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Nero

A Luisa



14 settembre

Mi chiamo Mario Serpa, ma il mio nome ormai non è più importante. Ciò che conta è il numero di matricola 881329.

Ho 25 anni. Sono alto un metro e ottantadue centimetri, magro ma non esile. Vista dieci decimi. Ho i capelli neri, gli occhi neri, la barba nera. La mia pelle è olivastra, il mio viso è segnato da profonde occhiaie a causa del mancato sonno. Sul mio collo c'è un neo che considero un po' il mio segno particolare. Ho dei tatuaggi, mi piace disegnare la mia pelle di scritte e disegni, soprattutto quando qualcuno mi dice che non arrivò mai alla vittoria, non ce la farò mai e io poi ce la faccio, allora lo tatuo, me lo incido sul corpo. I tatuaggi per me sono traguardi, altri cicatrici di momenti invece in cui non ce l'ho fatta. Ho una famiglia numerosa. Tanti fratelli, una sorella, due genitori. Ma sì, è come se non ci fossero.

Vivo solo, anzi vivevo fino a quasi sette mesi fa. Adesso no, non ho più niente.

Sono sdraiato su questo letto a guardare il soffitto. Ho una pallina antistress in mano che faccio passare da una mano all'altra. Osservo le macchie di umidità che si stanno creando sulle pareti di questa triste stanza. Mi annoio, sbadiglio. Mi giro su un fianco. Le molle del letto scricchiolano, fanno un rumore stridulo che odio.

Come tutto, odio tutto.

Sono solo. Non ho nessuno con cui parlare, nessuno con cui trascorrere le mie giornate. A volte mi viene a trovare qualcuno ma più che altro sono visite di cortesia e non perché a me ci tengono davvero. Indosso sempre gli stessi vestiti. Ho tre cambi, ma è come se ne avessi uno perché i colori e i modelli sono uguali. L'unica cosa a cui tengo ancora è alla mia igiene. Ho una mania per il pulito, anche se non si direbbe dal mio ciuffo ormai troppo lungo che ha vita propria, e la barba troppo folta o dai vestiti malandati. Non ci colpo io, non l'ho deciso io. Questa condizione me l'hanno imposta, ma comunque me la sono cercata.

Se vi chiedete perché vivo in queste condizioni, la risposta è semplice: sono in carcere.

Che sia chiaro non sono un delinquente, sono un po' stronzo, quello sì. Non me ne frega un cazzo di nessuno, anche. Ma non sono malvagio. Purtroppo, in questa situazione ci sono capitato e adesso devo scontare la mia pena chiuso in una cella di 5 metri per dieci mesi, senza la possibilità di vedere i raggi del sole, fino all'udienza definitiva.

Ma la verità è che non faccio niente affinché la mia situazione migliori, anzi la peggioro. Sono scontroso, non mi piace nessuno. In mensa rubo il pranzo ai miei compagni oppure prendo di mira i più deboli. Non ho un compagno di stanza perché nessuno vuole stare con me, rendo la loro permanenza un incubo. Non li lascio dormire, gli rovino i vestiti, occupo il bagno, faccio un po' quello che mi pare e piace. Tutti mi dicono che mi comporto così perché non mi sono mai trovato davanti a uno pericoloso. Il che è vero. Nel mio settore siamo tutti detenuti di piccoli reati, tutti che dobbiamo scontare poche pene di massimo un anno. La maggior parte che entrano qui sono ragazzini che hanno combinato qualche cazzata e la pagheranno tutta la vita. Perché bene o male questa esperienza ti segna, ti cambia. A volte in meglio, altre in peggio.

Io sto decisamente peggiorando.

Ho ascoltato tante storie in questi mesi, anche se all'apparenza non si direbbe. Io ascolto tutti. Tutti hanno imparato dai loro errori, tutti si sono pentiti.

Io no.

Ripeto non sono una persona cattiva, ma non ho motivo per pentirmi di qualcosa che ho fatto perché ci ho creduto con tutto me stesso. Pentirmi significherebbe andare contro alla persona che sono. Così preferisco che gli altri mi giudicano, che non parlino con me, che mi lasciano solo. Nessuno vuole giocare a calcio con me quel ora libera che c'è concessa a settimana per andare al campo, quando non piove ovvio. Nessuno nella saletta mi chiede di guardare la televisione con lui, o giocare a carte. Ma a me va bene così. Non mi importa e preferisco che gente mi stia lontano. Sono stronzo, ma sono me stesso. Qui dentro tutti indossano delle maschere, io no. Io non ho problemi a sputare in faccia a qualcuno che non mi piace, non ho problemi a prendermi una punizione ed essere portato in una cella a parte oppure privato delle quattro ore al giorno che possiamo usare per uscire dalla cella. Mi va bene così.

