Bianco
Buon 2018 a tutti voi. Buon 2018 a Mario e Claudio.
*
24 settembre
Sette giorni.
Sette giorni senza parlarsi.
Sette giorni dove l'ho evitato.
Sette giorni dove lui ha evitato me.
Sette dove me ne sbatto altamente il cazzo.
Sette giorno dove invece ogni giorno senza dirgli nulla gli ho lasciato qualcosa sul letto quando lui non c'era. Il giorno dopo la visita di mia sorella, ho fatto finta che non esistesse e lui ha fatto lo stesso con me. Però almeno non ha pianto e quindi non ho avuto neanche la scusa per rivolgergli la parola, per insultarlo o consolarlo. A mensa si siede sempre lontano da me, ma io lo vedo. Ha fatto amicizia con un gruppo di ragazzi, bravi ragazzi direi, sta sempre con loro. Parlano la sera da una cella all'altra, si incontrato nelle ore libere, giocano a carte in saletta e passeggiano insieme nel cortile. E io me ne sto in un angolo e lo osservo proprio in quei momenti. Ha un bel sorriso, è più spensierato, ha capito che deve reagire e questo mi fa piacere per lui, ma mi da fastidio. Si fa chiamare per nome da altri che non sono io, scherza con altri che non sono io, ride con altri che non sono io. E io invece. Io sono seduto in questo stupido tavolo, il solito di sempre, mentre l'osservo. Davanti a me un piatto di minestra che neanche ho toccato, e il cucchiaio che stringo così forte tra le mani perché odio, odio tutto questo che sta succedendo. Odio che lui rida in quel modo con quella gente. Lui, che ho creduto fosse cosa mia, il mio giocattolino, la mia pallina antistress, un compagno di cella con il quale passare il tempo. A modo mio.
È sempre stato così con me, da quando sono entrato qui dentro sette mesi fa, da quando mi hanno portato davanti a un giudice e mi hanno condannato. Sono stato sempre io a comandare, sono stato io a scegliere con cui stare, la gente che con me poteva parlare. Ho giocato con i miei compagni di cella e ho riso nel vederli perdere la pazienza, impazzire, chiedere disperatamente di essere spostati.
E doveva andare così anche questa volta. Invece no, perché quei occhi verdi mi fregano, mi ingannano e lui che ha preso le redini del gioco. Eppure, io non mi muovo, non lo farò mai. Preferisco guardarlo da lontano, perderlo piuttosto che contaminarlo. Lui è puro, e io non ho il diritto di sporcarlo.
Ho scoperto tante cose che lo riguardano. So che ha sempre fame, ho sentito che diceva a Diego il detenuto 890023 della cella di fronte, il suo nuovo amico, che lui deve mangiare sempre. Così in silenzio ogni giorno gli ho passato il cibo che Alessia aveva portato per me.
La prima sera quando rientrato ha trovato la torta di mele sul letto, mi ha detto che non la voleva e avrebbe preferito morire piuttosto che accettare qualcosa da parte mia. Invece quando io non gli ho risposto e ho fatto finta di dormire, ha divorato tutto. Da quella sera, ogni sera, sul suo letto lascio qualcosa che siano salumi, formaggi, una caramella, o semplicemente del succo. E lui fa sempre le stesse cose, prima li scansa e poi la notte mangia tutto.
Agli occhi degli altri, questo mio gesto non ha forse importanza, ma per me ne ha anche troppo.
Ma lui non capisce, lui continua a ridere seduto a quel tavolo a pranzare e chiacchierare.
E il mio stomaco invece si chiude ancora.
*
Come da prassi, dopo il pranzo dobbiamo tornare ognuno nelle nostre celle per aspettare che passi l'infermiera di rito per verificare il nostro stato di salute. Lascio la sala da pranzo e strisciando i piedi, ritorno al mio posto. Claudio dietro di me mi segue. Lo sento salutare Diego per darsi appuntamento più tardi per poi rientrare e chiudere il cancello alle sue spalle.
Senza guardarlo, mi avvicino al piccolo piano cottura che ogni cella possiede e prendo la caffettiera e la moka per preparare il caffè, l'unica mia dipendenza alla quale non so e non posso dire di no.
Mentre sono intendo a svolgere le mie azioni in maniera meccanica e precisa, la voce di Claudio raggiunge le mie orecchie.
«I ragazzi mi hanno chiesto se più tardi, all'orario di apertura ci riuniamo per giocare tutti insieme a calcio nel campo... tu vuoi venire?» dalla sorpresa mi scappa dalle mani il barattolo del caffè, ma lui è più veloce di me e riesce ad afferrarlo prima che tocchi il suolo e combini un casino.
