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Argento

A volte penso che ci sia un solo posto per noi due. 



25 dicembre.


Natale.

È il giorno che passi con le persone che ami, con quelle che ti sono state accanto, con quelle che fanno parte della tua vita e della tua esistenza.

Natale è un giorno felice, dove ti ritrovi con la tua famiglia attorno a un albero illuminato da diverse palline e lucine colorate, a scartare i regali che Babbo Natale ti ha portato.

Natale è felicità, gioia, urla di bambini, armonia famiglia, vita.

Natale è stare bene.

Ricordo ancora i natali che io ho trascorso quando ero ancora un bimbo, quando la mia famiglia stava bene, quando non c'erano liti, c'erano i soldi, c'era tanto cibo in tavola da condividere e da gustare.

Ricordo l'odore dell'arrosto, delle lasagne della mia tata. Ricordo il profumo del panettone appena sfornato, o quello burroso del pandoro. Ricordo lo zucchero a velo sui biscotti, la cioccala calda.

Sento il suono della musica, le canzoni natalizie, cantarle tutto intorno all'albero.

Non siamo stati una famiglia unita noi, ma il giorno di Natale era diverso. Eravamo solo noi cinque.

Io, Cristiano, Alessia, mamma e papà. Aspettavamo la mezzanotte e ogni secondo scandito dall'orologio era un attimo di gioia in più.

Ricordo ancora l'ultimo natale... dio se ero piccolo. Volevo a tutti i costi quel trenino con la pista da montare, e quella tavolozza di colori nuovi. Forse il ricordo più felice che ho, perché dopo quel anno il Natale non è stato più un giorno felice, ma era diventato un giorno triste. Il più triste dell'anno.

Perché si sa. È bello se hai qualcuno con cui condividerlo, è triste se ti ricorda ciò che avevi e che hai perso.

Non ci sono più stati regali, niente pasti abbondanti, niente addobbi.

Non c'era più mio padre.

Era andato via da quella casa, non fece mai più ritorno.

E allora ho iniziato a odiare tutto. Il 25 dicembre è ufficialmente il giorno che odio più dell'anno.

Lo odio, perché mi fa male. Lo odio, perché nello stesso tempo odio il fatto che io lo odi, che a causa del mio astio verso questa festa, neanche più i miei fratelli ne hanno goduto a pieno la magia.

Odio e luci della città durante le festività.

Odio i film di Natale.

Odio i dolci.

Odio i regali.

Odio gli auguri.

Odio gli addii.

Eppure, quest'anno è un Natale diverso. O sarebbero potuto essere un Natale diverso. Mi ritrovo seduto dentro una sala ricreativa con al centro un piccolo e misero albero di Natale che gli altri detenuti hanno preparato. Ai rami, al posto delle palline, sono stati appese dei fogliettini colorati dove sono tutti hanno scritto il loro auguro, un desiderio, un auspicio per il futuro.

Io semplicemente resto a guardarli. Non ho scritto nulla. Avrei dovuto? Non sono il tipo che smercia i propri pensieri e i proprio sentimenti così facilmente.

Io, i miei desideri, i miei sogni, le mie speranze, me li tengo dentro. Insieme al mio dolore, compagno di un viaggio che ancora non mi ha abbandonato.

È bello convivere col dolore. Prima o poi diventa parte di te. Lui lo è diventato. Silenziosamente, ha riempito tutte le giornate, anche se scavando un vuoto dentro di me.

E vorrei non sentirmi così, non oggi, non con la visita che mi aspetta, ma capisco che devo farlo. Devo lasciare andare ciò che mi ha reso felice per pochi, pochissimi mesi, perché è giusto così.

Sono diventato altruista, alla fine. Chi lo avrebbe mai detto?

Prima ho chiamato Alessia. Ha pianto per tutto il tempo. Le ho augurato un buon Natale a lei e alla piccola Amelia, e lei ha pianto ancora di più. Le ho detto che sarebbe andato tutto bene, ma io lo so che questo giorno fa male anche lei, lei che per il Natale si aggrappava a me e al mio odio, cercava rifugio nelle mie braccia.

Dopotutto, anche se lo odiavo è il primo Natale che non trascorrerò a pranzo con lei, mio fratello e mia madre.

Mia madre, già. Oggi è esattamente un anno dall'ultima volta che l'ho vista. Ricordo quel pranzo, le sue lacrime, il mio pugno sul tavolo, i regali mancati, gli auguri negati.

L'ho chiamata, però. Dopo mesi ho avuto il coraggio di farlo.

