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Giada

Claudio's Pov.

Due mesi.

Sono passati esattamente due mesi da quando ho attraverso la soglia di questa “casa”, due mesi dove nel bene e nel male la mia vita è cambiata radicalmente.

Che ne sa il Claudio spensierato di due mesi fa quello che significa vivere in una prigione, condividere la tua stessa aria con altre persone dove anche un solo respiro in più è uno spreco. Non si ha ossigeno a sufficienza, devi risparmiare.

Che ne sanno i miei amici di quello che vuole dire vivere senza un briciolo di privacy, dove i tuoi problemi diventato le tue colpe e le tue colpe le tue condanne.

Che ne sa me stesso delle lunghe giornate trascorse sotto il sole e sui prati verdi. Adesso l’unico sole che mi è concesso, è un’ora al giorno e quei deboli raggi che entrano dalla finestra.

Nessuno sa cosa significa vivere qua dentro se prima non ci si passa. Le giornate sono tutte uguali, conti i minuti che ti separano alla libertà e li devi contare perché devi trovare qualcosa da fare per non impazzire. E allora conto, conto i giorni che mi separano dalla mia libertà, e sono fiducioso perché a detta di Gianluca aproveranno la mia innocenza e mi verranno risarciti anche i danni. Certo non è stato facile collaborare con la polizia, ricostruire l'identikit di quegli amici che mi hanno rinchiuso qui dentro, lasciando Roma, nel vano tentativo di fuga.

Ma non hanno scampo, perché io non ho nessuna intenzione di smettere di lottare.

E poi guardo dietro di me, guardo quei giorni che trascorrono, mentre la data segnata di rosso che indica il giorno del giudizio definitivo che sta per arrivare, si avvicina, ma ciò significa lasciare indietro l'unica persona che davvero conta per me. Mario.

Uscire da qui significa andare avanti senza di lui, fin quando anche lui potrà varcare la soglia di queste mura e iniziare a vivere una vita insieme a me.

Eppure, per lui è tutto così complesso, lui che anche se ha detto che voleva collaborare, non ha mosso un dito poi per farlo. A volte si chiude in se stesso, mi guarda mentre io apro il mio diario e segno la giornata che finisce e i suoi occhi neri si colmando di lacrime che subito nasconde. Mi lascia fuori, mi taglia fuori, e io ho imparato a capire che non bisogna forzarlo. Deve essere lui a parlartene.

Non posso dimenticarmi di lui, non posso far finta che non esista. Perché credo di essermi innamorato e non posso continuare la mia vita senza averlo a fianco, senza svegliarmi con lui la mattina, senza vedere i suoi sorrisi, i suoi baci, le sue carezze.

Lui mi ha salvato, in tutti i modi possibili in cui è possibile salvare una persona e io gliene sarò debitore a vita.

Lo guardo anche adesso, mentre anche lui scrive riempie quelle pagine bianche. Scrive tanto lui, scrive così tanto che si perde nelle sue parole, nel suo mondo, non mi da accesso ai suoi pensieri.

Lo guardo e sorriso.

Lo guardo e ripenso a quello che è successo tra di noi ieri. Chiusi in un camerino, con la paura di essere scoperti, a scambiarci il piacere, ad imprimere sulla pelle la presenza dell'altro. Sapere che lui è geloso di me, e lo è davvero mi fa sentire speciale, e giuro farei di tutto per avere le sue mani addosso sempre. E vorrei di più, vorrei sentirlo davvero, concedermi a lui e sentirmi amato. Ma sarebbe troppo il pericolo da affrontare, troppo da rischiare e so ormai che lui pur di vedermi libero, si prenderebbe una punizione per me e io non posso concederglielo.

Quindi mi limito a guardarlo, mentre siamo seduti entrambi nella sala ricreativa, intenti nei suoi mondi, circondati da tante altre persone. Io che continuo a vedere solo lui.

Alza lo sguardo e mi becca a fissarlo. Scuoto il capo, imbarazzandomi e lui sorrise.

Ma quando sta per avvicinarsi a me, veniamo interrotti.

«891326, c'è una visita per te.» Sia io che Mario ci lanciamo uno sguardo di smarrimento e poi spostiamo lo sguardo sulla guardia.

Non ricevo mai visite io, tranne se è Gianluca a venire a trovarmi con qualche novità sulla causa, ma chiama sempre prima del suo arrivo.

Mi alzo dalla sedia per andare a questo misterioso incontro, ma la mano di Mario mi afferra per il braccio e mi tiene a sé.

«Si può sapere chi è?» domanda con un tono acido all'uomo in uniforme.

«Queste non sono cose che riguardano te.»

«Oh, mi riguardano eccome.» ribatte lui e stringe ancora più forte la presa sul mio braccio.

«Ehi.. » mi abbasso per chiamarlo dolcemente. «Non è niente, lasciami andare. Probabilmente è Gianluca.»