Mi volto per verificare che stia parlando proprio con me e lo trovo che mi fissa, aspettando una mia risposta.
Incredibile, ao. Non mi parla per una settimana e ora se ne esce con una richiesta del genere.
Mi scappa una risata nervosa e tolgo lo sguardo dal suo volto, per ritornare a fissare il piano cottura davanti a me.
«Ovvio che no» rispondo secco.
«Perché?» insiste ancora lui e sento il suo entusiasmo spegnersi un po' mista a una punta di nervosismo.
«Perché no.» sbotto, sbattendo la caffetteria calda sul tavolino. Sobbalza spaventano, e va a sedersi al letto.
Respiro, cerco di mantenere la calma, prendo due tazzine. Ancora una volta penso a lui. Verso prima il suo caffè, che so prende senza zucchero, e sposto la tazzina all'estremità del tavolo, per avvicinarla a lui.
«Tu ci vai?» chiedo, mordendo la mia lingua poco dopo. Non dovevo chiederglielo, ma voglio sapere cazzo. Devo sapere. La curiosità mi divora, o forse è la gelosia. No, è solo fastidio.
«Sì» mi risponde con altra freddezza. Non c'è più niente del Claudio amichevole di poco prima.
Annuisco e prendendo la mia tazzina, salgo le scale per sedermi sul mio letto.
«Io... penso che dovresti venire» sussurra di nuovo. Non posso guardarlo in volto ma so che sta cercando in tutti modi di fare conversazione.
«Ma io non credo proprio» continuo la mia finta recita, girando lo zucchero col cucchiaino.
«Ma perché devi sempre dire di no tu?»
Perché sono stanco di fingere di essere una persona che non sono, Claudio. Sono stanco di far finta che tutto questo non mi tocchi, sono stanco pur ad ammettere che tu sei diverso e mi fai paura, cazzo non puoi capire. Perché sei come me, e io non ti voglio.
E glielo vorrei urlare, glielo vorrei far capire. Invece lo ignoro ancora, e voltandogli nuovamente le spalle, pongo fine alla discussione.
*
Alle 15:30 i cancelli vengo riaperti di nuovo. Sento Claudio saltare su dal letto e chiamare Diego per andare a giocare a calcetto nel campo. So che Claudio non sa giocare, l'ho sentito mentre diceva agli altri che era proprio negato e Diego si era offerto di aiutarlo. Avevano parlato un pomeriggio intero delle formazioni delle squadre, gli schemi di gioco e anche se Claudio sembrava non capirci nulla, era interessato.
Resto fermo nel mio letto, mentre lui si cambia la maglia e canticchiando una canzone si avvia all'uscita. Però poi si blocca e mi guarda. Lo so che mi guarda. Il peso dei suoi occhi lo sento sempre su di me. È qualcosa che faccio fatica anche a spiegare, mi perfora, mi attraversa, mi lascia spiazzato. È una questione di un secondo, tentenna e poi sbuffa, uscendo. Ritorno a respirare dopo aver trattenuto il fiato tutto il tempo.
Mi metto seduto sul letto. Il suo profumo è ancora in giro, è ovunque. Mi porto una mano in volto prima di scendere ed uscire anch'io.
Qui dentro dobbiamo sfruttare di quelle poche ore che abbiamo per prendere un po' di aria. Giocare a calcio è qualcosa che ci è concessa una volta a settimana, mentre gli altri giorni possiamo uscire solamente in dei cortili che in realtà sono dei quadrati di cemento scoperti. L'aria fresca ci aiuta a mantenere un contatto con la realtà, ci permette di non impazzire, di farci pensare a quanto sia la vita bella fuori da qua.
La vita degli altri, almeno.
Io quando penso alla mia vita, vedo solo nero. Un ammasso di nero dove a tratti veniva spruzzato una macchia di bianco. Quel bianco che mi dava un briciolo di forza in più. Mi aiutava. Ma a me le tenebre mi hanno sempre attratto, l'oscurità è il mio habitat. Sono un punto nero nel mondo, uno di quelli che vengono ignorati, non considerati, quelli che la società può benissimo far a meno. E quel briciolo di bianco, quello spiraglio, io l'ho visto solo mentre giocavo col mio pallone quando ero piccolo con mio padre. Il calcio mi ha sempre unito a lui, la passione per le partite, le domeniche allo stadio a seguire la Lazio. Gli abbracci più belli tra me e mio padre sono stati lì dentro, centinaia di gente accanto a noi ad urlare per un amore comune.