«Mario? Il mio Mario. Amore mio.» e ha pianto anche lei. Si è disperata e io mi sono sentito morire.

Che strano figlio che hai mamma, eh? Ha la capacità di far soffrire la gente.

L'ho consolata, le ho detto che stavo bene, ho portato avanti la balla di Londra e che non potevo ritornare per il pranzo consueto di ogni anno. E lei sempre così gentile, mi ha detto che non fa nulla, che basta che io stia bene, che mi faccia vivo qualche volta e andassi a trovare quando sarei ritornato a Roma.

Non so dove ho trovato il coraggio di non piangere anche io. Gliel'ho promesso, anche se so che è una promessa che non posso mantenere.

«Ti amo, Mario. Ricordatelo sempre.»

E poi gliel'ho detto, per forse per la prima volta in vita mia. «Ti voglio bene, mamma.»

E ho messo giù. Non potevo aspettare una risposta. Sarebbe stato troppo anche per me.

E adesso qui, in attesa.

In attesa di lui.

Lui che è stato l'unico ad aver dipinto un sorriso sul mio volto.

Lui che ha deciso di trascorre il suo Natale con me.

Stringo tra le mani il pacchetto che ho preparato. Il mio regalo, per lui.

Sospiro. Non sarà facile. Non lo vedo da undici giorni e a me sembrano passati undici anni.

Non so come potrò mai fare senza di lui.

È questo di fa l'amore? Ti rincoglionisce, sì.

Resto ancora qualche minuto, perso tra i miei pensieri, quando la mano di Lorenzo si appoggia sulla mia spalla.

L'ho perdonato poi, Lorenzo. Ha solo fatto il suo lavoro e in questi giorni si è preso cura di me, ha raccolto le mie lacrime, le mie urla, i miei capricci, i miei silenzi. Mi ha lasciato i miei spazi e poi è diventato il confidente, l'amico, oltre che educatore, che tutti vorrebbero.

«Andiamo?» mi chiede e le mie gambe iniziano a tremare.

Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo. Mi metto a piedi, lui mi sorride.

Lasciamo la sala ricreativa. Stretto tra le mie braccia il mio regalo.

Oggi niente manette ai polsi. Posso considerarlo come un regalo di Natale da parte degli educatori, ma devo sempre rispettare le regole.

Niente contatti troppi espliciti, niente proteste e al primo falso ritorno dentro. Lorenzo mi guida nella stanza dei colloqui, quella stanza che ho odiato, che ho amato, dove si trova la persona che amo.

Mi fermo un attimo davanti alla porta e spio all'interno.

E Claudio è lì.

Ed è lui davvero.

Chino in avanti, con le braccia appoggiate sul tavolo, le mani congiunte. È bello da star male, anche se non riesco a vedere i suoi occhi. Accanto a lui, a qualche metro più la, altri uomini sono in attesa di rivedere i loro cari, mentre lui aspetta me.

Silenziosamente, mi faccio coraggio e mi avvicino a lui. Sposto la sedia e lui finalmente alza il volto. Il suo profumo che esplode nelle mie narici. Tengo io gli occhi bassi stavolta, sentendo il peso del pezzo di quei due pezzi di giada addosso e solamente quando mi siedo, li sollevo.

Ed è vita.

Ed nero e verde.

Ed è noi di noi insieme.

Sono le nostre anime che si ritrovano.

È l'amore che noi stiamo ricominciando a fare guardandoci solamente negli occhi.

«Ciao.» sussurro, perché lui è li che mi fissa, con quelle irridi grande e luminose, appannate di uno scintillio di lacrime che sta cercando di trattenere.

Allungo le mani verso di lui e lui prontamente le intreccia alle mie.

Ed è forza della natura. Sono le nostre pelle a contatto. I brividi che invadono il mio corpo. Le sue dita che mi accarezzano.

E si, anche le mani stanno facendo l'amore adesso. Come gli occhi, forse ancora un po' di più. Si aggrappa a me come mi aveva detto, di aggrappa come una ancora, perché io sono il mare e io lo tengo stretto a me ancora più forte.

«Mario.» accarezza ad una a uno tutte le lettere del mio nome come solo lui sa fare.

Ed è più bello. Le guance sono più colorate e più paffute. Ha messo su qualche chilo, splende di più, la pelle è più ambrata e non più pallida.

Gli fa proprio bene la libertà.

«Dio, Mario. Non sai quanto mi sei mancato.» e sospira, appoggiando la testa sulle mie mani. Mi stringe, mi lega a se e io gli accarezzo i capelli gli faccio sentire che ci sono.

