigionata alla sua.

Ma ha rotto il mio equilibrio, le mie abitudini, il mio mondo.

Tre mesi fa leggevo il suo nome su una lettera e nello stesso momento lo stavo scrivendo sul mio cuore.

Gli hanno dato un numero, ma lui non è mai stato un numero. Lui era uno. Uno e basta. Uno perché unico, e unico per me lo è stato.

È dal 14 settembre che ho iniziato a contare i giorni e l'ho fatto al contrario. Non ho mai contato i giorni che avrebbero separato me dalla mia libertà, perché io non ho una libertà. Ma ho contato i suoi di giorni, quelli che avrebbero separato lui da me.

Oggi Claudio andrà via.

I suoi tre mesi di reclusioni sono giunti al termine e per come è entrato ne uscirà. Illeso, forte, più uomo.

Sono orgoglioso di lui, sono orgoglioso per la sua forza, per la voglia matta con la quale ha lottato per dichiarare la sua innocenza, sono orgoglioso di lui...perché beh, è lui.

E se tornassi indietro rifarei tutto. Lo insulterei, perché amo vederlo offeso, lo difenderei in mensa perché lui non deve essere contaminato. Claudio è puro, Claudio non c'entra con questo mondo. Claudio è oro in un mare di merda. Claudio è speciale, non deve essere toccato da mani che lo sporcherebbero.

Tornerei indietro e bacerei le sua labbra, scoprendo la mia nuova dipendenza, la mia nuova assenza.

Tornerei indietro e negherei tutto, forse gli farei meno male, ma poi lo abbraccerei durante la notte, solo per dargli un po' più di conforto e di amore.

Tornerei indietro e gli darei il mio cibo, lo accarezzerei, gli preparerei tutti i caffè, gli strapperei a morsi tutti i sorrisi, lo bacerei perché a volte è ciò che è sbagliato a farci più bene.

Ma adesso mentre mi sciacquo il vivo e mi guardo allo specchio, penso se ne sia valsa la pena. Mi guardo e vedo un uomo diverso. Non sono freddo, non sono spento... sono fuoco, brucio ma di dolore perché io lo sto perdendo perché per troppe volte sono stato forte per lui, anche a discapito mio.

Mi chiedo se ne è valsa la pena amarlo, innamorarmi di lui. Farlo entrare in casa mia. Fare l'amore sul divano, e poi in doccia, e poi di nuovo sul pavimento perché di lasciarci non ne avevamo le forze. Se ne è valsa la pena essere felice per così poco tempo e subirne le intere conseguenze adesso.

«Io te lo avevo detto, che ti avrebbe fatto male.» sobbalzo mentre Lorenzo mi guarda, seduto su quello che era il letto di Claudio e ora di Samuele. Chiudo gli occhi, non me lo aspettavo.

«Cosa vuoi?» taglio corto. Acido sì, perché mi sento tradito da chi credevo amico. E ho sbagliato di nuovo. Lorenzo e Stefano non sono i miei amici, sono solo educatori. Educatori e basta che devono fare il loro lavoro. E va bene così.

«Sei ancora arrabbiato con me?» mi domanda dopo qualche secondo.

Una risata triste, esce dalle mie labbra. «Tu che credi?»

Lo vedo mentre abbassa gli occhi come dispiaciuto e un po' dispiace anche a me. Non ce l'ho con lui. Non poteva rischiare il suo lavoro e posso anche capirlo, ma cazzo.

«Non potevo aspettare...»

«Sarebbero stati due cazzo di settimane. Cosa ti cambiava? Pensi che sia successo tutto nell'ultimo mese. Sono tre mesi che va avanti!»

Sono tre mesi che ci amiamo.

Deglutisce per poi sospirare. È in difficoltà, vorrei dirgli che va bene, che tanto ci avrebbero scoperto lo stesso, però poi penso che invece questo non sarebbe potuto succedere e io e lui ci saremmo amati fino all'ultimo giorno, io avrei avuto il tempo per metabolizzare il suo addio e lui sarebbe stato pronto a lasciarmi alle spalle. Avremmo sofferto di meno e amato di più.

«Vai.»

«Mm?»

«Vai da lui, tra un poco andrà via.»

Faccio un passo verso Lorenzo e mi siedo accanto a lui. «Posso chiederti l'ultimo favore?»

Annuisce e aspetta che io parli.

«Lasciami due minuti per salutarlo per bene. Ti prego.»

«Vai. Avete mezz'ora.»

Corro.

Fuori da quella cella, oltre quel corridoio. Corro perché non ho più tempo. Maledetto nemico di chi ne ha troppo qui dentro e chi invece non ne ha più.

Corro verso l'unica persona che mi fa bene, nonostante tutto.

Arrivo alla sua cella, ma lui non c'è. Non c'è nell'aula creativa, non c'è nel cortile, non c'è in mensa.

Dove sei Claudio? Non te ne sei andato senza salutarmi. Ti prego, dimmi di no.