Tanto alla fine quei ragazzini mi rispettato. Quando dobbiamo farci la doccia, sono il primo che mi lavo e loro mi lasciano passare. A volte lo faccio apposta, lascio l'acqua calda aperta per troppo tempo così che gli ultimi non ne avranno più e dovranno lavarsi con l'acqua gelata.

Sai che me frega a me.

Li guardo tutti, sorriso a tutti, il mio ghigno divertito nessuno me lo toglierà dal volto. Sono così, non mi importa di piacerti oppure no. Ma preferisco prenderti per il culo piuttosto che lasciare che tu vedi la mia fragilità.

Ce l'avevo anch'io un'anima, ma nessuno merita di vederla.

Ho già commesso l'errore di aprire il mio cuore a qualcuno e ora mi ritrovo in una cella fredda e inospitale.

Nessuno qui lo merita, tanto meno loro.

Sono la feccia, sì. Sono la feccia della società. Faccio parte come tutti loro di quella porzione della popolazione che rovina l'Italia, solo che loro fanno in modo di cambiare la loro posizione, io no. Sarebbe una finta pure quella. Non puoi salvare l'anima di qualcuno se tu non un'anima non ce l'hai più.

Io non ce l'ho. Come non ho un cuore. Come non ho sentimenti.

Sono un muro freddo e gelido, sono il ghiaccio. Sono un diamante che puoi graffiare ma non puoi rompere, non puoi spezzarlo. Sono il nero.

Io non mi spezzo, semplicemente perché non ho umanità.

Non si può salvare qualcuno come me, e io non voglio esserlo.


«881329, tieni il tuo pranzo.» Mi alzo dal letto e mi trascino stanco alla porta della mia cella, della mia prigione. A causa del mio comportamento non consono di ieri, non mi è concesso pranzare in mensa insieme agli altri e io lo preferisco.

L'uomo col carrello del cibo si chiama Ignazio, è un detenuto lavorante, uno di quelli a posto, uno di quelli dai quali prendere esempio. Apre lo spioncino, quel quadratino di 20 cm x 15, dove faccio passare il braccio col piatto per darlo al lavorante affinché me lo riempia.

«Non imparerai mai tu, vero?» mi provoca sorridendomi, e versando la mia zuppa per terra. E no, nessuno fa questo a me. Faccio cadere il piatto a terra e riesco ad afferrarlo per la maglia e sbatterlo contro il cancello della mia cella.

«Senti, tu. A me così non parli. Non sono cazzi tuoi, fai ciò per cosa sei pagato. Ora prendi un nuovo piatto del cazzo, lo riempi e me lo passi. Chiaro?» gli sussurro con tutta la calma del mondo e sempre accompagnato dal mio sorriso. Io non urlo, mai. Non c'è bisogno. Ignazio capisce, deglutisce. Mi fa segno di lasciarlo andare e io lo faccio, ritirando il braccio. Poi prende un piatto nuovo dal carrello, lo riempie e me lo passa. «Grazie.» Gli dico ridendo, mentre mi allontano e lui raccoglie i cocci da per terra.

«Un giorno ti passerà la voglia di fare il duro 881329, e spero per te che quel giorno ormai non sia troppo tardi.» Non lo ascolto, e ritorno al mio posto.

Tardi per cosa esattamente? È ormai tardi per tutto qui dentro.


Oggi mi arriverà un nuovo compagno di cella. L'ennesimo. Questo mese ne ho cambiati otto, anzi ne ho fatti andare via otto. L'educatore mi ha chiesto di essere gentile per una volta, mi ha pregato di comportarmi bene e un po' mi fa pena quel uomo. Perde tanto tempo con me, con altri, vorrebbe farci ragionare ma io ogni volta gli rido in faccia. Mi dispiace, ma nessuno può.

Comunque mi ha detto che è un ragazzo, ha 24 anni, giovanissimo. Non è di Roma, ma ci vive da qualche anno. Piccolo reato niente di che. Deve scontare tre mesi.

Lo aspetto sdraiato sul mio letto a castello. Naturalmente io dormo sopra, è il mio posto nessuno me lo tocca, e penso ai mille modi che posso trovare per rendere la vita di questo povero ragazzo invivibile. Devo pur divertirmi, no?

Nel pomeriggio, una guardia mi chiama e apre il cancello della cella. Mi metto seduto e osservo la scena.