Che non è cambiato niente.

Che siamo ancora solo io e lui.

Che siamo ancora noi.

«Anche tu. Anche se sono incazzato nero, lo sai?»

«Lo so.»

«Non avresti dovuto essere qui.»

Alza la testa come ferito dalle mie parole e «e dove altro, sennò?» la voce seccata.

Sollevo la mano fino alla sua guancia. Non voglio esagerare col contatto fisico, ma ne ho disperatamente bisogno. Gli accarezzo la barba e lui si lascia trasportare dalle mie attenzione.

«Non fraintendermi. Non sai quanto sono felice che tu sia qui.» e glielo sussurro come se fosse un segreto e infondo lo è.

Amo e odio la sua presenza, ma forse la amo di più.

«Pensavo fossi arrabbiato con me, per la storia di Alessia. Non mi hai detto niente neanche ieri al telefono. Mi dispiace di essermi intromesso.»

Sospiro. Ero stato arrabbiato? Forse. Leggere in quella lettera di Claudio che si era messo in contatto con mia sorella per capire qualcosa in più di me, devo dire che mi aveva un po' ferito. Perché significava che non si fidasse abbastanza. Ma poi ci ho dormito su e ho capito che in realtà vuole solo aiutarmi.

«Non sono arrabbiato...» inizio, continuando ad accarezzarlo. «Non più almeno.» confesso alla fine. «Però c'è poco che puoi fare per me e questo lo devi sapere.»

«Ma non è vero.»

«Ascolta. Gianluca sa quello che deve fare. Va bene così. E poi ti prego non ne parliamo oggi.» lo supplico con lo sguardo e lui sembra di capire.

Serra la mascella per contenere la rabbia e poi fa uscire fuori tutta l'aria che ha trattenuto calmandosi.

«Okay... io ecco. Ti ho portato un regalo.» e le sue guance si colorano di rosa. Lascia le mie mani e tira fuori una bustina di velluto col verde. Apre il palmo della mano e me la chiude tra le dita. «Buon Natale.»

Sorrido e prendo il pacchettino tra le mani. Imbarazzato, sciolgo il fiocco che lo teneva legato e scopro il contenuto.

Dentro, un braccialetto in cuoio, intrecciato con sopra un'incisione di color Argento. Tocco la scritto con le mani e il mio cuore inizia a battere.

«L'argento è il colore della luna, e giuro Mario che nei tuoi occhi c'è il cielo stellato più bello che io abbia mai visto.»

Resto senza parole, mentre continuo a passare le dita sul braccialetto.

«Mesi fa me ne hai regalato uno simile, che io non ho mai tolto. Hai detto che il rosa era il simbolo di un amore puro, un amore che sta per sbocciare. L'argento è uno dei colori del Natale, è armonia, sicurezza e trasformazione. E-»

«Il simbolo di un amore maturato e indistruttibile.» completo per lui. E sono letteralmente senza parole, mentre lui mi lega la sua promessa al polso e solo adesso prendo la consapevolezza di ciò che ha scritto.

Non un ti amo, non una promessa.

Semplicemente due parole.

Anche io.

Come a dirmi che anche lui c'è, che anche lui prova lo stesso per me. Che lui non mi lascia, lui che mi ha dichiarato il suo amore la prima volta, pronunciando proprio queste sillabe.

«Grazie.» rispondo solamente e anche io tiro fuori il pacchetto che avevo portato con me. «questo invece è per te.»

«Per me?» chiede quasi stupido.

«Sì.»

Lo vedo come abilmente scarta la carta che Stefano e Lorenzo mi avevano procurato. Apre la scatolina e un sorriso dolcissimo incornicia il suo volto.

«Un mp3?»

«Forse dovremmo ascoltarlo, che dici?»

«Si sono invertiti i ruolo qua?»

«Forse.»

Sorrido e prendo la cuffia che lui mi passa.

E siamo in una situazione analoga. Una volta era lui a farmi ascoltare le canzone, era lui che attraverso il testo di un cantante faceva sue quelle parole, mentre adesso sono io a scegliere una canzone per noi.

Quella perfetta.

Aspetto che anche lui metta l'altro auricolare e dopo prendendogli la mani, lascio che la musica e le parole dei Negramaro, parlino per noi.

Vista da qui la luna è bellissima, si scioglie negli occhi tuoi, sapessi io come lei, verrei a cercarti

Lo sento mentre trattiene il fiato, quando le note della canzona iniziano a scorrere delicate tra di noi. Gli sfioro la mano, accarezzo le sue dita con le mie. Sono belle le nostre mani insieme. Sembrano che siano state fatte per noi, per combaciare, per ritrovarsi, per stare insieme.