«Gianluca avverte sempre prima.»

«Magari questa volta si è dimenticato. » gli sorrido, cercando di mascherare anche io la mia ansia. Chiude gli occhi un secondo e fa un respiro, prima di lasciarmi libero.

«Solo, si prudente.» mi sussurra e dopo avergli scombinato i capelli, mi alzo per avvicinarmi all'uomo.

*****

Le manette sono qualcosa che ho sempre odiato e continuo ad odire. Mi serrano i polsi e mi graffiano la pelle. La guardia mi trascina via dalla sala ricreativa e per tutto il percorso che ho fatto dal tavolo fino il corridoio, ho sentito gli occhi di Mario puntati su di me.

La sua preoccupazione è anche la mia preoccupazione. Non so chi può essere venuto a trovarmi, non ho amici a Roma, vivono tutti a Verona, non ho conoscenti e comunque non permettono a gente estranea dalla famiglia di incontrarmi.

Giungo fino alla sala addetta per i colloqui e quando vedo la persona che mi sta attendendo seduta già dall'altra parte del tavolo, mi si riempiono gli occhi di lacrime.

«Mamma, mamma.» urlo mentre la guardia mi lascia per la spalla e mi permette di avvicinarmi a l'unica donna della mia vita.

«Claudio. Il mio Claudio.» si alza in piedi anche lei e mi si avvicina. Ma non possiamo abbracciarci quindi si ferma appena a un passa da me. La osservo, troppo invecchiata con i capelli bianchi e le profonde occhiaie. Non assomiglia per niente alla mia mamma.

E anche lei scoppia a piangere, le lacrime che deve aver trattenuto allungo dopo mesi che non ci vedevamo, lacrime che sanno di dolore immenso, di giorni di distanza, di delusione.

La guardia si avvicina nuovamente e ci chiede di sederci, ricordandoci che abbiamo solo un'ora di tempo.

Mi siedo e anche lei fa lo stesso. Allungo le mani sul tavolino e lei me le prende stringendo forti nelle mie.

«Mamma, mamma, mamma.» ripeto come un mantra, perché non posso crederci che lei sia qui e nello stesso tempo mi vergogno a farmi vedere in queste condizioni.

«Come stai, figlio mio.» mi domanda, accarezzandomi le mani, come faceva quando ero bambino e lei trovata un modo per sollevarvi di morale.

Le sorrido e «bene, mamma. Io sto bene. Ma tu non dovevi venire fin qua per me. Non dovevi.. »

«Dovevo. Dovevo vedere dove fosse finito mio figlio.» mi risponde e vedo nella sua voce un fondo di amarezza.

«E tu come stai? Come sta papà?»

«Non bene. Ci stai facendo morire, Claudio. Tuo padre e io non meritavamo questo dolore dopotutto quello che abbiamo fatta per te. Dopo tutti i sacrifici che per anni ci siamo imposti per regalare un futuro dignitoso a te. Questo, non ce lo meritavamo.»

Ed eccolo il dolore. Quello sordo, quello che ti scava nelle ossa e strappa il cuore fuori dal petto. Il dolore di averli delusi, di avergli fatto del male, di essere io la causa delle loro lacrime e dispiaceri.

Loro che non si meritano questo da me e io che mi sento uno schifo. Adesso capisco perché mia mamma non mi ha mai telefonato ma mi ha sempre e solo scritte delle lettere, capisco perché non ho mai avuto notizie di mio padre. Loro mi odiano.

«Tuo padre è peggiorato. Lo sapevi che le sue condizione di salute non erano stabile e quello che è successo degli ultimi mesi ha aggravato ancora di più sulla sua salute. A stento mangia, si vergogna ad uscire fuori per una passeggiata. Claudio, lo sai com'è Negrar. Ci conosciamo tutti e tutti adesso ci disprezzano.»

«Mamma, io sono innocente.» riesco solo a sussurrargli abbassando la testa e non riuscendo a reggere il peso del suo sguardo.

E poi le mi accarezza i cappelli e dice le ultime parole che mi annientato completamente. «Io lo so. Ma non tutti sono me, Claudio.»

*****

«Cazzo, Claudio che cosa ti è successo» l'uragano Mario mi travolge appena metto piede in cella. Aspetto che mi liberano i polsi e poi gli vado incontro abbracciandolo.

Lo stringo a me forte e piango fregandomene delle guardie e degli altri detenuti che ci possano vedere. Lo abbraccio e mi sfogo, bagnando la sua magliette delle mie lacrime
Piango e mi libero mentre stringo la sua maglia nelle mani così forte che ho paura che si strappi.

Ma ho bisogno di lui, ho bisogno che mi faccia sapere che c'è, ho bisogno che mi consoli. Ho bisogno di sentirmi amato.

«Claudio.» mi sussurra ancora lui e mi cinge i fianchi, e mi accarezza i capelli. Lo spingo sul letto e ci sdraiamo insieme senza sciogliere il nostro abbraccio.