Raggiungo il campo anch'io mentre sono immerso ancora tra i miei pensieri. I ragazzi sono tutti posizionati nei due lati pronti per iniziare la partita. Do un'occhiata in giro ma di Claudio non c'è traccia, così come neanche di Diego. Faccio finta di non pensarci e mi siedo sull'ultimo scalino in alto della tribuna per guardarli giocare. Alla fine del primo tempo, mi alzo per fare una passeggiata. Tiro fuori dalla tasca il pacchetto di sigarette e mi allontano dalle urla degli altri detenuti per fumare tranquillamente.
«No, tu non capisci. Io vorrei conoscerlo ma lui me lo vieta»
Mi volto di colpo in direzione della voce di Claudio. Mi da le spalle, è seduto per terra, accanto a lui c'è Diego. Stanno fumando e parlando di qualcuno... me?
Mi nascondo dietro il muro e resto ad ascoltarli.
«Cioè capisci, non conosco neanche il suo nome» continua Claudio, aspirando il fumo dalla sigaretta.
«Nessuno qui dentro lo conosce.» precisa Diego «Non si è mai presentato. Senti, Claudio. se posso darti un consiglio io ti direi di mollare subito. non ne vale la pena per uno come lui»
Per uno come me, certo. Perché Diego è migliore, perché lui ne vale la pena. Inizio a sentire quel fastidio primordiale che si deposita alla base dello stomaco. Giuro che gli spaccherei la faccia.
«Io non la penso così. Lui è strano, lui ha qualcosa dentro. Lo so che non sono nessuno per impicciarmi della sua vita, ma mi piacerebbe aiutarlo.»
Claudio abbassa la testa come sconfitto. Si guarda le mani, poi alza gli occhi al cielo.
Lui vorrebbe aiutare me. Ma io non ho mai chiesto aiuto. Perché lui è così, è buono, lui vuole aiutare l'altro. Ma io sono disposto a mettere da parte il mio essere per lui? distrattamente, dimenticando di star fumando anch'io, la cenere calda mi brucia le dita. Trattengo un lamento e getto il mozzicone per terra.
«Claudio ma davvero? Ti prego dimmi che è uno scherzo. Cioè lo hai visto? Non merita niente da te-»
«Perché tu sì?» sbotto furioso non riuscendo più a trattenermi. Sono dietro loro, in piedi. I pugni stretti ai fianchi. Claudio mi vede e deglutisce. Diego invece si alza e mi fronteggia con aria di sfida.
«Non te l'hanno insegnato che è maleducato spiare?» mi attacca.
«E a te non me l'hanno mai detto di ficcarti la lingua su per il culo?» rispondo acido. Nei miei occhi la tempesta.
Diego mi guarda, ride e dopo un «Brutto bastardo» mi metto le mani sul pento e mi spinge al muro dietro le mie spalle. Reagisco prendendolo per il colletto della maglia, ma Claudio è più veloce di noi e riesce a mettersi nel mezzo prima che io gli sganci un pugno in faccia.
«Basta. Finitela. Volete finire nei guai?» urla e sia io che l'altro ci allontaniamo entrambi non riuscendo a staccarci gli occhi di dosso. Poi Claudio mi da le spalle, e mi prende il braccio da dietro. «Diego per favore, potresti lasciarci soli? Ho bisogno di chiarire questo malinteso con lui»
Il ragazzo annuisce, continuando a guardarmi rabbioso. So cosa vuol dire quello sguardo. Io e te, non abbiamo finito. E puoi contarci bello.
Quando rimaniamo di nuovo soli, Claudio fa un passo lontano da me e molla la sua presa. Si porta una mano alla testa e inizia a camminare avanti e indietro senza sosta.
«Si può sapere che problema hai?» chiedo innocentemente come se non lo sapessi già. Ho uno strano potere su di lui, lo faccio incazzare, lo rendo nervoso. Il suo corpo reagisce ogni volta che gli sono accanto, e mi piace. Dio, mi piace da impazzire.
«Tu, sei tu il problema!» mi urla contro, puntando un dito.
Alzo gli occhi al cielo e cerco di avvicinarmi a lui, ma lui indietreggia. Un passo in avanti, lui uno indietro.
«Questa non è una novità» sollevo un sopracciglio col mio solito ghigno divertito.
«Tu non capisci» continua imperterrito lui sempre più incazzato.
«Ah Clà, ti calmi?» cerco di dirgli, perché ho davvero paura che gli venga una crisi e poi non vorrei che qualcuno ci sentisse. Ma lui scatta. È una molla, è un uragano. È vita
«Clà? Ma con quale diritto. Tu.-»
«Ma vaffanculo» e non ci vedo più, lo prendo per le braccia e mi butto sulle sue labbra. Lì in quel freddo pomeriggio invernale, lo bacio.
Lo vedo adesso quel bianco. Lui è la mia speranza.
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