E lo guardo per tutto il tempo, e la vedo la luna argentea nei suoi occhi, anzi no, la luna sono io perché vivo di luce riflessa. Lui è il sole, lui mi illumina lui mi porta a vivere. Sappiamo tutti che in qualunque parte del mondo ci troviamo, il cielo è sempre lo stesso, il chiaro di luna è sempre uguale.

Ti sto dicendo che ovunque andrei, ovunque andremo, saremo sempre vicini.

E lui lo capisce perché stringe ancora più forte le dita tra le mie e sospira.

tra gli alberi.

Il nostro cortile. Quel misero angolo di cemento con un solo albero sfoglio, teatro delle nostre liti, dei nostri abbracci. Di noi. Ti verrò a cercare sempre. Che sia nella realtà, che sia nei sogni. Verrò a cercarti perché adesso mi rendo conto che ti ho cercato per tutta la mia breve vita e ti ho trovato nell'unico posto dove non avrei mai creduto. Forse anche tu mi stavi cercando e ci siamo incontrati a metà strada. Forse dovevamo solamente osservarci bene e adesso ti direi che ho sbagliato a perdere tempo prima, ho sbagliato a resistere. Se avessi saputo che eri tu la persona che stavo aspettando, ti avrei aperto il cuore molto prima.

le foglie il vento e tra le nuvole ti sento

Ti sento. Come ti ho sentito il primo giorno. Quando i tuoi occhi più verdi delle foglie primaverili, si sono fermati su di me.

Ti sento, dalla prima sera in cui hai stretto le mie mani con le tue e hai trovato una forza, un appiglio, hai trovato rifugio. Tu hai trovato rifugio in me, quando ero io quello aveva bisogno di un appiglio dove aggrapparsi e salvarsi. Non sei solo un'ancora, Claudio, sei anche la barca, sei la scialuppa di salvataggio che si infrange in questo mare di merda. Quella che salva me, e mi porta in un porto sicuro: tra le tue braccia.

Ti sento, da quel primo bacio. Quello che ti ho rubato, quello che hai respinto, quello che è stato l'inizio di tutto.

E poi dal nostro secondo primo bacio, quello viola, quello scambiato su quel letto scomodo e troppo piccolo per due persone, quel letto che è diventato la culla del nostro piccolo segreto, la testimonianza del nostro amore.

Ti sento, perché quel letto adesso è vuoto. Non ci sei tu più a riscaldarmi col tuo corpo, non si sei tu a stringermi con la scusa che hai paura di cadere. Ma io ti sento anche nel vuoto, vuoto a ricordarmi che sei passato, mi sei successo.

negli angoli di ogni parte di me e di questo universo sei

Sei, o forse farei a dire cosa non sei. Perché se mi guardi come mi guardi adesso, con i tuoi occhi verdi a trafiggermi il cuore, rossi perché emozionato ancora di più. Vieni ancora più vicino, non mi basta una mano, vorrei uno spazio più grande all'interno del tuo cuore, vorrei un pezzettino di quel muscolo che ti pompa il sangue in tutto il corpo, vorrei che pesassi un po' li dentro, perché tu dentro di me pesi.

Sei lì, come la spina di una rosa. Conficcata per ricordarmi che questo amore è bello come una rosa rossa in fioritura, ma fa male allo stesso modo.

l'Anima

di ogni cosa intorno, del tempo e dello spazio e attraverso l'aria

L'anima. Quella maledetta e fottuta anima che mi ha rubato, quella che non so come hai trovato. Ti devo confessare un segreto. Io credevo di non avercela più una, credevo che l'avessi persa, oppure nascosta perché nessuno meritava di vederla più. La mia di anima non nient'altro che lo spetro della mia persona, che ha vagato per troppo tempo senza meta, alla deriva, per poi scontrarti in te che sei la cosa più bella che abbia mai visto.

La mia anima, Claudio, non esiste.

La mia anima, amore, sei tu.

mi sei scoppiata dentro, nel mio corpo ti nascondo perché lì ti ho visto.

Perché sì, mi sei scoppiato dentro. Senza preavviso, senza chiedere permesso. Ti sei preso il mio corpo, ti sei incastrato tra i miei pensieri, ti sei preso il meglio di me, e mi hai svuotato. Ma io ne avrò cura della tua anima, lì proprio dove ti ho visto la prima volta, dentro di me e me ne prenderò cura per tutta la vita.