E lui mi coccola, mi sussurra parole dolci alle orecchie, mi bacia la testa fino a quando non mi tranquillizzo.

«È venuta a trovarmi mia madre.» sussurro poi e sento le sue mani fermarsi per guardarmi negli occhi col fare dubbioso.

«E non sei contento? Sei molto affezionato ai tuoi, me ne hai sempre parlato così tanto.. »

«Mi odiano.» rispondo e le lacrime si impossessano di nuovo dei mie occhi.

«Ma cosa dici, Cla'. È impossibile odiarti.»

«L'ho letto nei suoi occhi, Mario. Mi ha detto che papà sta peggiorando, che non escono più di casa perché hanno gli occhi della gente puntati addosso. Si vergognano di me.» mi mordo il labbro e nascondo di nuovo la testa tra il suo collo e la sua spalla.

«Ehi. Non sei solo, non lo sei. Lo sai vero?» mi sussurra e mi bacia ogni angolo del viso.

E lo so, c'è lui, io ho lui, e finché lo avrò accanto potrò sempre avere una spalla su cui piangere. È il mio porto sicuro.

«Ti voglio svelare un segreto.»mi dice continuando a baciarmi la fronte, nel tentativo di svagarmi. «Quando mi hai detto che ho una strana fissa con i colori, è vero. Perché io di colori vivo. Mi ero trasferito a Londra perché ero riuscito ad ottenere una borsa di studio in una accademia delle belle arti. Il mio sogno era quello di diventare un pittore un giorno, vivere per i colori. Mi piace scoprirne i significati, la storia, la loro natura. Mi piace crearli, mescolarli, inventarli. E ti sto dicendo tutto questo perché è impossibile odiare un ragazzo come te con questi due occhi verdi che ti ritrovi che farebbe girare la testa anche a Leonardo.» mi tocca il naso e io sorrido. Ha questa strana capacità lui di calmarmi sempre, con una parola o un semplice gesto.

«Come fai sempre a trovare le parole giuste tu.» accarezzo il suo collo e lascio lì un bacio.

«Perché è la verità, Cla'. Hai due occhi che sono due pietre. Sono come gli smeraldi... Alzi no, come la giada. E i tuoi occhi riflettono il mio colore preferito.» mi bacia il mento, e poi risale alle palpebre, scansando volutamente le mie labbra.

Ride mentre io protesto, dopotutto è sempre lui.

«Guardami» mi ordina poi dolcemente, prendendo il mio viso tra le mani. «Non devi mai pensare che qualcuno ti odi perché è inconcepibile. I tuoi genitori sicuramente non se lo aspettavano, ma vedrai che ormai è solo questione di pochi giorni e sarà tutto finito. E loro saranno qui fuori quel giorno a braccia aperte ad aspettarti. Perché ti amano, Claudio. Ti amano.» e me lo dice che una tale intensità che sono costretto a mordermi le labbra pur di piangere ancora. Annuisco e mi porgo verso di lui per dargli un breve bacio sulle labbra. «E poi queste due pietre che ti ritrovi, sono troppo belle per essere bagnate.»

«Parlami della giada, per favore.»  gli chiedo e lui sorride ancora, prima di farmi appoggiare la testa sul suo petto e ritornando a giocare con i miei capelli.

«Il color giada è una combinazione satura del verde e del blu. Però è un verde molto più bello, intenso, che cambia in base alla luce. È il colore della speranza. Tu sei la mia speranza. Quindi non puoi crollare, perché se crolli tu, io che vivo a fare?» sussurra al mio orecchio e io si risposta lo stringo più forte.
«Nella cultura cinese se qualcuno vuole esprimere i propri sentimenti a un'altra persona, regala un oggetto creato da questa pietra perché viene considerata la più spirituale e eterna di tutte le pietre preziose perché indica l'immortalità e la speranza e non c'è cosa più duratura dell'amore.» continua lui e ad ogni parola io mi innamoro di questo sentimento che mi vive dentro ma nello stesso tempo faccio fatica a pronunciare.

Così l'unica cosa che faccio per ringraziarlo è baciarlo e spero che attraverso il bacio lui riesca a capire tutto quello che a parole non so tradurre.

«Se potessi, Claudio, te la regalerei davvero, ma mi piace pensare che i tuoi occhi siano già una risposta. Che sia tua la mia pietra.»

«Dio, cosa ho fatto per meritarti.» chiudo gli occhi e appoggio la mia fronte alla sua.

E lui sorride ancora, mentre porta una mano alla mia guancia e la accarezza col fare protettivo «Non lo so, ma qualunque cosa tu abbia fatto grazie. Perché mi ha condotto da te.»

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Scusate il disagio di prima ho avuto problemi con la pubblicazione. Comunque ho pubblicato sul mio profilo una OS intitolata 'Di Mancanze' se vi va, passate. A presto. 💜

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