E lo cerco, dappertutto, ma di lui nemmeno una traccia. E cosa mi resterà adesso?

E poi una voce, un sussurro alle mie spalle.

«Mario.» lui, sempre lui. Lui e quel modo che ha di accarezzare il mio nome. Non poteva mai andarsene. Sorrido e corro tra le sua braccia che sono già tese verso di me.

E lo stringo e respiro. Mi prendo ciò che è mio.

Mi prendo il suo profumo, il calore del suo corpo. Mi prendo le sue labbra e la sua pelle. Mi prendo tutto e non lo lascio niente. E lui mi abbraccia, così stretto che mi manca l'aria, così stretto tanto da non volermi più lasciare.

E poi le sento. Gocce salate che scendono dai suoi occhi. Piccoli cristalli, bagnano la mia spalla, rigano la sua guancia. Mi stringe il cuore.

«Ehi...» mi allontano da poco per guardarlo, ma lui tiene il volto basso. «Claudio» le sulle guance, lo costringono a guardarmi. Devo vederti, non nasconderti. Sono qui. Sono ancora qui.

«Non ce la faccio.» un sussurro che mi ammazza. Mi uccide sempre lui, mi spiazza con le parole non dette e i piccoli gesti. E poi alza i suoi fari su di me ed è vita.

«Cosa?» costringo me stesso ad essere forte. Lo devo essere per lui, per me, per preservare il ricordo di quello che c'è stato e mai più ci sarà. Un amore fantasma, mai nato, mai esistito e forse perché non è mai veramente iniziato, non potrà mai finire.

«Non ce la faccio senza di te.»

E come si resiste a due occhi così? Come si resiste a questi due diamanti, rari e preziosi e semplicemente perfetti.

Non posso che abbracciarlo. Stringerlo più forte a me. Fargli appoggiare la testa tra il mio collo e la spalla, lì dove è al sicuro, perché finché è lì, io potrò proteggerlo sempre.
«Sì che ce la fai.»
Lo consolo, lo coccolo, lo calmo come si calmano i bambini. Gli bacio il collo, perché è il suo punto debole e non allento la presa neanche un attimo.

«Mario, io sono innamorato di te.» e lo dice così, come se fosse la cosa più banale al mondo e di banale non ha proprio niente.

È questo il problema, che ami me, che aspetti me. E non meriti una vita di attese, meriti qualcuno che aspetti te, che ti vizi, che ti porti a cena fuori, ti regali i fiori. Tutto ciò che io non posso dargli.

«Lo so, amore, lo so. Anche io sono innamorato di te.» e glielo dico perché è vero. Perché deve saperlo. Perché nonostante tutto non deve dubitare del mio amore.

Perché lui è oro, la cosa più preziosa della mia vita.

«Come faremo?» chiede, senza rassegnarsi e ogni volta che sembra che si calmi, inizia a piangere ancora di più. Quegli occhi verdi cerchiati di rosso. Quanta luce sei.

«Tu uscirai da quella porta. Fuori c'è tua madre che ti aspetta, i tuoi amici, la tua vita. Fuori, non qui.»

«Qui, ci sei tu.»

«No. Tu sei qui. Nel centro esatto del mio cuore. E io sono qui, nel tuo.» appoggio la sua mano sul mio petto, lo senti? Lo senti, il mio cuore? Questo muscolo che mi rende instabile, batte solo per te. Solo tu sei riuscito a dargli vita.

Prende la mia mano e copiando il mio gesto, se l'appoggia sul petto. E lo sento anch'io il tuo. Batte tanto. Un sorriso. Sono io, eh? La causa di tutto questo?

«Mario, io ti am-» una mano sulle labbra. Per fermarlo in tempo.

«Shh, non lo dire.» mormoro in un sussurro. Non lo dire, perché poi è peggio.

Perché c'è una differenza tra innamorarsi e amare. Innamorarsi accade, non puoi sceglierlo. Succede perché si è destinati a quella persona lì, e se sia per un giorno o tutta la vita, non importa. Amare è impegno, è volontà, dipende da noi. Amare è rendere la tua vita, la sua vita, entrare nelle sue giornate e farne parte. Amare è fatica e sacrificio. Amare è volerlo fare e scegli tu di farlo.

«Perché?»

«Perché questo posto non merita di vedere e sentire questa cosa tra di noi.»

Non lo merita. Non meritano questi muri di sentire quanto sia desiderio di viverci. Non meritano di vedere ancora queste lacrime che rigano il tuo viso e che io asciugo perché devo prendermele queste gocce. Sono preziose anche loro.

«Pensavo che... Sono stati tre mesi intensi, bellissimi.»
Sorrido, lo deve sapere. Deve sapere che questi tre mesi sono stati i più belli della mia vita, paradossalmente. E anche lui sorride, asciugando quella e unica lacrima che si forma sotto il mio occhio.