Ed è questo che ho scritto in quella lettera che ancora non gli ho ancora dato. Quella che avevo scritto di risposta alla sua e che ho deciso di dargliela di persona. Quella che leggerà quando sarà ormai lontano da qui e non potrà fare più niente. E lo so che starà male, che mi odierà, che gli avrò rovinato il Natale, ma un giorno capirà che l'ho fatto per lui.

Cerco di non pensarci e restiamo ancora a guardarci negli occhi, persi nelle note di una canzone che giunge al termine. Tra le mani il mio cuore, nei suoi occhi le lacrime, sul mio viso il sorriso.

E poi la canzone finisce e lui piange più forte ancora. Appoggia la testa sulle mie mani e io ne libero una sola per accarezzargli i capelli.

Non sono quanto tempo passa, ma noi rimaniamo in quel modo, immobili, fino a quando i respiri non ritornano regolari, fino a quando non alza la testa e mi sorride.

«è il regalo più bello che potessi mai farmi.» mi sussurra.

«c'è anche questa.» gli porgo la lettera insieme ad un altro foglio piegato in quattro.

Li osserva per bene, legge la scritta "Leggimi dopo" sulla busta, e se la mette in tasca, mentre apre quella pergamena con attenzione e curiosità.

E solo quando si rende conto di cosa si tratta che il suo sorriso si espande e gli occhi si inumidiscono ancora.

«E...è..»

«è un ritratto.» spiego, mentre lui osserva per bene il disegno che ho fatto in questi giorni. Siamo noi due, stretti in un abbraccio, distesi sul nostro piccolo letto. La mia testa sul suo petto, le sue mani tra i miei capelli e sulle mie braccia. «Noi non abbiamo una foto, non abbiamo un souvenir che ci ricorda un luogo che abbiamo visto insieme, non abbiamo un video di un nostro scherzo, ne niente altro. Allora la foto di noi due me la sono creata, volevo che avessi qualcosa di mio, che potessi vedermi sempre, come un selfie su un cellulare. Qualcosa che ti ricordi di me.»

E proprio in quel momento la guardia ci raggiunge, prima ancora che Claudio possa rispondere e mi dice che è ora di andare. Mi metto in piedi e anche Claudio lo fa.

Non dovremmo farlo ma al diavolo le regole, posso rimanere in punizione per tutta la vita ma questo abbraccio io me lo prendo tutto, perché è l'ultimo cazzo e mentre lo stringo tra le mie braccia me ne rendo conto che sarà l'ultima volta che annuserò il suo odore, bacerò la sua pelle che mi sentirò a casa.

Perché da domani inizia un nuovo ciclo lunare. Questo è solo l'eclissi, passeggera e devastante.

Ti sto dicendo addio, Claudio, anche se ancora non lo sai.

Ti sto dicendo addio, mentre tu mi sussurri che continuerai a chiamarmi, che verrai il prima possibile a farmi di nuovo visita e io ti sto dicendo di sì, ti sto mettendo perché sono un codardo e non ho il coraggio di dirti addio guardandoti negli occhi.

E allora ti dico un'altra cosa, perché almeno una volta nella tua vita la devi ascoltare.

Mi allontano di poco e gli sollevo il viso col dita. Asciugo quella lacrima che ha lì, all'angolo dell'occhio e poi lo sussurro come se gli stessi confidando il segreto più grande.

«Ti amo, Claudio.»

E con un bacio accennato sulla guancia, che vengo portato via.

Mi costringo a non guardarlo ma col cuore più leggero.

Addio, amore. Questa non è la nostra vita, questo non è il nostro momento. Penso che ci sia solo un posto per noi due ma non è qui, non è in questo mondo.

Perdonami se puoi.

Ricordati sempre che sei la mia anima, e che lì dentro di me resti.





https://youtu.be/Ne49-0p6SLo




*****

Ciaooo

Scusate la lunga assenza ma tra il ritorno in Italia e la sessione università, ho avuto davvero poco tempo.

Scusatemi per la lunghezza spaventosa di questo capitolo, ma non mi andava di dividerlo.

Non dico nulla, solo che aggiorno presto. Unica cosa. La canzone "L'anima vista da qui" ascoltatela, è stata proprio questa canzone a ispirarmi quasi un anno fa questa storia.

Forse vi sentirete confusi, non avete capito bene cosa ha fatto Mario, ma verrà spiegato tutto più avanti.

Attento i vostri i pareri e grazie per esserci.

Alla prossima. 

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