Prologo - La Miniera
Elias
Come posso odiare così tanto un cuore che ho amato più del mio?
«Croce sul cuore.»
Me lo diceva sempre.
«Croce sul cuore, Elias. Prometti che starai bene. Prometti che sarai felice.»
Non l’ho mai accontentata in questa richiesta, il mio angelo. Mai. Come potevo? Come posso ad oggi fare quella maledetta croce sul cuore e giurarglielo, quando tutto ciò che vedo sono i loro piccoli visi in ogni momento.
Eravamo sette piccole pozze d’oro che tenevano nascoste dal mondo intero, gemme troppo preziose da condividere con chiunque.
E lei, il mio angelo, era il diamante della Miniera.
Bastardi.
Nessuno di noi sapeva da dove provenisse o chi fosse.
Tutto ciò che conoscevamo, era la miniera in cui siamo cresciuti. Ed ogni Miniera che si rispetti, ha dei nani dediti alla ricerca del cristallo più prezioso.
Ed eravamo proprio noi, i nani della Miniera. Ci chiamavano così. Io ero il più grande ed avevo solo dodici anni all’epoca dei fatti.
Ma sono cresciuto, ora… a pane e furia omicida.
Ho fatto un giuramento, anni fa.
Ecco perché ora sono qui, nel letto di questa puttana viziosa.
Mi guarda, sotto quei suoi occhi che usa come ventaglio. Per essere una cinquantenne è messa bene.
Fisico da urlo, traditrice fino al midollo, stronza e viziata.
Mi guarda dalla testa ai piedi quando mi denudo per fargli vedere il mio cazzo eretto. Se solo sapesse che ce l’ho duro per quello che sto per fare, non si leccherebbe le labbra.
«Vieni qui, ragazzo.»
Sorrido, mentre faccio scivolare lungo la mano il coltellino svizzero che nascondevo dentro una tasca del pantalone.
«Vieni tu. Non ti scoperò sul letto di tuo marito.»
Sembra così euforica, mentre tasta con la mano i miei addominali e mi fissa il pene come fosse una barretta di cioccolato.
«E come vorresti scoparmi?» si accarezza sensualmente il seno grande.
«In ginocchio.»
Prende tutto quello che ho da dare e beve tutto. Assetata puttana.
Si alza, contenta che finalmente avrà la sua parte.
Le afferro il mento e le do un morso così forte sulle labbra da farla sanguinare e dibattere per qualche secondo.
«Questo è per Ronan, ma tu lo conoscevi come Pisolo.» Solo pronunciando il suo nome, la mia mente ritorna a quei giorni di tanti anni fa in cui un bimbo dagli occhi grigi e i capelli biondi mi chiedeva di leggergli il libro di Pinocchio. Non riusciva ad addormentarsi altrimenti, diceva sempre che anche lui un giorno avrebbe trovato un paese pieno di giocattoli con cui ci saremmo divertiti un mondo. E così, ogni sera, gliela leggevo per lui. Aveva cinque anni, non ne era ancora capace.
Vedo tutto nero. Le lacrime sono impigliate fra la furia e il dolore.
Ho il tempo di intravedere appena il panico nello sguardo della donna, ma non me ne curo.
Le squarcio la gola di netto.
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