Lo bacio. Così, senza preavviso. Mi prendo i suoi denti che si scontrano e che lottano con i miei. Mi prendo i suoi singhiozzi che muoiono sulle mie labbra, le sue lacrime salate che bagnano la mia barba. Mi prendo i suoi fianchi, le tengo stretti tra le mie mani. Il petto, incollato al suo. Mi prendo le sue dita che tirano i miei capelli e gemo, per il dolore, non fisico, quello neanche lo sento, per quello che ho dentro, per il bisogno che mi sta trasmettendo, per quello che vorrei ma non posso dargli.

Mi prendo il suo respiro, tutto quanto e quando non ha più aria nei polmoni, di stacca dolcemente e «Ti scriverò sempre.» una promessa innocente. I baci a stampo che mi lascia su tutto il viso e io che ricambio, che rispondo.

«E io ti risponderò» sussurro, la voce roca, l'esigenza di esserci ancora.

«Ti telefonerò» continua lui.

E io muoio. Lo bacio, lo abbraccio, mi curo delle sue lacrime e acconsento. «va bene»

Ma lui ormai è andato. Lui che non trova la forza di lasciarci andare. «verrò a trovarti.»

Sciolgo l'intreccio di mani e bocche e ritorno serio, d'improvviso. Non voglio che venga a trovarmi, non è necessario, non voglio che ritorna qui dentro. Per quanto mi faccia male la sua assenza, sono felice che lui sia libero. Lui se lo merita. Io no. «Non ce ne sarà bisogno. Stai lontano da questo posto.»

Mi guarda e alza gli occhi al cielo. Lui e questa cosa maledetta che ha di sapermi leggere. Si saper decifrare le mie emozioni e le parole non dette.

Lui, che è un testone. Che potrebbe avere il mondo e invece vuole me.

«Ti aspetto. Lo sai?»

Sospiro e lo so. «Lo so.»

Torniamo ad abbracciarci, in silenzio. Io la testa sul suo petto, le mani dietro la schiena, lui il volto nascosto tra i miei capelli e il mio collo che non smette di baciare, le sue braccia sulle mie spalle.

Starei così per sempre, dentro un abbraccio, protetto.

E poi la porta alle nostre spalle si apre e Stefano e Lorenzo entrano. Non dicono nulla, basta uno sguardo.

Ci siamo. È finita. Ci allontaniamo. Le mani no, quelle mani.

Si tormenta le labbra con i denti. Come si fa a lasciarci andare?

Come guardi in faccia l'uomo che ami e capire che il momento di andare via?

«Io non-»

Sorrido. Un mano sulla sua guancia. Ricordati di questa carezza. «Vai. E ricordati di splendere sempre. Sei oro, Claudio. Vali oro. Splendi sempre.»

Chiude gli occhi e piange ancora. Poi si avvicina e mi lascia un bacio casto sulla fronte. In quel posto lì, dove baci solo le persone importanti. «Ti prego, dimmi che questo non è un addio.»

«Non lo è.» sospiro e non lo è.

Mi lascia andare. Mi da le spalle. Prende lo zaino, se lo mette in spalla.

«Allora, ciao.»

«Ciao, anima.» mi volto anch'io. Perché non ce la faccio a vederlo andare via.

Sento il suono dei suoi passi allontanarsi. Ad ogni passo avanti un pugno al cuore.

E poi... Le braccia sulle spalle. Mi spinge, mi gira e mi bacia. Lì davanti tutti. Lì davanti Lorenzo e Stefano. Lì fregandosene di tutto. Per la prima volta se lo prende lui, l'ultimo bacio, e se lo prende tutto, fino all'ultimo fiato. E mentre io rimango ancora con gli occhi chiusi, mi passa la mano tra i capelli e va via.

Ciao, mia anima.
Sei la mia luce radiante. Sei il mio color oro. Sei il mio sole capace di trasmettermi calore, movimento e forza.
Non c'è nulla di statico in te. Sei energia. Vai a illuminare il mondo, vai a conquistarlo il mondo. E se mai nella tua vita, ti voltarai indietro e di ricordarerai di me, lasciami un piccolo raggio di sole, mi basta un abbaglio che mi ricorda che tu sei esistito, che hai migliorato me e la mia vita, che puoi ancora guidarmi.

Ricordarti di vivere. Fatti felice se puoi.
Perché se tu sei felice, lo sarò anche io.

E poi la porta si chiude.
Un rumore sordo.

Apro gli occhi.

Claudio non c'è più.


****

Nella speranza che non mi ammazzate dopo questo capitolo ahahahaha. Sappiate che scrivere questi capitoli e quelli successivi mi sta uccidendo.
Volevo informarmi che domenica parto e andrò all'estero. Ho quasi tutti i capitoli pronti. Se avrò una buona connessione, continuerò a pubblicare settimanalmente. Altrimenti dovrete aspettare ancora un po'.

Fatemi sapere che ne pensate.

Grazie di tutto.

Sabry.

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