Il ragazzo è a capo chino, non riesco a guardarlo negli occhi. Ha un ciuffo ramano perfettamente all'insù, e sulle spalle uno zaino. In mano ha una divisa. L'educatore gli parla, gli spiega un po' le regole, dice che verrà a trovarlo il giorno dopo e tutte le classiche cazzate che dicono ogni volta che si entra qua dentro. Sorrido, il ragazzo annuisce, poi Lorenzo - l'educatore - solleva gli occhi verso di me e mi prega con lo sguardo di comportarmi bene. Alzo gli occhi al cielo e ritorno a sdraiarmi, aprendo di nuovo il libro che stavo leggendo.

Dopo una decina di minuti, il ragazzo viene lasciato solo, e la guardia con l'educatore se ne vanno. Sento il suo respiro soffocato e mi permetto di spiarlo. Sta piangendo, banale.

Adesso in mano ha un pezzo di carta che stringe mentre le lacrime continuano a bagnare il suo volto. Mi sporgo ancora di più per poter leggere e riesco ad intravedere la firma. "Mamma."

Scuoto il capo, provo un po' pena, provo un po' di dolore. Tutti qui dentro ricevono telefonate e lettere dalla famiglia. Io no. Fuori non c'è nessuno che mi aspetta, fuori i miei genitori neanche sanno dove mi trovo.

Che gran cazzata i sentimenti, che cazzata la famiglia.

Ti mettono al mondo e poi si dimenticano di te.

Però la curiosità ha la meglio. Riesco a leggere qualche riga e scopro che il ragazzo di chiama Claudio. Bel nome, sonoro. Peccato che nessuno qui dentro lo userà mai. Noi siamo numeri, non siamo persone. Siamo solamente delle cifre.

Già mi da fastidio, già odio questo ragazzo. Mi giro dall'altro lato e cerco di coprirmi la testa col cuscino per non sentire i suoi singhiozzi, per non permettere a me stesso di cedere. Ma nulla, non la smette.

«La vuoi finire di frignare?» Sbotto, rimettendomi seduto.

Lui sussulta, nasconde la lettera sotto il cuscino e come se si rendesse conto solo adesso che non è solo, che ci sono anch'io lì dentro.

Solleva il capo verso di me e... boom.

Verde.

Verde e tutto quello che vedo. Ha la pelle chiara, gli occhi rossi e gonfi a causa del pianto ma quel verde, mi entra dentro. I suoi occhi sono bellissimi, mi lasciano senza parole per la prima volta da quando sono qua dentro e sono costretto a distogliere lo sguardo.

Anche lui mi guarda e le sue guance di tingono di rosso per l'imbarazzo.

Frignone e anche patetico.

«Scusa.» Borbotta poco dopo, alzandosi e andando in bagno. Mi concedo di guardarlo perché lo ammetto è sicuramente il coinquilino più bello che abbia mai visto in questo mura e sicuramente uno dei ragazzi più belli che io abbia incontrato fuori, e poi almeno ho la possibilità di rifarmi gli occhi anch'io. Il che fa sempre bene.

Resta qualche secondo in bagno, sento scorrere l'acqua dal lavandino. Mi verrebbe da dirli di non sprecarla, ma qualcosa mi trattiene.

Esce poco dopo e ha indosso la maglia con su scritto il numero di matricola.

«Bene. 89...891326.» Leggo sul suo petto e lui mi guarda di nuovo. Non lo chiamo per nome, non mi presento. Lui è solo un altro numero, come me. «Io sono il capo qui. Smettila di piangere che mi irriti. Questo è il tuo letto, quello di sopra è il mio. Non ti è concesso salirci o toccare la mia roba. Non parlarmi, non fare rumore, anzi fammi il piacere di non respirare.»

Lui mi guarda e posso giurare che è sul punto di scoppiare a piangere di nuovo. Poi invece annuisce e si stende nel letto sotto di me come un bravo cagnolino.

Ricorda sempre caro Claudio.

Ricordati sempre qui chi comanda.




****

Ci sono ricascata, lo so.

È stato più forte. Tornavo dall'università e mentre aspettando alla fermata il tram che non arrivava, si è formata la trama nella mia mente. L'ho subito detto a lei, la mia Luisa e mi ha spronato a scrivere.

Questa storia è totalmente per lei. Grazie a lei un pensiero sta diventando reale.

Il mio Mario sarà il narratore della vicenda, probabilmente più in avanti avremo anche il punto di vista di Claudio, ma Mario resta il protagonista.

Non gliene volete male, è solo un po' stronzo. È quel genere di uomo per quale tutte noi le donne perderemmo la testa. Io la perderei sicuramente.

Ma non è cattivo, non si tratta di un omicida o di un serial killer, è semplicemente lui.

E Claudio? Beh, lo scoprirete.

Naturalmente la mia priorità ce l'ha sicuramente "Ricordati di Me // Clario" ma cercherò di organizzarmi con gli aggiornamenti.

Grazie a chi deciderà di iniziare un nuovo percorso con me.

Sabry

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